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Autore: _Even    25/07/2016    1 recensioni
Magnus conosceva l’origine di quegli inconvenienti e la colpa non era certo della sfortuna. Certo, non lo avrebbe mai confessato al suo dolce shadowhunter, così come avrebbe tenuto gelosamente per sé le sue colpe, onde evitare di spaventarlo. Qual era, d’altronde, l’opzione al succedersi di tali avvenimenti, non toccare più Alec? Neanche per sogno.
Era il sommo stregone di Brooklyn, per tutti i diavoli! Si sarebbe inventato qualcosa prima o poi.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Posseduto;
 
Magnus Bane, sommo stregone di Brooklyn, eterno signore della magia oscura, figlio di Asmodeo dall’esistenza plurisecolare, era frustrato.
A stento poteva credere che tanta seccatura derivasse da una così piacevole creatura quale lo shadowhunter per il quale il suo sangue aveva iniziato a ribollire per chissà quale motivo, d’improvviso, dopo oltre un secolo. Il suo solo pensiero bastava a infiammarlo di ogni tipo d’amore che avesse mai conosciuto –platonico, romantico, carnale, affettivo. Ricordava vagamente che nella più maestosa delle isole europee l’amore aveva cinque nomi per cinque tipologie differenti e Magnus era convinto di provarle tutte e cinque per il suo Alexander.
A distanza di molte settimane da quel matrimonio saltato e altri accadimenti imprevedibili, i due erano finalmente vicini, nella buona e nella cattiva sorte: si conoscevano meglio, avevano un legame profondo, si amavano con sempre meno vergogna di dirlo ad alta voce. Non riusciva neanche a concepire una tale fortuna. Alec, che lui poteva leggere con uno sguardo e dinnanzi al quale si sentiva immancabilmente nudo, esposto, in un misto di gioia e stupore, era veramente suo. Totalmente rapito dall’amore.
Come si fosse ridotto così a causa di un ragazzo così giovane, così puro e vergine tanto nel corpo quanto nello spirito, andava al di là della sua comprensione.
Per questo lo stregone si detestava: dinnanzi a un fato tanto generoso, riusciva comunque a sentirsi frustrato in presenza di Alec.
Ogniqualvolta l’intimità li coglieva di sorpresa, e l’uno sopra l’altro distesi si scambiavano ampi baci, calde effusioni, carezze che si scioglievano in sospiri e abbracci passionali, i due dovevano fermarsi. Magnus era molto dolce a frenare i suoi istinti pur di non costringere il giovane a fare qualcosa per cui non era pronto. O, almeno, così poteva sembrare a chiunque li avesse visti assieme.
La verità era che ogni volta che l’aria intorno a loro diveniva tiepida e l’odore della loro tensione si faceva quasi opprimente, qualcosa li interrompeva ed era Magnus stesso a fermarsi per primo.
Ricordava bene la prima volta, mentre si trovava con Alec, dolcemente seduti sul divano del suo loft di Brooklyn a baciarsi e a rubarsi il fiato a vicenda: le ante del balcone si erano spalancate e violente raffiche di vento si erano frapposte tra i due amanti. In quel momento Alec aveva ricevuto una chiamata da sua sorella e la cosa era finita lì, con indicibile sollievo dello stregone.
La seconda volta si trovavano nell’Istituto, allo stregone finalmente era stato concesso di accedere alla camera di Alec, una sorta di sancta sanctorum inviolabile. Che arredamento sterile, per i suoi gusti, ma il letto era comodo e il suo Alexander era affamato di lui e, santo cielo, erano forse le sue timide mani quelle che sentiva intrufolarsi nel colletto della sua camicia, fino alle spalle? Magnus era sul punto di perdere il controllo, quando la sedia accanto alla scrivania era caduta all’improvviso e una delle gambe si era addirittura spezzata nell’impatto con il pavimento, cosicché dovettero sostituirla.
La terza, quarta, quinta, fino all’ultima volta erano state interrotte da qualunque altro danno di dubbia natura, come un improvviso blackout, un vetro rotto, la porta spalancata all’improvviso rischiando di colpire un’ignara Clary dritta in fronte.
Puntualmente Alec sospirava, scrollava le spalle, dava la colpa alla sfortuna e gli prometteva che la prossima volta sarebbe andata meglio.
Quell’ottimismo era commovente, benché del tutto ingiustificato. Magnus conosceva l’origine di quegli inconvenienti e la colpa non era certo della sfortuna. Certo, non lo avrebbe mai confessato al suo dolce shadowhunter, così come avrebbe tenuto gelosamente per sé le sue colpe, onde evitare di spaventarlo. Qual era, d’altronde, l’opzione al succedersi di tali avvenimenti, non toccare più Alec? Neanche per sogno.
Era il sommo stregone di Brooklyn, per l’Angelo! Si sarebbe inventato qualcosa prima o poi (nonostante quel fatidico “poi” fosse sempre, immancabilmente rimandato).
Questo pensava, anche quel giorno.
