Dio si copre gli occhi
Sprazzi
vaghi di ricordi tornavano in brevi e stordenti flash, usurando la
sua mente così come la goccia scavava la pietra. La puzza lo
prendeva alla gola riarsa: feci, sudicio, sangue e marcio.
L'umidità
era soffocante e dalle feriate, poste abbastanza in alto da non poter
essere raggiunte, filtrava una luce malaticcia e fumosa, che
anziché
rischiarare l'ambiente contribuiva alla sensazione di oppressione che
Anders sentiva sulle spalle, a volerlo schiacciare ulteriormente al
terreno.
Si tirò faticosamente su con un gemito, i pesanti ceppi
che gli costringevano i polsi stridevano sulla carne, neanche fossero
giunti all'osso. Gli balenò confusamente l'immagine delle
sue mani
scheletrite – come un vecchio.
Tentò di guardarsi intorno e
gli ci volle un po' a mettere a fuoco: si trovava in un budello di
pietra oscuro, direttamente scavato nella roccia e sinistramente
ravvivato da particolari biancastri accatastati negli angoli. Ad uno
sguardo più attento riconobbe ciò che erano: ossa.
Laddove era
stato colpito, sulla tempia, percepiva l'ispessimento fastidioso del
sangue secco, che andava a mischiarsi allo sporco che gli si era
attaccato addosso come una seconda pelle. Sporse la punta della
lingua e sorpassò l'angolo sinistro della bocca,
finché non
riconobbe il sapore di sudicio mischiato ad un altro, dolciastro ed
inconfondibilmente metallico.
Gemette, deglutendo rumorosamente:
gli sembrò di percepire il rimbombo della saliva che passava
per la
gola.
I tagli slabbrati ed i lividi celati dalla pelle lercia
erano testimoni impassibili: le guardie l'avevano colto a lavorare
con le erbe e l'accusa di stregoneria, seppur meno prevedibile per il
fatto che fosse uomo, non si fece attendere. Gli appellativi usati
nel portarlo di forza alle celle, percosso e semi-svenuto, erano
stati scelti con cura. Non solo armeggiava con la magia, ma lo faceva
come una donna. I tempi di Anders non erano famosi
per la
clemenza o la benevolenza.
Il
tintinnio inquietante delle catene sembrò annunciare
l'arrivo di un
disperato – o di un condannato a morte. Ed in effetti, in
questo
secondo caso, non sarebbe stato del tutto sbagliato: era stato Anders
a produrre il rumore.
Strisciò
verso l'ingresso della sua prigione, chiuso da pesanti sbarre di
ferro. Stava per allungare una mano verso la grande serratura quando
una fiaccola venne spinta davanti al suo viso, spaventandolo e
facendolo ritrarre come un tentacolo ferito.
“Hai sete?”
La
voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto,
andava
bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello.
Farsi vedere
in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe
equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo
– ed
Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai
sete?”
Hawke aveva addolcito il tono ed ora la fiaccola
rischiarava i suoi occhi color dell'ambra e la barba nera. L'enorme
cicatrice rossa che pareva tagliare a metà quel viso dai
tratti
virili sembrava sorridergli. Tuttavia nessuno sorrideva. Anzi:
sembrava che avessero disgregato tassello per tassello la
felicità
che tante volte Anders aveva visto illuminare il viso della guardia.
Era paradossale per un uomo venir accusato di stregoneria e non
di omosessualità, se poi il suo amante si trovava davanti a
lui
portandogli dell'acqua.
Il biondo accettò il bicchiere che gli
veniva offerto, emettendo un rumore di risucchio quando le labbra
spaccate in più ponti raggiunsero il contenuto. Due rivoli
corsero
giù dagli angoli della bocca, creando ruscelli stranamente
precisi
in confronto del caos che ribolliva sotto la superficie della
situazione.
Hawke
si inginocchiò all'altezza dell'altro, strisciando un piede
a terra.
