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Autore: Sarah M Gloomy    24/07/2016    0 recensioni
Paul. L’inizio di tutto e la mia fine.
Mi ero appena svegliata da una tremenda post sbornia e della sera prima ricordavo solo la presenza di alcol. Molto alcol. Ero appena uscita da una relazione burrascosa, durata l’arco della mia vita, in cui avevo messo anima e corpo per farla funzionare. E come tutte le cose importanti era andata dritta nel cesso, con lui che mi diceva che ha bisogno di tempo, di riflettere e di intruppare le mani in qualcos'altro che non ero io. La mia distruzione ... e il mio nuovo inizio!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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7
Amiche
 
                        Era il nostro primo sabato insieme. La sera prima mi avevano tirato su il morale e Sam, senza dare spiegazioni, aveva chiesto a Charlie di dormire con me. In effetti non me la sarei sentita dormire da sola, così alla mattina mi svegliai riposata e, anche se non felice, per lo meno serena. Inoltre un bel ematoma al fianco, nel punto in cui Charlie mi aveva colpito, pulsava e mi ricordava che lì io stavo bene. Beh, più o meno. Avevo delle persone che tenevano a me. Avrei voluto far loro conoscere Ale, ma includeva far incontrare nuovamente lei e Kit. Conoscevo abbastanza bene lei e iniziavo a capire che Kit era simile su molti frangenti: farli incontrare era come dar avvio a una battaglia.
Mi ero vestita con abiti comodi, che includeva un paio di pantaloni di una tuta e una maglia larga, legata i capelli in una coda piuttosto alta e avevo indossato gli occhiali. Il mio mise era classico per stare un giorno davanti al computer e, vista la mole di e-mail che mi ritrovai davanti, di certo avrei passato parecchio tempo prima di vedere la luce di quel sabato.
Ero seduta sul letto e stavo picchiettando la tastiera con un ritmo continuo, obbligando Charlie a sporgere la testa dalla mia porta per vedere se stavo bene. Alzò un sopracciglio. Al contrario di me, si era truccata e indossava dei pantaloni jeans stretti e una maglia larga che mostrava la spallina del reggiseno nero. «Tutto bene?»
   «Sì. Ho solo un sacco di posta elettronica. Devo prendere l’abitudine a controllare il computer più di una volta alla settimana!» Appoggiai le mani sul cuscino appoggiato alle ginocchia che usavo per tenere il computer leggermente sollevato. «Stai andando da qualche parte?»
   «Mm. Volevo convincere Sam ad accompagnarmi a fare la spesa. Ti va di venire?»
Mi mordicchiai le labbra. Da una parte dovevo occuparmi della mia vita, magari c’erano delle e-mail importanti, ma dall’altra avevo bisogno di fare amicizia con i miei coinquilini. Spensi il computer, alzando le spalle. Al diavolo. Non avevo voglia di stare seduta in casa quando fuori una bella giornata di luglio chiedeva di essere vissuta. Mi cambiai, optando per un paio di pantaloncini corti jeans e una maglia molto simile a quella che indossava Charlie. Appoggiai gli occhiali sul comodino, saltellando per raggiungere i miei compagni. La ragazza stava ancora finendo di prepararsi, e per quanto riguardava quello la sua femminilità era superiore alla mia, mentre Sam era seduto sul divano e guardava la televisione senza molto entusiasmo.
   «Ciao.» Salutai, ricevendo una semplice alzata di mano. Ero leggermente in imbarazzo dal mio comportamento della sera prima. A mente lucida, senza la valanga di emozioni che mi avevano devastato, decisamente ero stata indecente. Mi sedetti sul divano, guardando la porta del bagno in attesa che Charlie ci raggiungesse.
   «Stai bene?»
Guardai Sam, che ricambiava il mio interesse. Sia lui sia Charlie mi avevano fatto la stessa domanda: forse passare un po’ più di tempo davanti allo specchio non mi avrebbe di certo fatto del male. Abbozzai un sorriso. «Sì, sto bene. È … è passata. Mi dispiace crearvi tutti questi problemi, ed ero seria ieri sera quando ti ho chiesto …»
   «Una volta imparato a conoscerti non sei male, Baby. Puoi rimanere in questa casa, se è quello che vuoi.»
   «Non ti creo problemi?»
