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Autore: aleinad93    26/07/2016    1 recensioni
Alec e Magnus sono un miracolo l’uno per l’altro, non pensavano si sarebbero trovati né innamorati né avrebbero superato il primo appuntamento né i pregiudizi né una ex particolarmente fastidiosa né le loro incomprensioni. Però così è successo, come sappiamo da TMI e ora convivono.
Non sanno però che sui gradini dell’Accademia li aspetta un nuovo miracolo.
Una raccolta di one shot, flashfic sui Malec e sulla loro vita post-Born to endless night.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Magnus Bane, Max Lightwood, Max Lightwood-Bane, Rafael Lightwood-Bane
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Proposal part 2


A zia G., che non è nemmeno mia zia, ma lo vorrei tanto.
Grazie a lei ho conosciuto questa famiglia pazzoide
Buon compleanno.
 
 

Riepilogo affidato a Rafael Santiago Lightwood-Bane: Io non c’ero nemmeno nella prima parte e la tipa che scrive mi ha affidato questo riepilogo. Non lo volevo fare, ma mi ha detto che mi darà qualche soldino, quindi ho accettato con piacere.
Tutto è iniziato con una scena non adatta ai minori tra *si guarda intorno per vedere se c’è qualcuno della sua famiglia* i miei papà, che voi conoscete come Alec e Magnus. Per fortuna è arrivato il mio fratellino (Sei tu il mio fratellino- grida Max da dietro le quinte) e sono andati in cucina. Mio fratello ha compiuto un anno e i miei genitori hanno iniziato un stupidissimo… no, Alec, non ho detto stupidissimo, ma stupendissimo rito. Ogni anno Alec rifarà la proposta a Magnus fino al loro matrimonio. Mi sa che faccio tempo ad avere due o tre bambini. Ah, muchas gracias a todos por su atención.
Grazie a tutti per l’attenzione- Max – L’ha detto in spagnolo, solo perché vuole attirare delle ragazze!

 


Terzo anno dalla prima proposta

Max stava davanti alla tv con il suo trenino sotto l’ascella e ogni tanto ripeteva qualche parola che sentiva nel cartone. Alec lo controllava sporgendosi dalla porta della cucina, dove stava preparando la colazione. Mise il succo e lo yogurt su un vassoio che aveva preparato sul tavolo.

Poi si spostò ai fornelli per accendere il fornello sotto alla caffettiera. A New York usava la macchinetta del caffè, mentre lì a Parigi si coccolava con un buon caffè preparato da sé. Macinava i chicchi, con il cucchiaino adagiava la polvere nel filtro, dopo aver messo l’acqua controllando meticoloso che non andasse sopra il livello indicato. Gli dava pace fare quelle piccole azioni e sentire il profumo del caffè lo aiutava a svegliarsi del tutto.

Max si era svegliato alle cinque, siccome era crollato alle otto di sera. Doveva essere stato molto emozionante giocare tutto il pomeriggio con una piccola nixie che aveva conosciuto nel parco poco lontano dall’appartamento. Alec e Magnus li avevano osservati seduti sopra un telo e poi si erano messi a chiacchierare tra loro, guardando la Torre Eiffel in lontananza.

Max fece un suono e Alec si sporse dalla porta della cucina per guardarlo. Era completamente assorbito dal cartone e mangiucchiava il fumaiolo del treno.

«Max, non metterlo in bocca, arriva la colazione.»

«Non sono stato io» mormorò Max senza nessuna ragione, ma appoggiò davanti a sé il treno.

Alec sorrise, scuotendo la testa.

Il fischio della caffetteria annunciò quello che il profumo del caffè aveva già anticipato. Il caffè era pronto e Alec spense il fornello, per prendere le due tazze preferite di Magnus. Le aveva rubate al Capo dei vampiri di Parigi a metà del Novecento che a sua volta se n’era impossessato illegalmente durante un ballo a corte molti anni addietro in cui si era imbucato. Magnus sosteneva di averle fatte sparire perché era stata una serata noiosa, nonostante quello che gli avevano detto quando l’avevano invitato. Erano due, una per se stesso e una l’aveva rubata per Tessa, che abitava con lui a Parigi da due settimane ed era rimasta a casa sdraiata sul divano con un libro in mano.

