Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _deny_    26/07/2016    0 recensioni
Allora, partiamo con ordine:
ci sono lei, lui e l'altro.
L'unico piccolo problema di Emma, è che non sa come capire chi sia l'uno e chi sia l'altro.
Ora, per godervi meglio la storia, seguite le mie istruzioni.
Preparate una vita in cui sbattere abbondante odio.
Poi unite, lentamente, un po di passione: se non ne avete abbastanza la potrete trovare nella persona sbagliata.
Infine aggiungete un pizzico di bugie a scaglie e lasciate riposare il tutto finché non lievita fino ad esplodere.
Ed ecco a voi un freddo e invitante piatto:
la vendetta.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccome XD Questo è il 2 capitolo, scusate il ritardo :) Per chi volesse fare amicizia, restare aggiornato sulla storia o anche solo sparare cavolate, ho un gruppo con sciona di "The edge of love" :) Ecco qua, cliccateci sopra e vi rimanderà alla pagina facebook!A presto ;)
Sciona & _deny_  Efp


Emma arrivò alla palestra comunale alle quattro del pomeriggio. Aprì il grande portone verde dell'entrata, ritrovandosi in un lungo corridoio anonimo, con piastrelle anch'esse verdi e muri che, un tempo, erano stati bianchi, ma attualmente erano ricoperti di pedate, che i ragazzini lasciavano per dispetto. L'aria sapeva di candeggina, ed Emma si massaggiò la testa per quella sensazione di nausea che stava iniziando a prenderle lo stomaco. Il mal di testa non le era passato, tutta colpa di quell'imbecille, ovviamente, pensò stringendo i pugni e sedendosi pesantemente sulla prima panca che trovò.

Se Emma aveva qualcosa in comune con Matteo, era l'odio per le liti.
Non era la tipa sempre incazzata col mondo che Matteo credeva: a lei piaceva punzecchiare gli altri o fare l'arrogante con Matteo, per dimostrargli che non poteva essere scalfita da nulla, nemmeno dalle sue frecciatine, ma di certo non coltivava l'hobby di saltare alla gola di chiunque le passasse davanti.
Al contrario, era brava ad essere padrona di se stessa, capace di difendersi col sorriso sulle labbra in ogni situazione, ma con Matteo proprio non riusciva a trattenersi. Lui le faceva venire la voglia di incazzarsi, di sfogarsi su di lui, ed era come se la sua sola presenza le procurasse attacchi di rabbia ingestibili e tutto ciò sembrava quasi da malati.

 

Si Emma, sei malata, fattene 'na ragione. Un ottimo passatempo per Freud, se fosse ancora vivo.

 

Ogni volta che litigavano in quel modo passava il resto della giornata con un tremendo mal di testa, causa della sua pressione bassa, il che glielo faceva odiare ancora di più.
Non era come litigare con Lorenzo, con lui nevosismo ed eccitazione salivano di pari passo, finendo per lasciare una dolcissima sensazione di confusione totale.
Peccato fossero fermi alla fase Facciamoci i dispetti come all'asilo.

Sua madre arrivò in quel momento, affacciandosi da una delle porte che portava agli spogliatoi, luogo scelto per le riunioni riguardanti la festa medievale.

"Emi, vieni un attimo che così provi il costume per la sfilata? Dobbiamo controllare che sia tutto apposto."


Quella donna era un fascio di nervi in quei giorni. Ci teneva moltissimo a quella festa, desiderava fosse tutto perfetto ed organizzato fin nei minimi dettagli.
Solo il giorno prima una delle ragazze che partecipavano alla sfilata aveva provato il costume, che gli era diventato largo perché questa era dimagrita di cinque kili negli ultimi due mesi, e ciò aveva fatto impazzire sua mamma che a casa si era sfogata con lei e con tutte "Voi stupide adolescenti che pensate solo alla dieta". L'ha controllata per tutta la cena, assicurandosi che mangiasse come al suo solito. L'ansia.
Inoltre l'aveva minacciata di non perdere o prendere nemmeno un etto, altrimenti l'avrebbe esclusa dalla sfilata.
Emma non aveva risposto, conscia che la sua genitrice non fosse nel pieno delle sue facoltà mentali e doveva solo lasciarle sfogare lo stress, poi sarebbe tornata l'impersonificazione della calma fatta in persona.
Così quando, tornata da scuola, le aveva detto che sarebbero andate a fare la prova costume e di muoversi a mangiare, Emma non aveva contestato. Prima di tutto perché sua madre era l'unica al mondo a incuterle timore, dato che non sapeva mai cosa aspettarsi quando si incazzava. In secondo luogo aspettava da mesi quel giorno, quella sarebbe stata la prova costume definitiva, due giorni prima della grande festa.