Infilò una mano tra le sbarre dell'ingresso, arrivando a
posargli
dolcemente il palmo sulla guancia. Anders fece violenza su se stesso
per non scostarsi: aveva subito troppe percosse per essere toccato
ancora.
“Oh Signore, mi dispiace. Mi dispiace così
tanto...”
Soffiò la guardia, in un bisbiglio talmente fine che sulla
punta
della lingua sapeva di segreto e perfino gli angeli non l'avrebbero
carpito. Perché in fondo tra loro due tutto era peccato e
Dio si
copriva gli occhi quando li scrutava.
“Doveva succedere. Lo
sapevamo che prima o poi sarebbe successo.”
La voce di Anders
era uscita arrochita e aliena, quasi non fosse sua. L'espressione di
Hawke non tradì la stilettata che aveva sentito nel petto.
“E
dov'è Dio? È per lui che fanno questo, ma lui
dov'è? Verrai
torturato a morte, Anders.”
E la voce era urgente e tremò un
po', come la fiaccola che rischiarava sicura i due uomini. Forse era
l'unica luce che mai si sarebbe vergognata di baciarli, talmente
effimera che con una secchiata d'acqua si sarebbe spenta.
“Dio
si copre gli occhi. È più comodo per
lui.”
Le parole di
Anders calarono come una ghigliottina sul collo di entrambi, gli
occhi nocciola come unico puntino di colore sul volto sporco e
incrostato di sangue.
Torturato a morte. Stranamente, il
biondo non fece una piega. Solo un subdolo sudore freddo si
insinuò
nella conca della spina dorsale, facendogli rizzare i peli sulla
nuca.
Torturato
a morte.
Torturato
a morte.
A
morte.
Se
non avesse avuto la mano di Hawke a tenerlo saldo nella cella sarebbe
sprofondato direttamente all'inferno.
“Non deve accadere.”
Decretò Hawke, con una fermezza tale che una parte del
biondo
avrebbe voluto potersi crogiolare lì. Avrebbe voluto potersi
illudere e lasciarsi cullare dalle sue rassicurazioni, ma il loro
tempo non faceva sconti neanche agli innamorati.
“E come non
accadrà? Accopperai il topo prima che me lo piantino nella
pancia*?”
Il tono del biondo grondò sarcasmo, amaro come fiele e
crudele
nella disperazione che provava. La mente galoppava febbrile: si
ricordò tutto, si scolpì il
viso sudato dell'amante nel
cervello come un epigramma e poi allungò le mani e le dita
tremolanti riuscirono a sfiorargli il dorso del naso, seguendo la
linea della cicatrice. Memorizzò tutto, perché
una parte di sé si
percepiva già nella tomba.
Hawke parlava, ma Anders non
ascoltava. Sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte,
per
scacciare la patina di ricordi che gli abbracciò per un
istante il
petto.
“--ire
da qui.”
Fu questo ciò che il prigioniero afferrò,
osservando
il volto dell'alto con evidente confusione. Hawke aveva esposto il
suo punto con animosità ed ora le guance erano rosse e il
sudore gli
imperlava la fronte, ravvivato da una determinazione che Anders non
aveva mai visto prima. Resosi conto che l'altro non aveva compreso,
sollevò gli occhi al cielo e sintetizzò:
“Ho le chiavi. Uscirai
da qui, fosse l'ultima cosa che faccio. Ho un debito con te –
non
accetterò che tu muoia così.”
Anders diede uno strattone e
tentò di alzarsi, ma le gambe cedettero e rovinò
nuovamente al
suolo, boccheggiante: “Hai ripagato quel debito molto tempo
fa, non
posso permettermi di vederti giustiziare per avermi fatto
fuggire!”
Hawke
scosse il capo, sporgendosi verso le sbarre per essere col viso ancor
più vicino a quello dell'altro. Vedere il proprio mondo
logoro con
la luce che contiene morente era tutt'altro che semplice.