Alec le mise sul vassoio e andò in salotto. Magnus arrivò in quel momento sbadigliando e massaggiandosi la pancia. «Buongiorno, gente mattiniera»

«Dillo a nostro figlio» sorrise Alec, posando il vassoio sul tavolino.
«
A proposito del nostro piccolo stregone…» Magnus si avvicinò di soppiatto al piccolo, che comunque era troppo preso dalla tv per accorgersi del padre, e lo abbracciò buttandosi a terra accanto a lui. «Buon compleanno, mio piccolo principino blu!»

«Grazie, Papa» mormorò Max distrattamente.

«Lo stai soffocando… e da quando principino, di solito non è blueberry?» chiese Alec mettendosi a sua volta seduto.

Max non sembrava poi preoccupato di venir soffocato dall’abbraccio del padre e si lasciava stringere e coccolare.

«Vuoi che chiami te principino?» disse Magnus, guardando con interesse Alec, che fece una smorfia.

«Per l’Angelo no.»

«Peccato, mi accontenterò di fiorellino. Ahio.»
Max aveva tirato una ciocca di capelli di Magnus e stava allungando una mano verso l’altro padre. Alec lo prese e gli diede un bacio sulla guancia. «Ti ha punito perché fiorellino non si può sentire.»

Magnus non rispose e gli diede solo un pizzicotto sul fianco. Alec tentò di spostarsi ma proprio in quel momento un oggetto piuttosto duro lo colpì e rotolò fino ai suoi piedi, facendo un rumore per nulla incoraggiante.

«Yogo…» Max nascose le mani tra il suo corpo e quello paterno.

«Max!» esclamò Magnus cercando di non guardare Alec che si massaggiava la testa, ma concentrando l’attenzione sul pavimento dove lo yogurt si stava spandendo. Per fortuna quando aveva rimodernato l’appartamento non aveva messo il parquet.
Sospirò e ripulì con uno movimento della mano, guardando Max, che si era avvicinato di nuovo a lui. «Mirtillino, questa volta Alec non ce la farà passare liscia né a me né a te.»

«L’ho fatta grossa.» Max si nascose contro il suo petto e Magnus gli diede una pacca.

«Sono qui accanto a voi e sento tutto.»  Alec incrociò le braccia con uno sguardo serio. «Siete salvi per oggi, perché è il tuo compleanno, signorino…» Lanciò un’occhiata al figlio, attento al discorso, nonostante ogni tanto lanciasse qualche occhiata allo scatolino vuoto dello yogurt. «Ma non la passerete liscia ancora. Pensate se entrasse un demone e voi foste senza energia magica, cosa fareste?»

«Alec, quale parte del Sono il Sommo Stregone di Brooklyn non ti è chiara?» chiese Magnus un po’ sbruffone e sistemandosi le maniche lisce della maglietta del pigiama giallo canarino, come fosse una camicia. «Vivo da qualche giorno e me la sono sempre cavata con i demoni.»

«Ho bisogno della tua forza, Alexander. Non potrò più usare i miei poteri, Alexander. Sono stanco morto, Alexander. Forse dovrei calare con il lavoro, Alexander…»

«Hai chiarito meravigliosamente il punto, Alexander.» Magnus girò Max verso di sé e gli disse. «La magia si usa con moderazione, blueberry. Se entra un demone e abbiamo evocato due frullati, poi potrebbe ridurci lui a un frullato.»

Max lo guardava confuso con la testa leggermente piegata di lato e Magnus aggiunse: «Ci riduce a uno yogurt.»

«Yogo, yogo» pigolò il bambino con gli occhi accesi, tenendosi il pancino.

«Vado a prendere un altro yogurt e spero che un giorno lui sia più coscienzioso di te.» Alec si levò su e andò in cucina, prendendo lo scatolino vuoto.
Magnus sospirò, guardando la figura del compagno scomparire dietro la porta. Si preoccupava troppo, perché nessun demone poteva entrare facilmente a casa loro, se non l’aveva espressamente evocato lui e certe volte quei simpaticoni dei suoi parenti infernali si opponevano al suo volere, dando motivazioni assurde per non rispondere al suo richiamo.
Era terribilmente seccante litigare con un demone, che non appariva, perché era ancora nel suo mondo e ti diceva che doveva stirare le camicie. Avevano una risposta per tutto.

