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Autore: lilly81    23/04/2009    11 recensioni
Brevi ed intensi racconti, capsule da mandare giù tutte d’un fiato, per narrare momenti qualunque della convivenza tra Bulma ed il principe dei saiyan. NUOVI AGGIORNAMENTI!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Convivendo in… capsule”

“Convivendo in capsule”

 

Episodio X

 

 

 

Ci sono battaglie e battaglie, nemici e nemici.

Nella maggior parte dei casi, osservarli nel momento umiliante del trapasso era una perdita di tempo quanto assistere all’agonia di un insetto strisciante il quale, annusato il veleno ai margini della fogna, si contorce su stesso negli ultimi spasmi della sua ributtante esistenza, ma c’erano volte, quando valeva veramente la pena di fermarsi a guardarli prima di sopprimerli una volta per tutte, perché magari lo esigeva il loro nome altolocato o la fatica della battaglia stessa, in cui il principe dei saiyan era pervaso da un godimento così degenerato che rapportato ad una scala di valori sarebbe stato lo stesso di quello di un figlio che assiste soddisfatto al massacro del proprio padre.

La piega delle labbra si tirava a sinistra, laddove in condizioni normali restava un piccolo solco ormai scavato da un cronico sadismo, e in un meccanismo del tutto naturale ed ormai consolidato le braccia si incrociavano sul petto a contenerne la presunzione, tanto debordante questa era che, senza sollevare un altro dito, sarebbe bastata da sola a sancire la vittoria.

In quella posa restò a guardare la donna legata su una sedia, col capo reclinato e la bocca chiusa dal nastro adesivo che recava in sequenza il marchio in rosso della Capsule Corporation.

La corda le aveva reso le caviglie violacee ed il petto esuberante e generoso era compresso tra i lacci con un senso di asmatica oppressione.

Il ventilatore rimasto azionato sul soffitto del laboratorio le scompigliava la frangetta e raggelava il sudore sottostante ad ogni vorticata.

Con un piede Vegeta calpestò i frantumi di un vetro ed uno scatto a destra degli occhi anticipò la caduta di un barattolo di birra rimasto in bilico sulla scrivania.

Il rumore metallico fece sbarrare gli occhi inorriditi della donna e Bulma, ritornata in sé, osservò Vegeta per un solo istante prima di riprendere a torcersi sulla sedia come un pesce si dimena sul fondo di una barca.

L’alieno restò in quella posa imperturbabile, ma la paura della donna ed il suo dimenarsi vano alimentò la luce perversa del suo sguardo.

Vedere il nemico ridotto in quelle condizioni, a quel punto della battaglia, lo rendeva ebbro quanto tracannare un buon calice di vino invecchiato, ma questa volta aveva un retrogusto inspiegabilmente ancora più esaltante, poiché era sì una donna senza potenziale combattivo, ma con la forza nella lingua, più che sufficiente ad accanirlo allo scontro verbale, e nell’abbondanza dei suoi seni, capaci di stordire da un po’ di tempo pure la sua tempra che egli pensava impassibile a certi richiami.

Queste erano armi più raffinate di quelle di qualsiasi altro nemico: a volte ne usciva perdente senza neanche essere sfiorato e quell’ignoto lo turbava come uno spettro vagante dietro la sua schiena, che non si materializza, ma si fa sentire e ossessiona.

Era quello che meritava e forse non era neanche abbastanza, pensò mentre la squadrava dall’alto:

“E’ tutto inutile, ti conviene stare buona…” insinuò velenoso.

Bulma emise dei gemiti indecifrabili, intanto che scuoteva il capo e trovava chissà dove la forza per smuovere la sedia e guadagnare qualche passo, giusto per approssimarsi pericolosamente soltanto al suo interlocutore, il quale scoppiò in una risata paralizzante nel vederla finire a terra proprio innanzi ai suoi piedi regali, impedita come una tartaruga sul dorso, devota come una schiava.

