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Autore: jamesguitar    25/07/2016    2 recensioni
Teresa era convinta del fatto che tutte le storie comincino da un luogo. Che sia un luogo a caso, oppure uno che dall’inizio ci trasmette determinate emozioni, non fa differenza; parte tutto da lì. Sapeva che tutti iniziano a vivere più o meno negli stessi posti, ma ci teneva a distinguere la vita dalla propria vita. Una delle poche certezze che aveva era che sono due cose diverse: tu vivi, vivi e vivi ancora, la tua patetica e insulsa esistenza va avanti; può farti soffrire e renderti felice, ma non importa, perché prima o poi arrivi in quel luogo, figurativo o reale, a caso o speciale che sia, in cui tutto diventa diverso. Può cambiare qualcosa dentro di te, può succedere qualcosa di brutto o bello, fatto sta che in quell’istante comincia la tua Storia. Essa è diversa dalla vita nella sua semplicità, diversa da qualsiasi cosa ti sia successa prima; il tuo cuore inizia a battere ad un ritmo diverso, le tue giornate hanno un sapore mai sentito, cambiano i colori del cielo che ti sovrasta.
Su quella piattaforma della metropolitana di Roma, qualcosa cambiò dentro Teresa. Cominciò la sua Storia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rose blu

I

Teresa cercò di pensare bene alla cosa giusta da fare. Dove poteva andare? I genitori vivevano a chilometri di distanza da lei, e anche se fossero stati vicini sarebbero state le ultime persone che avrebbe chiamato; non aveva praticamente niente con sé, nessun amico sincero, nessun risparmio sufficiente a permetterle una sistemazione temporanea. Afferrò il cellulare ed iniziò a scorrere la rubrica, pensando a chi potesse essere disposta a darle una mano. Non trovare nessuno la fece quasi ridere di un’amarezza ormai familiare: si era spinta fino a quel punto?
In quell’attimo, la sua attenzione fu catturata da un nome: Francesca.  Non le parve strano trovare quel nome senza cognome, non aveva mai avuto il coraggio di cambiare in modo in cui la aveva salvata, non dopo il modo brutale in cui la vita le aveva separate, e forse non lo avrebbe mai avuto. In quella situazione, tutto il male che so erano fatte scomparve. Teresa aveva bisogno alla cosa più simile all’amore che conoscesse, e quella cosa era lei, l’ombra del suo passato che tornava a bussare alla sua porta nel momento in cui più aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse chi era.
Per questo la ragazza si fece coraggio e la chiamò. Ci furono molti squilli a vuoto, durante ai quali la ragazza cominciò a percepire l’arrivo della tristezza, quel mostro che la sua apatia aveva cercato di allontanare e che non avrebbe mai più voluto incontrare.
«Pronto?» per un secondo Teresa restò in silenzio, assimilando la sensazione che la familiarità di quella voce provocava in lei, e fu allora che una lacrima, lenta e solitaria, scivolò sulla sua guancia. «Hey, io…» cercò di trattenersi dal lasciar andare tutte quelle emozioni, «Scusami, non ti disturberei se non avessi davvero bisogno di un’amica»
Il silenzio dall’altra parte la spaventò; i capelli di Teresa furono scompigliati dall’arrivo di un altro treno, e una seconda lacrima volò distrattamente con lui mentre la ragazza sentiva di nuovo sensazioni assurde, che mai avrebbe pensato di provare ancora, non dopo tutto quel tempo. «Cosa è successo?» chiese infine Francesca, con un tono che sapeva di fastidio, ma anche di stupore e di emozione trattenuta a fatica.
«Non ho più un posto dove andare» Teresa lo ammise con la consapevolezza che quella che un tempo era la sua migliore amica avrebbe potuto riagganciare, sapeva che ne avrebbe avuto tutto il diritto, ma in fondo sperava che il suo carattere gentile e generoso vincesse su tutto.
«Adesso sono a casa. Vieni da me e resta finché non troverai un’altra sistemazione, okay?» Francesca voleva essere fredda, ma le sue parole nascondevano una traccia di amore che turbò l’animo di Teresa. «Grazie» disse quindi lei, senza nient’altro da aggiungere.
 
