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Autore: KamiKumi    25/07/2016    2 recensioni
Emily Mayton è una giovane ragazza in carriera:
Eccelle nel suo lavoro dei sogni.
La sua migliore amica è una pazza scatenata su cui si può sempre fare affidamento.
Il suo fidanzato da cinque anni è perfetto in tutto.. fuorchè tra le lenzuola.
Tuttavia la sua vita cambia radicalmente all'incontro col focoso Duke Worten. Un'attrazione magnetica che si trascinerà fin nel suo ufficio.
Un triangolo d'amore e negazione.
Ogni certezza svanisce quando inizia la passione.
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Dopo aver accompagnato Carlos nel suo minuscolo appartamento ed avergli scroccato una birra, sono tornato a casa, troppo sommerso di pensieri per potermi permettere di prolungare oltre la serata.
Mi levo le scarpe e le infilo nella cabina subito dopo l’ingresso, che funge da guardaroba ed appendiabiti. I miagolii di Josie mi accolgono subito ed io mi illudo nella speranza che siano per me, piuttosto che per la sua ciotola di cibo vuota. Mi passo una mano tra i capelli esausto dalla giornata di oggi mentre trascino teatralmente i piedi in cucina per riempire lo stomaco della mia gatta ingorda ed egoista.
Alzo il braccio per aprire l’anta in cui tengo le sue crocchette e non faccio in tempo a versarne nemmeno una manciata che ha già il muso nella ciotola in attesa di cibo. Quando ha finalmente ciò che vuole inizia a sgranocchiare quelle crocchette dall’odore nauseante ed estremamente forte, insomma chiunque abbia avuto almeno un gatto mi potrà capire.
Mi siedo a terra accanto a lei e mi appoggio al muro accarezzandola, godendomi quel morbido contatto finché è ancora concentrata a mangiare, perché non appena avrà finito sfreccerà via, così come è venuta. Osservo il suo musetto pieno di briciole e le sorrido.
« Oh, Josie meno male che ci sei tu » sospiro sconsolato alzando il viso verso il soffitto e chiudendo gli occhi, lasciando che i miei pensieri prendano la piega che più preferiscono. Inevitabilmente l’immagine del viso di Emily prende forma nella mia mente ed è sempre lì, come un chiodo fisso e continuo a chiedermi perché io non riesca semplicemente a lasciarla perdere. Ripenso al venerdì sera appena passato, a quanto fosse maledettamente bella in quell’abitino nero, ai suoi occhi magnetici e lucidi sotto l’effetto dell’alcool, ai suoi capelli morbidi che ondeggiavano ad ogni minimo movimento, alla pelle liscia del suo viso, alla curva sue labbra.. mi prendo la testa tra le mani prima che i miei pensieri mi portino alla follia. È così da quella sera e non riesco più ad uscirne, penso a lei di continuo, nonostante l’evidente realtà: lei sta con un altro.
E, a tal proposito, perché cazzo sta con quello lì? Cristo, ma l’avete visto anche voi, o no? Non è alla sua altezza! Lui è così molliccio e moscio con quella sua faccia da coglione ancora attaccato alla mamma, mentre lei splende di luce propria al suo fianco. È come se Angelina Jolie, invece che con Brad Pitt, si mettesse con Steve Buscemi. Insomma dai non regge il confronto e sono certo che nemmeno la apprezzi come si deve, non le dà le attenzioni che merita, perché ho visto come non la calcolava al Power, come era concentrato a conversare con Carlos piuttosto che con lei. Tuttavia, il cane, percepisce ancora quando qualcuno sta puntando alla sua donna e, forse, è l’unico pregio che si possa attribuire a quel coglione.
Mi sono stupito quando, al ristorante, ce lo siamo ritrovati davanti per prendere le nostre ordinazioni. Per Dio! Fa il cameriere! Sono certo che campi con lo stipendio di Emily, perché con le sue mancette del cazzo non arriverebbe nemmeno a fine settimana.
