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Autore: KyraPottered22years    21/07/2016    3 recensioni
27th Court Road, Edimburgo, 1996.
E' proprio qui che tutto ha inizio, è proprio in un freddo giorno d'inverno che Amelia Helbinger, una bambina timida e codarda, trova un passaggio segreto che la conduce in un mondo completamente diverso da quello in cui abita; un mondo popolato da Æsir e non da esseri umani, un mondo dove magia e creature con capacità eccezionali sono del tutto normali.
Sembra un sogno, tutto sembra così irreale che perfino una bambina piena di fantasia come Amelia stenta a crederci. Ma come potrebbe negare a sé stessa l'esistenza di Loki, il suo amico dagli straordinari poteri magici, anche se sua madre e il suo psichiatra lo considerano "immaginario"?
Come può essere frutto della sua immaginazione se Amelia farà ritorno in quel bellissimo mondo altre due volte?
E come ci si potrebbe sentire quando una verità così irreale, che è stata depistata dalla vita di una ragazzina per tutta la sua adolescenza, diventasse una realtà così raccapricciante che metterebbe a rischio l'intero pianeta Terra?
Ragione o follia?
Verità o menzogna?
Odio o amore?
[Pre-Thor] [TheAvengers]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wahnsinn

                                                                        
 
“Il ricordo è un poco di eternità.”
                   - Antonio Porchia.


 

La adagiò sui sedili e si preoccupò che fosse coricata in modo tale da non cadere in caso di turbolenze. Quando Loki era stato legato al suo sedile e il jet si era levato da terra, Captain America rimosse il suo caschetto e prima di alzarsi in piedi gli venne spontaneo liberare il volto di Amelia da quelle ciocche rosse. Fu strano. Sfiorare la sua pelle. Ci mise più del dovuto a sistemarle i capelli. Attraverso i guanti sentiva delle piccole scosse partire dai polpastrelli per poi terminare nei gomiti. Era una sensazione che aveva già provato in passato e che si era ripromesso di non provare più.

«Sei stata brava.» Le sussurrò non appena lei aprì gli occhi improvvisamente. E lo era stata davvero: aveva distratto così tanto il dio che non c’era stato nemmeno il bisogno dell’intervento successivo di Thor.

«Do- dove…?» Dov’è lui? La faccia di Amelia si era tinta di confusione e panico, emozioni che scemarono, svanendo via, quando Steve le ripeté di nuovo:

«E’ tutto apposto, sei stata brava.» E allora si lasciò andare a quella bella voce e quelle parole rassicuranti. L’ultima cosa che vide prima di abbandonarsi alla piacevole sonnolenza fu l’espressione furente di Loki.

Steve si alzò e si volto per raggiungere Tony Stark. Intraprese una breve conversazione con quest’ultimo, ma nulla di che, l’uno disprezzava l’altro e se qualche volta si scambiavano due parole era per una pura formalità che partiva da Steve. Ciò che occupò i suoi pensieri e la sua attenzione per tutto il tragitto furono gli occhi di quel dio su Amelia.

La guardava con uno sguardo così carico di emozioni che per interpretarlo del tutto ci voleva una laurea in psicologia, ma ciò che si riusciva a cogliere senza problemi da quegli occhi ridotti a due fessure era la rabbia, la delusione e… qualcos’altro, qualcosa di molto profondo, forse apprensione, forse affetto.

Amelia gli aveva confessato senza vergogna quanto ancora volesse del bene a quel pazzo, ma dopo aver assistito alla scena di un’ora fa, Steve era convinto che l’opinione di Amelia non sarebbe stata più così confusa come ammetteva lei. Ha visto con i suoi occhi di cos’era capace e qualsiasi opera benevola abbia fatto in passato non poteva mai creare un equilibrio con le cose orribili che aveva fatto in meno di una settimana.

Arrivò un momento in cui gli occhi aguzzi di Loki scrutarono attentamente e velocemente la figura di Captain America. Adesso che poteva osservarlo senza la maschera, gli avrebbe potuto assegnare nuovi vezzeggiativi sprezzanti, come ad esempio: biondino o sguardo da cerbiatto, ma quello che gli piaceva di più rimaneva sempre il soldatino. IronMan lo aveva battezzato come uomo di ferraglia e la donna alla guida del veicolo (che aveva intuito fosse la famosa Vedova Nera, di cui Barton gli aveva tanto parlato): sgualdrina rossa. Anche se non sapeva più chi definire con quell’insulto fra le due donne fulve in quel jet. Una aveva un passato da spia russa, il suo registro era pieno di note rosse, era stata la causa di moltissimi omicidi e tragedie prima di redimersi. L’altra era diventata una doppiogiochista, gli aveva mentito, lo aveva illuso e deluso. E tradito.

