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Autore: jamesguitar    20/07/2016    4 recensioni
Teresa era convinta del fatto che tutte le storie comincino da un luogo. Che sia un luogo a caso, oppure uno che dall’inizio ci trasmette determinate emozioni, non fa differenza; parte tutto da lì. Sapeva che tutti iniziano a vivere più o meno negli stessi posti, ma ci teneva a distinguere la vita dalla propria vita. Una delle poche certezze che aveva era che sono due cose diverse: tu vivi, vivi e vivi ancora, la tua patetica e insulsa esistenza va avanti; può farti soffrire e renderti felice, ma non importa, perché prima o poi arrivi in quel luogo, figurativo o reale, a caso o speciale che sia, in cui tutto diventa diverso. Può cambiare qualcosa dentro di te, può succedere qualcosa di brutto o bello, fatto sta che in quell’istante comincia la tua Storia. Essa è diversa dalla vita nella sua semplicità, diversa da qualsiasi cosa ti sia successa prima; il tuo cuore inizia a battere ad un ritmo diverso, le tue giornate hanno un sapore mai sentito, cambiano i colori del cielo che ti sovrasta.
Su quella piattaforma della metropolitana di Roma, qualcosa cambiò dentro Teresa. Cominciò la sua Storia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rose blu
 
Prologo

Quel giorno il cielo era di un azzurro particolare, un po’ smorto, quel colore che non può renderti felice né triste, perché non ispira nulla. Non trasmette gioia e nemmeno tristezza, resta anonimo.
Era così che si sentiva Teresa quella mattina; la ragazza semplice, dai capelli ricci e scuri, preparava le sue valigie senza battere ciglio. Non ascoltava le parole di Marco che giungevano alle sue orecchie ovattate e incomprensibili, le preghiere, le scuse patetiche che uscivano da un ragazzo altrettanto ridicolo. Sembrava che fosse sola nella stanza mentre riponeva gli abiti e gli effetti personali nella valigia verde acido con una calma impressionante e quasi innaturale.
Lanciò un’occhiata al letto sfatto su cui poco priva aveva visto l’ultima cosa che avrebbe voluto, poi si rese conto che sopra c’era ancora il bracciale d’oro chiuso in una scatola e le sfuggì un sorriso amaro: quella ragazza stupida e illusa non si era nemmeno degnata di portarlo via con sé.
Teresa si allontanò, diretta in salotto, e nel percorso recuperò le ultime sciocchezze che le appartenevano: qualche foto e i libri che ancora non aveva raccolto. Marco continuava ad urlare con quella voce che aveva finito per darle a noia, specialmente in quel momento, specialmente dopo ciò che era arrivato a fare.
La ragazza chiuse la valigia e la sacca che aveva preparato. Ricordava bene il giorno in cui si era trasferita con Marco in quella casa nel centro di Roma: gli aveva detto che la sua vita era racchiusa in quei bagagli e nell’amore che provava per lui; quell’amore che era lentamente svanito e aveva lasciato posto alla sofferenza.
Si girò finalmente a guardarlo e lui, qualsiasi cosa stesse dicendo, tacque. Teresa lo osservò e sentì le lacrime pizzicarle gli occhi; non perché fosse triste, non lo era, ma perché quel viso, quei tratti gentili, quegli occhi color nocciola, le ricordavano quello che erano un tempo. I jeans consumati della Levis appena indossati, quel petto su cui si era appoggiata durante pianti interminabili, erano l’unica cosa familiare che le era rimasta.
«Possiamo sistemare tutto» Marco ebbe il coraggio di prenderle il braccio, e in quell’istante Teresa pensò davvero di avere dubbi. Guardò i bagagli ai suoi piedi, rialzò lo sguardo verso di lui e provò ad avere speranza, a cercare quel briciolo di fiducia in lui che poteva essere sopravvissuto; ma dalla porta era appena uscita quella donna, il pacchetto sul letto era il regalo più bello che una persona innamorata potesse ricevere, e Teresa si rese conto che si era già dissolto.
«No, non possiamo» disse, e stranamente la sua voce fu ferma, così tanto che Marco non ebbe più il coraggio di replicare. Lasciò la presa e Teresa ne approfittò per afferrare i bagagli una volta per tutte; camminò verso la porta e si impose di non voltarsi, anche se era difficile, anche se strane sensazioni le stringevano il cuore. Si fermò un secondo sull’uscio, ma dopo aver preso un respiro profondo finalmente uscì da quell’appartamento con un affitto troppo alto per lei, uscì trattenendo le lacrime che la imploravano di essere liberate.
Prese la metro in direzione della casa in cui abitava un tempo senza neanche pensarci, e una volta seduta, con le valigie tra le gambe e la borsa stretta al petto, si concesse il lusso di piangere. Teresa non era affatto triste, o sorpresa: i comportamenti di Marco degli ultimi tempi avevano reso la situazione evidente ad una ragazza sveglia come lei, e il suo amore per lui non era più quello di un tempo. Sapeva che sarebbe finita, era giunta a quella conclusione mesi prima; perciò, sebbene non fosse felice, non era neanche triste.
L’emozione che le stringeva il cuore era un’altra, ma non sapeva identificarla bene. Poteva essere nostalgia per la vecchia Teresa, quella che provava amore vero e puro, che non faceva nulla come lo fanno gli adulti, con monotonia e tristezza, ma con sincerità e curiosità; oppure poteva essere un odio verso se stessa, per quell’apatia che aveva sviluppato piano piano e che era arrivata a divorarla dall’interno, che con una ferocia indistinguibile aveva cambiato Teresa e ogni cosa che le apparteneva. Poteva forse incolpare Marco di questo?
Impose a se stessa di smettere di piangere, e lo fece. Sentiva lo sguardo delle persone addosso e non gliene importava nulla. Si vide dall’esterno, o almeno ci provò: era una situazione vista e rivista, quasi patetica. Anni prima non avrebbe mai pensato di arrivare a quel punto, e se lo avesse pensato non credeva che sarebbe stata proprio quella con Marco la relazione distrutta, quella che all’inizio sembrava essere la più perfetta e che si era rivelata un disastro.
 