Alzò le spalle, cambiando distrattamente canale alla televisione. «Nessun problema. Te l’ho già detto.»
Charlie aveva finito di prepararsi, inondando la stanza con un forte profumo. Per quanto fosse gradevole, faceva girare addirittura la testa e intorpidiva la mente. Sam si grattò il naso, stiracchiandosi le braccia. «Hai finito? Vorrei tornare a casa prima della fine del mondo.»
   «Che spiritoso. Comunque ho finito. Allora, questa è la lista delle cose da prendere per Kit … dovremmo fermarci anche in lavanderia, ho degli abiti da ritirare e tu, Robin, hai commissioni particolari? Ti conviene cogliere l’occasione, perché non avremmo spesso Sam che ci scarrozza da una parte all’altra.»
Scossi la testa, sorridendo all’espressione gelida di Sam. «Nessuna commissione particolare.»
La mattina fu un po’ impegnata. Mi ero infilata nei sedili posteriori e poco dopo Charlie aveva infilato gli indumenti ritirati vicino a me. C’eravamo presi un caffè in un bar e poi avevamo continuato il nostro pellegrinaggio.
Al supermercato passammo molto tempo. Il grande magazzino era gonfio di visitatori, trafelati e con i carrelli stracolmi di cibo. Molti, per lo più uomini accompagnati dalle compagne, si appoggiavano agli scaffali e annuivano con sempre meno interesse alle elucubrazioni sugli sconti in corso. Charlie era scomparsa non appena avevamo varcato le porte automatiche, inghiottita da non si sa quali offerte. Sam si faceva trascinare dal carrello, gettando dentro alimenti senza molta attenzione. Io mi immobilizzai davanti alle offerte sulla vendita del pesce, mordicchiandomi le labbra indecisa. Sam mi affiancò, con un sospiro carico di perché. «Ti piace il pesce?»
Il ragazzo sollevò le spalle. «Il pesce fritto è buono.»
Presi in mano una confezione di tranci di salmone, soppesandoli e guardando il prezzo. In effetti avevo voglia di mangiare del pesce e avrei potuto cucinare qualcosa per loro a mezzogiorno. Con la coda dell’occhio vidi Sam mettersi a braccia conserte. «Se vuoi mangiare pesce prenditelo. Non pensare a noi.»
   «Sono stata abituata dai miei a mangiare sempre insieme, quindi preferirei prendere qualcosa che piace anche a voi, così lo mangiate senza problemi.» Appoggiai indecisa la confezione sul ripiano, ma Sam me la prese di mano infilandola nel carrello. Sospirò. «Vuoi altro?»
Presi delle vongole per fare degli spaghetti e, nel reparto frutta e verdura, aglio, cipolla e prezzemolo. Avrei fatto degli spaghetti con le vongole a mezzogiorno e poi come assaggio dei tranci di salmone. Abbozzai un sorriso a Sam che, stranamente, ricambiò. Quel suo gesto mi indusse a prendere una decisione. «Mi piacerebbe farvi conoscere una mia amica. Si chiama Ale.»
   «Va bene.»
 
            Avevo pianificato l’incontro con Ale. Le avevo mandato un messaggio e c’eravamo messe d’accordo di incontrarci proprio quella sera. Le avevo detto che volevo farle conoscere delle persone, senza specificare che le mie coinquiline erano uomini. Sapevo che o mi avrebbe disapprovato o sarebbe stata fin troppo comprensiva. In entrambi i casi non mi sarebbe piaciuto. L’avrebbe visto come una fuga dal mio essere sola e come un modo di discostarmi dalla ragazza di Paul. E questo, sorpresa, era la verità!
Mentre mangiavamo avevo detto a tutti che volevo far conoscere loro una mia amica e, osservando Kit, seppi che non si ricordava di avermi già visto, quindi era improbabile che mi associasse a Ale. Ci saremmo viste al Nice, un locale che mi aveva fatto conoscere Ale e che a lei piaceva molto. La musica alta e le luci intermittenti avrebbero in ogni modo potuto giocare a mio favore, impedendole di fare commenti a riguardo dei ragazzi!
Destino voleva che Charlie avesse il suo giorno libero proprio la data dell’incontro. Iniziavo a essere loro amica, ma con la ragazza avevo stretto un legame più profondo di semplice coinquilina.