Si trovava nuovamente all’ interno dell’Istituto, seppur non invitato; Alec aveva discusso con sua madre, la quale ancora non gli perdonava la sua relazione con “il Nascosto” (ah, gli adorabili soprannomi che gli affibbiava sua suocera) ed era stremato a causa di una missione notturna che gli aveva rubato il sonno.
«Povero caro, beh, sai come si dice» aveva detto, sedendosi in modo lascivo sul letto, «da grandi poteri derivano grandi responsabilità.»
«Allora come mai tu sembri sempre così fresco e riposato?» aveva ribattuto l’altro, strofinandosi gli occhi e sedendosi al suo fianco. Posò la sua mano su quella dello stregone quasi per caso, ma non per sbaglio.
«Sono in circolazione da più di quattrocento anni, Alexander: se c’è qualcosa che proprio non mi manca è il sonno, fidati.»
Alec rise e Magnus poté quasi udire in quelle note l’argento che cadeva in frantumi. Era una risata melodiosa e sorprendente.
Si chiedeva se i suoi gemiti sarebbero stati altrettanto soavi.
Come fece, non lo seppe mai, ma Alec gli lesse negli occhi quei pensieri e, delicatamente presogli viso fra le mani, posò le labbra sulle sue. Magnus assaggiò il sapore roseo della bocca del giovane, fresca e seducente, e gli circondò il collo con un braccio; l’altro, invece, lo portò sul torace di Alec, cercando quei battiti rapidi e intensi del suo cuore che tanto lo infiammavano. Presto il bacio divenne più di un mero scontro di bocche: esitante ma persistente, la lingua di Alec andava a lappargli ora il labbro superiore, ora l’angolo della bocca, finché Magnus non gli concesse libero accesso spalancando le sue labbra e permettendo ad Alec di esplorarne gli anfratti.
Il sommo stregone di Brooklyn fu presto ridotto a una massa di mugolii ansanti e dolci spasmi a causa di un Nephilim vergine e inesperto, eppure deliziosamente smanioso, con il fermo proposito di farsi divorare da quest’ultimo: la mente gli si era completamente annebbiata, sicché Alec fece di lui ciò che voleva.
Conosceva bene i limiti del giovane, non lo avrebbe mai forzato a fare qualcosa per cui non fosse più che pronto e quel tacito accordo era ciò che di più prezioso condividevano.
Eppure in quel momento Magnus sentì di aver sottovalutato il suo Alexander, perché con dita curiose iniziò a sollevargli la camicia riccamente decorata e gli afferrò i fianchi, la sua forza da shadowhunter a disposizione del piacere di Magnus.
Quest’ultimo emise un gemito di piacere, poi subito dopo annuì affinché Alec non si facesse idee sbagliate: aveva gradito quella svolta degli eventi e voleva che lui proseguisse. Pur con una lieve insicurezza, come fosse nel pieno di un esperimento di precisione, mosse i palmi su e giù, per testare la reazione del suo amante.
Fran!
Alec si sollevò con uno scatto felino, poi chinò lo sguardo: la lampada che teneva sul comodino era caduta e il vetro era andato in mille pezzi. La cosa assurda fu vedere la lampadina continuare ad accendersi e spegnersi a intermittenza, pur essendosi la spina staccata durante la caduta.
Magnus si portò le mani al viso, stizzito: aveva perso la concentrazione ed ecco il risultato, erano durati anche meno delle volte precedenti.
«Come ha fatto?» fece Alec, guardandosi intorno con circospezione. «Non ho neppure urtato il mobile.»
«Alec.»
Quest’ultimo si alzò senza ascoltarlo e continuò a ispezionare la stanza. Pensava che forse ci fosse qualcuno? Che un demone si fosse intrufolato all’interno dell’Istituto, superando le loro impeccabili difese?
«Mi stai a sentire?»
«Non adesso» lo zittì, aprendo armadi, cassetti e perfino controllando fuori dalla porta.
Magnus sospirò. Era andata troppo oltre: doveva confessargli tutto o sapeva benissimo che il ragazzo non si sarebbe dato pace, se non avesse scoperto cosa o, meglio, chi era stato la causa di quell’incidente.
Quel fatidico “poi” sembrava imminente e, raccogliendo il coraggio, Magnus si forzò a compiere un gesto estremamente maturo: dire la verità.
«Alec, vieni qui.»
Il suo tono, a metà tra il grave e il rassegnato, convinse Alec a chiudere la porta e a raggiungerlo nuovamente sul letto, sopra il quale lo stregone era ancora disteso, un braccio posato sulla fronte.
Prese un enorme fiato. «Sono stato io, va bene?»
«Cosa?»
Magnus asserì, sbuffando. «È stata colpa mia, ti ho rotto la lampada.»
«Non capisco, intendi che l’hai fatta cadere di proposito?» sollevò le sopracciglia con fare dubbioso, rimanendo seduto.
«No, sciocco, tutt’altro che di proposito. Ho un problema.»
Alec aspettò che Magnus concludesse quella frase che preludeva una rivelazione, che non tardò ad arrivare.
«Sono posseduto
L’espressione di Alec non avrebbe potuto essere più sconcertata.
Poi Magnus pensò che con quel termine di solito si intendeva un mondano attaccato da un demone parassita, il quale proliferava e prendeva possesso del corpo nel quale si era insediato, e si affrettò a correggersi.

