Videogiochi > Dragon Age
Ricorda la storia  |       
Autore: Walking_Disaster    21/07/2016    0 recensioni
{ Medieval!AU, M!HawkexAnders }
Anders viene accusato di stregoneria, arrestato ed incarcerato. Hawke è la sua guardia. Hawke ha un debito nei confronti di Anders e solamente di una cosa è certo: non può lasciarlo morire.
Dal testo: “Hai sete?”
La voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto, andava bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello. Farsi vedere in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo – ed Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai sete?”
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anders, Hawke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dio si copre gli occhi




Sprazzi vaghi di ricordi tornavano in brevi e stordenti flash, usurando la sua mente così come la goccia scavava la pietra. La puzza lo prendeva alla gola riarsa: feci, sudicio, sangue e marcio. L'umidità era soffocante e dalle feriate, poste abbastanza in alto da non poter essere raggiunte, filtrava una luce malaticcia e fumosa, che anziché rischiarare l'ambiente contribuiva alla sensazione di oppressione che Anders sentiva sulle spalle, a volerlo schiacciare ulteriormente al terreno.
Si tirò faticosamente su con un gemito, i pesanti ceppi che gli costringevano i polsi stridevano sulla carne, neanche fossero giunti all'osso. Gli balenò confusamente l'immagine delle sue mani scheletrite – come un vecchio.
Tentò di guardarsi intorno e gli ci volle un po' a mettere a fuoco: si trovava in un budello di pietra oscuro, direttamente scavato nella roccia e sinistramente ravvivato da particolari biancastri accatastati negli angoli. Ad uno sguardo più attento riconobbe ciò che erano: ossa.
Laddove era stato colpito, sulla tempia, percepiva l'ispessimento fastidioso del sangue secco, che andava a mischiarsi allo sporco che gli si era attaccato addosso come una seconda pelle. Sporse la punta della lingua e sorpassò l'angolo sinistro della bocca, finché non riconobbe il sapore di sudicio mischiato ad un altro, dolciastro ed inconfondibilmente metallico.
Gemette, deglutendo rumorosamente: gli sembrò di percepire il rimbombo della saliva che passava per la gola.
I tagli slabbrati ed i lividi celati dalla pelle lercia erano testimoni impassibili: le guardie l'avevano colto a lavorare con le erbe e l'accusa di stregoneria, seppur meno prevedibile per il fatto che fosse uomo, non si fece attendere. Gli appellativi usati nel portarlo di forza alle celle, percosso e semi-svenuto, erano stati scelti con cura. Non solo armeggiava con la magia, ma lo faceva come una donna. I tempi di Anders non erano famosi per la clemenza o la benevolenza.
Il tintinnio inquietante delle catene sembrò annunciare l'arrivo di un disperato – o di un condannato a morte. Ed in effetti, in questo secondo caso, non sarebbe stato del tutto sbagliato: era stato Anders a produrre il rumore.
Strisciò verso l'ingresso della sua prigione, chiuso da pesanti sbarre di ferro. Stava per allungare una mano verso la grande serratura quando una fiaccola venne spinta davanti al suo viso, spaventandolo e facendolo ritrarre come un tentacolo ferito.
“Hai sete?”
La voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto, andava bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello. Farsi vedere in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo – ed Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai sete?”
Hawke aveva addolcito il tono ed ora la fiaccola rischiarava i suoi occhi color dell'ambra e la barba nera. L'enorme cicatrice rossa che pareva tagliare a metà quel viso dai tratti virili sembrava sorridergli. Tuttavia nessuno sorrideva. Anzi: sembrava che avessero disgregato tassello per tassello la felicità che tante volte Anders aveva visto illuminare il viso della guardia.
Era paradossale per un uomo venir accusato di stregoneria e non di omosessualità, se poi il suo amante si trovava davanti a lui portandogli dell'acqua.
Il biondo accettò il bicchiere che gli veniva offerto, emettendo un rumore di risucchio quando le labbra spaccate in più ponti raggiunsero il contenuto. Due rivoli corsero giù dagli angoli della bocca, creando ruscelli stranamente precisi in confronto del caos che ribolliva sotto la superficie della situazione.
Hawke si inginocchiò all'altezza dell'altro, strisciando un piede a terra. Infilò una mano tra le sbarre dell'ingresso, arrivando a posargli dolcemente il palmo sulla guancia. Anders fece violenza su se stesso per non scostarsi: aveva subito troppe percosse per essere toccato ancora.
“Oh Signore, mi dispiace. Mi dispiace così tanto...”
Soffiò la guardia, in un bisbiglio talmente fine che sulla punta della lingua sapeva di segreto e perfino gli angeli non l'avrebbero carpito. Perché in fondo tra loro due tutto era peccato e Dio si copriva gli occhi quando li scrutava.
“Doveva succedere. Lo sapevamo che prima o poi sarebbe successo.”
La voce di Anders era uscita arrochita e aliena, quasi non fosse sua. L'espressione di Hawke non tradì la stilettata che aveva sentito nel petto.