La donna riprese i suoi mugugni, ancora più incomprensibili e deformati dal dolore alla spalla e all’anca, e a strattonare le corde, ma gli occhi azzurri, rinnovati da una nuova rabbia, lasciarono intendere che in corpo aveva ancora dignità da vendere seppure così ridotta rendesse soltanto l’idea di una mummia egiziana non classificabile o di un salame caduto dal chiodo arrugginito e scorticato da un topo.

Forse fu per quell’orgoglio ferito che vibrò tra le funi come i sonagli di un serpente, che Vegeta si accovacciò accanto, le porse un altro sorriso impostore, che ebbe il potere come tutte le volte di lasciarla interdetta per una manciata di secondi, proprio come un pugno di riso in bianco imbroglia uno stomaco affamato. Le portò una mano guantata sul volto con un tocco platealmente gentile e, mentre indugiava le dita sulla sua pelle liscia ma provata, le strappò con un colpo deciso l’adesivo dalla bocca.

La sensazione di Bulma fu quella di un volto interamente sbrindellato e dovette osservare il nastro caduto a terra per assicurarsi che non ci fosse rimasto appiccicato altro oltre  il grumo di sangue formato frattanto sulla labbra e ritornato a sanguinare.

Vegeta si era già rialzato in piedi quando lei gli urlò contro:

“Adesso ne ho abbastanza! Ti decidi o no a liberarmi?!

“Chiunque ti ha conciato così non ha compiuto neanche un terzo del suo dovere, ciò nonostante potrei anche essergli riconoscente se ha trovato il modo di zittirti per una buona mezz’ora di tempo…

Mezz’ora un corno! Sono qui da ieri sera!”

“Allora gli sarò ancora più riconoscente…” fece untuoso prima di tornare ad indurire la mascella.

Stava completando i suoi lavori, quando un rumore di vetri infranti aveva anticipato l’ingresso di due balordi, i quali dopo averla invano minacciata con una pistola per farsi dare le chiavi del prototipo di jet da poco ultimato esibito in giardino, l’avevano legata, si erano presi pure la briga di scolarsi una lattina di birra frattanto che lei si decidesse a collaborare, erano riusciti a sapere dove erano custodite le chiavi solo dopo averla schiaffeggiata talmente forte da farle uscire il sangue dalle labbra.

Aveva continuato ad urlare il nome di Vegeta fino a quando non era stata imbavagliata dal nastro adesivo.

“Quel prototipo era importante!” spiegò la donna “di certo il loro intento è quello di chiedere un riscatto, non è la prima volta che succede, maledetti!” il pensiero che suo padre non si fosse adoperato abbastanza per prendere le dovute precauzioni le avrebbe fatto dimenticare per un istante la posizione in cui giaceva se non fosse stato per il formicolio insopportabile risvegliatosi alle caviglie e ai polsi.

“Allora, non ti sei divertito forse abbastanza?” si ridestò pure la sua lingua intorpidita “liberami!”.

Pensò che stesse per ricevere il colpo di grazia allorquando lo vide sollevare il famigerato indice e tenderlo nella sua direzione, ma ad un tratto sentì la pressione delle corde allentarsi intorno ai muscoli e sotto al naso l’odore del bruciato.

Sperare altro da lui era come illudersi di ricevere la carità da un altro mendicante, perciò dovette fare presa sulle braccia e sollevarsi da sola con fatica, massaggiare i polsi indolenziti e rivitalizzare la spina dorsale con piccoli movimenti del busto.

Col dorso della mano scoprì il labbro insanguinato ed innanzi a quel colore tutta la tensione in corpo prese a sciogliersi ed allora scoppiò a piangere innanzi all’insensibile principe dei saiyan, il quale non mosse un muscolo a parte l’ impercettibile movimento della nuca all’indietro che gli servì per esaminare più a fondo quella reazione o forse per gettare più distanza tra loro.

