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Autore: Sarah M Gloomy    22/07/2016    0 recensioni
Paul. L’inizio di tutto e la mia fine.
Mi ero appena svegliata da una tremenda post sbornia e della sera prima ricordavo solo la presenza di alcol. Molto alcol. Ero appena uscita da una relazione burrascosa, durata l’arco della mia vita, in cui avevo messo anima e corpo per farla funzionare. E come tutte le cose importanti era andata dritta nel cesso, con lui che mi diceva che ha bisogno di tempo, di riflettere e di intruppare le mani in qualcos'altro che non ero io. La mia distruzione ... e il mio nuovo inizio!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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6
L’anniversario
 
              Ogni anno, nella data del nostro anniversario, ci prendevamo un giorno di ferie e passavamo la giornata insieme. Anche durante la convivenza era rimasto questo piccolo modo di dirci che ci volevamo bene. Undici anni prima, il venti luglio, io e Paul avevamo deciso di stare insieme. Nel presente, non eravamo più una coppia. Forse se me lo avessero detto quel giorno non ci avrei creduto neppure io che saremo resistiti tanto … ma dopo undici anni avrei sperato che la storia durasse più a lungo.
Avevo detto ai miei coinquilini che mi ero presa un giorno di ferie, senza specificare quanto mi facesse male guardare il calendario e sapere che data era.
Mi ero ripromessa di passarla nel migliore dei modi, quindi mi alzai di buonora e salutai con un sorriso falso Charlie, l’unica che fosse in casa: Sam e Kit erano già a lavoro. Stava mangiucchiando una barretta dietetica, sfogliando un giornale. «Oggi cosa hai intenzione di fare?»
Storsi la bocca. Avevo riflettuto su un sacco di cose, e ogni piano mi sembrava più assurdo dell’altro. Non avevo motivo di festeggiare: sinceramente non ne avevo emotivamente la forza. «Beh, volevo ringraziarvi per … per l’altra sera. Sai … per la questione del topo. Avevo pensato di andare a fare la spesa e di preparare qualcosa da mangiare, poi sistemare la casa e …» Tentennai, guardando Charlie. Ero certa che lei non si sarebbe arrabbiata, ma non la conoscevo ancora così bene da riuscire a prevedere una sua reazione. Corrucciò la fronte con un sorriso, obbligandomi a finire con un bisbiglio. «… e pulire le vostre stanze.»
   «Pulire le nostre stanze?»
La mia voce si stava affievolendo ogni secondo di più. «Per lo meno quella indecente di Sam, ma non dirglielo che l’ho pensato! Anche quella di Kit, in ogni modo, non mi sembra profumare …»
La ragazza ridacchiò, girando pagina e fingendo di essere interessata a un articolo. «Paura di farli arrabbiare? Se ti può essere d’aiuto, Kit sarebbe felicissimo che qualcuno gli sistemi la stanza, tanto meglio se donna … e a dirla tutta, approvo una pulizia radicale alla stanza di Sam. È disgustosa, e sapere che ha un solo muro che la divide dalla mia mi fa approvare il tuo modo di ringraziarci.»
Felice e rassicurata, trascrissi gli ingredienti che mi servivano per un piatto di pasta che avevo intenzione di preparare alla sera. Avendo origini italiane mi sembrava utile far conoscere parte della mia cucina. In più era l’unico cibo che mi veniva in mente cui potevo tirarmene via un po’ prima di condirlo con della carne.
   «Spero solo di non far arrabbiare di più Sam. Già mi odia.»
   «Sam non ti odia.»
Annuii, convinta. «Sì, invece.»
   «No.» Charlie chiuse la rivista con uno scatto indispettito, prima di fissarmi scuotendo la testa. «Sam non odia te, è solo deluso dal genere femmine. Quando l’ho conosciuto era un ragazzo molto dolce che viveva in questo appartamento con Kit e quella che allora era la sua ragazza. Credimi quando ti dico che lui non ti odia.»