E dov'è Dio? È per lui che fanno questo, ma lui dov'è? Verrai torturato a morte, Anders.”
E la voce era urgente e tremò un po', come la fiaccola che rischiarava sicura i due uomini. Forse era l'unica luce che mai si sarebbe vergognata di baciarli, talmente effimera che con una secchiata d'acqua si sarebbe spenta.

Dio si copre gli occhi. È più comodo per lui.”
Le parole di Anders calarono come una ghigliottina sul collo di entrambi, gli occhi nocciola come unico puntino di colore sul volto sporco e incrostato di sangue.
Torturato a morte. Stranamente, il biondo non fece una piega. Solo un subdolo sudore freddo si insinuò nella conca della spina dorsale, facendogli rizzare i peli sulla nuca.
Torturato a morte.
Torturato a morte.
A morte.

Se non avesse avuto la mano di Hawke a tenerlo saldo nella cella sarebbe sprofondato direttamente all'inferno.
“Non deve accadere.”
Decretò Hawke, con una fermezza tale che una parte del biondo avrebbe voluto potersi crogiolare lì. Avrebbe voluto potersi illudere e lasciarsi cullare dalle sue rassicurazioni, ma il loro tempo non faceva sconti neanche agli innamorati.
“E come non accadrà? Accopperai il topo prima che me lo piantino nella pancia*?”
Il tono del biondo grondò sarcasmo, amaro come fiele e crudele nella disperazione che provava. La mente galoppava febbrile: si ricordò tutto, si scolpì il viso sudato dell'amante nel cervello come un epigramma e poi allungò le mani e le dita tremolanti riuscirono a sfiorargli il dorso del naso, seguendo la linea della cicatrice. Memorizzò tutto, perché una parte di sé si percepiva già nella tomba.
Hawke parlava, ma Anders non ascoltava. Sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte, per scacciare la patina di ricordi che gli abbracciò per un istante il petto.

--ire da qui.”
Fu questo ciò che il prigioniero afferrò, osservando il volto dell'alto con evidente confusione. Hawke aveva esposto il suo punto con animosità ed ora le guance erano rosse e il sudore gli imperlava la fronte, ravvivato da una determinazione che Anders non aveva mai visto prima. Resosi conto che l'altro non aveva compreso, sollevò gli occhi al cielo e sintetizzò: “Ho le chiavi. Uscirai da qui, fosse l'ultima cosa che faccio. Ho un debito con te – non accetterò che tu muoia così.”
Anders diede uno strattone e tentò di alzarsi, ma le gambe cedettero e rovinò nuovamente al suolo, boccheggiante: “Hai ripagato quel debito molto tempo fa, non posso permettermi di vederti giustiziare per avermi fatto fuggire!”
Hawke scosse il capo, sporgendosi verso le sbarre per essere col viso ancor più vicino a quello dell'altro. Vedere il proprio mondo logoro con la luce che contiene morente era tutt'altro che semplice.

Lo faccio perché ti amo. Ti ho amato e ti amerò e Dio saprà anche coprirsi gli occhi, come dici tu, ma io non ci riesco.
Tu non puoi stare qui, Anders. Non più. Non hai mai potuto starci – è un buco dell'inferno, questo, e non è posto per chi contiene una bellezza delicata e terribile come la tua.”
La vita al paese da quando era giunto non era mai stata semplice per il biondo. Era temuto, guardato con sospetto, tenuto d'occhio. Poi un giorno aveva trovato Hawke ed aveva deciso di fermarsi. Perché in fondo, pur nella sfiducia più oscura, tra il fango e i mendicanti, gli era giunto tra le mani un cuore, prezioso e possente. E il suo compito era quello di prendersene cura.

Allora vieni con me! Ce ne andremo da qui e – ti giuro – staremo bene. Non chiedermi di lasciarti però, per favore!”
Anche Anders aveva alzato la voce, che era uscita stonata e stridente come il metallo che si graffiava sulla pietra. Le mani, pur costrette da quelle catene maledette, avevano raggiunto le sbarre e ora le stringevano spasmodicamente, ignorando le fitte che sentiva in tutto il corpo.
Hawke si guardò intorno, prendendosi il labbro inferiore tra gli incisivi, come se soppesasse la possibilità. Fu timida la speranza che sorse nel petto del prigioniero.