Stava occupando quel tempo a cercare un giusto nomignolo/insulto per lei, che se ne stava sdraiata su quei sedili, bella ancor più di quando aveva sedici anni, un angelo dalla pelle diafana e delicata, le gambe toniche e flessuose, il corpo snello, le labbra carnose e di ciliegia, i capelli dell’Inferno.

Serrò la mascella quando fu costretto a ricordare alla sua coscienza che doveva cercare un insulto adatto con cui chiamarla, non ammirarla.

Ammirarla
, già. Gli fu difficile ammettere a se stesso che era quello che stava facendo.

Eppure, poteva sforzarsi mille volte, ma per lui, rimaneva sempre la bambina che attraversò il quadro, solo che adesso nella sua testa suonava con un tono distaccato e sarcastico.

Un fuoco bruciò nel suo petto quando il soldatino slegò Amelia dalle cinture di sicurezza e la prese fra le sue braccia. Era una sensazione opprimente, gli faceva montare la rabbia sui polmoni, faticando a respirare, nulla in paragone con l’invidia che provava per il fratellastro.

L’uomo di ferraglia venne a liberarlo e quando le porte del jet si aprirono, Captain America uscì fuori con Amelia in braccio, e una scorta di soldati arrivo per portare Loki nella sua cella, dove già Nick Fury e Thor lo stavano aspettando.

*

I capelli rosso fuoco sudati erano sparsi a ventaglio sui vari cuscini che tenevano la sua testa e il busto inclinato. La pancia pesava come non aveva mai pesato nei nove mesi trascorsi. Un dolore lacerante le attraversava il ventre e tutte le ossa del corpo.

Respirò ancora una volta e spinse forte, con rabbia, in un urlo.

Quel fastidio nella sua intimità dolorante andò improvvisamente via e una stanchezza accompagnata da un senso di libertà si impadronì di lei in una sonnolenza estranea e soddisfacente.

Respirò l’aria che ora le sembrava più leggera e iniziò a singhiozzare quando sentì il pianto del suo bambino invadere la stanza. La serva le si avvicinò e le porse un piccolo fagottino ancora un po’ sporco di sangue. Con la vista appannata di lacrime  copiose, si sforzò di osservare quella piccola creatura che aveva tenuto in grembo per nove mesi.

«E’ un maschietto, mia Signora.»

Ma lei lo sapeva già, lo aveva sempre saputo.

«Thanos.» Sussurrò, accarezzandogli una guancetta paffuta. «Il suo nome è Thanos.» E quando pronunciò nuovamente quel nome, il bambino aprì gli occhi, rivelando delle iridi di un azzurro malato e una sclera completamente nera.



Amaya si svegliò di colpo e si mise subito a sedere per prendere aria.

Da lì era iniziato tutto.

Da lì era iniziata quella maledizione.

Ma perché lo aveva sognato?

Solo quando si voltò verso la finestra notò la presenza di un uomo che non era suo marito. Non poteva essere suo marito, lui era andato via ieri, l’aveva abbandonata, le aveva detto che tutta quella situazione non la reggeva più. Non ci era rimasta male di niente, non lo aveva mai amato, tecnicamente non era nemmeno suo marito, perché Amaya continuava a portare il suo cognome da nubile e non si erano mai sposati. Il povero e ingenuo uomo era stato solo una copertura per tenere al sicuro Amelia.

Accese la luce.

Una parte di lei aveva saputo che era lui.

«Che vuoi?» Domandò brusca, con la voce di una donna che non aveva fatto altro che piangere.

«Mi saluti così dopo più di due decenni che non ci vediamo?»

«Beh, sei invecchiato.» Osservò lei, giusto per accontentarlo e dire qualcos’altro. «E adesso vattene. Tu sei la ragione del mio dolore.»

Quelle parole lo ferirono al cuore. «Sarò veloce, allora.»

«Fai bene, perché non ho alcuna intenzione di parlarti.»

«Si tratta di tua figlia e di mio figlio.»
Amaya ebbe la forza di volontà di guardarlo solo in quel momento.

«Vuoi dire lo stregone, il principino, il gigante di ghiaccio storpio che ha ridotto mia figlia così?» Ringhiò in preda alla collera, mentre si liberava delle coperte e si alzava in piedi. Gli occhi gonfi le facevano male.

«Mio figlio ha commesso molti sbagli, ma non puoi accusarlo di qualcosa che hai commesso tu.» Odino cercò di non andare in iperventilazione e di mantenere la calma.