Alec tornò e il suo volto era ancora serio. Max zampettò fuori dall’abbraccio di Magnus e si sedette dove poco prima c’era la macchia di yogurt. «Daddy, scusa.»

Quelle due parole furono pronunciate con una dolcezza disarmante. Alec si concentrò completamente sul figlio e lo guardò con aria sognante, come la prima volta che l’aveva preso in braccio. «Arriva il tuo yogurt, signorino, e questa volta farai meglio a mangiarlo. Ti servono le forze per aprire il pacco gigante della nonna e del nonno.»

«Cosa gli hanno regalato?» chiese Magnus abbassando la voce, mentre Max afferrava il suo cucchiaio blu per la pappa dalle mani di Alec.

«Credo una cucina giocattolo.»

«Degli Shadowhunters che regalano una cucina giocattolo? Pensavo ci fosse una cavallina per iniziare ad allenarsi» ironizzò Magnus, facendo ridere Alec, che mormorò. «Quella sarà per il quinto compleanno.»

«Inizieremo a fare posto in casa.»

«Magnus, per te ogni scusa è buona per usare la magia e arredare casa all’infinito.» Alec gli lanciò un’occhiata, per tornare a controllare Max con attenzione.

 «Beccato!» esclamò Magnus alzando le braccia in segno di resa. «Mi vuoi far punire dal Conclave per questo?»

Alec non rispose, era troppo intento a guardare Max che si sporcava il naso con lo yogurt alla fragola. Magnus notò il movimento delle labbra che Alec faceva a ogni cucchiaiata di Max, che finisse nella sua bocca o meno. Sembrava quasi che si stesse trattenendo dall’aiutare il loro bambino, ma allo stesso tempo lo supportasse con il pensiero e gli venisse spontaneo muovere anche la bocca.

«Sistemeremo casa, quindi. Mi concentrerei sulla stanza degli ospiti…» Disse Magnus, approfittandosi della distrazione di Alec, che annuì senza averlo ascoltato minimamente.

«Avrò un fratellino?» chiese Max inaspettatamente.

Magnus rimase senza parole, mentre Alec ripeteva le parole meccanicamente, come se non ne comprendesse il reale significato della domanda del figlio.
Non sapeva come gli fosse venuto in mente e tantomeno non aveva una risposta da dargli.
Lui e Alec avevano parlato di avere altri figli, ma senza davvero avere l’intenzione di farlo nell’immediato. Max occupava le loro giornate, i loro rispettivi lavori occupavano le loro giornate, le loro vite occupavano le loro giornate. Un altro figlio era solo una conversazione, non una realtà.
Il silenzio si protrasse per un po’ e Max si era rimesso a sporcarsi con lo yogurt. A quell’età uno yogurt o un fratello avevano la stessa priorità.

«Come ti è venuto in mente, cucciolo blu?» chiese Magnus ritrovando la voglia di parlare e dando una spintarella a Max che agitò le gambe e le braccia infastidito e divertito. «Vorresti un fratello?»

«Un fratellino o un reame di fragole» disse Max, cercando di mettersi in testa il contenitore dello yogurt, vuoto, ma ancora sporco. Alec gli tratteneva la mano in silenzio, elaborando la richiesta. «Zia ha detto che la camera degli ospiti si mette a posto per l’arrivo di un nuovo bimbo.»

Magnus si segnò di fare un discorsetto a Isabelle. Intanto che c’era, avrebbe fatto un discorsetto all’intera famiglia Lightwood, perché mettevano strane idee nella testa di mirtillino, che voleva cacciare i demoni, rimanere sveglio per giocare oltre le dieci e fare il bagno negli spaghetti.
Alec finalmente diede segni di vita, dopo un sospiro, si levò in piedi e prese il contenitore dalle mani di Max, che protestò lanciando un urlo. Però Alec non lasciò la presa e andò verso la cucina in silenzio.

Magnus si avvicinò al bimbo e fece apparire un bavaglino e dei tovaglioli per dargli una pulita. Mirtillo non sembrava per niente felice. Faceva un leggero suono scontento per la mancanza dello yogurt e cercava di evitare le cure di Magnus.