Stavo lavando i piatti sul lavandino, passandoli proprio a lei perché li asciugasse. «Da quanto conosci la tua amica?»
   «Ale? Da un sacco. Andavamo alla scuola materna quando abbiamo fatto amicizia. Veniamo dallo stesso paese e abitiamo a una decina di minuti l’una dall’altra. È stata la prima del mio gruppo di amici ad andarsene da casa. Sai, fa la fotografa.»
   «Fotografa? Di cosa?»
   «Al principio per ogni tipo di giornale. Ogni tanto compariva il suo nome sotto anche alle testate nazionali, come quando c’è stato quella manifestazione alla metropolitana. Ecco, lei ha scattato qualche foto e le ha vendute a un giornale. Poi l’hanno assunta per fare la fotografa per una compagnia. Va alle sfilate, fa le foto delle pubblicità e robe del genere.»
Charlie stava strofinando uno stesso piatto con il canovaccio umido, con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente aperta. Le ficcai il secondo piatto in mano, e quello parve risvegliarla un pochino. «Wow. È una fotografa professionista!»
   «Lei continua a dire che è sotto contratto e la stanno ancora addestrando, quindi evita di dirglielo. È molto suscettibile quando si parla del lavoro.»
Il telefono sul tavolo suonò, facendoci sobbalzare. Mi asciugai le mani ancora insaponate, saltellando su un piede e l’altro come se quello potesse velocizzare l’atto. «Pronto.»
   «Hei, Robin …. Scusa!!!»
Mi mordicchiai le labbra, appoggiandomi con il sedere al tavolo. Charlie continuava a scrutarmi, come se per me il telefono fosse diventato un terribile nemico. Sospirai piano, scotendo la testa. Charlie appoggiò il piatto. Bisbigliai. «Non puoi venire.»
Dall’altra parte sentivo il rumore di passi frettolosi: Ale doveva essere in movimento. «Mi hanno incastrato con un nuovo servizio. Credimi, era del tutto inaspettato. Forse riesco a liberarmi, per una certa ora, ma non garantisco niente.»
   «Sì, non ti preoccupare.» Mentii sfacciatamente. Ero delusa. Non le avevo detto espressamente che ci tenevo, però … era in qualche modo importante. Ale aveva da sempre fatto parte della mia vita e ora a lei si stavano aggiungendo altre persone. Volevo che si conoscessero. «Non ti preoccupare, il lavoro viene prima di tutto. Ci troveremo insieme un’altra volta.»
   «Contaci. Saluta le ragazze da parte mia e dì loro che mi dispiace. Devo scappare. Ci sentiamo.»
   «Sì, ciao.» Riattaccai il telefono, guardandolo truce. «Ale deve lavorare stasera e non sa se si libera. Ha detto che le dispiace e che ci troveremo insieme un’altra volta.»
Charlie appoggiò lo straccio sulla ventosa attaccata alla parete di ceramica, annendo un poco. «Ne vuoi parlare? Sembra che questo incontro fosse per te molto importante.»
   «No, è solo … solo che voi, ecco …»
La ragazza mi sorrise incoraggiante. «Noi siamo i tuoi primi amici da quando ti sei lasciata con il tuo ragazzo?» La fissai, sillabando la parola amici piano, come se fosse un qualcosa non del tutto certo. «Sì, amici, Robin. Dobbiamo dare il nome giusto alle cose. Possiamo non conoscerti da tanto, ma ormai noi siamo amici. Anzi, siamo una famiglia.»
Indicò le frigole. Da quando erano state attaccate, Kit e Sam avevano tentato due volte di toglierle e ora giacevano di nuovo al loro posto, un po’ più vissute del normale. Il bordo riattaccato più volte era stato sistemato con uno skotch, una macchia di caffè sostava tra la regola 4 e 5 come un monito. Abbozzai un sorriso, mentre la mia nuova e meritata amica continuava. «Sai che ti dico? Noi al Nice ci andiamo lo stesso. È la mia serata libera e non ho proprio l’intenzione di passarla a casa. E i ragazzi verranno con noi. In fondo siamo delle indifese donzelle che hanno bisogno di due prodi cavalieri.»
Feci una faccia strana, probabilmente al pensiero dei ragazzi con una divisa militare medievale. Se Kit, nella mia mente, poteva anche essere un prode amazzadraghi, dall’altra parte Sam stonava parecchio. Lo avrei visto più a suo agio con una divisa di Star Trek!