Ci ha sorriso cordiale dicendo di essere felice di vederci li, mentre io avrei voluto tirare un pugno sui suoi denti del cazzo e far sparire dalla sua faccia quel sorriso di circostanza. Ma fammi il piacere! Tuttavia, grazie al mio caro collega, si è fatto convincere a farsi dare uno strappo a casa. Si, avete capito bene. Farsi dare uno strappo a casa, perché non ha la patente, al contrario di Emily. Ma voglio dire, a ventisette anni chi non ha la patente!? CHI? Ecco si, appunto, sto scemo. Ad ogni modo, durante il viaggio verso casa loro Carlos ha cercato di estorcergli quante più informazioni potesse con totale disinvoltura. Ho scoperto, per esempio, che stanno insieme da cinque anni, cinque fottuti anni con questo qui.
« Cazzo! »
Mi passo il palmo di una mano sul viso stropicciandomi gli occhi per risvegliarmi da quel turbinio incessante che sono i miei pensieri in questo periodo.
Mi metto in piedi, la gatta mi ha abbandonato già da un po’ ed è inutile che io continui a restare a terra in quell’angolo in maniera tanto patetica, per cui vado verso la mia camera da letto e mi cambio indossando solo i pantaloni del mio pigiama.
Mi lascio cadere a peso morto sul letto sopra alle coperte piego le braccia incrociandole dietro la testa intento a fissare il soffitto cercando di pensare alle pratiche che dovrò compilare, cercando di farmi venire in mente idee per nuovi progetti, cercando di pensare a tutto tranne che a lei, ma non appena chiudo gli occhi il sonno viene a mancare, allontanato dalla sua immagine.
Sabato sera, con quella ragazza bruna di cui ho già dimenticato il nome, mi ero deciso a lasciarmi Emily alle spalle dopo essere stato ripetutamente allontanato, dopo aver scoperto che ha un fidanzato direi che uno certe cose dovrebbe anche capirle. Eppure il mio cervello non vuole sentire ragioni, non collabora ed il mio uccello nemmeno, tanto che quando io e quella siamo passati al sodo continuavo ad immaginare che la donna nuda sotto ai miei occhi fosse ancora Emily, sempre lei.
La desidero così tanto.. Mi basterebbe averla una volta soltanto e, finalmente, sarei soddisfatto, appagato tanto da poter smettere di pensare a lei. “Sarebbe così, vero?”
Chiudo gli occhi e mi addormento in preda ad un sonno tormentato.




Questa mattina mi sono svegliato più stanco di quanto già non fossi quando mi sono addormentato. Josie è bellamente addormentata sul mio stomaco, il suo pelo folto mi sta facendo sudare e se restassi ancora per un minuto in questa punizione giuro che potrei spezzarmi la schiena, eppure non so dove trovare il coraggio di spostarla da li. Dovrei chiamare l’ufficio ed avvertire che oggi sarò assente perché la mia gatta mi sta dormendo addosso, insomma, capirebbero, no?
E, proprio mentre sto considerando di mettere in atto questo piano, la mia gatta si stiracchia su di me per poi squagliarsela ed abbandonarmi. Sospiro prima di mettermi in piedi e prepararmi ad una nuova giornata.
Le porte dell’ascensore si aprono sul mio piano e, con mia grande sorpresa, noto quanto tutto sia più silenzioso del solito, stranamente più silenzioso. Decido però di non dare importanza a questo dettaglio dicendomi che dev’essere che sono tutti concentratissimi sul lavoro, e sarebbe perfettamente plausibile.
Percorro il corridoio che mi porta al mio ufficio, inserisco la chiave nella serratura, ma con mio enorme stupore la porta è già aperta. Aggrotto le sopracciglia chiedendomi come possa essere possibile, chi abbia potuto aprirla.. e subito penso ad Emily e ad un nuovo tentativo di entrare nei panni di Eva, la compagna di Diabolik. E se me la trovassi davanti in un tutino nero aderente ad ogni sua minima curva, beh, lascerei pure che rubasse tutto ciò che desidera.
Purtroppo però, seduto alla mia scrivania, c’è solo Carlos. Sbuffo di delusione alzando gli occhi al cielo, avevo sperato davvero che fosse lei immaginandola davanti a me in tutta la sua bellezza.
