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Autore: ellephedre    22/04/2009    16 recensioni
Un anno e mezzo dopo la battaglia con Galaxia, Ami Mizuno ha davanti a sé una lunga vita, un destino da guerriera Sailor e paure che preferirebbe dimenticare. Ma incontrerà chi la costringerà ad affrontarle. A vincerle.
"Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci, le avevano detto le sue amiche, con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo. La bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio."

Oltre il quarto capitolo la storia continua con delle scene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Acqua viva Note: il capitolo finale!
- ci sono alcune frasi in inglese in questo capitolo; la traduzione in fondo (anche se il loro contenuto è comunque intuibile dal resto della storia).
Note del Settembre 2009: capitolo rivisto nella stesura (specie nei pensieri di Ami, in alcuni casi completamente rivisti) e nello stile.




Acqua viva

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


La fine dei suoi esami o di quelli di lei? Ovviamente, l'unica risposta era: di entrambi.
Alexander si alzò e consegnò l'esame completato. Tornò a prendere la giacca e la cartella e si lasciò dietro le porte dell'aula.
Ancora un giorno, allora. Ami avrebbe completato i suoi esami il giorno successivo.
Tuttavia, senza avere più nulla da studiare, le successive ventiquattro ore si profilavano come una lunga attesa.
Sperò di non aver influito in modo negativo sui risultati di lei. Era stata un'altra ragione per non vedersi in quelle due settimane: una studentessa da primo posto come Ami non poteva subire un calo nel proprio rendimento scolastico solo perché aveva iniziato ad avere un ... ragazzo.
Uscì dall'edificio, ma neanche il vento gelido gli cancellò di dosso il sorriso di soddisfazione. Ami era in un qualche modo ... sua. La sua ragazza.
Gli suonò il telefono. Lo tolse dalla cartella e, senza preoccuparsi di controllare il chiamante, lo portò all'orecchio. «Pronto?»
«Ciao.»
Non era sua madre. Né Nanny Shoko. Desiderò ridere. «Ciao.»
«Ehm, per l'esame di domani sono preparata.»
E ora voleva correre: l'attesa era finita. Si accorse di non aver detto nulla.
Ami interpretò male il suo silenzio. «Sono sicura di poter prendere il massimo dei voti. Ho studiato molto. Perciò-»
«Sei a casa?»
Lei ci mise un istante a rispondergli. «Sì, ma posso incontrarti a metà strada. Alla libreria internazionale?»
«Sì. A tra poco.»
La sentì sorridere. «A tra poco.»

C'era qualcosa ... qualcosa di indefinibile, di ... totalizzante in quello che provava quando stava con lui.
Era amore. E oltre.
Ami lo strinse a sé, abbracciandogli completamente la schiena e ridendo. Voleva solo ridere senza fine. E guardarlo.
«Mi sei mancata molto.» Il volto di lui si deformò in una smorfia divertitamente infastidita. «What a sap.» Rise, appoggiandole la bocca sulla fronte, senza più spostarla da lì.
Ami ridacchiò. «Sap?»
«Melenso e sdolcinato.» Glielo mormorò in mezzo agli occhi, tracciando una scia col respiro, verso il basso. «È quello che sono diventato.» Si fermò a guardarla. «Ma non mi importa.»
Appoggiò la bocca sulla sua.
E smise di voler pensare.