“Lo
faccio perché ti amo. Ti ho amato e ti amerò e
Dio saprà anche
coprirsi gli occhi, come dici tu, ma io non ci riesco.
Tu non puoi
stare qui, Anders. Non più. Non hai mai potuto starci
– è un buco
dell'inferno, questo, e non è posto per chi contiene una
bellezza
delicata e terribile come la tua.”
La vita al paese da quando
era giunto non era mai stata semplice per il biondo. Era temuto,
guardato con sospetto, tenuto d'occhio. Poi un giorno aveva trovato
Hawke ed aveva deciso di fermarsi. Perché in fondo, pur
nella
sfiducia più oscura, tra il fango e i mendicanti, gli era
giunto tra
le mani un cuore, prezioso e possente. E il suo compito era quello di
prendersene cura.
“Allora
vieni con me! Ce ne andremo da qui e – ti
giuro – staremo bene. Non chiedermi di
lasciarti però,
per favore!”
Anche
Anders aveva alzato la voce, che era uscita stonata e stridente come
il metallo che si graffiava sulla pietra. Le mani, pur costrette da
quelle catene maledette, avevano raggiunto le sbarre e ora le
stringevano spasmodicamente, ignorando le fitte che sentiva in tutto
il corpo.
Hawke si guardò intorno, prendendosi il labbro
inferiore tra gli incisivi, come se soppesasse la
possibilità. Fu
timida la speranza che sorse nel petto del prigioniero.
“D'accordo.
Ti porterò altra acqua e del cibo: non appena calata la
notte ti
farò uscire. Mancano ancora diverse ore, cerca di
riposarti.”
Era
stato dannatamente facile da convincere. Talmente tanto che in
un'altra situazione Anders non sarebbe rimasto persuaso – ed
avrebbe indagato, perché Hawke era come una trappola. Come
un ago,
fine e doloroso, ma apparentemente innocuo, e tuttavia pregno di
veleno. Ed ormai il biondo era intossicato e – davvero
– non era
in grado di mettere in dubbio lo sprazzo di vita che la clemenza
pareva volergli concedere.
Così si sporse e lo stesso fece
l'altro, dopo qualche istante. Le labbra si sfiorarono a malapena,
una porta minuscola tra una sbarra e un'altra. Una porta che
custodiva la calma e la sicurezza di un focolare di una casa e
coperte sgualcite sotto corpi segnati.
Poi Hawke, dopo essersi
concesso un'ultima, tremante carezza, si alzò e lo
lasciò
nuovamente solo.
***
Lo
sferragliare sgradevole fece trasalire Anders, rimasto raggomitolato
al centro esatto della sua cella. Forse si era addormentato,
dopotutto, perché non aveva sentito Hawke arrivare.
La guardia
lo raggiunse a passi ampi, abbassandosi fino ad aprire con mani
esperte le manette – sotto alle quali facevano sfoggio due
profondi
solchi rossi.
“Muoviti, non c'è tempo!”
C'era urgenza
nel sussurro che era stato rivolto al biondo, mentre questi
faticosamente si tirava in piedi aggrappandosi all'avambraccio
possente dell'altro.
Hawke gli sistemò attorno alle spalle un
mantello pesante, fermato davanti al collo con due alamari. Ci fu una
strana dolcezza riluttante nei suoi gesti, mentre calcava il
cappuccio sul volto di Anders e gli prendeva il viso tra le mani,
coinvolgendolo in un bacio bagnato e caotico, di denti e lingue.
Il
mago (o lo stregone, viste le accuse) non capiva – o forse,
semplicemente, non voleva capire. Non appena mise
il piede
fuori dalla cella, malfermo sulle gambe, urla concitate giunsero dal
corridoio che andava immergendosi nel buio alla sua destra. Hawke lo
sorpassò e afferrò la sua mano, cominciando a
trascinarlo di corsa
su per le scale sconnesse di pietra.
Raggiunsero l'esterno e
l'aria umida e fredda li colpì con la forza di una
pugnalata.