 

Entrò nel camerino, dove si trovava il vestito e la sarta, una signora sui cinquant'anni che sembrava ce l'avesse col mondo intero. 

Era alta, slanciata e con corti capelli brizzolati sempre al loro posto, inoltre aveva una passione smisurata per le salopette, dato che l'aveva sempre vista solo con quelle indosso.
Le faceva un po' paura ad essere sincera, sembrava pronta ad uccidere chiunque la contestasse e aveva sempre uno sguardo inferocito.
Le borbottò un salve a cui la donna rispose con un cenno del capo, intenta a togliere un vestito turchese dalla gruccia.
Visto così l'abito sembrava un ammasso di merletti e strati messi a casaccio uno sopra l'altro, e in quel momento pensò al programma che guardava con sua madre: Abito da sposa cercasi.

 

"E ricordate, l'abito non si guarda ma si indossa."

O qualcosa di simile.

Dio mio, un vestito da meringa...

 

" Emma svestiti, così possiamo vedere se il vestito è giusto."

Sua mamma lo disse spingendola su una panca, per farla sedere e svestire, con gli occhi che quasi brillavano nell'attesa di vederla con indosso quella che definiremo tenda, o massa informe di tessuto a dir si voglia.

" Mamma so svestirmi da sola, graaazie."

Per quanto sua madre le lasciasse la sua indipendenza, forse anche troppa dato che a tredici anni la lasciava gironzolare, con i suoi amici del mare, fino alle sei del mattino senza dire ne a ne bah, ogni tanto la trattava come una poppante, come in quel momento in cui le stava togliendo le scarpe. Continuò senza ascoltare le sue proteste, quando ad un tratto la porta si aprì.

" Scusate il ritardo."

Emma alzò lo sguardo all'improvviso, incontrando quelli di Lorenzo che la guardavano divertiti.

Emma arrossì, pensando a quanto dovesse sembrargli ridicola in quel momento. Immaginava già quanto l'avrebbe presa in giro, una volta trovandosi da soli. Avrebbe anche pensato fosse una stupida ragazzina, di quelle che fanno tanto le superiori, ma che senza i genitori non sapevano che pesci prendere.

" Mamma smettila, sei troppo nervosa, so far da me, dai."

Sbuffando per l'imbarazzo si chinò per togliersi le calze, sua mamma si alzò e sembrò trattenere le risate, poi salutò Lorenzo, preso ad osservare il tessuto nelle mani della sarta.

"Lore! Credevo arrivassi più tardi, ma già che ci siamo vai nel camerino accanto, ti porto subito il tuo abito, così poi facciamo qualche prova della sfilata dato che ci siete entrambi."

Emma invece emise un ciao strascicato, guardandolo, aspettando che uscisse per togliersi anche i jeans e la maglia.

 

"Grazie ma', bella figura di merda che ho fatto. Sorpresa da Lorenzo mentre mi toglievi le scarpe, come se avessi cinque anni poi! Ho imparato a vestirmi da sola tanti anni fa, ricordi?"

La madre le stava dietro, aiutandola ad abbassare gli strati della gonna che le si erano ammassati sui fianchi. Sorrideva, incurante delle proteste della figlia, mentre quest'ultima teneva un cipiglio imbronciato cercando di rimettere apposto i capelli, che le si erano scompigliati nell'infilare quei tremila strati di tessuto.

Mentre le tirava la gonna verso il basso, il sottogonna le si sfregò malamente sui fianchi.

"Ahi!"

Ecco da chi ho preso la mia delicatezza. 

Sua madre sbuffò.

Mi sa ho preso troppe cose da questa donna.

"Non fare la scorbutica dai, non è una tragedia. Pure sua mamma lo avrebbe fatto. Ti ho solo tolto le scarpe, che tragedia."