«È questo piano e quello di sopra.» le spiegò lui, uscendo dall'ascensore.
Ami lo seguì, ritrovandosi in un corridoio di lucente marmo grigio, con tonalità accennate di rosa. Aveva i piedi appoggiati su un tappetto rosso. Gli angoli delle pareti erano adorni di piante in fiore; non sembravano finte.
«So che impressione può dare» dichiarò all'improvviso Alexander, con espressione rassegnata. Tirò fuori una chiave e si diresse verso l'unica porta presente, una superficie di legno dalle venature ricercate.
Ami scosse piano la testa. «È molto elegante.»
«Pretenzioso è più adatto a descriverlo.» Aprì la porta e l'espressione gli si trasformò. «Sono tornato.» dichiarò ad alta voce.
Ami lo seguì all'interno di un appartamento che da fuori aveva creduto essere molto meno vasto; e lo aveva già immaginato grande, per cominciare. Sentì dei passi risuonare in una qualche stanza lontana, mentre passava la giacca ad Alexander.
«Pensavo saresti tornato più tardi.» Dal corridoio apparve una donna minuta, con una pettinatura corta e vivace. Si bloccò quasi subito, lo sguardo su di lei.
«Nanny Shoko, questa è Ami.»
Ami si era inconsciamente immaginata qualcuno di più anziano di una donna sulla quarantina, nonostante quello che aveva saputo su di lei. Le sorrise, inclinando la testa. «Sono Ami Mizuno. È un piacere conoscerla.»
La donna rise, scuotendo piano la testa e guardando Alexander.
Le venne incontro con passi veloci. «È una sorpresa.» dichiarò con sincerità. «Io sono Shoko Kaiba. Alex mi ha parlato di te.» Le prese le mani tra le sue. «Sarà un piacere conoscerti.» E sapere tutto di te.
Quelle ultime parole non le aveva pronunciate, ma Ami le lesse nel suo sguardo. Annuì, cercando di evitare di sorridere.
Protettiva.
La signora voleva più che bene al ragazzo che aveva cresciuto, questo lo aveva capito fin da subito.
Alexander si intromise, poggiando una mano sulle spalle di quella che era chiaramente una figura materna. «Oggi l'ho solo portata a vedere l'appartamento.» Indicò con un cenno della testa un angolo ed Ami notò solo in quel momento una scala in vetro azzurro. Le era quasi sfuggita, nell'elegante opulenza di quella stanza più simile ad un salone. «Noi andiamo di sopra.»
La signora annuì. «Se volete qualcosa da mangiare, basta che me lo facciate sapere.»
Lui scrollò le spalle. «Non sarà necessario.»
«È un'ospite, Alex. Deve essere trattata con cortesia.»
Ami notò lo sbuffo trattenuto, per quanto benevolo. «Volevo dire che se vorremo qualcosa, la prenderò io.»
«Allora ti ho educato bene.» La signora Kaiba ridacchiò. «Torno alle mie faccende. A dopo.» Con un cenno del capo, salutò entrambi.
Alexander commentò solo sulle scale, a bassa voce. «Le piace pensare di avere ancora qualcosa da insegnarmi.»
Sorrise e poco dopo indicò la stanza in cui erano saliti. «Qui è dove sto io. È quasi una seconda casa, a parte l'assenza di una cucina.» Continuò ad avanzare, uscendo dal secondo salotto in cui si erano ritrovati e dirigendosi verso un ampio corridoio bianco.
Ami non lo seguì, lo sguardo fisso su una parete fatta di sole finestre. Alexander si fermò e, notando dove si era concentrata la sua attenzione, si mosse in quella direzione. «Vieni pure.»
Gli andò vicino e si sciolse nella più completa delle meraviglie: non aveva capito di essere tanto in alto.
Appoggiò le mani ai vetri.
Non aveva mai apprezzato le mille luci di Tokyo come nel momento in cui le vide tutte assieme; davano vita ad un secondo cielo, costellato da luminosi astri e continue, ordinate scie di meteore che ... si fermavano ai semafori. Sorrise.
Alexander guardò fuori anche lui. «Non si apprezza appieno in inverno.»
Ami tenne gli occhi fissi sull'esterno. «Come fai a dire una cosa simile?»
«Perché il sole tramonta presto in questi mesi. E non si può stare con le finestre aperte.» Si voltò. «Anche in camera mia ho una parete come questa.»
Ami si staccò quasi malvolentieri, seguendolo. Ma, entrando nella sua stanza, sorrise apertamente.
«Cosa c'è?» 
«Non mi ero immaginata la casa. La tua stanza invece ... quasi alla perfezione.»
Spazi e linee pulite. Pochi colori essenziali. E alcuni quadri con immagini che rappresentavano un solo tema: lo spazio e la sua conquista. Appoggiò la mano su quello più vicino. «Questi in particolare.»
Alexander inclinò la testa, gli occhi all'improvviso sulle finestre. «In realtà sono quasi di troppo. Guarda.»
Tornò alla porta e cliccò un interruttore sulla parete. Si fece buio.
Ami vide la sagoma di lui uscire dall'ombra e venire lentamente illuminata dalla luce pallida della notte; si fermò davanti alle finestre.
«Vieni. E non guardare sotto questa volta.» Col dito indicò verso l'alto.
Ami si unì a lui e guardò fuori. Verso il cielo notturno.
La luce della città e dei palazzi vicini creava ancora un alone che impediva il buio completo, anche in quella notte senza luna. Ma era comunque una vista che toglieva il fiato. Osservò in silenzio, a lungo. Poi, semplicemente, non resistette all'impulso di chiedere. «Si può aprire?»
Sembrava un doppio vetro; sicuramente rinforzato e isolato termicamente. Ed era sicura che, senza quella barriera, sarebbe stato tutto molto più-
«Sì» le rispose, esitante. «Ma fuori si gela.»
«Solo un attimo.»
Si spostò per lasciarlo armeggiare con una finestra prima e con una seconda apertura poi. Nella stanza iniziò ad entrare una pungente aria fredda, ma non le importò. Si mise proprio davanti a quella corrente, fino a che non le arrivò dritta in faccia. E fu l'idea migliore che le fosse mai venuta.
Di fronte a lei c'era uno scurissimo blu. E numerosi minuscoli diamanti in ogni dove, là in alto.
Si sentì circondare da dietro, una fonte di calore ben accetta. Un braccio le andò sul collo, dove era maggiormente scoperta. «Sei una temeraria.»
Ami sorrise, senza abbassare la testa. «Tu l'avrai fatto tante volte.»
«In inverno?»
Lei si limitò ad annuire, senza distogliere lo sguardo da dove lo aveva ormai fisso.
«Sì.» le confermò lui, ridendo.
C'erano risate che scaldavano più di ogni altra cosa. Appoggiò le mani sulle sue, stringendosi e stringendolo.
Nel nero che vedeva tra le innumerevoli stelle c'erano probabilmente milioni di astri e galassie, troppo lontani per essere visti. Era ... l'infinito. Era come starvi al centro e al contempo lontano, in un posto e in un momento in cui c'erano solo due persone. E una sensazione che rivaleggiava con la meraviglia che provava nei confronti di quanto aveva davanti.
Una folata di vento intenso fece tremare non solo lei, ma anche il corpo che la stringeva. Si spostò all'indietro. «Va bene così.»
Alexander allungò un braccio fuori e chiuse la finestra più esterna, prima di passare all'altra. «Potrai tornare in estate, se vuoi. La tengo aperta quasi senza tregua.»
Gli piaceva parlare del futuro.
E quei momenti erano come piccole punture, dentro di lei. «Ah .. come siete arrivati a vivere qui? Questo non è un palazzo residenziale.»
Alexander annuì, andando vicino a letto e accendendo una lampada dalla tenue luce gialla. «Per via di mio padre. Questo edificio è di proprietà della società di cui amministra la filiale asiatica; la sede regionale si trova qui sotto. Questi due ultimi piani erano inutilizzati e anni fa lui ha chiesto di poterli occupare, rinunciando al bonus che aveva ottenuto.» Si sedette sul letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Hanno accettato la sua richiesta: suppongo abbiano pensato fosse un affare poterlo avere sempre a disposizione. E ... era stata proprio quella l'intenzione di mio padre: stare qui per lui era l'occasione per poter lavorare in qualunque momento.» Si fermò e, per un momento, la mente si fermò su un passato lontano. «Credo sia per questo che all'inizio ho odiato questa casa.»
Ami rimase in silenzio. A pensare a genitori assenti che si desiderava avere accanto più di qualunque altra cosa.
Alexander alzò brevemente il braccio davanti a sé, un dito alla parete di vetro. «Solo poi ho iniziato ad apprezzarla. Forse avrei capito comunque cosa volevo fare in futuro, ma ... così ho sempre avuto la risposta davanti agli occhi.» Le rivolse un'espressione divertita. «Ma non permetterò al lavoro di entrare nella mia vita più di così. Voglio dire ...» Si fermò, come indeciso se continuare.
«Cosa?» Ami si sistemò accanto a lui.
«Non ho ambizioni che vadano oltre una vita ... semplice, dal punto di vista personale. Lavorare a quello che mi piace e avere qualcuno con cui condividere un futuro è tutto quello che mi aspetto. I miei genitori hanno insistito per anni sul fatto che avrei potuto essere di ... più, se solo lo avessi voluto.» Alzò gli occhi al soffito, quasi sprezzante. «Più importante, con ruoli di responsabilità; più famoso, persino. Ma non mi è mai interessato gestire altre persone e per quanto riguarda la fama» Nel viso gli lesse un vivo fastidio. «È tutto il contrario di quello che voglio. Meno persone mi conoscono, meglio è.» Gli tornò un po' di allegria. «Naturalmente questo esclude un'eventuale fama derivante dal mio lavoro di ricerca. Mi piacerebbe molto, ma solo perché questo significherebbe che ho raggiunto un traguardo importante.» Si fermò e annuì fra sé. «Questo è quello che voglio per il mio futuro. Tutto il resto ... non fa per me.»
Ami era rimasta immobile.
«E tu?»
Non trovò il coraggio di guardarlo. «Credo ... » distese e osservò le proprie mani, pensando al potere che nasceva da loro. «Vorrei solo essere felice ... Chi lo sa come può accadere, no? Possono esserci strade che nemmeno immagino.» Non le restava che sperare che fosse così.
«Direi di sì.» Sentì un bacio sulla guancia e fu al contempo felice e abbattuta all'idea di non potergli nascondere il proprio stato d'animo.
Lui trovava sempre il modo di capirlo.
Le prese una delle mani che lei ancora stava guardando, tenendola aperta. «Da bambini insegnano quei giochi che fanno gli indovini. Hmm ...» sorrise, iniziando a tracciarle il palmo col pollice. «Non so quale sia la linea della vita, ma penso che la tua sarà molto lunga. E se esiste una linea della felicità, sono certo che sarà lunga anche quella.» Rimase a riflettere. «Destino ... è un concetto che non mi è mai piaciuto. Però ... si può dire che è così che ci siamo incontrati.»
Ami non tentò nemmeno più di nascondere quello che provava.
Quello che avevano era tutto tranne che destino.
E sì, la sua linea della vita era molto lunga; se ne aveva una, doveva sicuramente percorrerle il corpo da capo a piedi, incapace di rimanere contenuta dentro una sola mano.
Alexander le passò una mano sulla vita e la strinse contro il proprio fianco, parlandole su una guancia. «Non farlo.»
Fece finta di non capire. «Cosa?»
«Quella faccia. Se ho trovato il modo di dire qualcosa di sbagliato, dimmelo. O prenditela con me.»
Sbagliato? Tutto quello che faceva era così giusto. Talmente giusto per lei.
Girò la testa, alzandola fino a riuscire ad appoggiargli un bacio sulla bocca.
Ogni cosa era giusta: il modo in cui la faceva sentire, la felicità che provava sapendo di renderlo felice.
Se anche un giorno fosse tutto finito, almeno per quel momento, era ancora tutto vero, reale. Con lei.
Il tocco delle sue labbra venne ricambiato con un cenno di esitazione, all'inizio, ma presto ogni incertezza fu abbandonata.
Si separarono quando una voce chiamò distintamente il nome di lui, dal piano di sotto.
Alexander si girò verso la porta aperta e si alzò. «È mia madre. Vieni, te la faccio conoscere.»
Iniziarono a scendere per le scale e lui parlò non appena intravide il piano di sotto. «Hello, mother.»
«Mom would be nice, for a change. I wanted to ask you-» La voce femminile si interruppe quando anche lei finì di scendere le scale.
Alexander continuò. «I am not trying to be formal, just funny; you should know. Questa è Ami. Capisce l'inglese.»
Ami inchinò rapidamente la testa, cercando quasi subito di non fissare apertamente: la donna che aveva davanti doveva sicuramente aver fatto del proprio aspetto un lavoro, anni addietro. Lo capì non solo dalla bellezza fuori dal comune che ancora possedeva, ma soprattutto dal modo in cui ogni particolare, dai vestiti agli accessori, era pensato per esaltarla. Bastava una fugace impressione per capire che Alexander le somigliava molto. Anche se non del tutto; fra le altre cose, gli occhi verdi di lei erano brillanti, ma mancavano delle tracce di blu che conosceva così bene. Quel viso a sua volta la fissò con genuina sorpresa; infine sorrise, quasi con ... tenerezza?
Sporgendosi verso di lei e un po' abbassandosi, data la sua altezza, la madre di Alexander le porse una mano, in un saluto tipicamente americano. «È un vero piacere, Ami. Alexander non ha ancora capito che dovrebbe presentare entrambe le persone. Sono sua madre, Eve Foster.»
«Piacere.»
Alexander alzò gli occhi al soffitto. «Potevo chiamare 'mother' qualcuno che non fosse mia madre?»
«No. Ma, caro figlio» sorridendo, usò la formalità che lui le aveva appena detto di trovare divertente, «è una questione di cortesia. E sarei rimasta senza nome se fosse stato per te.»
Lui non si arrese. «Magari glielo avevo già fatto sapere.»
«Il magari implica che non l'avevi fatto.» Sospirò benevola, scuotendo la testa. «Sii paziente, ho modo di vincere solo questo tipo di discussioni con te. Ma le vinco.»
Alexander non replicò oltre, scrollando le spalle, e sua madre annuì soddisfatta. Poi si girò verso di lei. «Te lo porto via un attimo. Oh, ecco che arriva Shoko-san con il rinfresco.»
Alexander guardò il vassoio pieno di pasticcini. «Non dovevi.»
Ami aveva già capito che gli dava fastidio l'idea di avere qualcuno che lo servisse.
La signora Shoko appoggiò il vassoio su un tavolino di vetro. «Alex, è questione di-»
«Cortesia.» finì lui. «Ami, avrai l'impressione che io sia un maleducato dai discorsi che hai sentito fare oggi.»
Lei ridacchiò. «No. Va pure, aspetto qui.»
Alexander annuì e seguì sua madre in fondo al corridoio bianco. Dal punto in cui si trovava, Ami non ne vedeva la fine: curvava, ad un certo punto.
Si sedette sul divano e prese in mano il bicchiere d'acqua che era stato appoggiato lì per lei. La governante di Alexander era seduta di fronte a lei. «È la prima volta che Ale-chan porta a casa una ragazza.»
Ami sorrise di fronte al diminutivo. «Beh, noi ... » Cosa? Era stata sul punto di far capire che la loro relazione non era qualcosa da prendere con troppa serietà, ma ... non era così; o forse sì, a seconda dei punti di vista.
Shoko Kaiba le sorrise, invitandola implicitamente a rilassarsi. «Non ti preoccupare. Non sono qui per farti un processo. Solo ... » si appoggiò all'indietro sul divano. «Tengo a lui come fosse uno dei miei figli.» La guardò, come a valutare cosa fosse meglio dire. «Per istinto, mi piaci. Anche solo perché hai scacciato una delle mie più grandi paure. Ho sempre temuto che, con la scelta che avrebbe avuto, Alexander avrebbe finito con l'essere tentato da ragazze con molta bellezza e poco cervello. È sempre un uomo in fondo.» Sorrise soddisfatta, scuotendo la testa. «Invece avrei dovuto fidarmi del mio ragazzo. La prima che ha portato a casa ha bellezza e molto cervello.»
Ami arrossì. «Grazie.»
La signora prese anche lei un bicchiere e, dopo aver bevuto pensierosamente un sorso, continuò. «Non si affeziona facilmente. Potrei dire che non si affeziona quasi mai. Per questo, quando mi ha parlato di te, mi ha sorpresa. A parte i miei figli, per conto suo ha trovato un solo vero amico, da quando era bambino.» Si fermò. Poi la guardò dritta negli occhi. «Alexander non sceglie a caso e so che non ha scelto a caso nemmeno te. Perciò forse sto per dire qualcosa di inutile, ma ... per me è importante. Cerca di capire se provi quello che prova lui, se hai le sue stesse intenzioni, ora e in futuro. Penso che sia un buon consiglio per una qualunque relazione ma .... ci tengo, per lui. Ci tengo a vederlo felice.»
Ami annuì.
Abbassò gravemente le palpebre e annuì di nuovo.