Lei continuò. «Sono venuta in questo appartamento proprio perché lui e Jodie si stavano per sposare e occorreva un nuovo coinquilino … e aiutava il fatto che fossi amica di Kit. Dopo quello che gli è successo credo che sia normale provare sfiducia e rabbia nei confronti del mondo.»
   «Cosa è successo?»
Sospirò, combattendo tra l’amicizia nei confronti di Sam e la necessità di farmi capire il suo comportamento. «Jodie e Sam si dovevano sposare. Ero diventata loro amica poco prima delle nozze, così rimasi sorpresa che mi invitassero ma quel Sam era molto allegro ed era innamorato della sua ragazza. Il giorno del matrimonio, però, Sam trovò Jodie e suo fratello a letto insieme.»
   «Suo fratello? Il fratello di Sam?»
Annuì. «Già. Mark e Jodie, a quanto sembrava, avevano una storia da un po’ di tempo e Sam lo scoprì nel modo peggiore. Essendo Mark più piccolo di Sam, o forse perché già la famiglia sospettava qualcosa, o non so che altro, la scoperta della loro relazione non fu scandalosa. Questo è successo due anni fa e da allora non parla con nessuno della sua famiglia. In ogni modo, al danno è seguita la beffa, perché Jodie e Mark hanno invitato Sam al loro matrimonio poco dopo il fatto.»
   «Che …»
   «Non è tutto.» Ogni parola che diceva Charlie mi faceva sempre più capire l’atteggiamento cupo di Sam. Iniziavo a disprezzarmi per non averlo capito, anche se ogni sua parola urlava che non ce l’aveva propriamente con me, ma c’era qualcos’altro sotto. «La madre di Sam lo chiama, una volta ogni tanto, per dirgli di Mark e Jodie. Da qualche urlo che si è lasciato scappare Sam, sembra che la madre lo incolpi di essere troppo crudele con il fratello. Capirai, quindi, che non ti odia. Cerca di non giudicarlo troppo male. Ne ha passate abbastanza. È disgustato da tutto quello che può essere legato all’universo femminile non meno di quanto è disgustato da se stesso. Non essere troppo crudele con lui.»
   «Grazie.» Bisbigliai. «Grazie.»
Charlie mi sorrise gentilmente, prima di dirigersi verso la sua stanza.
Le confessioni non mi avevano fatto dimenticare il mio piano. Anzi. Ero convinta di aver una ragione in più per ringraziarli e per far capire a Sam che non tutte le donne erano così. E lo diceva una che, con molta probabilità, era stata pure tradita. Ero l’opposto della sua ex. L’obiettivo di quel giorno, che poteva essermi utile per farmi dimenticare la data, era di aiutare qualcuno. Per prima cosa andai a fare la spesa e, anche se mi ero ripromessa dopo l’ultimo fiasco di non cimentarmi più nella preparazione di un dolce, decisi che qualcosa di calorico e zuccherino fosse d’obbligo per la sera. Presi tutti gli ingredienti e tornai a casa alleggerita ma battagliera.
Poi decisi di combattere contro la casa. L’appartamento era spazioso e in quattro convivevamo piuttosto bene. Quindi non mi aspettavo di metterci poco. Iniziai dalla mia camera, che supposi a ragione di metterci poco. Poi combattei contro quella di Charlie, seguita da quella di Kit. Lasciai quella di Sam per ultima. La sistemai meglio che potei, spolverando anche cose che non capivo e sistemando lo stereo sulla scrivania, invece del terreno. Buttai a lavare gli indumenti sporchi e piegai riponendoli nel cassetto quelli puliti. Aprii le finestre, eliminando quell’odore da chiuso che aleggiava come un miasma fastidioso. Infine pulii gli spazi in comune. Bevvi un succo per ricaricarmi di energie, preparandomi a cucinare. Prima che Charlie tornasse a casa, una torta con un aspetto malfermo e poco invitante si cucinava nel forno, mentre un profumino di carne friggeva vicino a una pentola già salata. Preparai la tavola più accuratamente di quanto avrei fatto, mettendo i sottobicchieri e i portatovaglioli trovati dentro un cassetto per rendere il clima più da festa. Accesi lo stereo, mettendo della musica classica di sottofondo.