Corsero, la pioggia che cadeva sottile come aghi a pungere i loro
visi nascosti dai cappucci, scivolando nel fango e ansimando come
cinghiali braccati. Corsero finché non giunsero alla breccia
nelle
mura, nascosta dagli arbusti ma abbastanza grande perché
potesse
passarci un uomo. La usavano quando andavano al fiume per amarsi
senza doversi nascondere perfino dal sole. Fu mentre Hawke scostava
violentemente le piante e le strappava che le guardie li raggiunsero:
erano cinque. Cinque uomini ghignanti, fradici come loro e le spade
tra le mani.
“Dove pensavate di andare? Mh? Pensi che non
sappiamo chi sei, Hawke?”
Anders, rimasto in silenzio
fino a quel momento, trasalì. Osservò l'altro,
che non sembrava
sorpreso, ma solamente risoluto mentre si scopriva il volto e tirava
su col naso. Gonfiò il petto e lasciò la mano
dell'altro. Raccolse
a sua volta la spada e si voltò per tre quarti verso il
compagno,
immobilizzato sul posto: “Devi andare. Vattene,
Anders.”
Soffiò
con fermezza, lanciandogli uno sguardo pregno di significato mentre
si voltava a fronteggiare i cinque uomini.
Il terrore che prese
il biondo fu gelido – e assoluto. In quell'istante comprese:
aveva
accettato di fuggire insieme a lui per concedergli più
tempo. In
pratica era un suicidio annunciato, quello di Hawke. Il cui
responsabile era Anders stesso.
Anders si diede da solo del
prevedibile, quando si rifiutò tassativamente di muoversi.
Rimase
indietro, togliendosi il cappuccio ed osservando con apparente e
fredda tranquillità i loro nemici. Sentiva già le
mani sfrigolare
di magia.
“Sapete cosa?” Prese la parola, mentre le ampie
spalle del moro si irrigidivano, ma non lasciava la posizione. La sua
furia era percepibile anche senza poter vedere il suo volto.
“Quando
mi avete accusato di stregoneria, mi sono chiesto il perché
non ve
ne foste accorti prima. Poi ho capito: siete degli
imbecilli.”
Decretò Anders, un mezzo sorriso che celava un terrore cieco
e
venature di riverbero azzurrino che cominciavano a salirgli su per il
collo.
Poi fu caos. Cominciarono le urla, concitate e violente, e
uno sferragliare minaccioso. Hawke si muoveva fulmineo, con la
possanza di un orso cacciato. Menava fendenti, si abbassava e
sgusciava nel fango. Nel frattempo, lampi celesti si rovesciavano con
violenza sulle guardie, immobilizzando, rallentando, e talvolta
uccidendo. In fondo, non aveva più senso mantenere il basso
profilo
che Hawke gli aveva sempre raccomandato; “Fai
attenzione,
Anders. Non devi farti scoprire. Loro non capirebbero... ti
ucciderebbero.”, gli diceva una volta consumato il
loro amore
in un orgasmo. Ed Anders aveva fatto attenzione, come gli veniva
chiesto, ma quando c'erano in gioco amore e morte, con così
poca
differenza e a così poca distanza, gli strappi alle regole
diventavano doveri.
La rapidità dei due fuggitivi parve avere la
meglio in un primo momento, ma la superiorità numerica fece
la sua
parte quando nessuno riuscì a fermare la stilettata che una
guardia
dal naso storto (rotto da una gomitata del moro) e il volto macchiato
di sangue aveva diretto verso Hawke. Il tempo rallentò,
diventando
distillato come in una clessidra. E come la sabbia che scandisce i
secondi, con una precisione clinica e cristallina, Anders vide la
punta della spada entrare nella pancia del compagno, facendolo
piegare a metà, le palpebre spalancate ed un incubo a
gridare negli
occhi.
Hawke. Hawke. Hawke, Hawke, Hawke. Hawke che cadde
in ginocchio, con le mani che si tenevano la spada che spuntava come
il tronco di un albero dal terreno.
