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Autore: Alyeska707    23/07/2016    8 recensioni
! STORIA INTERATTIVA !
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-E se il desiderio di avere degli amici, unito alla follia, deformasse la realtà? Se ragazzi tra loro diversi, all'oscuro del loro avvenire, si ritrovassero improvvisamente in un luogo sconosciuto, in cui la neve è perenne? Se, a loro insaputa, una presenza li osservasse costantemente? Decifrando il loro essere, osservando le loro esistenze... manovrandoli a suo piacimento...
Che accadrebbe?
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale
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Total Drama: The Snowfall
8. Visioni

«Duncan…» Sibilò il nome tra i denti, tenendo lo sguardo basso. «Ti ho mai parlato dei giorni?» Il punk alzò gli occhi.
«Dove vuoi arrivare, Court?» replicò in seguito con fare annoiato, una nota di irritazione nella voce.
«Sai… esiste un domani… un dopodomani… un dopo, dopodomani…»
Duncan inarcò le sopracciglia. «E allora?»
«Ma c’è anche uno ieri, e un altro ieri, e un altro, altro ieri.» La ragazza fece una pausa, vagando con gli occhi nei dintorni senza posare lo sguardo sull’altro che, appoggiato al ripiano della finestra, con una sigaretta tra le labbra, si chiedeva quando avrebbe terminato il monologo. O meglio, quando avrebbe direttamente chiuso la bocca, per passare a qualcosa di un po’ più interessante. Ma Courtney non sembrò leggere l’espressione del punk, e aggiunse: «E poi c’è l’oggi. E tutti i domani diventeranno oggi, anche se la vita potrebbe incresparsi sotto le nostre dita non rivelando più alcun domani.»
«Afferri?» chiese poi, rivolta a Duncan. E allora lo guardò negli occhi, che lasciavano trapelare ogni briciola del suo disinteresse.
«No, per niente.»
«Vedi…» continuò, avvicinandosi a lui. Gli rigirò il colletto della camicia scura e leggera, abbottonata apparentemente alla cieca, e fece scivolare la mano sul suo braccio.
«Pensavo che sentirsi soli fosse una sensazione del tutto normale, comune a chiunque.» Una risatina acuta le sfuggì dalle labbra. «Ma non è così» spiegò, guardando Duncan con l’euforia dipinta in viso.
«Sono le persone a farci sentire soli, non la loro assenza!» ridacchiò ancora, poi si voltò, lasciando il ragazzo interdetto. Lui prese la sigaretta tra le dita e la strofinò contro il muro per spegnerla, poi se la gettò alle spalle e si scostò dal ripiano.
«A cosa dobbiamo questa illuminazione, Courtney?» domandò con evidente sarcasmo.
«Alla finale consapevolezza che osservarle, le persone, senza entrarci mai direttamente in contatto, è decisamente più elettrizzante. Esilarante. E non appella mai la solitudine» rispose, seria.
«Sì» farfugliò Duncan. «È tutto follemente elettrizzante. Ora puoi dirmi per quale motivo mi hai chiamato? Nel caso ce ne sia uno, si capisce.»
Courtney si girò veloce.
«Certo che c’è un motivo, Duncan. Te l’ho appena detto.»
Duncan non riusciva a capire: qualcosa continuava a sfuggire dalla sua attenzione e non capiva di che dettaglio si trattasse.
«Mi hai fatto venire qui solo per questo?» domandò incredulo.
«Oh, no.» Courtney gli si avvicinò di nuovo e gli accarezzò il viso, facendo scorrere le dita sul contorno marcato della mascella del ragazzo. Sul volto di Duncan si aprì un ghigno, ma quello di Courtney era ancora assente, ancora altrove.
«Sai cosa pensavo?» gli chiese quindi, rialzando lo sguardo. Duncan era esasperato.
«Che?» rispose seccato, ma non riuscendo a ritrarsi dal suo tocco.
«Che i tuoi piercing sono come… come fiocchi di neve.»
Duncan alzò nuovamente gli occhi al cielo. «Ma quante espressioni poetiche. Finito, ora?»
Courtney sogghignò. «Sì» disse. «Finito

Alejandro entrò nel rifugio coi capelli bagnati, intrisi di neve ormai sciolta. Si calò in modo da passare tra le assi e, una volta dentro, rivolse un: «Che aspetti?» alquanto intimidatorio al ragazzo alle sue spalle.
«Sì, sì, resta tranquillo dai, corrucciarsi così fa venire le rughe e basta.» La sua voce era nuova, e tutti ne restarono sorpresi.