“Non puoi immaginare quanta paura abbia avuto, ho gridato il tuo nome non una ma molte volte” era certa che sarebbe venuto anche solo per la curiosità di conoscere la ragione dei suoi strepiti e per questo in un primo momento si era mostrata ai due criminali disinvolta “ti rendi conto cosa avrebbero potuto farmi? Perché non sei accorso? Se tu fossi venuto non solo non avrei perso un progetto importante sul quale ho lavorato per mesi, ma mi sarei risparmiata questa paura! Non penso di potermi più permettere simili colpi!” si sostenne la fronte con gravità rendendosi solo ora conto del rischio corso e di aver commesso lo stesso errore di chi confida nella solidità della sabbia.

Vegeta aveva pensato che le urla di quella terrestre fossero solo l’eco di un incubo dai contorni indefiniti: se si era imbattuto in lei alle prime luci dell’alba, era stato solo perché si era recato in laboratorio per attivare il generatore del trainer gravitazionale.

“Pensi forse che io sia il cane da guardia di questa casa?” fece indignato.

Bulma tornò ad osservarlo con ovvietà:

“E’ da alcuni mesi che vivi in questa casa, è il minimo che tu possa fare anche solo per ringraziamento!”.

L’immediatezza di quella risposta ebbe il potere distruttivo di renderlo ancor più indisposto:

“Ringraziamento per cosa? Sei tu e tutta la tua razza che dovete essermi grati per avervi risparmiato!”.

Vegeta era un motore ormai prossimo a partire, ma Bulma non aveva voglia di farsi investire dal solito ritornello, aveva addosso una delle notti più terribili che le fossero capitate dopo Namecc, il labbro che non smetteva di sanguinare, la schiena a pezzi, una mascella illividita, come non bastasse aveva urgenza di andare al bagno, perciò si mosse per oltrepassarlo, ma raggiunta la sua altezza l’uomo le sbarrò inaspettatamente il passo, non che al guerriero interessasse incrementare l’alterco con quella donna, considerato che solitamente era lui quello che si prendeva la soddisfazione di girare i tacchi, né il suo orgoglio fu ferito dall’indifferenza con cui venne questa volta liquidato, ma i conti non gli tornavano, qualcosa doveva essergli evidentemente sfuggito di mano, era come se lo spettro vagante alle sue spalle insistesse a prendere una volta per tutte sostanza:

“Tu devi essere semplicemente matta” le comunicò con una vibrazione oramai farneticante che ella non afferrò al volo.

“Di cosa stai parlando?” lo vide muoversi ed agguantare con rabbia le corde che aveva reciso.

Fece un passo indietro allarmata, neanche tanto per il gesto ma in quanto scorse nei suoi occhi una rabbia più furibonda e più sottile del normale.

“Hai paura di due ladruncoli che hanno bisogno di queste per tenerti a bada” le spezzò come fossero state un rotolo di carta assorbente “che per entrare in casa hanno bisogno di un martello per rompere il vetro” sollevò un braccio mentre camminò aggressivo alla sua volta e, come se scacciasse una mosca, disintegrò una parete laterale che crollò rovinosamente al suolo “e non temi me, anzi, addirittura invochi il mio nome?”.

Bulma ebbe la percezione di non essere mai stata guardata da Vegeta con tanta ossessione, che mai nessuno fosse riuscito come lui in quell’istante a scandagliare il suo intimo, forse per incapacità o disinteresse a farlo.

“Cosa c’è? Ad un tratto non hai più il coraggio di guardarmi? Per sottometterti devo ricordarti di continuo io chi sono?”

“Io non ho più paura di te da molto tempo ormai…” riuscì a sollevare gli occhi e ad inchiodarglieli in faccia con un colpo deciso.

Non fu fierezza ciò che plasmò ciascuna di quelle sillabe, ma una verità più imbarazzante, torturante come un’inguaribile infermità, avvolgente come il fuoco di un camino, appagante come una morte lenta e sospirata: in quel sentimento Bulma annegava con la consapevolezza di una suicida.

“Fai male ad invocare il mio nome! Io, che ho ucciso anche chi mi tendeva la mano...” l’afferrò brutalmente per le spalle e la scosse a più riprese “non lo sai che mi basterebbe stringere solo di più le dita per ridurti in polvere?” si sentiva dio quando poteva decidere della vita o della morte altrui.