«No, no, no» cantilenava, agitando le mani.

Alec apparve dalla cucina ancora pensoso e prese una delle tazzine di caffè ormai fredde. Buttò giù il caffè, come fosse uno shottino di vodka e Magnus lo fissò. «Tutto bene?»

«Vado a prendere il regalo.» Alec con la mascella e le spalle rigide uscì dalla stanza verso la loro camera.

«Mirtillo, sei bravissimo a metterci in crisi» pensò Magnus, lasciando andare mirtillo che non si era reso conto del turbamento dei genitori. Aveva percepito solo una parola: regalo.

«Questo è da parte dei nonni» annunciò Alec, rientrando con un grosso pacco rosso con i pois gialli e un fiocco gigante. Lo trascinò fino al tappeto.

«Mio, di Max» disse il piccolo, battendo contro la carta. Il suono fece capire a Magnus che sotto alla carta c’era il cartone. «È grosso.»

Alec e Magnus sciolsero il nastro e iniziarono togliere la carta, aiutati da Max, che si infilava dappertutto per vedere per primo il suo gioco.

«Ma è mega super grandissima.» Max abbracciò la cucina, come se fosse un essere vivente e si presentò pure. «Ciao, sono Max. Ho tre anni, ho due papà e non tutti hanno due papà, ma io sì ed è bellissimo, anche loro hanno una cucina, ma tu sei più bella della loro…»

«La cucina che hai tanto voluto Alec è sorpassata rispetto a questa. Lo dice anche Max. Ti avevo detto di comprare l’altro modello.» Magnus si alzò e andò vicino ad Alec, che sorrideva ancora un po’ rigido. «Tutto bene?»

Alec annuì e prese per mano l’altro, avvicinandolo e accoccolandosi nel suo abbraccio. «Vieni un attimo sul balcone.»

Magnus fece un cenno e si lasciò guidare oltre la porta finestra del salotto. Da lì potevano controllare lo stesso Max, che in realtà era totalmente assorbito dalla sua nuova cucina giocattolo e dai pentolini da non prestar attenzione a altro. «Ci sono le fragole in frigorifero!»

«Con le fragole la cucina guadagna punti» sorrise Magnus, distogliendo lo sguardo dal figlio e lanciando un’occhiata al panorama. «Chissà cosa penserà quando vedrà il nostro regalo.»

«Non gli possiamo dare tutti i regali insieme. Perderebbe interesse per quelli che ha già scartato.» Alec guardò verso la Tour Eiffel che svettava sopra i tetti e i palazzi. Prese un respiro e mormorò. «Qui è sempre bellissimo.»

Magnus si appoggiò alla ringhiera e guardò il via vai sotto il loro palazzo. Sorrise, perché sapeva che Alec si era innamorato di Parigi e soprattutto di quell’appartamento. Era quasi sicuro che lo amasse quasi più di quello di New York, nonostante fosse casa loro, la casa ufficiale, quella in cui tornavano e vivevano per la maggior parte del tempo.
Parigi piaceva anche a Magnus, anche se non sempre amava i parigini e la loro politica caotica e troppo rivoluzionaria. Non sempre aveva avuto buoni rapporti con i vampiri di quella città e per molto tempo aveva pensato anche di non tornarci mai più. Però il primo viaggio con Alec l’aveva fatto riappacificare con la città. Vederla attraverso gli occhi di Alec, curiosi e affascinati, aveva aggiunto una sfumatura nuova.
Era innamorato e per la prima volta sentiva di capire perché Parigi era la città dell’amore. Non era stato tutto semplice in quella tappa del viaggio, qualche incomprensione, qualche dubbio da parte di entrambi, ma piano piano si erano aperti l’uno all’altro e avevano trovato per la prima volta l’intimità. In quello stesso appartamento, dopo che aveva venduto quello storico che aveva posseduto per diversi secoli, e in quella camera da letto con le pareti rosse e ammobiliata in stile orientale, sopra quel letto mastodontico, con le coperte bianche di scivolosa seta, Magnus e Alec avevano scoperto un piacere nuovo dello stare insieme.