D'accordo. Ti porterò altra acqua e del cibo: non appena calata la notte ti farò uscire. Mancano ancora diverse ore, cerca di riposarti.”
Era stato dannatamente facile da convincere. Talmente tanto che in un'altra situazione Anders non sarebbe rimasto persuaso – ed avrebbe indagato, perché Hawke era come una trappola. Come un ago, fine e doloroso, ma apparentemente innocuo, e tuttavia pregno di veleno. Ed ormai il biondo era intossicato e – davvero – non era in grado di mettere in dubbio lo sprazzo di vita che la clemenza pareva volergli concedere.
Così si sporse e lo stesso fece l'altro, dopo qualche istante. Le labbra si sfiorarono a malapena, una porta minuscola tra una sbarra e un'altra. Una porta che custodiva la calma e la sicurezza di un focolare di una casa e coperte sgualcite sotto corpi segnati.
Poi Hawke, dopo essersi concesso un'ultima, tremante carezza, si alzò e lo lasciò nuovamente solo.



***


Lo sferragliare sgradevole fece trasalire Anders, rimasto raggomitolato al centro esatto della sua cella. Forse si era addormentato, dopotutto, perché non aveva sentito Hawke arrivare.
La guardia lo raggiunse a passi ampi, abbassandosi fino ad aprire con mani esperte le manette – sotto alle quali facevano sfoggio due profondi solchi rossi.
“Muoviti, non c'è tempo!”
C'era urgenza nel sussurro che era stato rivolto al biondo, mentre questi faticosamente si tirava in piedi aggrappandosi all'avambraccio possente dell'altro.
Hawke gli sistemò attorno alle spalle un mantello pesante, fermato davanti al collo con due alamari. Ci fu una strana dolcezza riluttante nei suoi gesti, mentre calcava il cappuccio sul volto di Anders e gli prendeva il viso tra le mani, coinvolgendolo in un bacio bagnato e caotico, di denti e lingue.
Il mago (o lo stregone, viste le accuse) non capiva – o forse, semplicemente, non voleva capire. Non appena mise il piede fuori dalla cella, malfermo sulle gambe, urla concitate giunsero dal corridoio che andava immergendosi nel buio alla sua destra. Hawke lo sorpassò e afferrò la sua mano, cominciando a trascinarlo di corsa su per le scale sconnesse di pietra.
Raggiunsero l'esterno e l'aria umida e fredda li colpì con la forza di una pugnalata. Corsero, la pioggia che cadeva sottile come aghi a pungere i loro visi nascosti dai cappucci, scivolando nel fango e ansimando come cinghiali braccati. Corsero finché non giunsero alla breccia nelle mura, nascosta dagli arbusti ma abbastanza grande perché potesse passarci un uomo. La usavano quando andavano al fiume per amarsi senza doversi nascondere perfino dal sole. Fu mentre Hawke scostava violentemente le piante e le strappava che le guardie li raggiunsero: erano cinque. Cinque uomini ghignanti, fradici come loro e le spade tra le mani.
“Dove pensavate di andare? Mh? Pensi che non sappiamo chi sei, Hawke?”
Anders, rimasto in silenzio fino a quel momento, trasalì. Osservò l'altro, che non sembrava sorpreso, ma solamente risoluto mentre si scopriva il volto e tirava su col naso. Gonfiò il petto e lasciò la mano dell'altro. Raccolse a sua volta la spada e si voltò per tre quarti verso il compagno, immobilizzato sul posto: “Devi andare. Vattene, Anders.”
Soffiò con fermezza, lanciandogli uno sguardo pregno di significato mentre si voltava a fronteggiare i cinque uomini.
Il terrore che prese il biondo fu gelido – e assoluto. In quell'istante comprese: aveva accettato di fuggire insieme a lui per concedergli più tempo. In pratica era un suicidio annunciato, quello di Hawke. Il cui responsabile era Anders stesso.
Anders si diede da solo del prevedibile, quando si rifiutò tassativamente di muoversi. Rimase indietro, togliendosi il cappuccio ed osservando con apparente e fredda tranquillità i loro nemici. Sentiva già le mani sfrigolare di magia.
“Sapete cosa?” Prese la parola, mentre le ampie spalle del moro si irrigidivano, ma non lasciava la posizione. La sua furia era percepibile anche senza poter vedere il suo volto.
“Quando mi avete accusato di stregoneria, mi sono chiesto il perché non ve ne foste accorti prima. Poi ho capito: siete degli imbecilli.”
Decretò Anders, un mezzo sorriso che celava un terrore cieco e venature di riverbero azzurrino che cominciavano a salirgli su per il collo.