« Ah si, cazzone, buongiorno anche a te » mi saluta sarcastico il mio collega mentre mi lascio cadere su una delle due sedie morbide davanti alla scrivania. Distrattamente mi ritrovo a pensare a quanto questo ufficio sia poco accogliente e spoglio “ Forse dovrei aggiungere un divanetto ” Mi desto dai miei pensieri solo quando Carlos tossisce per attirare la mia attenzione.
« Cosa vuoi? » sbotto innervosito da niente in particolare.
« Oggi siamo particolarmente simpatici » continua lui con l’ironia « Ci siamo svegliati col piete sbagliato? » lo osservo di sottecchi mentre gioca con la mia sedia girando da destra a sinistra, completamente disteso e rilassato contro lo schienale. Mi guarda con un sorrisetto bastardo in faccia ed io lo fulmino con lo sguardo. Decido di ignorare la sua frecciatina « Quindi? Cosa posso fare per te? »
Lui si solleva appoggiando gli avanbracci sulla mia scrivania, sporgendosi nella mia direzione « Devo appiopparti un lavoro »
« Te pareva » Alzo gli occhi al cielo « Avanti, spara » Carlos appoggia la mano su una pila di fogli che non avevo notato e la picchietta un paio di volte.
« Mi servirebbe che mi scannerizzi questi testi e me li impagini »
« Manco morto » Taglio corto, perché non è un mio compito e, soprattutto, perché è un compito di merda « Trovati qualcun altro, Gomez »
Lui scoppia a ridere « Sapevo avresti detto così, quindi ho un incentivo che penso potrebbe farti accettare » si alza dalla mia sedia per arrivare, a passo lento, a poggiarsi sulla mia scrivania. Incrocia le braccia sul petto ed io all’improvviso sono interessato. “Maledetto bastardo approfittatore e doppiogiochista” E, hey, il caso vuole che sia anche uno dei soprannomi affibbiatomi da qualche vecchia fiamma.
« Ti ascolto »




Qualche ora più tardi sto scannerizzando i fottuti testi di Carlos. Quello stronzo, alla fine, è riuscito a fregarmi. Detesto questo tipo di mansione, devo stare fermo davanti allo scanner a cambiare fogli, controllare la scannerizzazione e ricominciare. E’ un lavoro lento, infinito oserei dire, che non lascia spazio alla creatività cedendone troppo ai pensieri.
Sto cambiando l’ennesimo foglio mentre decido di smettere di lottare contro il mio desiderio impellente di avere Emily. Questa cazzo di fissa mi passerà ed io, finalmente, potrò tornare a scopare tranquillamente a destra e a manca senza immaginare che ci sia lei li, sotto di me.
Sto controllando la scannerizzazione mentre decido che questa cazzo di fissa deve passarmi in quell’istante, perché pensare a lei mi sta facendo ammattire, sto perdendo il senno della ragione e quando un improvviso trambusto alla porta mi fa tornare alla realtà credo di essere diventato pazzo, per davvero questa volta.
Emily spalanca la porta all’improvviso, ha il respiro affannato, le sue perfette labbra socchiuse sono appoggiate sul suo viso arrossato, incorniciato da una massa di capelli arruffati. La fisso con gli occhi sbarrati e totalmente ammutolito, colpito da quest’improvvisa visita, stupito di trovarmela improvvisamente davanti nonostante, solo ieri, abbia espresso il chiaro desiderio di non volermi rivedere mai più.
Sento delle urla provenire da dietro di lei e all’improvviso un omone grasso le compare alle spalle, è un mio collega di cui non ricordo nemmeno il nome, tanto che non lo tengo nemmeno in considerazione.
« Ti ho detto che non puoi passare, cazzo! » Tuona il grassone.
La vedo aggrottare le sopracciglia, segno di esasperazione e di fastidio. Ormai so come leggere le sue espressioni, le percepisco e me le ripeto ogni giorno nella mente « Ti ho detto che è importante, stupido grassone! » trilla lei ad alta voce.
« Adesso basta, mi hai stufato! » a quel punto lui allunga la mano sul suo braccio e stringe la presa sul suo polso, io non ci vedo più dal fastidio. Ero rimasto seduto fino a quell’istante, ma poi mi alzo e, di scatto, mi fiondo verso lo spettacolino che i due stanno dando sulla porta del mio ufficio. In due falcate li raggiungo e le mie mani sono già addosso al grassone, lo spingo più forte di quanto dovrei, ma non me ne frega un cazzo.