Magnus non poteva di certo dimenticare l’unica occhiata che Alec aveva lanciato a quella camera prima che partissero per Dubai. Il suo Cacciatore non si era nemmeno accorto che lo stava guardando, così preso a fissare il letto e dare un ultimo sguardo alla fotografia che Magnus aveva deciso di mettere in cornice sul suo comodino in ricordo di quella tappa del loro viaggio.

Quella cornice c’era ancora e vicina ce n’era una di Max che mordeva la manica della sua tutina da neonato.

«Magnus» lo richiamò Alec, posandogli per un momento la mano sulla spalla e poi spostandosi.

Magnus si voltò, dopo un ultimo sguardo alla torre di ferro così disprezzata dai parigini, che però era così amata in tutto il mondo, e trovò Alec con un ginocchio a terra e i suoi occhi azzurri limpidi. Era leggermente imbarazzato, ma teneva il viso fisso su di lui. Parlò con voce decisa: «Magnus Bane…»

«Alec, mi stai per fare la proposta? Qui con tutta Parigi hai nostri piedi? È veramente romantico, fagiolino, molto più romantico dell’anno scorso che me l’hai fatta con gli occhi chiusi e ti sei addormentato prima di sentire la mia risposta.» Alec alzò leggermente gli occhi, diventando ancora più rosso. Non aveva gradito l’interruzione e Magnus si affrettò a scusarsi. «Mi tappo la bocca, giuro. A lei la parola, Alexander.»

Alec sorrise e lo stregone ringraziò mentalmente biscottino per aver portato quel magnifico uomo inginocchiato nella sua vita. Le doveva comprare per forza un profumo. 
«Magnus Bane, veux-tu m'épouser?» chiese Alec. Una mano giocherellava con l’orlo della sua maglietta del pigiama, sformandola ancora di più di quanto non fosse e l’altra si spingeva in avanti tra loro alla ricerca della mano di Magnus, che fece scontrare i loro palmi con un sorriso.

«Sei pieno di sorprese, fiorellino» mormorò lo stregone, complimentandosi con il compagno per l’ottimo accento francese. «Sei stato sempre pieno di sorprese e io sono un uomo molto fortunato.»  

Magnus si abbassò sotto lo sguardo perplesso di Alec e si inginocchiò a sua volta. «E questa posizione è dannatamente scomoda. Non senti anche tu le ginocchia, che dolgono a contatto con il pavimento freddo?»

Alec non sembrava sentire nessun dolore. Dannati Shadowhunters, che in ogni situazione si dimostravano stoici e incuranti di tutto. In realtà proprio incuranti di tutto no. «Voglio una risposta» intervenne Alec con una leggera impazienza.

«Vorrei» lo corresse Magnus prendendolo in giro e ritardando la risposta. Max aveva preso l’abitudine di dire “voglio” e Alec non voleva che diventasse un vizio, così passava la giornata a correggere quello che per Magnus non costituiva un problema. In fondo Alec stesso diceva in continuazione “ti voglio” e a Magnus piaceva molto sentirselo dire, perché lo voleva altrettanto.

«Mi vuoi rispondere?» chiese Alec, non sapendo controllare la sua impazienza.

Alexander era maledettamente testardo, molto più di quello che sembrava a prima vista. Era perfino esasperante alle volte, quando si metteva in testa di dover assolutamente fare qualcosa o pretendeva che gli altri gli dessero una risposta. Anche quando sapeva cosa avrebbero risposto come in quel caso.

«Alexander, mon petit. Je t'aime, mais je ne puis vous épouser. Vorrei, ma voglio aspettarti all'altare e vederti incedere verso di me con quell'abito dorato che manderà riflessi deliziosi al tuo viso e ai tuoi occhi.»

Per un attimo lo sguardo di Alec brillò, poi lo abbassò. «Mamma ha sempre detto che l’oro non mi dona.»

«Sarai splendido. Il mio Golden Boy.»

Si scambiarono uno sguardo emozionato e prima che riuscissero a baciarsi, sentirono Max che urlava.
Uno solo sguardo e Magnus capì che Max era troppo entusiasta della sua cucina, tanto che aveva provato a cuocere davvero una bistecca finta.