«Io l’ho solo protetta da te, dai tuoi figli, da quella pazza di tua moglie e da quella maledetta profezia!» Si avvicinò a lui, a ogni passo le parole erano più scandite e il tono di voce più alto.

«Sai che è una cosa che non dipende da noi.» Le disse nel modo più calmo possibile.

«Sì, ma noi l’abbiamo mandata avanti, aggravandola.»

«No, abbiamo fatto in modo che tutto questo possa finire una volta per tutte.»

Gli puntò un dito contro, pungolandogli il petto. «TU hai fatto in modo che tutto questo possa finire una volta per tutte, usando mia figlia per i tuoi scopi.»

«I miei scopi?!» Sbottò, perdendo così le staffe. «Salvare l’intero Universo è un piacere, un mio sporco comodo?»

«Avresti potuto informarmi, invece lo fatto quella feccia di tua moglie, spezzandomi il cuore.» E la rabbia che aveva nei suoi confronti venne a galla dopo anni e anni. «Ma me lo sarei dovuta aspettare da uno come te, pronto a fare di tutto per salvarsi le chiappe.»
«Amaya, basta.»

«Menomale che i tuoi figli erano in missione su un altro Regno, chissà come l’avrebbero presa pure loro, altri due dèi pronti ad odiarmi a morte per qualcosa che ho fatto a mia insaputa.»

«A tua insaputa?» Fu Odino adesso ad avvicinarsi, avanzando con il suo scettro. «Parli come se non ci avessi mai tenuto a me.»

Cadde un silenzio che durò ben cinque minuti.

«Cosa volevi dirmi sui nostri figli?»

Si ricordò improvvisamente perché venne a farle visita. «Solo che si sono ricongiunti, anche se tu ed io ci abbiamo messo tutti i mezzi possibili per evitarlo.» Il cuore di Amaya perse un battito. «E sappiamo entrambi che cosa comporterà il loro ritrovo.»

Se aveva pensato di aver esaurito le lacrime, in quel momento iniziò a piangere silenziosamente, a dirotto, ricredendosi. Con voce spezzata e rassegnata disse: «La profezia si sta avverando.» E lei non avrebbe potuto fare più nulla per proteggere sua figlia.

*

Anche Amelia, dall’altra parte dell’Oceano, si svegliò di colpo dallo stesso sogno della madre. Si mise lentamente a sedere e si guardò intorno ancora un po’ intontita dalla bella dormita. Si rese conto di trovarsi nella stanza dove Steve l’aveva portata per cambiarsi il pomeriggio del giorno prima.

Quando si alzò in piedi, la saracinesca si aprì stridendo, svegliando completamente Amelia. Steve entrò in stanza pensando che lei stesse ancora dormendo, difatti si stupì quando la trovò in piedi, vicino al lettino dove aveva dormito quella notte.

«Buongiorno.» Disse in saluto e lei rispose altrettanto. «Anche se non è proprio giorno.»

Amelia si stropicciò gli occhi e sbadigliò tenendo una mano davanti alla bocca. «Che ore sono?»

«Sono le cinque del pomeriggio.»

Stranamente, a quella risposta, il suo cervello iniziò a rielaborare ogni cosa che era successa la sera prima. Si guardò nel riflesso del piedistallo\capsula di vetro dove Steve teneva la sua divisa e notò di non avere indosso il vestito strappato della sera prima, ma bensì una canotta maschile che non le arrivava nemmeno a metà coscia. Le guance di Amelia si tinsero di rosso e Steve notò il suo imbarazzo, aspettandosi entro tre secondi quella domanda che effettivamente arrivò:

«Come ci sono finita con questa addosso?»

Steve camminò verso il comò e posò gli indumenti che teneva in mano, dandole le spalle per un attimo. «Te l’ho messa io.» Rispose voltandosi verso di lei.

Aggrottò la fronte, accigliata e sorpresa da quel modo spontaneo di rispondere. «Mi hai spogliata e mi hai vestita?»

«Non ho guardato,» ma quell’affermazione affrettata fu tradita da un sorrisetto che fece capolino sulle sue labbra sottili «giuro.» Aggiunse infine.

«Non hai guardato?» Domandò ancora più accigliata.

«Volevi che guardassi?» Accidentalmente i suoi occhi finirono sulle sue gambe pallide e Amelia avvampò.

L’imbarazzo rendeva quella situazione estremamente esilarante.

«Okay, adesso ho bisogno di vestirmi.» Scosse la testa, paonazza in volto, mentre Steve sorrideva divertito, cosa che non aveva avuto occasione di fare da quando si era svegliato dal sonno di settant’anni. Si avvicinò a lui e al comò, intuendo che quegli indumenti che aveva poggiato lì fossero qualcosa di suo, o perlomeno qualcosa della sua taglia. Quella vicinanza la metteva a disagio, tanto che non osava guardarlo in viso. Sentiva il respiro tiepido di lui sulla fronte e i battiti del suo cuore rimbombare d’ovunque.