Aria non fece in tempo a mormorare: «Ma chi diamine…» che un ragazzo alto poco meno di due metri, dal fisico presente e due spalle larghe, le apparve davanti.
«E tu chi sei?» si corresse, con la voce alta per la sorpresa e forse l’ombra di un po’ di timore.
L’altro le sorrise, così, di punto in bianco, illuminato in viso.
«Damerae, Damerae Kajuskin!» si presentò, avanzando verso Aria a grandi passi per stringerle la mano. Lei strozzò un: «Ahi!» quando sentì le ossa del polso schioccare, avvolte dalla forzuta presa del nuovo ragazzo.
«No, aspetta…» intervenne Joseph, sempre deciso a voler restare al comando. «E da dove spunti tu?»
Damerae stava già per rispondere, sempre con un sorriso solare stampato in faccia, quando Alejandro lo precedette, spiegando: «L’abbiamo trovato vicino alla casa di Sanders e McArthur» disse freddo. «A proposito, abbiamo preso del cibo.» Kiro e Amira sollevarono i viveri che avevano tra le braccia, come dimostrazione delle parole dell’altro. «E, a proposito, i due corpi non ci sono più.»
«Intendi quelli…» mormorò Hayoung. Alejandro si voltò verso di lei.
«Quelli morti, sì. Proprio quelli. Volatizzati.»
«E tu perché eri lì intorno?» domandò ancora, sistemandosi gli occhiali. Poi l’attraversò un brivido e serrò i denti. «Tu…» cercò di articolare. «Tu c’entri con la loro… morte?»
Gli occhi di Damerae sembrarono uscirgli dalle orbite. «Oh, no!» si affrettò a dire.
«Assolutamente no!» ripetè, scuotendo le braccia. «Ti sembro una persona così cattiva? Capace di fare una cosa così… sì, insomma, CATTIVA?» calcò l’ultima parola, come inorridito. Poi fece un profondo respiro e si appoggiò la mano sulla fronte.
«Cattiva è un termine così cattivo… Suona anche in modo cattivo» osservò.
«Analisi interessante, davvero. Ma perché eri lì?» tagliò corto Joseph.
«Ehi, tipo» interruppe Jordan. «Non vedi che è sotto shock? Non essere cattivo, dagli un secondo.»
«Mmm!» mormorò Damerae. «Non dite più cattivo, non mi piace!»
«Ehm… okay, come preferisci» rispose Jordan, impegnandosi per trattenere una risata.
«Io ero lì perché… Perché non lo so il perché! Loro mi hanno trattato con gentilezza, dopo il mio arrivo… volevo andare a trovarle per ringraziarle di nuovo ma loro erano…» si bloccò. «No, non posso pensarci!»
«Dopo il tuo arrivo? Quando sei arrivato?» indagò Joseph.
«Non saprei… qualche giorno fa…»
«Quale?»
«Non lo so, ti ho detto! Qui tutti i giorni sono uguali ed eterni! Come faccio a tenere il conto?» Poi si tappò la bocca con le mani.
«Oh, scusa» disse. «Ho alzato la voce. Cavolo, cavolo, cavolo, per tutti i cavoli del mondo e dell’universo, scusami! Non volevo, sono una persona molto gentile, io.»
Joseph lo guardò con astio. «Mh sì, sì... Scuse accettate, sta' tranquillo…»
«Oh, grazie!» esclamò, e stritolò l’altro ragazzo in un abbraccio.

«Ehm… sono l’unico a pensare che sia uno strano tipo?» bisbigliò Loup, tenendosi una mano davanti alla bocca, alzatosi in punta di piedi per raggiungere l’altezza di Jordan, che si alzò gli occhiali, sistemandoseli tra i capelli.
«Direi… no, proprio no. Almeno è strano senza essere una minaccia.» Il ragazzo strizzò gli occhi in direzione di Damerae, anzi, sui capelli di Damerae. Definirli esuberanti sarebbe stato un eufemismo, pensò Jordan; erano raccolti in tante treccine che, dalla testa, gli sfioravano le spalle, assumendo sulle punte una tenue sfumatura di rosa, che contrastava nettamente col nero naturale, e anche con la pelle scura del ragazzo. Abbassando lo sguardo, incontrò la sua maglietta. E qui si concentrò la sua attenzione.
«Senti, tipo…»
«Chiamami Damerae!» lo interruppe, rivolgendogli un sorriso tutto denti.
«Damerae… sai che quello che c’è scritto sulla tua maglia non ha senso, vero?» Jordan inarcò le sopracciglio, seguendo lo sguardo dell’altro che, interdetto, si abbassò sull’indumento indossato.