«Brucia, brucia» piagnucolava il bimbo, rigirando le mani, per farlo smettere, ma in panico per riuscirci.  Alec un attimo dopo era vicino a lui e lo allontanava.

Magnus ci mise un attimo di più, per colpa della posizione, a mettersi in piedi e poi agitò la mano, facendo diminuire il fuoco fino a scomparire. Non c’era più niente da fare per la pentola e la bistecca che erano sopra il fornello. La plastica si era accartocciata e, in parte colata, oltre ad essere diventata nera. La puzza di bruciato era terribile.
Per fortuna solo un fornello aveva risentito del fuoco, il resto era a posto.

«Max, è una cucina giocattolo!» esclamò Alec, muovendo le mani e facendo uscire il fumo dalla finestra. Il suo petto si abbassava e alzava velocemente. «Non puoi cucinare veramente, come fai con me e papà nella nostra cucina.»

«Ma volevo fare la pappa per quando arriva il mio fratellino, Daddy.» Max si strinse nel suo pigiamino. Alec quasi non intese le parole tanto che Max strillava tra le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi. «Cosa mangerà adesso?»

Magnus prese Max in braccio e cercò di calmarlo, spiegandogli che non si poteva usare la magia per appiccare fuoco agli oggetti, ma era sicuro che non l’avrebbe più fatto dato lo spavento che aveva preso.

Alec buttò via il pentolino e la bistecca e pulì il fornello di plastica. Spostò la cucina contro la parete in modo che non fosse in mezzo al passaggio. 
Si trovarono seduti sul divano un quarto d’ora dopo. Magnus stava ripulendo le lacrime sul visetto del figlio che aveva continuato a piangere finché non si era addormentato.

«Vuole proprio un fratello» mormorò Alec, prendendo un piede di Max tra le sue mani e accarezzandolo. Max sembrò quasi fare le fusa nel sonno, cambiando ritmo del respiro.

«Così sembrerebbe.» Magnus avvicinò le labbra al volto di Alec e gli depositò un bacio sul mento. «Ma vuole anche un reame di fragole.»

Alec rise e guardò Max con affetto. «Gli passerà.»

«Sì, gli passerà.»
 
 
Magnus e Alec nei mesi successivi capirono che non gli sarebbe passata, quando Max iniziava a parlare sempre più spesso di un fratellino e preparava i disegni per il fratellino, faceva da mangiare anche per il fratellino (per fortuna senza bruciare più la cucina) e chiedeva quando gliel’avrebbero comprato.
Magnus cercava di distrarlo dicendo che al suo compleanno sarebbe arrivato il regno di fragole che tanto voleva e Alec iniziava a pensare che forse Max si sentiva solo e lo portava sempre più spesso al parco.
Quello che nessuno sapeva era che un altro bambino aveva bisogno di una famiglia e che presto Alec l’avrebbe trovato e Max avrebbe avuto il fratellino tanto desiderato.
 
 
Quarto anno dalla prima proposta

«Rafael Santiago Lightwood Bane, non provare a nasconderti.» Magnus sbraitava, cercando di afferrare il nuovo membro della famiglia. Doveva svestirlo e rivestirlo per andare all’Istituto, ma sembrava che Rafe non ne avesse l’intenzione.

«Non mi cambio las ropas

Rafe iniziava a capire la loro lingua e a parlarla, ma ogni tanto gli scappava qualche parola in spagnolo. Per quanto riguardava la sua cadenza non sarebbe mai scomparsa.

«Non verrai al compleanno di Max con quella tuta. Non ti lascerei venire vestito così nemmeno se fossi un fashion blogger» esclamò Magnus, rincorrendo il bambino che sfrecciava per casa. Rafe era agile e correva senza problemi, evitando ostacoli e cercando sempre la soluzione migliore per non farsi acchiappare.
Magnus, invece, aveva rischiato di farsi male a un piede ed era quasi scivolato su un pastello che Max doveva aver lasciato in giro. Indossava per fortuna dei comodi pantaloni del pigiama bianchi e una maglietta che aveva così poca stoffa, che Alec aveva commentato che faceva prima andare in giro a petto nudo. Magnus aveva ribattuto che se lo voleva in déshabillé, bastava chiedere senza disapprovare la maglietta.