Poi fu caos. Cominciarono le urla, concitate e violente, e uno sferragliare minaccioso. Hawke si muoveva fulmineo, con la possanza di un orso cacciato. Menava fendenti, si abbassava e sgusciava nel fango. Nel frattempo, lampi celesti si rovesciavano con violenza sulle guardie, immobilizzando, rallentando, e talvolta uccidendo. In fondo, non aveva più senso mantenere il basso profilo che Hawke gli aveva sempre raccomandato; “Fai attenzione, Anders. Non devi farti scoprire. Loro non capirebbero... ti ucciderebbero.”, gli diceva una volta consumato il loro amore in un orgasmo. Ed Anders aveva fatto attenzione, come gli veniva chiesto, ma quando c'erano in gioco amore e morte, con così poca differenza e a così poca distanza, gli strappi alle regole diventavano doveri.
La rapidità dei due fuggitivi parve avere la meglio in un primo momento, ma la superiorità numerica fece la sua parte quando nessuno riuscì a fermare la stilettata che una guardia dal naso storto (rotto da una gomitata del moro) e il volto macchiato di sangue aveva diretto verso Hawke. Il tempo rallentò, diventando distillato come in una clessidra. E come la sabbia che scandisce i secondi, con una precisione clinica e cristallina, Anders vide la punta della spada entrare nella pancia del compagno, facendolo piegare a metà, le palpebre spalancate ed un incubo a gridare negli occhi.
Hawke. Hawke. Hawke, Hawke, Hawke. Hawke che cadde in ginocchio, con le mani che si tenevano la spada che spuntava come il tronco di un albero dal terreno.
Hawke che sputava una boccata di sangue e cedeva, come una fiera tigre colpita a morte.
Le urla disperate di Anders non erano state percepite fino a quando il tempo non ricominciò a scorrere impetuoso – e stavolta accelerato. Il biondo si sentì sospinto in avanti, mentre dalle mani un lampo accecante partiva e si abbatteva sulla guardia. Fu da spettatore che vide cadere l'uomo colpito – e questo successe senza un lamento, gli occhi spalancati e vuoti: i bulbi erano stati bruciati e ora grandi buchi neri inghiottivano il dolore del morto.
Nel frattempo, l'ultimo uomo rimasto aveva calato un altro fendente su Hawke, colpendogli la spalla. Fu un empio tuono che sancì altro sangue che colava, ma solo un rantolio lasciò la gola bruciante di quell'uomo che da troppo amore fu ferito.
La sorte dell'ultimo non fu diversa da quella dei suoi compagni.
C'era solo fango misto a sangue, intorno a loro. Ed Anders ed Hawke erano perfettamente al centro di quella melma pesante e soffocante come pece. Era come per un pesce nuotare nella melassa: rallentato e asfissiante.
Il mago non si diede tempo di pensare, mentre un ronzio sordo gli entrava nel cervello e lo faceva muovere per puro istinto, il dolore come carburante.
“Ti prego. Hawke, ti prego-- tieni duro, amore mio. Tieni duro.”
Quelle suppliche, in fondo, neanche Anders sapeva con esattezza a chi fossero rivolte. Perché in fin dei conti, anche un senza-dio come lui si aggrappava al cielo quando era costretto a vedere un fiore nero e d'oro appassire, in una bellezza tanto effimera quanto preziosa ed amata. La sequela di mormorii, quel sermone dedicato a nessuno e tutti, proseguì. Proseguì anche quando riuscì ad adagiare il corpo sul tavolaccio della capanna sul fiume che usavano per incontrarsi. Proseguì anche quando utilizzò un incantesimo per sigillare il luogo, per sviare le guardie che senza dubbio sarebbero tornate a cercarli. E proseguì, ancora e ancora, mentre ignorava completamente le forze esaurite e il peso che sentiva sul petto e spogliava Hawke degli abiti lordi di sangue, rivelando delle ferite slabbrate e ampie.
“No. Nononono. Hawke, no!”
Ringhiava Anders, il volto bagnato di qualcosa di sconosciuto (solamente molte ore dopo si sarebbe reso conto che erano lacrime) e le mani che mandavano bagliori di un tenue azzurro – così fioco che sembrava disperato anch'esso. Si muoveva con un'esperienza navigata e totalmente meccanica, prima sulla ferita sul ventre e poi sulla spalla. E poi mischiava erbe, masticava radici e schiacciava i boli sugli slabbri. E proseguì così, imperterrito, mentre fuori i lampi lanciavano bagliori che parevano voler prendersi gioco di loro due.