Hawke che sputava una boccata
di sangue e cedeva, come una fiera tigre colpita a morte.
Le urla
disperate di Anders non erano state percepite fino a quando il tempo
non ricominciò a scorrere impetuoso – e stavolta
accelerato. Il
biondo si sentì sospinto in avanti, mentre dalle mani un
lampo
accecante partiva e si abbatteva sulla guardia. Fu da spettatore che
vide cadere l'uomo colpito – e questo successe senza un
lamento,
gli occhi spalancati e vuoti: i bulbi erano stati bruciati e ora
grandi buchi neri inghiottivano il dolore del morto.
Nel
frattempo, l'ultimo uomo rimasto aveva calato un altro fendente su
Hawke, colpendogli la spalla. Fu un empio tuono che sancì
altro
sangue che colava, ma solo un rantolio lasciò la gola
bruciante di
quell'uomo che da troppo amore fu ferito.
La sorte dell'ultimo non
fu diversa da quella dei suoi compagni.
C'era solo fango misto a
sangue, intorno a loro. Ed Anders ed Hawke erano perfettamente al
centro di quella melma pesante e soffocante come pece. Era come per
un pesce nuotare nella melassa: rallentato e asfissiante.
Il mago
non si diede tempo di pensare, mentre un ronzio sordo gli entrava nel
cervello e lo faceva muovere per puro istinto, il dolore come
carburante.
“Ti prego. Hawke, ti prego-- tieni duro, amore mio.
Tieni duro.”
Quelle suppliche, in fondo, neanche Anders
sapeva con esattezza a chi fossero rivolte. Perché in fin
dei conti,
anche un senza-dio come lui si aggrappava al cielo quando era
costretto a vedere un fiore nero e d'oro appassire, in una bellezza
tanto effimera quanto preziosa ed amata. La sequela di mormorii, quel
sermone dedicato a nessuno e tutti, proseguì.
Proseguì anche quando
riuscì ad adagiare il corpo sul tavolaccio della capanna sul
fiume
che usavano per incontrarsi. Proseguì anche quando
utilizzò un
incantesimo per sigillare il luogo, per sviare le guardie che senza
dubbio sarebbero tornate a cercarli. E proseguì, ancora e
ancora,
mentre ignorava completamente le forze esaurite e il peso che sentiva
sul petto e spogliava Hawke degli abiti lordi di sangue, rivelando
delle ferite slabbrate e ampie.
“No. Nononono. Hawke,
no!”
Ringhiava Anders, il volto bagnato di qualcosa di
sconosciuto (solamente molte ore dopo si sarebbe reso conto che erano
lacrime) e le mani che mandavano bagliori di un tenue azzurro
–
così fioco che sembrava disperato anch'esso. Si muoveva con
un'esperienza navigata e totalmente meccanica, prima sulla ferita sul
ventre e poi sulla spalla. E poi mischiava erbe, masticava radici e
schiacciava i boli sugli slabbri. E proseguì
così, imperterrito,
mentre fuori i lampi lanciavano bagliori che parevano voler prendersi
gioco di loro due.
Hawke, nel frattempo, rantolava. Le labbra
erano cianotiche, il corpo veniva scosso da brividi ad intervalli
irregolari, le guance color della cenere e neve. La coscienza l'aveva
abbandonato praticamente subito dopo la seconda ferita; all'inizio
c'era stato dolore. Lancinante, totalizzante. Poi, rapido com'era
arrivato, se n'era andato. Ed era arrivata la pesantezza – a
braccetto con un freddo indescrivibile. Si era chiesto
perché,
perché non c'era pace, ma poi aveva visto Anders ammazzare
con un
movimento di mano colui che l'aveva colpito, e tra sé aveva
sorriso:
il perché ce l'aveva davanti agli occhi.
Per Anders ne valeva la
pena. Ne sarebbe sempre valsa la pena.