Colsi il tempo che mi restava per farmi una veloce doccia, tornando di nuovo nel salotto – cucina. Sfornai la torta: l’aspetto non era dei migliori ma assaggiai un pezzettino che si era staccato e ritenni che, almeno, questa volta assomigliava a una torta. Colta da un lampo di genio, presi dei calici e li misi vicino ai bicchieri. Soddisfatta guardai il risultato.
Charlie entrò per prima, con un sorriso, sollevando i pollici in segno di approvazione. Dopo neanche un minuto entrò Sam, che non guardò neppure la tavola, dirigendosi sbuffando nella sua camera. Uscì un secondo dopo, livido di rabbia. «Sei entrata nella mia camera?»
   «Sam …»
   «Non sto parlando con te, Charlie. Sei entrata nella mia camera?»
La sorpresa che volevo fare era sfumata. Non solo lo avevo infastidito violando nuovamente la sua stanza, ma lo avevo fatto arrabbiare più del solito. Mi rannicchiai in un angolo. «Sì.»
   «Chi ti ha dato il permesso di entrare?»
Non sapevo cosa dire. Abbassai la testa, con gli occhi lucidi. Avevo sbagliato di nuovo. Per aiutarli e ringraziarli non avevo fatto altro che peggiorare la situazione. Se fosse rincasato Kit, anche lui si sarebbe arrabbiato con me. Una lacrima bollente mi scese lungo la guancia. «Ovviamente lo ha fatto per ringraziarci, Sam!»
   «Io non le ho dato il permesso …»
Uscii dall’appartamento sbattendo la porta. Scesi le scale di corsa, la vista annebbiata dalle lacrime. Sapevo che quel giorno sarebbe stato pessimo. Già il fatto che era la data dell’anniversario mio e di Paul me lo doveva confermare. E con che pretese avevo voluto aiutarli? Chi ero io per violare la loro privacy solo per ringraziarli? Scivolai dalle scale a causa delle ciabatte, sbattendo il sedere dolorosamente. «Robin, stai bene?»
Kit mi aiutò ad alzarmi, preoccupato, ma sgusciai di fianco a lui, abbandonando le ciabatte ai suoi piedi e uscendo scalza dall’edificio. Non sapevo dove andare, se non che volevo essere lontana da lì. Ero in buonafede quando ero entrata nelle loro stanze. Lo avevo fatto per fargli piacere quando mi ero messa a cucinare. Attraversai la strada, entrando nel parco e nascondendomi in mezzo a un cespuglio. Mi rannicchiai, prendendomi la testa tra le mani. Stavo piangendo. Non volevo farli arrabbiare, non volevo violare la loro intimità, non volevo far infuriare Sam. Volevo che quel giorno fosse perfetto.
Singhiozzai piano, tirando su con il naso. Per ringraziare Sam, ora lo sapevo, sarei dovuta andarmene, lasciare l’appartamento e fingere di non averlo mai conosciuto. La delusione che aveva avuto dal genere femminile non poteva essere superata entrando nella sua stanza e pulendo. Non so quanto rimasi lì, in mezzo al cespuglio ronzante di insetti, in una posizione scomoda e con il telefonino che pulsava nella tasca dei pantaloncini. Quando iniziò a squillare tirai su con il naso, vedendo nel display il numero che avevo salvato prima di sapere che sarei andata a vivere lì. Lo strinsi in mano, depressa.
   «Entra dentro. Charlie e Kit vogliono mangiare.»
Mi raggomitolai di più, affondando la testa tra le ginocchia. «Me ne vado.»
Sam mi aveva trovato seguendo la suoneria: dubito ci fossero altre persone raggomitolate in un cespuglio! Sentii che si inginocchiava vicino a me. «Entra dentro.»
   «No. Tu sei arrabbiato.»
   «Io … io non sono arrabbiato. Entra dentro, Baby. Charlie ha detto che hai lavorato tutto il giorno solo per ringraziarci, quindi il minimo è mangiare insieme. Mi puoi guardare? Detesto parlare con i capelli delle persone!» Scossi la testa, stringendo di più le gambe. Sospirò. «Anche se me la sono presa … grazie per aver sistemato la stanza. Ora puoi entrare in casa?»