«Oh, sì» disse, ridacchiando. Prese due lembi della maglietta tra pollice e indice, in modo da distendere il tessuto, e lesse ad alta voce: «I love Jamaica!»
«La pronuncia è quella, ma…»
«Oh, sì, so anche questo!» l’interruppe di nuovo, e Jordan alzò gli occhi al cielo, prima di riabbassarsi gli occhiali sul viso. C’era da perdere ogni speranza. Sì, perché effettivamente sulla sua maglia c’era scritto “y love Giamaica”, il chè risultava… strano, agli occhi di Jordan. Ai suoi, perché gli altri non se n’erano ancora accorti. Ancora.
«È la mamma» cominciò a spiegare Damerae. «Lei mi ha fatto questa maglietta, è la mia preferita! Solo che… bè, lei si è impegnata… ma la nostra è una famiglia povera, non ha mai ricevuto un’istruzione adeguata. E l’ha scritto sbagliato. Però io la metto lo stesso, è bella, mi fa sentire a casa.»
«In Jamaica?» domandò con perplessità Loup.
«Sì, esatto! Ci sono nato, lì. Cresciuto… Poi ho avuto quest’opportunità, di venire qui, a Edimburgo, a studiare» continuò.
Loup corrucciò la fronte. «Ma non avevi detto che– »
«Borsa di studio» tagliò corto Damerae.
«Ah» fece l’altro, che faticava a pensare il ragazzone-pieno-di-voglia-di-vivere un genio da borsa di studio. Cioè, era pazzesco! Continuava a sorridere e non erano sorrisi di disagio, imbarazzo o circostanza. Erano sorrisi che sapevano di sorrisi, di felicità, di «Sono puro da ogni pensiero negativo», che era già difficile per una persona dalla vita normale, e che diventava decisamente troppo difficile per una persona normale intrappolata in una situazione per niente normale. E questo è esattamente il pensiero non-ottimistico che non avrebbe mai sfiorato Damerae, ma che si era appena annidato nella testa di Amira; non si spiegava come facesse. Era convinta che dovesse per forza nascondere qualcosa, non vedeva alternative. Ma lui non vacillava, non aveva momenti di indugio. E anche Amira si ritrovò a pensare che quel suo comportamento fosse scritto nel suo DNA. Anche Kiro era una persona fredda, come Amira, ma non si lasciò scomporre da dubbi sul nuovo arrivato. Non gliene importava granché, era solo un altro che si sarebbe aggiunto al gruppo, un altro alla ricerca della vita, di una via d’uscita. C’era solo una domanda che gli turbinava in testa: perché lui, così diverso da tutti loro, era lì? Certo, non avrebbe mai speso fiato e tempo per chiederlo ad alta voce. Cercò Hayoung con lo sguardo, l’unica che era riuscito a conoscere e che non aveva respinto, che era abbastanza sveglia e intelligente per capire le cose senza indagarle. Dopo averla vista le si avvicinò le disse un: «Ciao» a bassa voce. Ne sentì appena la risposta, prima di aggiungere: «Sai perché lui è qui?» in un sussurro.
La ragazza si prese qualche secondo per pensarci su.
«Perché Alejandro e gli altri lo hanno trovato vicino all’abitazione delle due» rispose, in un altro sussurro.
«Non intendevo quello» ribatté l’altro. «Insomma» continuò. «Fino al minuto prima del suo arrivo ero convinto che quella Courtney, o chi per lei, ci avesse rinchiusi qui con la magia nera… per esempio, perché nessuno di noi meritava di vivere come d’abitudine, perché non sapevamo coglierne il senso.»
Hayoung arricciò le labbra. «Io sapevo coglierne il senso» replicò indispettita.
«Vivendo per trovare ed uccidere un killer?»
«È un valido obiettivo» rispose, incrociando le braccia sul petto.
«Bè, anch’io ero convinto di saper vivere la mia vita, anche per merito delle conoscenze magiche, ma mi sono convinto non fosse così… ma adesso devo ricredermi ancora, adesso che questo Damerae è arrivato… lui sembra troppo a posto per non saper vivere la sua vita.»
La ragazza si rigirò verso di lui, puntandogli contro tutta la soggezione che i suoi occhi a mandorla erano capaci di trasmettere, e chiese: «Kiro… vedevi horror, non è vero?»
Lui annuì leggermente.
«E dimmi… quale hai visto più di recente?»
«Uno in cui… non ricordo il titolo ma… due uomini si trovavano incatenati una stanza, con un corpo morto nel centro, e… ed erano stati portati lì dall’enigmista che li aveva scelti perché vivevano male la loro vita.»