 
Quando Teresa si trovò davanti al portone di casa della ragazza, fu assalita da una sensazione che credeva di aver perso: ebbe paura. Paura di rivedere Francesca, e trovarsi inevitabilmente faccia a faccia con quello che era successo anni prima. Fino a quel momento era sempre scappata da ciò che aveva fatto e che le era stato fatto in quella circostanza; non aveva mai affrontato Francesca o chiunque altro fosse coinvolto, se ne era semplicemente andata dalle loro vite, acciecata dal dolore, senza volerlo sopportare fino alla fine, anche se forse sarebbe servito a sistemare le cose.
Suonò al citofono di Francesca con timidezza, prendendo un respiro profondo. In fondo, cosa poteva succedere? Lei non era un tipo da scenate, sarebbe bastato evitare di parlare dell’accaduto, spiegarle la sua situazione amorosa e economica… o forse no. Sicuramente no.
Il portone si aprì e Teresa salì lentamente le scale, impiegandoci più tempo possibile. Per una volta desiderò che quel secondo piano fosse un sesto; aveva lo stomaco attorcigliato dal terrore e dal dolore di una volta che cominciava a tormentarla. Ma non poteva permetterlo, doveva mantenere il sangue freddo come aveva fatto per anni, o non sarebbe uscita viva da quella situazione.
 
Francesca la stava aspettando con la porta aperta, cosa che Teresa non si sarebbe mai aspettata. Entrambe restarono per qualche secondo immobili a guardarsi su quel pianerottolo spoglio, senza dire una parola: cosa potevano dirsi? Tante cose, forse, ma nessuna delle due sapeva da dove cominciare, e soprattutto nessuna delle due aveva voglia di provare a ricominciare; non ancora. E allora a che servivano le parole?
«Ciao» disse infine Teresa, con un tono quasi colpevole, spostando il peso da un piede all’altro ed evitando di guardare l’altra negli occhi.
«Sei salita a piedi con quelle valige?» Francesca le fece cenno di entrare in casa; Teresa deglutì e fece un passo dentro quella dimora, pensando a quanto tempo ci aveva passato per anni, a quanto le fosse mancata e a quanto le ci fosse voluto per accettare il fatto che non ci sarebbe più stata.
«Tendo a diffidare degli ascensori» disse la prima cosa che le venne in mente, perché Volevo metterci più tempo possibile non sarebbe suonato poi così bene.
 
«Capisco…» Entrambe evitavano di guardarsi «Vieni, lascia le valige nella camera degli ospiti e poi raccontami tutto quanto»
La ragazza aprì la porta della stanza e accese la luce; mille ricordi si accavallarono nella mente di Teresa, che cercò di restare lucida e di non maledirsi per aver chiamato proprio quell’ombra del suo passato. Lasciò la valigia accanto al letto e si accorse che Francesca era già diretta verso la propria stanza, quindi si affrettò a raggiungerla.
Camminarono in silenzio fino a due porte più in là. Teresa cercò di preparare il suo cuore alle emozioni che quella camera le avrebbe fatto provare, ma non ci riuscì: entrare lì dentro fu l’ennesima percossa alla sua anima, al suo castello di carte che era prossimo a crollare. Era stato difficile accettare che non avrebbe più dormito fra quelle lenzuola, cucinato la pizza una sera a settimana, guardato serie tv sul divano in pelle e giocato a carte sulla moquette della stanza dell’amica. Eppure era tornata, e faceva ancora più male di andare via.
Francesca si sedette sul letto e con calma Teresa la seguì, tenendo lo sguardo basso.
 
«Allora… hai detto che avevi bisogno di me. vuoi spiegarmi cosa cavolo è successo?» entrambe sapevano che se si era spinta a quel punto era per qualcosa di grave.
Teresa allora si fece coraggio e alzò gli occhi, tenendo testa a quello sguardo di ghiaccio che la aveva sempre messa in soggezione. «Beh, diciamo che il mio mondo mi è appena crollato addosso» disse, e fece un sorriso amaro, provando a cercare quella complicità che avevano sempre avuto. Ma, ovviamente, non la trovò.
«In che guai ti sei cacciata?» Teresa si lasciò scappare una risatina, e in quell’istante una terza lacrima la accarezzò; era l’ultima cosa che volesse, piangere davanti a Francesca, ma non riuscì a trattenersi. Si maledisse e abbassò di nuovo i suoi occhi marroni.
 