Alle 22:00 eravamo al Nice. Il locale era un discopub, con la musica alta e le luci soffuse. Aveva la particolarità di avere tutta la mobilia e le pareti che andavano dall’azzurro al bianco, così da sembrare di essere immersi in una grotta in Antartide. Come ricordavo da precedenti esperienze, c’era un sacco di gente e fui allontanata dal gruppo da un’onda di persone. Una mano mi trasse in salvo, facendomi avvicinare a lui. Sam scosse la testa piano, usando il suo corpo come scudo per impedire di essere allontanati di nuovo. La sua mano era un po’ sudaticcia e mi stringeva forte. Una persona che ebbe l’ardire di volerci dividere fu letteralmente obbligata a fare una capriola su di noi.
Sam mi appoggiò una mano sulla spalla, mentre Charlie urlava. «Vado a prendere da bere!»
Kit scosse la testa, confuso, così da obbligare la ragazza a imitare la bevuta di un drink. Prima di andare ci fissò un attimo, scotendo la testa. Di sicuro avrebbe voluto chiederci cosa volevamo bere, ma non era il caso di dilungarci in conversazioni troppo complicate. Kit si rivolse a me e a Sam, ma se il ragazzo capì, io brancolavo in un luogo di urla e di chiasso. Sapevo solo che nella domanda doveva esserci qualche riferimento a Kit che si allontanava, lasciandoci da soli.
Guardai Sam e la mia tacita domanda si doveva leggere negli occhi, perché mi sorrise, appoggiandomi la mano sulla testa. Un’altra onda di persone che volevano andare sulla pista da ballo ci travolse e io fui sollevata e portata in salvo. Sam mi cinse i fianchi, guidandomi lungo un percorso tortuoso dove rischiai più di qualche volta di essere atterrata da qualche gomitata di persone agitate. Finalmente vidi dove stavamo puntando. Kit, facendosi largo tra la folla, ci faceva cenno con le braccia di raggiungerlo. Vidi i capelli neri di Charlie illuminarsi con le luci psichedeliche e dirigersi verso il biondo adone.
Arrivati, mi accorsi che Kit aveva preso un privè. Non era la prima volta che andavo in quel locale e non avevo mai saputo che esistevano lì dentro luoghi del genere! Seconda, ma non meno importante: come diavolo aveva fatto a prenderne uno solo per noi?
Entrammo, chiudendoci le porte di vetro alle spalle. Il rumore, il caos, la folla, la musica e tutto quello che non era dentro ai tre muri di cemento e allo specchio di vetro rimase fuori. Magicamente, le mie orecchie sentirono qualcosa di diverso dalla musica sparata a tutto volume. Certo, al momento era un semplice brusio, ma contavo in qualcosa di più profondo e interessante.
Sam si sedette in una poltroncina dello stesso colore del ghiaccio. Indossava dei semplici jeans e una maglietta, in aperta opposizione a Kit che aveva una camicia stretta cui i muscoli ne uscivano decisamente strizzati, e dei pantaloni neri aderenti, che lasciavano poco o niente all’immaginazione. Charlie si sedette vicino a Kit, lasciando a me la poltroncina di fronte a Sam e vicino alla porta. Mi sorpresi di lei: era riuscita a trasportare per tutto il locale affollato quattro birre medie, senza versarne una goccia. Me ne porse una, accavvallando le gambe e osservando con occhi da fiera come Sam si prendesse quella che ne aveva di più.
   «Sei il solito ingordo.» Rimbeccò acida, parlando più forte del normale.
Sam, di risposta, alzò una spalla. «Io reggo l’alcol, tu no.»
Sorseggiai la birra. Mi sentivo come un animale allo zoo. Le persone fuori parlavano; alcune, a dire la verità molto maleducate, ci additavano, altre ci salutavano con la mano. Una cosa, però, era certa: si sarebbero ricordati di noi. Mi girai a fissare Kit, curiosa. «Così, tanto per sapere: come sei riuscito a ottenere questo?»
   «Con i soldi si ottiene tutto.» Rise alla mia faccia sbigottita. «Scherzo. Non è la prima volta che vengo al Nice e ho un amico che mi doveva un favore.»