Hayoung alzò gli occhi. «Come pensavo» farfugliò. Poi, diretta a Damerae, disse: «Scusa, tu ricordi come sei arrivato?» ma si guadagnò solo un’occhiata sconsolata e un lento no del capo.
«Capisco» mormorò. Era la prima volta che trovare incognite le risultava tanto difficile.

Jordan sentiva troppa innocente desolazione circondarlo. Niente scleri? Niente «Io so tutto, anche quello che pensi»? Il ragazzo si voltò di scatto, come se fosse stato appena punto. Dov’era Cerise? Fece scivolare lo sguardo su ogni presente all’interno della grande stanza, ogni angolo, ma lei non era lì. Contrasse la mascella e uscì veloce, senza dare spiegazioni, lasciando Loup da solo, prima al suo fianco, con le braccia conserte e l’espressione intangibile. Jordan ripercorse il contorno del rifugio mentre i suoi passi sprofondavano nella neve. Gli sembrò di intravedere una sagoma e si avvicinò senza proferire parola. Fece qualche metro, prima di accorgersi che le sagome erano due. Strinse gli occhi e li riconobbe.
«Ehi!» gridò, attirando l’attenzione degli altri due. «Si può sapere che cazzo state facendo?»
Vladimir si ritrasse da Ashling appena riconosciuto Jordan, e lei sentì improvvisamente più freddo, ma non espresse il suo disappunto.
«Dovrebbe fregartene?» fece Vladimir, accorciando la distanza che c’era tra loro e Jordan, in modo da sentire più chiaramente le sue parole. Il ragazzo sbuffò.
«Cazzo, Vladimir. No, non me ne frega assolutamente niente, ma se il vostro sbaciucchiamento dovesse trasformarsi in disprezzo reciproco – cosa molto, molto probabile in storielle casuali come questa – il fatto potrebbe avere ripercussioni su tutto il gruppo. Dividerci. Ne vale la pena?»
Il biondo diede un’occhiata veloce ad Ashling, alle sue spalle. Poi alzò gli occhi al cielo.
«Beh, non hai da preoccuparti. Non c’è nessuna storiella qui.»
Jordan lo squadrò. «Sembrava che aveste colla al posto della saliva. Dici che mi sono immaginato tutto?»
Vladimir scrollò le spalle.
«No» affermò schietto. «Ma questo non vuol dire che ci sia altro dietro.» L’altro ragazzo ridacchiò. «Bene» pensò. «Un altro della mia stessa razza.» Invece Ashling si limitò a deglutire, per poi girarsi e tornare verso la stanza del falò, strizzando gli occhi per ricordarsi che poteva ancora essere forte, che doveva restarlo.
«Un’ultima cosa» disse Jordan, facendo arrestare i passi di Vladimir. «Hai visto Cerise?»
Il ragazzo rise e dopo rivolse all’altro un ghigno divertito.
«E poi vieni a parlarmi di storielle?» fece. «Comunque no, non l’ho vista.» E riprese a camminare.
Jordan sentì un peso al petto. Non tanto perché era Cerise a mancare, ma perché una persona mancava. Erano in un luogo di morte e una ragazza mancava all’appello. E meno erano loro, meno possibilità aveva di restare in vita.
«Cristo» imprecò, cercando di muovere altri passi nella neve alta senza affondare.
«Jordan» Lui si girò di scatto. Era una ragazza che non aveva mai visto, quella che aveva davanti. E gli stava sorridendo fintamente apprensiva: lui capiva quando la gente era falsa. E lei sapeva di falsità, fino alla punta di quei suoi capelli castani.
«Oh, perfetto» disse tra sé. «E tu da dov’è che spunti?»
L’altra sgranò gli occhi, di un marrone scuro, quasi nero. Adesso era fintamente amareggiata.
«Ma io non sono come tutti gli altri, Jordan» cercò di spiegargli scuotendo la testa.
«Ah sì?» fece lui.
«Sì» ripetè la ragazza, accompagnando l’affermazione con un gesto del capo.
«Bene. E quale sarebbe il tuo nome, tipa non-come-gli-altri?»
Sogghignò, e a ogni lettera pronunciata, gli occhi di Jordan si spalancavano sempre più.
«Courtn-»
«JORDAN! E SVEGLIATI, IDIOTA!»
Scosse la testa. «C-Courtney» disse. Le mani gli tremavano ancora. Le nascose sotto la neve.
«Ma che stai dicendo?» Incrociò lo sguardo della persona che aveva di fronte.