Lo stava usando.
Era quasi un eufemismo: lo stava deliberatamente ingannando, oramai.
Il modo in cui lui tranquillamente accennava al futuro, ad un futuro anche lontano, non lasciava dubbi sull'importanza che stava iniziando a dare alla loro relazione.
Non si affeziona facilmente. Non si affeziona quasi mai. Le parole di chi lo conosceva da molto più di lei.
Era riuscita a intuirlo, ma la sua esperienza le diceva solo che Alexander era una delle persone più affettuose che avesse mai conosciuto.
Dentro di sé sapeva cosa provava lui. Anche se non le era mai stato detto a voce, sapeva che quel richiamo a cui lui rispondeva sempre, in molti modi diversi, poteva nascere da una sola cosa.
L'aveva ... scelta.
Ma di lei sapeva solo che voleva studiare medicina. Non aveva idea di chi fosse veramente.
Non sapeva che sarebbe vissuta per un millennio.
Lui non immaginava minimamente che lei stesse proseguendo la loro relazione cosciente che, un giorno, sarebbe finita.
Mentre Alexander pensava ad un futuro insieme, lei cercava di non pensare al giorno in cui si sarebbero dovuti separare, al giorno in cui avrebbe dovuto dirgli che ...
Non gli stava nascondendo solo la durata della sua vita.
Tra cinque o sette anni, lei avrebbe dovuto assumersi responsabilità immani nei confronti del pianeta intero, che avrebbe guardato non solo ad Usagi e a Mamoru, ma anche a lei e alle sue compagne, come figure di riferimento.
Era quello il suo futuro.
Lui non lo avrebbe mai scelto volontariamente.
Se lo avesse fatto per lei, sarebbe stato un sacrificio enorme, che non avrebbe nemmeno potuto dirsi ricompensato da una vita passata insieme.
Ma ... poteva anche non sceglierlo, no? Perché si sarebbe dovuto scegliere di vivere in una maniera che non si desiderava, quando non c'era nemmeno una possibilità reale o quantomeno probabile che quella scelta portasse a frutto alcuno? Lei non avrebbe potuto promettergli niente, non un futuro insieme, non ... dei figli. Avrebbe potuto dargli solo pochi anni, forse fino a quando la differenza di età non si fosse fatta pesante.
Anni in cui lo avrebbe costretto ad accettare una notorietà che le aveva già detto di detestare e, presumibilmente, anche responsabilità che non desiderava.
Tutto per ...
Nascose la testa contro il cuscino, chiudendo gli occhi e cercando di trattenere il dolore.
Tutto per niente. Quel sacrificio, se mai lui avesse voluto farlo, poteva non avere alcuno scopo.
Se anche l'avesse amata come l'amava lei, con tutta l'anima, scegliere di rimanere con lei per Alexander avrebbe rappresentato un rischio enorme.
Poteva rubargli metà della vita, nel tentativo di essere felice con lui.
Ma poteva anche essere realistica, no? Poteva anche rubargli solo cinque o sette anni, perché non era affatto detto che lui l'avrebbe perdonata, che l'avrebbe amata ancora, il giorno in cui avesse scoperto la verità su di lei e l'importanza di ciò che gli aveva nascosto. In pochi lo avrebbero fatto.
... non c'era futuro.
Deglutì e tentò di non piangere.
Aveva voluto talmente tanto poter dimenticare la realtà da esserci quasi riuscita.
Nessun futuro per i pomeriggi passati a parlare, per gli abbracci che le avevano regalato un calore sconosciuto, per i tocchi, delle mani, delle labbra, che li univano come erano già uniti in ogni altro modo. Per quanto poco fosse stato il tempo di quel legame.
Nessun futuro per loro due insieme, ma ... c'era un futuro per entrambi, separati.
E per lui quel futuro poteva essere pieno di tutto quello che aveva desiderato.
Sarebbe diventato quello che sognava da anni, avrebbe trovato qualcuno con cui condividere tutto quanto, avrebbe costruito per sé e per chi avrebbe amato una vita e una famiglia che lo avrebbero reso ... felice.
Lei non poteva offrirgli niente di simile.
Quello non era un pensiero recente. Era un pensiero dimenticato, del giorno ... del giorno in cui l'aveva baciata per la prima volta.
Egoisticamente, non avrebbe potuto mai rimpiangere quel momento; e chissà per quanto avrebbe ricordato le tre settimane in cui si erano amati.
Solo tre settimane.
Sarebbe stato quello l'unico rimpianto.
Non si sarebbe mai pentita di averlo conosciuto; non avrebbe mai potuto rimpiangere nulla, fino all'ultimo dei momenti in cui erano stati insieme; anche se Alexander, probabilmente, avrebbe finito col rimpiangere tutto quanto molto presto.
Era stata egoista; lo accettava. Per il passato, per quello che non poteva più cambiare, lo accettava.
Ma lo amava.
E desiderava per lui una vita di felicità, quella che non poteva esserci con lei lì accanto.
Doveva ... lasciarlo libero.
Libero.
Pensò al dolore che gli avrebbe evitato, alla gioia di una normalità che lui avrebbe potuto vivere appieno.
Le diede un po' di pace.
Dormì.