Che razza di favore gli doveva? Ero l’unica che otteneva, come massimo ringraziamento, un abbraccio o al massimo una tazza di caffè? I miei amici, adesso ne avevo conferma, erano tutti tirchi. Fissai Sam, che alzò le sopracciaglia. Ero certa che anche lui non avesse amici che gli dovevano favori così cospicui.
 La mia borsa vibrò appena. Estrassi il cellulare, vedendo che Ale aveva cercato di mettersi in contatto con me ma, causa poca linea, non ce l’aveva fatta. In effetti, il cellulare dava e perdeva il segnale con particolare facilità. Scrissi a Ale che c’era poca linea perché eravamo al Nice ed eravamo in un privè. Le feci una faccina felice, per farle capire che non ce l’avevo con lei e che al tempo stesso mi stavo divertendo. Provai a inviarglielo, appoggiando il cellulare al mio seno. Guardai la linea pian piano farsi più sicura, mentre la mia io interiore esultava.
   «Che cosa stai facendo?»
Guardai Sam, che mi fissava con la fronte corrucciata. Abbassai la mia attenzione, vedendo il confortante “Messaggio inviato” che segnava un punto a mio favore. Infilai il cellulare in tasca. «Stavo inviando un messaggino a Ale.»
   «Hai uno strano modo di inviare i messaggi.»
Scossi la testa. «Ma no! Quando c’è poca linea mi è stato detto che basta appoggiare il cellulare al seno, e magicamente si prende la linea. Credo sia perché il seno è un ottimo ricevitore. O perché alcuni reggiseni hanno il ferretto.»
Kit ebbe l’impellente desiderio di appoggiare la birra al tavolino, mentre Charlie prese il suo cellulare per vedere se valeva la stessa cosa. Sam, dall’altra parte del tavolo, scuoteva la testa. Sospirò. «Di certo con te non ci annoieremo mai eh, Baby?»
Alzai le spalle con un gesto non compromettente, sentendo infine Charlie biascicare piano. «No, non funziona con me.»
Sam e Kit ridacchiarono allo stesso momento, mentre io accavvallavo le gambe e sorseggiavo un altro po’ di birra. Sentivamo appena i rumori fuori di noi, come se fossimo rinchiusi dentro un guscio fatto di sola aria. Dopo un po’ di silenzio, Charlie iniziò a citare una serie di anedotti che mi strapparono qualche risata. Conosceva Kit da sempre, o almeno da quando lei si era trasferita nella scuola del ragazzo. Ammise, snobbando le continue suppliche di Kit, che al principio lei si era avvicinata a lui per dichiarargli il suo amore ma, conosciuto meglio, aveva alzato bandiera bianca e lo aveva adottato come amico. Mentre parlava lanciai uno sguardo a Sam, che aveva appoggiato la testa sulla mano e un sorriso triste gli solcava il viso. Charlie mi aveva detto che la prima volta che si erano incontrati, lui era insieme a Jodie.
Sam si accorse del mio sguardo, obbligandomi a distogliere l’attenzione all’istante. Dalla marea di gente vidi piano formarsi la figura di Ale. Alzò un braccio in mia direzione e, incurante di trovarmi al centro dell’attenzione, mi alzai in piedi, urlando. «Ehi!»
Sam girò appena la testa, alzandosi in piedi per aprire la porta a Ale. La mia amica era appena uscita dal lavoro e lo si vedeva perché gli abiti, di solito impeccabili, avevano l’aria di essere stati un intera giornata sotto i riflettori. Abbracciai Ale, stringendola forte come se fosse da una vita che non ci vedessimo.
   «Quanto entusiasmo, Robin.»
Sentii la birra che mi veniva portata via dalle mani e fissai Sam perplessa, mentre chiudeva la porta con l’altra mano libera. «Basta alcol, Baby. Non ti voglio portare a casa in braccio.»
Ale si immobilizzò e, per la prima volta, appoggiò lo sguardo sui miei compagni. Prima fissò Sam, poi Charlie che felicemente si era alzata, e infine Kit, seduto sulla poltroncina a tracannare birra come se nulla fosse. Strinsi la mano alla mia amica, indicando i ragazzi. «Ale, loro sono Sam, Kit e Charlie. Loro sono i miei coinquilini.»
Ale abbozzò un sorriso e, quando mi fissò, un guizzo divertito e complice le illuminava il volto magro.
   
 
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