Hawke, nel frattempo, rantolava. Le labbra erano cianotiche, il corpo veniva scosso da brividi ad intervalli irregolari, le guance color della cenere e neve. La coscienza l'aveva abbandonato praticamente subito dopo la seconda ferita; all'inizio c'era stato dolore. Lancinante, totalizzante. Poi, rapido com'era arrivato, se n'era andato. Ed era arrivata la pesantezza – a braccetto con un freddo indescrivibile. Si era chiesto perché, perché non c'era pace, ma poi aveva visto Anders ammazzare con un movimento di mano colui che l'aveva colpito, e tra sé aveva sorriso: il perché ce l'aveva davanti agli occhi.
Per Anders ne valeva la pena. Ne sarebbe sempre valsa la pena.
Fu con uno spasmo che Hawke si riebbe, arrancando in cerca d'aria e stringendo la mano viscida di sangue e fango attorno al polso del mago. Gli occhi erano stelle opache incastrate nel bianco granitico del volto, puro terrore a piegargli la linea cinerea della bocca.
“Hawke! Piano, va tutto bene!”
La voce di Anders, pregna di sollievo e tremolante, mentì. Mentì spudoratamente, col candore inconsapevole di un bambino. Perché niente andava piano – tanto meno andava bene.
La guardia percepì le mani dell'altro sul volto, ma non riusciva a vederlo, perché la vista era offuscata da un velo perlaceo. Si beò del calore che Anders gli trasmetteva nonostante tutto e poi tossì. E fu terribile, perché solo allora, con altro sangue che colava impietosamente dagli angoli della bocca e tutto precipitava e il sollievo veniva ucciso spezzandogli un osso per uno, anche il biondo si rese conto dell'ineluttabile: non c'era vita da trattenere ancora, nel corpo del compagno.
“Merda! Hawke, Dio, ti prego-- Non puoi morire! Ho bisogno di te, non--”
Ma Hawke, benché la totale convinzione del non arrendersi dell'altro, non poté percepire alcun sollievo quando le mani di Anders tornarono a risplendere di quell'azzurrino tenue ed ad imporsi sulle ferite, aperte e rosse come bocche urlanti. Non poté farlo, perché la lucidità rimastagli era appena sufficiente per dirgli ciò che doveva: “A Dio non interessa. Si copre gli occhi, l'hai detto tu.”
Fu un rantolo di un vecchio – il soffio di un fantasma che era stato. Anders si piantò i denti nel labbro inferiore, scuotendo vigorosamente la testa e sussurrandogli una sequela di insulti e di “stai zitto”, incapace di smettere di attingere ad energie ormai inesistenti. E continuava, continuava e continuava a voler curare, ad imporre le mani, a non accettare.
“Sei vivo.”
Furono queste le ultime parole di Hawke. Un nuovo gorgoglio rantolato, proveniente dalla parte più profonda del suo cuore. Parole cariche di sollievo, come se solo in quel momento avesse trovato il senso di tutto. Tutto, che non era nient'altro se non Anders che calcava la terra. Gli arti si rilassarono, il petto smise di alzarsi ed abbassarsi. La magia del biondo si arrese prima di lui: anche quando dalle mani non fluiva più alcunché non smise di tenerle sospese sulle ferite, gli occhi fissi e vuoti e un urlo incastrato tra le corde vocali.
Fu dopo un tempo indefinibile che sollevò lo sguardo sul viso ormai immobile e freddo di Hawke. Le palpebre morbidamente chiuse, l'espressione serena e il rosso scuro come unica macchia di colore su di lui.
Anders non si sarebbe mai dimenticato del sorriso che era rimasto ad aleggiare in pace su quelle labbra esangui.






* : La tortura alla quale fa riferimento era spesso applicata agli accusati di stregoneria: consisteva nell'aprire una ferita nell'addome del colpevole ed inserire in essa un roditore, col muso rivolto verso gli intestini della vittima. La ferita veniva ricucita e l'animale, cercando una via d'uscita, cominciava a scavare all'interno del corpo della persona, fin quando non fosse sopraggiunta la morte.




Walking_Disaster's corner:

Ringrazio sentitamente Francesca per il prompt. Senza di lei questa follia non sarebbe mai nata e non sarebbe neanche tornato per me il piacere di scrivere qualcosa che possa reputare valido. Mi piace ciò che ho scritto, mi piace enormemente. Prossimo passo sarà il capitolo 2, nonché capitolo conclusivo, che spero potrà essere all'altezza di questo.

Mi farebbe molto piacere se lasciaste due righe in cui mi dite che ne pensate.
Grazie a chi ha letto,

WD

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: Walking_Disaster