«Marco mi ha tradita con la sua istruttrice di palestra» disse infine «Ma, sai, non è soltanto questo. Credo che tu possa immaginarlo». Calò un silenzio tombale, che scosse entrambe in un modo che non provavano da anni. Certo che poteva immaginarlo, lo aveva predetto tanto tempo prima, e Teresa la aveva mandata al diavolo per questo.
«Avevo detto che non ti avrei consolata in quel caso…»
«Eppure eccoti» Teresa alzò lo sguardo verso di lei «Eccoci qui, Francesca»
 
 
Quella mattina di Dicembre il vento freddo pizzicava le guance e il collo di Teresa, che camminava veloce tra la folla, ignorando le urla dell’amica dietro di lei. Francesca le urlava di fermarsi, di aspettare e riflettere, ma lei aveva già le valige in mano e non aveva nessuna intenzione di ascoltare nessuno, neanche la sua migliore amica.
Non sapeva cosa le fosse successo: dentro di lei era cambiato tutto in un batter d’occhio, i mesi si erano trasformati in minuti di fronte a quella trasformazione che la aveva presa dall’anima e aveva sconvolto tutti i suoi piani, tutte le sue certezze, tutte le sue paure.
«Cazzo, Teresa, fermati e ascoltami un secondo!» la ragazza riccia si fermò, piena di dolore e di rammarico, e si voltò.
«Cosa vuoi che ti dica, Francesca? È tutto quanto assurdo! Non sono più la benvenuta qui, né per te, né per nessun altro» sentì la propria voce spezzarsi mentre pronunciava le ultime due parole, ma ordinò a se stessa di mantenere quell’indifferenza che negli ultimi tempi le era stata utile.
«Nessuno? Qui sei tu quella a cui sembra non importare niente di tutti, lo sai? Vai avanti così da mesi, non importa quanto cerchiamo di aiutarti, ti sei chiusa in te stessa e non c’è verso di farti tornare quella di prima!» il dolore nella voce dell’amica era evidente, ma Teresa lo ignorò.
«Hai pensato che forse non voglio tornare quella di prima? Che potrei aver cambiato interessi? Che mi stia bene questo improvviso cambiamento avvenuto sia nei miei sentimenti che nei vostri?»
Gli occhi di Francesca espressero tutto il disappunto che provava. «E quindi cosa pensi di fare? Correre dal belloccio che ti aspetta, il cambiamento che ti piace tanto? Sei sicura che questo non sia solo il tuo modo di scappare da te stessa?»
«Che fai, mi psicanalizzi?» Teresa alzò gli occhi al cielo «Lui è l’unico a cui davvero importi di me, e l’unico di cui a me importi in questo momento» non era vero, e nel profondo lo sapeva anche lei, ma in quell’istante disse a se stessa che era la verità. In quell’istante ci credette, e rovinò tutto.
«Se vuoi crederlo davvero, fai pure» Francesca indietreggiò di un passo «Ma non venire a piangere da me quando ti sentirai vuota dentro, perché non ti aiuterò e non ti consolerò»
«Vaffanculo!» Teresa si girò a trascinò la sua valigia giù per la metro, in direzione di quello che credeva essere l’unico che l’amasse.
 