Fu con uno spasmo che
Hawke si riebbe, arrancando in cerca d'aria e stringendo la mano
viscida di sangue e fango attorno al polso del mago. Gli occhi erano
stelle opache incastrate nel bianco granitico del volto, puro terrore
a piegargli la linea cinerea della bocca.
“Hawke! Piano, va
tutto bene!”
La voce di Anders, pregna di sollievo e
tremolante, mentì. Mentì spudoratamente, col
candore inconsapevole
di un bambino. Perché niente andava piano – tanto
meno andava
bene.
La guardia percepì le mani dell'altro sul volto, ma non
riusciva a vederlo, perché la vista era offuscata da un velo
perlaceo. Si beò del calore che Anders gli trasmetteva nonostante
tutto e poi tossì. E fu terribile,
perché solo allora, con
altro sangue che colava impietosamente dagli angoli della bocca e
tutto precipitava e il sollievo veniva ucciso spezzandogli un osso
per uno, anche il biondo si rese conto dell'ineluttabile: non c'era
vita da trattenere ancora, nel corpo del compagno.
“Merda!
Hawke, Dio, ti prego-- Non puoi morire! Ho bisogno
di te,
non--”
Ma Hawke, benché la totale convinzione del non
arrendersi dell'altro, non poté percepire alcun sollievo
quando le
mani di Anders tornarono a risplendere di quell'azzurrino tenue ed ad
imporsi sulle ferite, aperte e rosse come bocche urlanti. Non
poté
farlo, perché la lucidità rimastagli era appena
sufficiente per
dirgli ciò che doveva: “A Dio non interessa. Si
copre gli occhi,
l'hai detto tu.”
Fu un rantolo di un vecchio – il soffio di
un fantasma che era stato. Anders si piantò i denti nel
labbro
inferiore, scuotendo vigorosamente la testa e sussurrandogli una
sequela di insulti e di “stai zitto”, incapace di
smettere di
attingere ad energie ormai inesistenti. E continuava, continuava e
continuava a voler curare, ad imporre le mani, a non accettare.
“Sei
vivo.”
Furono queste le ultime parole di Hawke. Un nuovo
gorgoglio rantolato, proveniente dalla parte più profonda
del suo
cuore. Parole cariche di sollievo, come se solo in quel momento
avesse trovato il senso di tutto. Tutto, che non era nient'altro se
non Anders che calcava la terra. Gli arti si rilassarono, il petto
smise di alzarsi ed abbassarsi. La magia del biondo si arrese prima
di lui: anche quando dalle mani non fluiva più
alcunché non smise
di tenerle sospese sulle ferite, gli occhi fissi e vuoti e un urlo
incastrato tra le corde vocali.
Fu dopo un tempo indefinibile che
sollevò lo sguardo sul viso ormai immobile e freddo di
Hawke. Le
palpebre morbidamente chiuse, l'espressione serena e il rosso scuro
come unica macchia di colore su di lui.
Anders non si sarebbe mai
dimenticato del sorriso che era rimasto ad aleggiare in pace su
quelle labbra esangui.
* : La tortura alla quale fa riferimento era spesso applicata agli accusati di stregoneria: consisteva nell'aprire una ferita nell'addome del colpevole ed inserire in essa un roditore, col muso rivolto verso gli intestini della vittima. La ferita veniva ricucita e l'animale, cercando una via d'uscita, cominciava a scavare all'interno del corpo della persona, fin quando non fosse sopraggiunta la morte.
Walking_Disaster's corner:
Ringrazio
sentitamente Francesca per il prompt. Senza di lei questa follia non
sarebbe mai nata e non sarebbe neanche tornato per me il piacere di
scrivere qualcosa che possa reputare valido. Mi piace ciò
che ho
scritto, mi piace enormemente. Prossimo passo sarà il
capitolo 2,
nonché capitolo conclusivo, che spero potrà
essere all'altezza di
questo.
Mi
farebbe molto piacere se lasciaste due righe in cui mi dite che ne
pensate.
Grazie a chi ha letto,
WD