Emma ne dubitava.

"Non credo proprio, sai?"

"So che tu non puoi saperne nulla, perché non lo hai mai visto. Magari lo ha fatto giusto stamattina, ma che ne puoi sapere te, mica c'eri."

Discutere con sua madre era una causa persa.

 

Finalmente la gonna era sistemata, quindi prese il bustino avvolgendoselo intorno, tenendone i limiti inferiori con le dita sulla schiena, aspettando che sua madre ne chiudesse i bottoni.

Chiuse gli occhi per calmarsi, se le avesse risposto troppo male sarebbe finita col litigarci, ed era comunque troppo educata per esprimere i suoi pensieri, quindi attese in silenzio che le abbottonò il bustino e, una volta fatto, si avvicinò al bagno per vedersi allo specchio. Una mano trattenne la sua quasi nell'esatto momento in cui si mosse.

"Chiedo solo una cosa- esordì la sarta con voce minacciosa- non ci si guarda allo specchio fino al giorno della sfilata."

Ma stiamo scherzando?

Emma si voltò verso la sarta, con la bocca semiaperta e le pupille dilatate.

"Ma... Ma come? Perché?"

Chiese con voce infantile, aspettava da anni quel momento, e ora non poteva nemmeno goderselo. 

Che saltava in mente alla vecchia? E se non le fosse piaciuto, o se il giorno della sfilata avesse scoperto di sembrare una balena spiaggiata con quel vestito? Avrebbe voluto goderselo davanti allo specchio, mica si vestiva tutti i giorni così.

 

Uscendo dal camerino Emma incontrò Lorenzo, probabilmente le stava aspettando già da un po'. Sentì il cuore salirle in gola quando lo vide.

Lorenzo si avvicinò, nel suo completo in calzamaglia. Sembrava Douglas Booth in Romeo & Juliet.

Era estremamente affascinante, Emma non aveva mai visto un ragazzo più bello di lui. 

" E il brutto anatroccolo si trasformò in un cigno" le sussurrò.

Emma rimase zitta per qualche secondo, si aspettava un complimento ed era pronta a ribattere con un grazie, ma quello... Quello non era un complimento, giusto? O ci sentiva male lei?

A scoppio ritardato, gli diede uno schiaffetto sulla nuca.

"Brutto anatroccolo a chi, cretino?!"

Lorenzo scoppiò a ridere, e più rideva, più Emma aveva voglia di spaccargli la faccia, nonostante, soli cinque minuti prima, gli sarebbe saltata addosso.

Quando smise di ridere, finalmente, la guardò. Con la punta delle dita accarezzò le decorazioni del corpetto, gelandole il respiro.

Emma avrebbe voluto deglutire quel groppo in gola che sentiva, ma non riusciva a ricordare come si faceva. 

"Stavo scherzando Emma, sei più bella del solito" disse a bassa voce, guardandola negli occhi.

Oh, così andava già meglio.

Lei cercò di sorridergli, ma quel complimento, detto con quella voce così calda, mentre la guardava così profondamente la fecero emozionare tanto che le uscì un sorriso sghembo e tremante.

Dio mio, che diabete.

 

*-*-*-*-*-*-*-

 

La stanza di Emma era temuta dai più. Le sue amiche non volevano saperne, entrandovi solo se necessario. I suoi genitori invece, quando le avevano permesso di scegliere il nuovo arredamento l'anno prima, l'avevano guardata sconsolati e osava pensare, quasi inquietati. Sua nonna era l'unica a trovarla affascinante. A parte Emma stessa, ovviamente. 

 

Questo avrebbe dovuto farle sorgere dei dubbi, fin da subito. 

 

Ma Emma non si faceva intimidire, continuando ad ammirare la sua stanza con occhi luccicanti e pieni d'orgoglio. 
L'armadio ad angolo aveva otto ante a specchio. 
La spalliera del letto, di fronte all'armadio, era formata da piccoli archi bianchi continui, che circondavano tanti piccoli specchietti. 
La cassettiera anch'essa bianca che si trovava nell'unica parete libera, accanto alla scrivania, era disposta sotto un altro grande specchio quadrato attaccato alla parete. 
Motivo d'inquietudine di tutti era appunto la presenza di tutti queste superfici riflettenti. 