Quando Ami riuscì a scorgerlo, lo trovò fermo, appoggiato ad un muro e con un libro in mano.
Per quel giorno avrebbe trovato il modo di fare ricorso a doti di attrice che non possedeva: qualche altra ora era tutto quello che desiderava.
Poi ... avrebbe detto quello che doveva.
Il peso che tornò a crescerle dentro diventò rapidamente opprimente.
Si fermò. Inspirò aria e lo guardò da lì, da lontano.
Il modo in cui lui era concentrato su altro ... ricordò le prime volte che lo aveva visto, prima che le parlasse. Non era stato davvero interessato a lei.
C'era stato un ... destino che l'aveva continuamente messa sulla sua strada.
Se il destino era fatto per cose meravigliose, capiva perché glielo avesse fatto incontrare. Il dolore non avrebbe mai cancellato la gioia, quello che aveva scoperto conoscendolo.
Gli guardò il viso. Gli occhi chiari non li vedeva, ma li avrebbe sognati a lungo. Quelli e tutti i discorsi che le aveva fatto, con la voce che le aveva acceso l'anima.
Le mani con cui teneva il libro. Non le copriva quasi mai con dei guanti, ma, anche quando erano fredde, le avevano dato solo calore.
Voleva sentire ancora quel tepore. E tutto quanto.
Si avvicinò a passi rapidi verso di lui, utilizzando quel momento di coraggio. Andò ad appoggiare una mano su una delle sue. «Ciao.»
E sospirò: l'espressione che aveva quando la guardava.
Gli rispose con tutto l'amore che aveva dentro, in un sorriso senza fine.