« Non metterle le mani addosso, stronzo » Nella mia voce è presente una calma che non mi appartiene, perché quello che vorrei fare con questo grassone è prenderlo a calci e farlo ribalzare fuori dai coglioni, in un’altra orbita se possibile. Mi limito a sibilare tra i denti quella frase minacciosa, in modo che il messaggio gli possa arrivare chiaro e tondo. Si avvicina a me, siamo faccia a faccia.
« Datti una calmata, Worten » fa un passo indietro « Spassatevela, io me ne lavo le mani » volta le spalle e se ne va insieme alla sua enorme massa rotolando via per il corridoio. Resto sullo stipite della porta e fissarlo in cagnesco fino al momento in cui scompare dalla mia vista “Coglione”
Rientro nel mio ufficio e mi chiudo la porta alle spalle, finendo inevitabilmente per incontrare i due smeraldi verdi che sono gli occhi di Emily, mi scrutano ed io sono così sorpreso da sentirmi nudo davanti a quelle sue iridi che sembrano trapassarmi. Ha le braccia incrociate sul petto e mi osserva sotto le sue lunghe ciglia scure, il suo labbro inferiore è in ostaggio tra i suoi denti, vittima del nervosismo.
Sono davanti a lei immobile e non riesco a non pensare a come mi piacerebbe se fossi io a poter mordere il suo labbro, ma sono consapevole del fatto che non posso rimanere qui immobile a fissarla, altrimenti rischierei di avvicinarmi a lei, catturarla tra le mie braccia e commettere l’errore che lei non vuole compiere. Questi pensieri mi ricordano che è fidanzata, che non sarà mai mia, che è destinare a stare, invece che nelle mie, nelle braccia si quel coglione di Nate. Chiudo gli occhi inspirando, non so per cosa, se per allontanare quei pensieri dalla mia mente o se per distogliere il mio sguardo dal suo e non rimanerne vittima.
Torno a sedermi sulla mia sedia da ufficio e la invito ad accomodarsi, lei segue i miei movimenti con lo sguardo, studiandomi con attenzione « Emily, che piacere » pronuncio il suo nome lentamente, godendomi la sensazione di sentirlo sulle mie labbra, scivolare sulla mia lingua « Cosa c’è di così urgente? » le domando, infine.
Inizia a fare qualche passo avanti e indietro intorno alla mia scrivania, si porta le unghie tra i denti ed inizia a mordicchiarle, dopodiché si ferma, mi fissa, si siede. Compie tutti quei movimenti come se fosse un automa ed io mi ritrovo ad aggrottare le sopracciglia per la confusione, sto per chiederle se sia tutto ok quando lei sbotta all’improvviso.
« Mr. Evans è qui e vuole vedere il nostro progetto »
Sbarro gli occhi. “Cosa!?” E’ impossibile che sia qui, oggi poi! Sposto lo sguardo sul calendario, oggi è il sei aprile e la consegna per la prestampa era prevista almeno per il tredici di questo mese, nonché tra una settimana.
Torno a rivolgere le mie attenzioni su Emily ed ora comprendo il motivo della sua ansia, del suo nervoso. Durante la settimana appena passata non abbiamo fatto altro che ignorarci o mandarci occhiatacce senza preoccuparci minimamente del cliente tanto importante che, fondamentalmente, ci ha portati in questa situazione, a sbranarci come due avvoltoi in attesa che uno dei due cedesse per accalappiarsi il cliente. Ho fatto così tante pressioni per poter avere tra le mani il progetto di quest’uomo e poi, come un emerito coglione, non ci ho più lavorato, troppo preso dal mio orgoglio e da tutt’altro, che altro non era, poi, che Emily. Inoltre, mi ricordo, della chiamata di Mr. Evans e della richiesta di avvisare Emily al posto suo. Non le ho mai comunicato la data di scadenza ed ora, a causa mia, lei è fottuta tanto quanto lo sono io.