«In ogni caso, cosa ti aspetti che succeda? –Francesca continuò a guardarla negli occhi- vuoi che torni tutto come prima? Perché non è possibile»
Una fitta al cuore scosse Teresa, e neanche sapeva il perché; non era andata da lei per recuperare il loro rapporto, a malapena ricordava di avere il suo numero salvato in rubrica. Eppure si sentì di nuovo nostalgica, come quella mattina; e quella volta non era nostalgia di se stessa, ma delle persone che un tempo la facevano sentire a casa e che era riuscita a mettersi contro.
«Non so neanche io cosa voglio, ma di sicuro non sono venuta qui per ricominciare da dove ho mollato–sentì il cuore che batteva all’impazzata- ho solo bisogno di un posto dove stare, e spero davvero che mi darai una mano»
Calò il silenzio. Francesca rimuginò su quanto quella risposta la soddisfacesse, mentre mille emozioni prendevano il sopravvento nell’animo di Teresa e le impedivano di pensare con chiarezza, di gestire la sua apatia, di distinguere cosa provava da cosa fingeva di provare.
 
«Va bene –Francesca si alzò dal letto- ma ti avverto, frequento le stesse persone di cinque anni fa»
Il sangue si gelò nelle vene di Teresa. Non aveva pensato a questa faccia della medaglia, non le era neanche passato per la testa. Ma che opzioni aveva? Non poteva dormire per strada, né tornare a casa dei suoi genitori e dimostrare loro che avevano ragione sul suo conto.
«Va bene –Teresa accennò un sorriso, che era un po’ vero e un po’ forzato- come stanno tutti?» era davvero una domanda inopportuna, e lo sapeva.
«Bene» il tono freddo della ragazza le fece capire che non era il caso di continuare quella conversazione, perciò si limitò a ringraziarla, sentirsi ripetere le regole di quella casa che ancora ricordava bene, e dirigersi nella stanza degli ospiti con forse troppa fretta.
 
Una volta che ebbe aperto le valige si sedette con calma sul letto. Era come se improvvisamente si fosse ricordata ogni dettaglio di quella casa: dalla morbidezza del materasso all’ampiezza dell’armadio, dall’altezza dei cuscini alla morbidezza un po’ ruvida della moquette sul pavimento. Prese un respiro profondo e realizzò che il deodorante per ambienti era sempre lo stesso, con quel profumo di limone leggero, appena percepibile.
Fu in quel momento che iniziò a piangere. Ed eccole lì, la quarta, la quinta, la sesta lacrima e a seguire, tutte ammassate e senza contorno, tormentate dai singhiozzi che scuotevano il corpo di quella ragazza così giovane e con una vita così complicata. Continuava forse a non essere davvero triste, sì, ma era disperata. Disperata e tormentata da quei ricordi taglienti come rasoi, dalla visione di Marco che la tradiva con quella trentenne matura ed esperta, dall’illusione in cui aveva vissuto per mesi, senza accorgersi che era tutto svanito tra loro, e non solo, che la luce che anni prima brillava dentro di lei era sfumata e aveva lasciato il posto a quell’incapacità di vedere il mondo a colori, quella malinconia velata che la attaccava piano piano, quasi senza farsi sentire, ma lentamente la stava uccidendo.
Tutto nella sua vita era sempre andato bene: era stata una bambina tranquilla, con genitori affettuosi e benestanti alle spalle; al liceo aveva incontrato persone meravigliose, si era innamorata tante volte consciamente e non, aveva provato quella gioia che ti accoglie solo quando sei con le persone giuste. Aveva baciato chi amava, consumato il suo amore senza pentirsi, era uscita il sabato sera e si era divertita sempre, qualsiasi cosa accadesse. Aveva sempre sorriso, senza scoraggiarsi, senza permettere ai complessi che cercavano di prenderla di afferrarla.
Era stato un brutto periodo, uno soltanto, a rovinare quello che era. E non se ne era neanche accorta. L’egoismo l’aveva accecata, la cattiveria che la aveva sempre resa simpatica perché non era reale si era trasformata in cattiveria pura, vera, che aveva riversato contro le uniche persone che amava.
Meritava tutto quel dolore. Meritava di sentirsi così nostalgica, in colpa, e disperata. Meritava quella situazione, e forse era stato tutto pianificato; forse era giusto che tornasse sui suoi passi in un modo o nell’altro, e affrontasse i problemi da cui era scappata.
Era giusto, ma era anche orribile.
Teresa pianse per ore, e Francesca, dall’altro lato della porta, non si perse neanche un singhiozzo.
  
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