Rafe corse sicuro verso il corridoio e si infilò in bagno. Magnus sghignazzò, perché Alec stava ancora lavando Max, per cui la corsa del bambino stava per giungere al termine.

Aprì la porta e vide Alec bagno dalla testa ai piedi. La maglietta gli si era appiccicata addosso, i capelli grondavano acqua ed erano più scuri. Cercava con tutta la pazienza che riusciva a sedare le urla del loro bambino, ma la vena sul collo diceva che stava per iniziare a gridare anche lui.
Max era nell’acqua e batteva le mani, fregandosene di star rendendo il bagno una succursale della vasca. Tra poco avrebbero nuotato per spostarsi da una parte del bagno all’altra. «Voglio andare alla mia festa. Non voglio lavarmi, Daddy. Sono pulito.»

«Max…» Qualsiasi rimprovero volesse fare Alec, non riuscì perché si trovò di colpo investito da un’ondata d’acqua dritta in faccia.
Rafe era piegato in due dal ridere e Max continuava ad agitarsi nell’acqua. Non voleva lavarsi, ma ormai era completamente fradicio.
Magnus rimase a fissare tutto quel caos con la mano sulla maniglia. Non riusciva a distogliere lo sguardo, anche se avrebbe voluto sigillare tutto e andarsene nel primo locale a bere qualcosa di molto alcolico.  

La vista di Alec, che cercava di asciugarsi con un asciugamano bagnato quanto lui, fu davvero la goccia che fece traboccare il vaso. Tanto di acqua ormai ce n’era tanta in giro, una goccia più o una in meno in fondo non cambiava nulla, se traboccava anche il suo vaso.

«ADESSO BASTA» urlò tra l’isterico e lo spazientito. Tre paia d’occhi si puntarono su di lui, anzi quattro contando i due ai lati della testa del pesciolino Giò, e le urla di Max e la risata sgangherata di Rafe si bloccarono di colpo.

«Max, finisci di lavarti. Alla tua festa non ci andiamo se non sei pulito, in ordine e vestito decentemente.» Magnus squadrò il figlio che sembrava improvvisamente essersi reso conto del parco acquatico che aveva realizzato intorno a sé. Prese lo shampoo, se ne versò un quintale sulla testa e iniziò a insaponarsi. «Bravo, sfrega bene e non mangiare quintali di balsamo come fai alcune volte.»

Magnus puntò gli occhi sull’altro bambino, che sembrava sfidarlo a parlare nel piccolo spazio tra il muro e il water. «Rafael, adesso mi segui e troviamo un paio di pantaloni e una maglietta che ti piacciano e allo stesso tempo non siano una tuta. Hai buon gusto sui vestiti, se solo smettessi di scappare e stessi con me davanti all’armadio a sceglierli.»

Rafe scrutò Magnus in silenzio, poi inaspettatamente annuì, tornando verso la porta e infilandola senza dire nulla. Aveva un’espressione sorpresa come se non si capacitasse che quel tipo che ostinava a chiamare “vecchio” riuscisse a comprenderlo di tanto in tanto.  

Magnus sospirò soddisfatto e si rivolse all’ultimo membro umano della famiglia. Il membro felino, ovvero Presidente Miao, non andava con loro alla festa, per cui non era importante che avesse fatto le sue pulizie o si fosse vestito. «Alec…»

«Stai per mettere in riga anche me?» chiese Alec, buttando per terra la salvietta e sollevando l’acqua sul pavimento.

Scostò dalla fronte i capelli bagnati e cercò di asciugarsi, ma lasciò perdere costatando che anche le maniche della maglietta azzurra erano umide.

Magnus avanzò di un passo e i suoi piedi entrarono in contatto con l’acqua. Aprì un’anta del mobiletto del bagno e tirò fuori un telo di spugna. Lo lanciò ad Alec che lo afferrò, alzandosi in piedi con un’espressione riconoscente.

«Posso usare la magia, paparino, per pulire questo laghetto artificiale?» chiese Magnus, aspettando la risposta di Alec, che solitamente preferiva pulire tutto a mano. Non voleva che i suoi due stregoni dovessero usare la magia per ogni problema.