«Oggi devi tornare a casa a cenare?»
Ami si affrettò a scuotere la testa. «No, possiamo mangiare fuori.»
Contento, le sorrise. «Perfetto. Cucina tradizionale o europea?»
Non aveva davvero alcuna importanza. «Ehm ... il posto che preferisci?»
Lui la squadrò in modo furbo. «Beh, quello dove ci sei tu.» Rise. «Vada per il cibo europeo.» Si guardò intorno. «Passiamo per il parco. Dall'altra parte c'è un posto dove non ti ho ancora portata.»
Ami annuì, seguendo la mano che la teneva in una stretta salda e al tempo stesso delicata.
Camminarono in silenzio. Quei momenti senza parole che non avevano necessità di essere riempiti.
Alexander si fermò all'improvviso. «È proprio dentro questo parco che ci siamo conosciuti.»
« ... sì.»
«Vengo spesso a correre qui e forse sono state solo coincidenze. Ma ... non credo.» Si voltò a guardarla e indicò dietro di sé con un cenno della testa. «Su quel ponte ti ho parlato per la prima volta.»
Era vero.
«Ed è successa anche un'altra cosa che non sai.»
La curiosità prevalse e pose la domanda con l'espressione.
«Ti ho vista il giorno che ha nevicato, proprio là.»
Per un attimo Ami non capì, poi ricordò.
Oh.
Sperò che non avesse visto-
«Ho capito allora che hai l'abitudine di baciare pupazzi di neve.»
Arrossì.
No, aveva visto. «Non ti ho notato. Perché non sei venuto a parlarmi?»
«Ero appena scivolato sul ghiaccio. E poi ... non sono più riuscito a muovermi.»
In che senso?
Ma non sembrava avere più intenzione di spiegarle. La stava guardando con un nuovo tipo di intensità.
Ami non arrossì più. No, voleva solo vivere appieno ogni cosa. Accarezzò col viso la mano che andò a toccarle una guancia, chiudendo gli occhi.
«Quello che ho capito quel giorno è che ... ti amo, Ami.»
Il corpo e l'anima le si fecero pietra.
Era ... finita.
Scostò il viso quando lui si abbassò a baciarla. Per farsi uscire le successive parole fissò lo sguardo su un punto vuoto del cielo scuro.
«Io ... tu mi piaci.»
Il ma lo percepì distintamente anche lui: gli occhi chiari iniziarono ad allargarsi.
«Ma amore ... è una cosa diversa.»
Ci fu solo immobilità e un illimitato silenzio per un lungo, interminabile istante.
Alexander le strinse le spalle, costringendola a guardarlo; aveva assunto un'espressione talmente ... non avrebbe mai voluto essere lei a provocargliela.
«Cosa stai dicendo?» Ogni traccia della sempre presente sicurezza gli era scomparsa dalla voce.
«Che l'amore ... non fa per me.» E almeno quella era la verità, in parte. Il resto solo orribili bugie; si costrinse a dirle, a guardarlo negli occhi mentre mentiva. «O forse tu non fai per me. So solo che ... non sono innamorata di te. Ci ho provato, ma ... non ci riesco.»
Negli occhi che amava si fece largo il vuoto totale.
Ami si ricordò mille e più volte in un solo momento che, se avesse aspettato ancora, sarebbe stato anche peggio di così. E non lasciò trasparire neanche uno di quei pensieri: indossò una maschera di ghiaccio e durezza, la fece diventare propria; divenne lei stessa inflessibilità.
Non diede altre spiegazioni. Non mostrò un singolo cenno di rimorso.
Le dita che le avevano stretto le braccia si allontanarono da lei.
Chiuse gli occhi, rimpiangendole subito: quella era stata l'ultima volta che l'aveva toccata.
Represse un sussulto. No, ancora no.
La propria espressione iniziò ad entrare nel viso di lui. «Se la pensi così, per me non ha senso continuare.»
Ma non si mosse, non si allontanò da lei. Voleva un'ultima conferma; c'era ancora una speranza.
Ami trovò quell'ultima forza e annuì. «Lo penso anche io.»
Nel momento in cui uccise qualcosa dentro di lui, mandò a morire anche una parte di lei.
Non avrebbe mai dovuto incontrarla.
Ma meglio ora che tra molti anni. Meglio ora.
Alexander non disse nient'altro. Guardò brevemente di lato, quindi le diede la schiena e si allontanò.
Ami rimase incollata al terreno.
Ancora no. Non ancora.
Doveva aspettare fino a quando non l'avesse più visto, fino a quando non fosse stato più in grado di sentirla.
Ma, appena fu abbastanza lontano, non riuscì a resistere oltre. Si buttò in corsa dietro un albero, si nascose al riparo di alcuni folti cespugli.
Sussultò con tale forza da non riuscire a trovare le lacrime.
E, quando arrivarono, lasciò uscire un singolo lamento di agonia.
Poi soffocò tutto, ogni cosa, anche il respiro, tra le ginocchia in cui affondò la testa.



L'espressione di lui in quell'ultimo momento.
Forse non sarebbe mai riuscita a dimenticarla.
Forse non le sarebbero rimasti neanche i ricordi dei momenti felici.
Li avevi traditi tutti, con le sue ultime parole.

... che ti amo, Ami.
Nel sonno viveva il momento in cui quelle parole sarebbero state solo le più belle che avesse mai sentito.
Viveva l'attimo in cui le avrebbe dette a lui.
Viveva in giorni in cui continuava una realtà che aveva smesso di esistere.

Evitava la strada che avevano percorso insieme per andare a casa sua, allungando di proposito il percorso.
A neanche due isolati da lì, l'aveva baciato per la prima volta.
Ed era un ricordo così meraviglioso da essere tormento.
A che serviva continuare a ricordare?
Non poteva più avere nulla ed era tortura continuare a pensarci.
... contro ogni logica, ancora non si era ancora rassegnata.

Tutto sembrava scorrerle intorno.
Doveva dimenticare.
Per un po', l'unica soluzione era dimenticare.
Era esistito un mondo senza Alexander.
Era stato un mondo ... di pace. Di tranquillità. Di cosa ... non lo sapeva più.
Ma ora era quella la sua vita.
E non aveva più la forza di disperarsi in silenzio, mentre parlava con chi non ne doveva sapere nulla.
Od ogni notte, prima di abbandonarsi alla stanchezza del dolore.



Alexander arrivò al parco già in piena corsa.
Un parco diverso.
Una volta lì, accelerò il ritmo.
Corse fino a non avere più fiato, fino ad avere la gola secca.
Non toccò una sola goccia dell'acqua che si era portato dietro.
Quell'arsura era una sensazione su cui concentrarsi, almeno. Assieme ai polmoni che iniziavano a bruciare.
Presto il corpo gli reclamò di prepotenza aria. E riposo.
Le gambe gli cedettero e trovò la forza solamente per lasciarsi cadere sull'erba secca e fredda.
Non voleva pensare.