   «No. Domani me ne vado.»
   «E te ne vai perché lo vuoi tu e perché credi che lo voglio io?»
Singhiozzai. «Perché lo vuoi tu.»
   «Io non l’ho mai detto.»
   «Ti arrabbi sempre con me.»
   «Non sono arrabbiato.»
   «E poi sono una ragazza e tu le odi.» Nascosi la testa sotto il braccio. «Charlie mi ha detto quello che ti è successo …»
Mi prese la mano, tirandomi su di peso. Ero rimasta raggomitolata per troppo, tanto che l’intero corpo era preso da piccole scosse ed era percorso da una famiglia di formiche che sembravano solleticarmi ogni nervo. Mi sollevò il mento, parlando piano e più dolcemente di quanto avesse fatto fino ad allora. «Andiamo a casa e non occorre che te ne vada.»
Mi asciugò le lacrime con il suo fazzoletto, abbozzando un preludio di sorriso, il primo che gli avessi visto fare. «Sei un disastro, Baby. Hai gli occhi rossi.»
Cercai di girarmi parte, ma lui mi strinse in un tenero abbraccio con la sola forza di un braccio. Avevo bisogno di un po’ di tenerezza, di un po’ di affetto. Avevo bisogno di sentire il calore di qualcuno che non avesse doppi fini, che voleva stringermi a sé solo per rassicurarmi e tranquillizzarmi.
Il cellulare suonò di nuovo, e Sam bisbigliò piano. «Ti conviene rispondere. Credo che sia Charlie. Era preoccupato per te.»
Avevo ancora il telefonino stretto in mano, quindi mi bastò passarmi una mano sugli occhi per cancellare la patina di lacrime e vedere che Ale mi chiamava. Mille pensieri mi passarono in testa: le era successo qualcosa, era capitato qualcosa ai miei che, non riuscendo a contattarmi, l’avevano chiamata. Poi, ripensandoci, mi resi conto che quella chiamata era solo per me. Anche lei sapeva che non avrei passato bene quel giorno.
   «Ciao Ale.» Allungai la mano, prendendo la maglia di Sam per non farlo andare via. Il fatto che si fosse dimostrato più umano e clemente nei miei confronti mi faceva supporre che, una volta rincontrati, mi avrebbe trattato come sempre.
   «Ehi, Robin. Tutto bene?»
   «Sì, sto bene.»
Ale rimase un attimo in silenzio, e fummo sorprese entrambe che non avessi nulla da dire quando in condizioni normali non stavo un attimo zitta. «Ti ha chiamata? Per chiederti come stai …»
   «No. Non mi aspetto più chiamate da Paul.»
Ero sincera. Forse mi faceva tanto male sapere che era il venti luglio proprio perché non avevo alcuna aspettativa di ricevere una sua chiamata. Ormai non mi aspettavo più una riappacificazione. Potevo essere ingenua, ma avevo ormai raggiunto il limite. «Ale, ti richiamo io.»
   «Sei con le tue coinquiline?»
Non le avevo ancora detto che erano maschi. «Sì.»
   «Cerca di tirarti su.»
   «Okay.» Mi conosceva troppo bene. Sapeva che ero giù di morale. Interruppi la chiamata, cercando di trattenere i piccoli singhiozzi. Nuovamente mi passai la mano sugli occhi. Guardai per terra. Mi faceva meno male che guardare Sam negli occhi.
   «Mi dispiace avervi creato tanti fastidi, così oggi volevo ringraziarvi cucinando per voi e sistemando la casa. Però l’ho fatto anche per un motivo più egoistico. Oggi … oggi era l’anniversario mio e di Paul … e avevo bisogno di fare qualcosa per dimenticare il motivo per cui mi ero presa questo giorno di ferie. Mi dispiace averti fatto arrabbiare e ti capisco se mi dirai che vuoi che lascio l’appartamento.»
   «Non mi piacciono questi discorsi deprimenti. Andiamo a casa.»
   
 
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