«Questi me li ha fatti avere Hill.» Impugnò i blue jeans e la t-shirt bianca, porgendoglieli. «Tra cinque minuti Fury ti aspetta nel suo ufficio.»

Amelia perse un battito, mentre l’imbarazzo lasciava spazio all’ansia, che iniziava a scorrere nelle sue vene. «Cosa… cosa vuole Fury da me?»

Steve si allontanò da lei per esigenza, starle accanto lo distraeva. Andò verso la saracinesca ancora aperta. «Sbrigati,» non le rispose, anche se sapeva di cosa voleva parlare Fury. «ti aspetto qui fuori.»

Amelia si infilò la maglietta di una taglia più grande e con difficoltà indossò quei jeans di una taglia più piccola. Si sistemò frettolosamente i capelli e con un po’ di saliva tolse il mascara sbavato. Raggiunse l’ufficio di Fury in compagnia di Steve, solo che arrivati lì, lui restò fuori.

«Il capitano mi ha detto che voleva parlarmi.»

«Siediti ed evita di usare il lei, non siamo a scuola.» Quella frase che poteva suonare gentile, uscì fuori con tono di comando, distaccato e freddo.

Amelia obbedì, si sedette e memorizzò di non usare più il lei formale con Fury.

«Come mai sono qui, allora?» L’ansia era troppo forte e opprimente, d'altronde era la compagna sempre presente fin da quando era una bambina. Voleva sapere subito cosa c’era che non andava.

«Hai svolto magnificamente il tuo lavoro,» c’era qualcosa che non suonava in quella frase. Nick si voltò verso di lei, rivelando un piccolo tablet con un video in corso. «forse anche troppo.» Le porse l’apparecchio e lo schermo rappresentava lei e Loki, la sera scorsa, mentre lei esercitava quel trucco di magia su di lui. «Voglio sapere cosa hai fatto in questo preciso istante.» Amelia aspettò che la se stessa nello schermo si allontanasse e cadesse a terra, e che Loki barcollasse con la mano al petto.

«E’ un trucco che lui mi ha insegnato qualche anno fa.» Rispose dopo aver deglutito.

«Un trucco di magia?» Ripeté quello, più incredulo che stupito.

E adesso? Che succederà? «Penso di sì.»

«Come diamine hai fatto? Sei una strega come lui?» Domandò, mentre lei abbassava lo sguardo sul tablet che ripeteva quel video interrottamente.

Vedeva lo sguardo confuso e perplesso di Loki, gli occhi verdi spenti e pieni di dolore. Ricordò tutte quelle sue emozioni che aveva provato nella propria pelle in un sol secondo, un attimo di empatia che l’aveva distrutta dentro.

Quando il ricordo di quelle sensazioni divenne troppo forte, Amelia spense il tablet, non avrebbe mai più voluto rivedere quel video.

«Non ho idea di come io abbia fatto e no, non sono una strega.» Ebbe il coraggio di rispondere dopo minuti di silenzio, stupendosi, quando lo realizzò, del tempo che le aveva concesso Fury.

«Thor mi ha parlato di te quando eri ricoverata all’ospedale, mi ha detto quanto fossi legata a quel dio.» Si allontanò e posò distrattamente il tablet sulla scrivania, ma non smise di guardarla negli occhi, nella speranza di cogliere qualche mossa falsa, qualche occhiata che gli confermasse che la ragazza stesse facendo il doppio gioco.

«Lo ero.»

«Era il tuo amante?»

Amelia non si era mai sentita così nuda, imbarazzata, piena di vergogna per una domanda. Mai. Nemmeno quando Frigga le faceva gli interrogatori.

«Lui ed io sia… eravamo legati da un affetto fraterno, niente di più. Mi ha vista crescere, nessuno dei due penserebbe all’altro in quel… modo.» Fu difficile parlare del loro bellissimo rapporto al passato, così arduo che le fece male al petto.

«Adesso sei una donna, niente a che vedere con la ragazzina di un tempo.» Amelia non abbassò lo sguardo da quell’occhio scuro, sapeva che quelle parole seguivano qualcos’altro. «Che lui ti veda come un’amante o una sorella, non mi interessa. Mi importa da che parte stai e cosa sei disposta a fare.»

Ancora un’altra persona che le chiedeva da che parte stare. Cos’altro avrebbe dovuto fare per dimostrare a tutti chi era veramente? «Dimmi che cosa devo fare.»
  
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