Ci ho provato ... ma non ci riesco.
Non ci riesco?
Allora era davvero brava a fingere perché ... dannazione se le aveva creduto.
Una risata amara, al posto di tutto quello che voleva uscire.
Strinse i pugni.

Amore ... è una cosa diversa.
Diversa dal volerlo avere vicino ogni volta che poteva?
Era esattamente quello che lei aveva voluto.
Ah, ma forse era stato solo provare.
Rilasciò un sospiro di ... rabbia. E di patimento.

Quella faccia.
L'espressione che lei aveva avuto, a volte. Persa, triste.
Era perché aveva tentato di provare qualcosa che non sentiva?
Eppure aveva sempre cercato un suo contatto, dopo.
Le era piaciuto quando la toccava.
Un'immagine.
Gli occhi chiusi, il viso inclinato, ad assaporare il contatto delle dita con cui le sfiorava la guancia.
Un ricordo.
Ami aveva indugiato su ogni tocco di labbra. Aveva amato ognuno dei baci che le aveva dato.

La gioia completa di quando lo aveva rivisto, dopo i giorni di separazione.
L'impazienza con cui lo aveva cercato. E ogni altra cosa.
Tu non fai per me.
Balle.
Non sono innamorata di te.
La più grande serie di balle che fosse mai stata detta.
L'amore ... non fa per me.
Quella frase ... era lì il problema.
Lo stava allontanando. Credeva che ci fosse in lei qualcosa che non andava.
L'unica cosa che non andava era quella decisione senza senso.
E lui, che ci aveva messo cinque interminabili giorni a capirlo.
Che, idiota immaturo, non aveva neanche provato a contestarla, più interessato al dolore causato dal rifiuto che alla verità che aveva sempre avuto davanti.
Si alzò.
Corse di sotto, indossò rapidamente la giacca, dimenticò la sciarpa e uscì.
Se davvero Ami lo voleva lontano, era meglio che avesse il coraggio di dirgli il vero motivo.
Ma avrebbe potuto dirgli qualunque cosa, restava un fatto: lo amava.
E di allontanarlo se lo poteva scordare.



Usagi la raggiunse sulle scale che portavano fuori dalla scuola. «Ti accompagno a casa, che ne dici Ami?»
«Sì ... perché no?» Ami accennò ad un sorriso.
Nel tragitto, seguì la conversazione di Usagi assentendo e ascoltando.
Vedeva Makoto e Minako solo alla fine delle lezioni, ma Usagi era in classe con lei. Forse aveva capito.
Stando con le sue amiche, si era aggrappata alla normalità che rappresentavano.
Non aveva detto loro nulla; non sapevano neanche di Alexander.
Se l'avessero conosciuto, sarebbero state felici per lei.
E non avrebbero mai compreso perché un giorno avrebbe dovuto troncare quella relazione.
Spiegare loro il motivo sarebbe equivalso a trasmettere paure che ... le aveva solo lei per ora, ed era meglio così.
Quando arrivarono davanti a casa sua, Usagi sfoderò un sorriso da ragazzina impenitente. «Ho una fame da lupi. Mi offri qualcosa?»
«Ma certo.»
Era un'occasione per non stare da sola e l'accolse volentieri. In quei giorni in cui sua madre lavorava fino a notte tarda, passava troppo tempo solo con se stessa.
Una volta in casa, preparò ad entrambe una tazza di tè e tirò fuori i biscotti con cui faceva colazione.
Usagi prese la tazza offerta e sorrise, con quell'aria perennemente allegra che solo lei aveva. «Grazie!»
« ... di niente.» Ami iniziò a girare il cucchiaio nel liquido. Rimase ad osservare il vapore che si allontanava lentamente dal té, in soffici onde bianche.
Un tintinnio e la tazza di Usagi fu appoggiata sul tavolino.
Se la ritrovò vicino, seduta accanto a lei sul divano.
«Sono preoccupata.» Inclinò verso di lei la testa, in un gesto di apertura e comprensione. «Non stai bene. C'è qualcosa che ti rende triste.»
Sì. Ma era così doloroso continuare a pensarci.
E anche solo percepire l'affetto di Usagi la faceva già sentire ... meglio. Era un inizio.
«Sono qui per te. Parlamene, Ami.»
Lei scosse appena la testa. «Scusa se ti ho fatto stare in pensiero.»
«Non mi importa. Voglio che tu stia bene. Forse non sarò in grado di darti una soluzione, ma condividere il dolore ... può servire.»
Sarebbe servito solo a far stare male due persone invece che una.
E non c'era soluzione diversa dal dolore stesso. «È ... è un problema che ho creato io. Non ti preoccupare.»
Si portò il tè alle labbra. Bevve un singolo sorso prima di accorgersi di non voler bere nulla.
Appoggiò la tazza sul ripiano in legno.
E rimase ferma.
Alzò lo sguardo su Usagi solo quando sentì una delle mani di lei appoggiarsi sulle sue mani unite.
«Voglio solo stringerti la mano.» le spiegò, con tranquillità.
La presa si fece appena più decisa, portatrice di conforto e sostegno.
Ami abbandonò piano la testa contro la spalla accanto a lei.
Non sentì domande, né richieste di spiegazioni. Ricevette solo un incondizionato e muto supporto.
Usagi, Rei, Makoto e Minako le avrebbero dato per sempre affetto e supporto. Ma anche così ...
Chiuse gli occhi e concluse quel pensiero, «Non vorrei vivere per mille anni.»
Sentì il respiro mozzato e l'attenzione di Usagi.
«Molti meno basterebbero.» Accanto ad una sola persona, sarebbero stati meglio di secoli interi.
«Perché?» C'era cautela dietro quella domanda.
« ... nessuno potrà vivere quanto noi. È ... triste.»
Percepì il fruscio della coda bionda sulla schiena: Usagi stava scuotendo la testa. «Io credo che ... potranno vivere molto più di quanto vivono ora.»
«È una speranza?» sussurrò.
«No ... so che sarà così. Lo sento. Non vivranno mai quanto noi, ma ... più di ora, sì.»
Più di ora, quanto?
Comunque non poteva sicuramente essere sufficiente per una vita normale con ...
«Sei fortunata ad avere Mamoru.»
Che avrebbe vissuto quanto tutte loro.
Usagi aspettò prima di parlare. «Sì, ma ... prima o poi sarete fortunate anche voi. Dico sul serio.»
«Non potremmo mai trovare qualcuno coi nostri stessi poteri.»
Il volto di Usagi si girò verso il suo. «Ma ... non importa, no?»
«Il potere no. La vita che può dare, sì.»
Usagi sospirò di sorpresa. «Oh, è questo?» Le mise le mani sulle spalle e la allontanò da lei, per poterla guardare in viso. «Ami. Avresti dovuto parlarmene.»
«Perché? Non puoi promettere nulla.» E lei non poteva rischiare la felicità di chi amava.
«È vero. Però» Usagi la guardò senza incertezze. «Ami ... Ho solo le mie sensazioni ora. E la mia volontà. Ma so che farò di tutto perché nessuna di voi debba mai perdere chi sceglierete di amare, perché non trascorriate da sole il lungo periodo che ci aspetta.»
«Ma non puoi promettere che ci riuscirai.» Non lo pretendeva in alcun modo da lei, ma ... era un dato di fatto.
Usagi si fece pensierosa e severa. «Non ho mai potuto nemmeno promettere che avrei battuto ciascuno dei nemici contro cui ci siamo scontrati. Ci ho creduto Ami. Bisogna crederci.»
Crederci? Il sogno più folle che aveva ... la sua intera lunghissima vita trascorsa con Alexander.
Una vita che lui comunque non avrebbe desiderato. I problemi erano sempre tanti, anche se, se solo avesse potuto ... «Mi sono innamorata.»
Usagi spalancò gli occhi.
«Lui mi ha detto che mi amava e io gli ho detto ... » scosse rapidamente la testa, con ancora dentro l'agonia di quegli attimi. «Anche se potesse vivere quanto me, lui non vuole la vita che avrò. Vuole una vita ... semplice. Io so che non potrò dargliela. Gli avrei fatto solo perdere tempo se avessi deciso di rimanere con lui. Lui ... Alexander è ... »
«Tu non sei una perdita di tempo, Ami.» Usagi la guardava con seria tristezza.
Non era quello il punto, non capiva. «Lui vuole una vita semplice: mi ha detto che non vuole la responsabilità di altre persone, che non sopporta la notorietà. E sarà quella la nostra vita, la mia, la tua. Sapendolo, sarei rimasta con lui solo perché ... » La risposta erano mille parole, tutte quelle che servivano a descrivere ciò che provava.
«Perché lo ami.»
Le spalle le crollarono e abbassò lo sguardo. «Voglio solo che sia felice. Che abbia il meglio.»
«È in grado di scegliere da solo cos'è meglio per lui.» 
«Non lo conosci, come ... ?» Non aveva più la forza di completare alcuna frase.
«Come lo so? Lo hai scelto tu.» Le sorrise, fiera. «Deve essere eccezionale.»
Oh, lo era.
«Ami, ti ha detto che ti ama. Tu non devi regalargli una vita semplice o il tuo sacrificio. Devi solo dargli una possibilità.» Vi era certezza assoluta in quell'affermazione.
Ami alzò lo sguardo.
«Ti ama e la merita. E se sapesse tutto di te, sono più che sicura che la vorrebbe quella possibilità.»
Ami continuò a non muoversi.
Usagi proseguì, in volto un sorriso che cresceva. «È questo che significa amore, sai? Voler fare cose prima impensabili pur di stare con chi si ama.»
Ami prese a respirare, a malapena.
Tutte le risposte che si era data non avevano veramente tenuto conto di-
«Ami?»
Incontrò di nuovo lo sguardo di Usagi.
«Avresti preferito vivere pochi anni standogli accanto invece che mille anni senza di lui?»
Riuscì solo ad annuire.
«Allora è vero amore.» Usagi sorrise enormemente, alzandosi. La tirò su per un braccio. «Hai già perso abbastanza tempo a spiegarlo a me. Devi andare da lui.»
Come?
Si fece trascinare verso l'ingresso, dove Usagi le buttò sulle spalle la giacca, spingendola a indossarla. Le frugò nella tasca. «Mettiti le scarpe. Le chiavi dove sono?» Le trovò nell'altra tasca e, soddisfatta, iniziò a indossare lei stessa le proprie scarpe.
Ami infilò un piede nelle ballerine nere.
Davvero lo avrebbe voluto anche lui? Era così semplice?
Usagi le si parò davanti, scuotendo la testa, divertita. «Cosa desideri più di ogni altra cosa?»
La certezza che ... no. Avrebbe fatto di tutto anche solo per- «Una possibilità.»
Usagi annuì. «È là fuori. Se non sei ancora convinta, dimmi che pensi davvero che non la voglia anche lui.»
Alexander?
Nell'istante stesso in cui iniziò a pensarci seppe la risposta. Sgranò gli occhi. «Vado.»
Usagi spalancò la porta. «Sì.»
Ami uscì zoppicando sulla scarpa ancora da infilare e non perse tempo con i bottoni della giacca.
«Aspetta, devi chiudere!»
Tornò indietro con le chiavi, tra le risate di Usagi che si toglieva la sciarpa, mettendogliela rapidamente attorno al collo.
Avrebbe trattenuto le lacrime se non fosse stata così felice. «Grazie.»
«Vai.»
E andò.