«Con posseduto intendo dire che quando, talvolta, perdo il controllo di me stesso, i poteri mi sfuggono di mano. È nella natura di noi stregoni, sai, capita a tutti in date circostanze.»
Alec parve rifletterci un secondo.
«È già successo prima d’ora? Con me, intendo?»
Magnus asserì nuovamente, liberando un sospiro.
«Mi stai dicendo che quella volta non era stata Clary ad aprire la porta all’improvviso?»
«No, non era colpa di Biscottino.»
«E quando c’è stato quel blackout...»
«Esattamente.»
«Hai messa K.O. praticamente tutto l’Istituto.»
«Allora la prossima volta non farti trovare senza maglietta.»
Alec si illuminò nel viso, come se finalmente tutto quadrasse nella sua testa e il suo cervellino iper-analitico avesse finalmente trovato la pace. Poi fece una cosa del tutto imprevedibile.
Sorrise.
Magnus sgranò gli occhi, per contro. Non poteva credere che Alexander stesse sorridendo, come se quei poteri non fossero un peso, né un fastidio. Come se non avessero spaventato cento amanti prima di lui.
«La cosa ti delizia, shadowhunter?» fece, ostentando una sicurezza che non possedeva, anzi, che vacillava pericolosamente.
Alec posò una mano sulla sua guancia e sfiorò il suo zigomo con il pollice. «A dire il vero, sì.»
Si morse il labbro inferiore, studiando il suo volto con fare attento, senza paura dinnanzi a quel segreto che Magnus gli aveva tenuto nascosto, e lo aveva fatto per rendere le cose tra loro normali, semplici.
Per non farlo fuggire come quei cento amanti.
Ma lui era Alexander, il suo Alexander.
E non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
Riprese a baciarlo con la foga di chi si riscopre venuto al mondo. Abbandonò le spregiudicatezze, i dubbi, le noie che il timore gli dava e soprattutto le inibizioni: al diavolo, nulla gli avrebbe impedito di riversare tutte le sue attenzioni sull’angelo che lo sovrastava.
Come Alec gli sollevò la camicia e lo strinse sulla pelle nuda, le ante dell’armadio iniziarono ad aprirsi e chiudersi in rapida successione. Entrambi risero l’uno tra le labbra dell’altro, nei baci. Anche Magnus si azzardò a saggiare con le dita la pelle di Alec, scoprendo quella lieve porzione di addome che sovrastava il suo ombelico. Quando le loro pelli entrarono in contatto, tutte le lampadine della stanza presero a lampeggiare come luci stroboscopiche. Lo stregone gli morsicò il labbro inferiore, scoprendo quanto i suoi gemiti di apprezzamento fossero cristallini, anche più della sua risata. E sentendoli, Magnus, uno dopo l’altro in processione, proprio dal suo dolce Nephilim, fece sì che i cassetti si aprissero e tutto ciò che essi contenevano si sparpagliasse sul pavimento, sopra la scrivania, sotto il letto.
Le mani di Magnus iniziarono a produrre scintille mentre il cuscino si stracciava e il cotone all’interno vorticava attorno a loro come nuvola.
Per un secondo Alec fece vagare lo sguardo lungo quella bizzarra stanza dell’amore; la bocca, rossa dei loro baci, divenne un ovale scarlatto, tanta erano grandi la sua sorpresa e la sua esaltazione.
«Magnus» sospirò, a un soffio dalle sue labbra, «sei più magico di quanto pensi.»
Sorridendo di soddisfazione, della pura soddisfazione e della dolcezza provati soltanto nel loro primo bacio prima di allora, Magnus rise di gioia.
«Neanche la metà di quanto lo sei tu, Alec.»
 
 
 
 
 

La soffitta dell’autrice:
Buon salve! Sono nuova di questo fandom, ho visto da poco la serie (e sono profanissima perché non ho letto neanche i libri) e, inutile dirlo, mi sono innamorata della Malec. Come potevo non scrivere qualcosa su di loro?
In realtà ho scritto miliardi di altre OS, ma nessuna abbastanza carina. Ma visto che quest’ultima ha ricevuto la benedizione della mia amata beta e compagna di vita comeunangeloallinferno94, ho deciso di renderla pubblica. Ma solo perché lei mi ha dato il suo ok, eh?
Spero vi sia piaciuta, ringrazio chiunque leggerà, commenterà o deciderà di buttarci un occhio.
Baci.
  
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