«Prossima fermata, Battistini» dopo venti minuti passati a fissare il vuoto arrivò il momento di scendere, e Teresa non aveva la più pallida idea  di cosa sarebbe successo.
Una volta scesa sulla piattaforma, con i bagagli in mano e i capelli scompigliati dal movimento d’aria del treno, non seppe che cosa fare. Si sentì improvvisamente molto sola, persino priva dell’autocommiserazione e della nostalgia di un attimo prima; per una volta si domandò davvero che cosa ne sarebbe stato di lei, una ragazza in mezzo a sei miliardi di individui, senza nessun talento che potesse esserle utile, in una città così grande, senza una casa e con quel caratteraccio che la distingueva dagli altri.
Teresa era convinta del fatto che tutte le storie comincino da un luogo. Che sia un luogo a caso, oppure uno che dall’inizio ci trasmette determinate emozioni, non fa differenza; parte tutto da lì. Sapeva che tutti iniziano a vivere più o meno negli stessi posti, ma ci teneva a distinguere la vita dalla propria vita. Una delle poche certezze che aveva era che sono due cose diverse: tu vivi, vivi e vivi ancora, la tua patetica e insulsa esistenza va avanti; può farti soffrire e renderti felice, ma non importa, perché prima o poi arrivi in quel luogo, figurativo o reale, a caso o speciale che sia, in cui tutto diventa diverso. Può cambiare qualcosa dentro di te, può succedere qualcosa di brutto o bello, fatto sta che in quell’istante comincia la tua Storia. Essa è diversa dalla vita nella sua semplicità, diversa da qualsiasi cosa ti sia successa prima; il tuo cuore inizia a battere ad un ritmo diverso, le tue giornate hanno un sapore mai sentito, cambiano i colori del cielo che ti sovrasta.
Su quella piattaforma della metropolitana di Roma, qualcosa cambiò dentro Teresa. Cominciò la sua Storia.
  
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