Ami scalpitò dentro il treno, ma era il modo più veloce per arrivare.
Non sarebbe stato semplice per via di tutte le menzogne che gli aveva detto. Ma gli avrebbe fatto capire che lo amava più di ogni cosa, che aveva solo avuto paura di ...
Si ritrovò a scuotere piano la testa. Di se stessa.
E non era del tutto una bugia, ora se ne rendeva conto.
Perché, per quanto tutto quello a cui aveva pensato fosse stato logico e sensato, ora capiva che ... non l'avrebbe mai fatto se avesse creduto fin da principio di poter essere amata più di scelte di vita che lui aveva fatto prima di conoscerla. Amata come lo amava lei.
Non avrebbe mai perso tempo a concentrarsi sulle eventualità peggiori, sul fatto che c'era una possibilità che lui non potesse mai vivere quanto lei, se ... se avesse avuto più fiducia.
Aveva ragione Usagi: tutta la loro vita da guerriere era stata caratterizzata da situazioni in cui avevano sconfitto nemici molto più potenti di loro, solo credendoci.
E lei invece aveva tralasciato, in tutti i suoi ragionamenti, il potere che poteva avere quella speranza.
Alexander ci avrebbe creduto anche lui; se ci fosse stata una speranza, lui l'avrebbe voluta afferrare.
Era stata lei quella insicura, debole.
Inspirò con forza l'aria.
Ma non più. Non si era mai sentita più forte, più viva che in quel momento.
Avrebbe fatto di tutto per fargli capire.
Quando le porte del treno si aprirono, uscì di corsa. Doveva prendere un'altra linea, ma faceva prima a correre che a fare l'intero tratto fino alla fermata che la collegava con  il collegamento di cui aveva bisogno. Camminò il più veloce possibile lungo gli affollati marciapiedi di quella zona centrale.
Quando attraversò una strada col semaforo quasi sul rosso fu rimproverata dal suono di un clacson, ma non se ne curò.
Si girò solo quando il rumore si fece continuo.
E si immobilizzò davanti ad Alexander che parcheggiava la moto su un lato della strada.