«Uhm… mi sa che questa volta te lo lascerò fare.» Disse Alec, controllando che Max si stesse davvero lavando. «Tra mezz’ora dobbiamo essere all’Istituto per i preparativi della festa.»

«Bene.» Gli occhi di Magnus si illuminarono. Molto probabilmente avrebbe ricorso alla magia anche se Alec non gli avesse dato il permesso, ma così si sentiva autorizzato. Si domandò quando aveva iniziato a comportarsi in modo più responsabile e meno da stregone e mascalzone che fa tutto quello che gli salta in mente, ma non trovò la data ufficiale tra tutte le sue esperienze. Non se n’era nemmeno accorto a dirla tutta.

«Allora vado ad aiutare Rafe e poi torno, quando avrete finito di lavarvi.» Anche quella frase suonava maledettamente responsabile.

Alec annuì e Magnus si incamminò, pensando che doveva andare a comprarsi qualcosa che ufficializzasse questo stadio della sua vita. Poteva andarci il giorno dopo con calma, per ora doveva pensare alla festa. Era davvero responsabile.   

Lui e Alec avevano un’ora e mezza per allestire. Doveva gonfiare qualche trilione di palloncini e disporre le tavolate. Un’ora e mezza poteva sembrare tanto tempo, ma sarebbe passata fin troppo velocemente.
Un attimo prima di varcare la porta della camera di Rafe, Magnus sentì Alec gridare: «Mi vorresti sposare?»

«No» urlò di rimando.

«Stanotte dormi sul divano» esclamò Alec ridendo e Magnus sentì un secondo dopo stava borbottando qualcosa a Max.

«Sì, perché dormirai anche tu sul divano.» Lo stregone entrò nella camera di Rafe con il sorriso sulle labbra.  Il bambino stava di fronte all’armadio chiuso con le braccia conserte e il profilo dritto come quello di un soldato.

Magnus prima di chiudere dietro di sé la porta urlò ad Alec: «Ti amo e, sempre di più, ogni maledetto anno che passa, vorrei trascinarti nella chiesa più vicina e sposarti. Perché per me è sì, è stato sì da quando, quattro anni fa, mi hai detto che avresti voluto sposarmi.»

Dal bagno non arrivò un suono, ma Rafe lo guardava con attenzione.

«Ti sono piaciute le mie parole, pequeña flor?» domandò Magnus, aprendo con la magia le ante dell’armadio.
 
«Non chiamarmi così, vecchio.»

«Sei talmente acido che mi hai fatto venire in mente che devo spremere i limoni per i cocktail» mormorò Magnus, tirando fuori dall’armadio solo i capi che lo convincevano. «Però potrei spremere direttamente te.»

L’occhiata di Rafe gli fece capire che era poco disposto a tollerarlo e non protestava perché aveva bisogno di scegliere qualcosa da mettersi.
 



Veux-tu m'épouser? – mi vuoi sposare?
Mon petit. Je t'aime, mais je ne puis vous épouser – mio piccolo. Io ti amo, ma non ti posso sposare
Las robas – i vestiti
Pequeña flor – piccolo fiore

 

Buongiorno,
inizio subito ringraziandovi di aver letto questo, ma anche i capitoletti precedenti. Grazie mille.
Loro quattro sono molto importanti per me e spero che vi continuino a piacere.
Spero di non aver fatto errori in spagnolo e francese, ma il francese l’ho studiato alle medie ed è passato tanto tempo, lo spagnolo non so neanche dove stia di casa. Mi sono fatta aiutare, quindi speriamo bene.
Comunicazione che non c’entra niente: avete sentito vero della trilogia di Magnus, scritta da Wesley Chu (io adoro quest’uomo e lo sto stalkerando su twitter!) insieme a Cassie? Mi sono scordata di scriverlo l’altra volta e sono troppo, troppo felice. Spero sempre che Cassie ci regali uno snippet su quelli che io ho iniziato a chiamare Malecrax (Magnus+Alec+Rafe+Max), perché Malec mi sembra limitativo. Insomma sono una famiglia e li sto trattando da famiglia, anche se il nome cumulativo non mi piace un granché!  Continuerò a elaborare.
Dany
   
 
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