«Cerise?»
Sì, era Cerise. E sbuffò. «Ho visto Vladimir e mi ha detto che mi stavi cercando. Quindi? Cosa c’è di tanto importante?»
«Ah» mormorò il ragazzo, ancora stordito. «No, niente. Credevo fossi morta. Non sentire la tua voce per troppo tempo è asfissiante quasi quanto sentirla.» Le rivolse un ghigno sghembo. Lei improvvisò una risatina troppo acuta per essere autentica.
«Oh, non preoccuparti per me» disse. «Ti prometto che sarò l’ultima di noi due a morire.»

«Allora?»
Aria grugnì. «Che vuoi, William?»
«Gliel’hai chiesto? O te la sei fatta sotto perché sai che ho ragione?»
«Tu non hai ragione» chiarì subito la ragazza.
«Bene» continuò il ragazzo, strofinandosi le mani. «Guarda, Aiden è esattamente lì.» Lo indicò. «Se sei così convinta che sia in torto, perché non glielo domandi ora? Scommetto una mia porzione della cena di stasera che ha la ragazza.»
Aria si girò verso di lui. «Okay. Scommettiamo.» Detto questo si alzò e avanzò a passo deciso e pugni serrati verso Aiden.
«Ehi, Aiden!» lo salutò.
«Aria, ciao. Ti avevo persa di vista.»
La ragazza passò il peso da un piede all’altro. «Sì, anche io.» Lui sorrise e riportò l’attenzione verso il discorso centrale che vedeva ancora Damerae come protagonista. Aria non voleva disturbarlo dall’ascoltare, ma quando incrociò lo sguardo divertito di William, già con la vittoria dipinta in faccia, si schiarì la voce.
«Senti… posso farti una domanda? Siamo in confidenza, no?»
Lui la guardò, non capendo. «Sì, sì... certo.»
«Bene…» farfugliò Aria. Poi sollevò la testa. «Tu ce l’hai, la ragazza?»
A lui venne da ridere, ma si ricompose in breve. «Sì, perché questa domanda?» Ma le orecchie di Aria si erano già tappate.
«Si chiama… Georgia?»
«Esatto! L’hai supposto dal mio tatuaggio? Dio, sei sveglia, Aria!»
Cercò di nascondere la delusione sotto una risatina. «Eh sì… proprio così. Adesso vado… a… sedermi.» E tornò dov’era prima, senza ascoltare la risposta di Aiden.
«Quindi ho vinto?»
«No.»
«Oh, ma la tua faccia dice il contrario. Non ti hanno detto che non si dicono le bugie, Barbie
Aria si posò le mani sulle tempie. «Senti… smettila. E non chiamarmi così.»
William si appoggiò al muro. «Già, come pensavo. È impegnato.»
Aria non disse niente.
«Oh, ti attraeva proprio tanto, eh? Bè, mi dispiace. No, in realtà no. Però dato che ti vedo così… depressa? Sì, depressa… sono disposto a sciogliere la scommessa. Tanto ho già avuto quel che volevo.»
Non ribatté.
William si alzò e rise sgarbato. «Mi fai davvero pena» Si allontanò.
E Aria non glielo impedì.
 

Ho mantenuto la promessa, ce l’ho fatta ed eccomi quiii ! Dai, ci sta come capitolo, mi sono impegnata, e poi boh, Whisper degli Evanescence mi ha moltomoltomolto aiutata *.* (ascoltatela!) E altra cosa: auguri a Anonimo The Assassin (in ritardo, come di consuetudine ma yep, ci sono!) *palloncini che volano*
E poi nulla, ci sentiamo al prossimo capitolo (quindi presto, se riuscirò a caricarlo, il che suona difficile T.T ma non impossibile ^^) e recensite! (potrei metterci un pochino a rispondere – no connesione, ripeto – ma appena mi sarà possibile lo farò!)
A pplesto

Alyeska707
(e sì, ogni riferimento alle parole di Alejandro a Courtney nella puntata in Australia del Tour è totalmeeeeeente casuale nel discorso Courtney-Duncan della prima parte. Convincente? Io dico di no.)
(e che fine farà Duncan? Quel perfetto personaggio amatissimo nel Tour (con Gwen *.*) e resostramalemalissimo in All Stars? IO LO SO!)
(e sì, il film horror di cui Kiro parla ad Hayoung è Saw, che è mhh sì, la versione cinematografica di Courtney ^^)
(e ancora sì, si è aggiunto un OC! ^^ Non ve lo aspettavate nè?)
(adesso ho davvero finito <3 )
   
 
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