Alexander smontò dalla moto e mise via il casco: non voleva assolutamente niente tra le mani.
Raggiunse Ami, rimasta ferma a qualche metro da lui.
Lei scosse la testa e iniziò a parlare, ma la interruppe. «Io non ti credo.»
La zittì.
«Hai mentito in tutto, quel giorno. E se credi che l'amore non faccia per te, ti sbagli.»
Vide gli occhi di lei allargarsi e continuò prima che potesse obiettare. «Tu sei fatta per quello che proviamo entrambi esattamente quanto me. Se hai un problema, dovrai parlarmene se vorrai che inizi anche solo a capire la ragione per cui hai mentito. Ma anche così, qualunque cosa sia ... non andrò da nessuna parte.»
Aveva finito, ma si sarebbe fermato comunque.
Nel viso di Ami non c'era alcuna traccia di tristezza; iniziò invece a ridere e a piangere. «Erano bugie. Stavo venendo a dirtelo.»
Sparì il peso che gli aveva costretto in una morsa il respiro, anche quando era stato sicuro che-
«Ti amo anche io.» Le lacrime non furono più solo di gioia. Ami iniziò a singhiozzare. «Mi dispiace per quello che ti ho fatto, per come ho potuto- Credevo di fare la cosa migliore per te, quando invece ero solo io che-»
La strinse con forza, affondando le dita nei suoi capelli, circondandole completamente la schiena.
Sentì le braccia di lei attorno al collo, a tirargli ancora più giù la testa, per strofinare la guancia contro la sua, mentre un altro sussulto la percorreva. «Mi sono nascosta a piangere dietro un albero prima che te ne fossi andato.»
Dio. Fece in modo di avere di nuovo davanti, di nuovo vicino, quegli occhi grandi e blu. «Stupida.»
Un rapido annuire che bloccò catturandole la bocca. Fu la sua a essere imprigionata poco dopo da quella di lei.
Non si diedero il tempo di completare neanche un bacio per diversi secondi. Ami gli afferrò la faccia con entrambe le mani. «Ti spiegherò.»
Alexander annuì senza interesse. «Dopo.»
E tornarono a fare quello che amavano più di ogni altra cosa, a parte loro stessi.

«Cosa c'è, Makoto?»
Makoto, richiamata da Rei, riprese a camminare e raggiunse le altre.
«Niente, mi era solo sembrato ... » scosse la testa e sorrise, serena. «Ma è impossibile.»
«Impossibile? Cosa?» Minako aveva visto qualcosa di particolare nel sorriso di Makoto ed era proprio curiosa di sapere di cosa si trattasse.
Makoto sbattè la mano verso l'altra parte della strada. «Là c'è una ragazza che somiglia ad Ami. Ma mi sono sbagliata.»
«Chi?» Minako guardò nella direzione indicata da Makoto, cercando fra le persone che si muovevano sul marciapiede opposto. C'era una coppia che si stava baciando. La gente che passava loro accanto li osservava apertamente, alcuni ridacchiando, altri scuotendo la testa e passando rapidamente oltre. Minako non riusciva a vedere la ragazza, ma era chiaro che Ami non si sarebbe mai venuta a trovare in una situazione del genere. «Hai ragione.» Mentre si girava, scorse con la coda dell'occhio un particolare colore di capelli. Blu. E poi un viso.
Strabuzzò gli occhi. «Ma è Ami!»
Makoto si voltò con la bocca spalancata. Rei sgranò gli occhi e per poco non ebbe un colpo.
Minako riusciva solo a indicare con il dito, combattuta tra la sorpresa e il divertimento. «T-Traditrice! Ci aveva detto che stava studiando in questo periodo ... ora ho capito cosa studia!»
«N-non può essere.» Rei ancora non riusciva a crederci, nonostante stesse guardando la scena da ormai diversi secondi.
Parecchi secondi. «Ma non possono staccarsi?!»
Makoto non la stava neanche ascoltando. «Una materia come quella sembra davvero interessante.»
La sua testa e quella di Minako si inclinarono lentamente e all'unisono di lato, seguendo il movimento di quel bacio.
«Finitela! Dev'essere successo qualcosa, Ami non può fare una cosa del genere con uno che conosce app-» Rei si interruppe, dopo aver prestato per la prima volta attenzione al ragazzo in questione. Capelli chiari, non neri ... dove li aveva già visti?
L'illuminazione. «Ma quello è il tipo dell'altra volta!»
Minako fu colpita da quell'osservazione. «Ma di chi parl- Ahhh! Nel locale!» Non si era ancora dimenticata dello straniero che aveva fissato Ami da lontano.
In quel momento videro lui ed Ami separarsi.
Assieme alle altre, seguì lo scambio di sguardi e parole, per quel poco che si poteva vedere da lontano.
Minako fu profondamente colpita dall'intimità di quei gesti: la scena a cui stavano assistendo sapeva di ... riappacificazione.
All'improvviso non ritenne fosse giusto guardare oltre. Si girò e mise un braccio sulle spalle delle sue amiche, facendole voltare.
«Ci faremo dire tutto domani e, vedrete, crollerà in due secondi.»
Makoto non cercò di girarsi di nuovo e non lo fece nemmeno Rei.
«Già ... sono felice per lei.» Makoto guardò in alto, in volto un aperto sorriso.
Rei chiuse gli occhi per un attimo e non trattenne una breve risata. «Sì, non me lo sarei mai aspettata da lei, ma sono contenta anche io.»
«Sì, sì, anche io. Ma mi dovrà assolutamente spiegare come ha fatto ad accalappiare uno come quello! Se si rifiuta, giuro che metto in pratica la mia minaccia e la elimino! E ora in marcia!»
Mentre Rei e Makoto erano occupate a ridere della sua battuta, Minako si voltò per una brevissima sbirciata.
Le uscì un sorriso di profonda felicità.



Mano nella mano.
Labbra contro labbra.
O anche solo cuore con cuore.

Ami sapeva di voler poter vivere così ... senza fine.


FINE


Note finali: la storia di questi due personaggi continua in altre storie che ho scritto e che elenco qui, in ordine cronologico.
- Interludio - scena 1 (poco dopo questa fanfic; la spiegazione di Ami e la presentazione di Alexander alle amiche), scena 4 (qualche mese dopo; una vacanza al mare assieme a tutti gli altri)
- Verso l'alba (un anno dopo ... ne faccio succedere di cose a questi due :) )
Traduzione delle frasi in inglese:
- «What a sap.» - è quasi slang e ha una connotazione leggeramente più dispregiativa di «Che sdolcinato». Mi sembrava una frase che un ragazzo potesse usare rendendosi conto di che tipo di romanticherie gli uscivano. :)
- Dialogo tra Alexander e sua madre.
«Ciao madre.»
«Mamma sarebbe carino, per cambiare. Volevo chiederti-»
«Non stavo cercando di essere formale, solo divertente; dovresti saperlo. Questa è Ami. Capisce l'inglese.»



   
 
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