L’osservò compiaciuto con la mascella serrata, i suoi occhi passarono in rassegna ogni tratto di quel viso stravolto, l’esaltazione si mescolò con un desiderio oscuro, che non sapeva bene cosa fosse ma in quel momento gli piaceva, gli fermentava sotto la lingua l’istinto di assalire quelle labbra tumide e lucide di sangue, di spingerla ancora di più contro di sé.

“Vedo che stai tremando” Bulma sentì il suo fiato tanto era vicino “è questo quello che devi provare quando sei alla mia presenza…” la sua voce non ebbe l’inflessione ostile che avrebbe voluto imprimerle, piuttosto suonò stranamente roca.

“Non tremo di paura…” riuscì a sibilare ansimante e a dimenticare la pressione dolorosa intorno alle braccia già sfibrate.

“E di cosa allora?” tornò a scuotere lei e medesimo.

Risalì da quell’abisso con un respiro più profondo e recuperò il suo piglio di sfida:

“Tu non vuoi veramente uccidermi”.

 Chiederle da dove venisse questa certezza era come pretendere una volte per tutte di stabilire l’origine dell’universo.

Vegeta sogghignò, ma non smise di osservare la sua bocca:

“Non essere presuntuosa” aumentò la pressione delle sue dita “cosa allora pensi io voglia fare?” la sicurezza di lei scuoteva le fondamenta di ogni sua convinzione, le fessurava  allo stesso modo di una faglia sotterranea dalla posizione imprecisata, così nascosta da eludere anche i meccanismi di rilevazione più rodati come era la sua indole. Se non avesse scoperto al più presto quel punto correva il rischio di franare e restarci sotto, o forse il segreto era quello di rendere più flessibili i sostegni per assecondarne meglio i movimenti.

Incominciava a persuadersi che i primi scuotimenti fossero stati proprio generati dalla sicurezza che lei ostentava ad ogni incontro, che quella scossa molesta provocasse da un po’ di tempo, ad intervalli irregolari, delle oscillazioni insolite e bizzarre.

Forse, se avesse messo da parte il suo rigido protocollo ed avesse favorito l’istinto di quel momento, avrebbe trovato ogni risposta.

Di sua iniziativa Bulma tornò a sprofondare in quell’abisso, prese respiro, chiuse gli occhi.

Osò dire quello che non avrebbe mai pensato di avere il coraggio di esprimere, attingendo il vigore da quella vicinanza truce e pure così calda, affetta da un malessere ancora poco chiaro ma di certo contagioso:

“Baciami… ti prego… non fare altro... baciami soltanto”.

Allora Vegeta lasciò la stretta come fossero state le sue dita a farsi male, scrutò con uno dei suoi rarissimi bagliori di disorientamento gli occhi chiusi, le ciglia frementi, il mento sollevato, le labbra dischiuse e sentì quell’attesa, in tutto il suo ingombro, proprio sulle sue spalle:

“Che cosa significa?” per quel che ne sapeva lui, poteva anche avergli chiesto di gonfiarle l’altra guancia giacché quel verbo non figurava nel suo vocabolario alquanto scarno.

Bulma riemerse senza fiato da quelle acque raggelate d’improvviso, dopo aver smarrito il contatto con lui si guardò intorno per trovare al più presto e prima che fosse troppo tardi un nuovo appiglio.

Si accorse di averlo proprio davanti agli occhi, che se si fosse sporta solo un po’ di più lo avrebbe afferrato e si sarebbe tenuta salda pur conoscendo la precarietà e l’insidiosità di quel sostegno, ma l’ingresso di suo padre, con addosso ancora la vestaglia da camera e la sigaretta incollata sotto i baffi, l’affondò come la più implacabile delle maree.

Venne ed annunciò di due tizi piuttosto nervosi che la cercavano a telefono…

 

 

FINE

 

 

 

   
 
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