« Cazzo » mi lascio sfuggire, portandomi una mano sul mento avvolgendomi la mandibola per pensare meglio sul da farsi. Si sta ancora tormentando il labbro mentre valuto se rivelarle o meno il mio piccolo segreto, nel momento in cui lo libera è tutto arrossato ed io mi ritrovo a bramarlo come fosse l’ultima goccia d’acqua in un enorme deserto arido, desiderando di poterne sentire il sapore.
« Già » mormora prendendo a torturarsi le mani questa volta. E’ un fascio di nervi teso come una corda di violino e la cosa che mi da fastidio è che non ho idea di come aiutarla a sciogliersi perché non so proprio come cavarcela con Evans.
« Mi sono comportata come una ragazzina » sbotta all’improvviso lei alzando lo sguardo nel mio e spezzando il silenzio pesante venutosi a creare nell’abitacolo « La scorsa settimana ho ricevuto una chiamata dall’assistente di Mr. Evans » ammette, nel suo tono percepisco la colpa « Mi ha comunicato le date di scadenza e mi ha chiesto di avvisare anche te, in quanto mio collega per questo progetto » distoglie lo sguardo come se si vergognasse ed io mi sento una merda del cazzo. Ho fatto la stessa identica cosa ed ho dovuto rimuginare prima di decidere a confessare, lasciando che fosse prima lei a farlo. « Ma presa com’ero dal rancore nei tuoi confronti ho deciso di non dire nulla, per lavorare da sola e prendermi il merito » Sospira prima di continuare col suo monologo « Mi dispiace, col mio egoismo ti ho fatto finire nei casini, dato che non mi sono nemmeno curata di procedere col lavoro prendendomela fin troppo con comodo » Chiude gli occhi e stende i palmi sulle ginocchia tenendo lo sguardo basso, in quel momento capisco che ora è il mio turno di confessarmi. Prendo fiato ed inizio a parlare.
« La colpa è di entrambi » ammetto tutto d’un fiato e, con questa confessione, attiro la sua attenzione. Torna a guardarmi coi suoi enormi occhioni verdi velati di preoccupazione « Io ho ricevuto la chiamata da Mr. Evans e ho fatto la tua stessa cosa » mi avvicino alla scrivania posando i gomiti sul ripiano e incrociando le mani davanti a me. Mantengo lo sguardo fisso nel suo, in attesa di una risposta, di una reazione e, quando arriva, resto sorpreso.
Emily scoppia a ridere, scoppia a ridere di gusto. Si libera della tensione accumulata cogliendo l’ironia della sorte, ride così forte che le salgono le lacrime agli occhi e si porta le dita agli occhi per asciugare le gocce. Prima di rendermene conto mi ritrovo a seguirla a ruota in quella risata eterea, cristallina.
Ci vuole qualche minuto prima che riusciamo a calmarci e regolarizzare il respiro, ci fissiamo per qualche istante mantenendo sul viso un sorrisetto stupido che, su di lei, è estremamente dolce. Finalmente posso scorgere il lato spensierato di Emily, per una volta sono riuscito a non farla infuriare, a non vedere il cipiglio tra le sue sopracciglia.
« Ci siamo comportati veramente come due bambini » E’ lei la prima a parlare ed io non faccio che annuire, trovandomi assolutamente d’accordo con lei.
Lo squillo di un telefono che non riconosco la paralizza, capisco quindi che è il suo. Lo sfila dalla tasca della sua giacchetta e guarda il display tutta sconsolata, dopodiché lo volta nella mia direzione per lasciarmi leggere il nome del mittente della chiamata. Mr. Evans.
« Cosa facciamo? » Continua a lasciarlo squillare mentre mi pone quella domanda.
Io torno a farmi serio, mi alzo in piedi mettendo le mani in tasca le faccio un cenno con la testa verso il telefono « Rispondi, digli che stiamo arrivando » Lei annuisce, fidandosi di me, lasciandosi guidare in questa situazione sciocca in cui, per orgoglio, ci siamo stupidamente cacciati.
Quando chiude la chiamata si mette in piedi anche lei e sospira « Qual è il piano? » mi chiede ed io le sorrido beffardo, pronto a tirar fuori il mio lato da problem solving.
« Ora vedrai »
 
   
 
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