 Emma cercava di farli ragionare, insistendo sul fatto che rendessero la stanza più luminosa e più grande.  

Inoltre lei adorava specchiarsi. Non credeva fosse per vanità o per insicurezza, era per lo più una fissa che aveva sempre avuto. Era capace di passare ore davanti allo specchio, come se avesse paura di cambiare da un giorno all'altro. 
 

Matteo l'aveva più volte minacciata, dicendole che sarebbe stato divertente romperne uno ogni sette anni, per assicurarle una sfiga perenne. 

 

Fatto sta che tornata a casa dalle prove dell'abito la prima cosa che aveva fatto era stata specchiarsi, per controllare se Lorenzo avesse portato danni con il suo savoir faire. Non avevano mai passato così tanto tempo a stretto contatto come quel pomeriggio.

Dopo il suo complimento c'era stata una leggera aria d'imbarazzo, poi sua madre aveva parlato con entrambi, spiegandogli per bene la scaletta che avrebbero dovuto seguire per la sfilata. Lei ci aveva capito la metà, troppo presa dal corpo di Lorenzo accanto al suo, che a volte la sfiorava. Quindi si aspettava di trovare qualche traccia del sconvolgimento emotivo che aveva sentito in palestra. 
Cercò di capire se il suo colorito fosse diverso, ma trovò le guance chiare come il resto della pelle. Controllò gli occhi, aspettandosi di vederli ancora scossi o più brillanti del solito, ma niente. Era tutto sotto controllo. Solo le labbra erano leggermente piegate all'insù, l'ombra di un sorriso leggero che non sembrava intenzionato ad andarsene. E le mani tremavano appena, un tremolio quasi trascurabile se non ci si soffermava ad osservarle per più di qualche secondo. 

 Non sapeva se esserne sollevata o pensare che, se nemmeno un ragazzo affascinante come Lorenzo poteva scombussolarla, allora era un caso perso. Aveva avuto le sue cotte, addirittura ricordava i drammi che avevano speziato due delle sue infatuazioni più pesanti alcuni anni prima, quando ancora credeva nel principe azzurro. 

 

Quanti pianti inutili. 

 

Era stata innamorata dell'amore finché, un giorno, si svegliò con un messaggio da quello che credeva fosse la sua anima gemella, che diceva che non poteva funzionare. 

Fosse stato uno dei tanti forse non l'avrebbe scossa più del necessario ma, il soggetto, aveva sfortunatamente tutta la stima e la fiducia di Emma. Si conoscevano da anni, si vedevano solo nelle vacanze estive ( Scrivendosi durante il resto dell'anno) e lei credeva davvero che fosse l'uomo più affidabile del mondo.  

Era un bravo ragazzo, sicuramente non bello, ma aveva così tanti pregi che dopo anni in cui lui l'aveva rincorsa assiduamente senza farne segreto, lei non poté far altro che innamorarsi a sua volta.  

La portava a vedere le stelle, le suonava ( e cantava) le canzoni più romantiche degli 883, la loro sintonia era invidiabile. 

O almeno così credeva. 

 

La fine di quell'idillio arrivò dopo soli due mesi, da un giorno all'altro. Il giorno prima lui le dedicava le parole più dolci al mondo, il giorno dopo le dedicò invece l'unica frase che non avrebbe mai voluto sentire da lui.  

 

In breve il senso di quella frase era, più o meno, questo: non me la vuoi dare? Vuoi tenerti illibata perché non ti senti pronta? Scusa, il mio amico dei piani bassi non condivide. 

 

E tanti saluti alla Emma romantica. Benvenuta sfiducia nel mondo. 

Fu forse l'unico periodo della sua vita in cui lei e Matteo non litigarono. Lui sapeva a grandi linee, dato che sua madre si premurava che i vicini sapessero i fatti suoi. 

Che poi non ci voleva un genio per capire che quell'isolarsi, quel non punzecchiarlo, quel dimagrire a vista d'occhio in poche settimane, e la miriade di canzoni tristi che ascoltava in camera, non erano causate dalla famosa depressione post vacanze. 

 

Emma si era fermata in giardino, seduta in una delle sedie sotto il gazebo, e aveva appena scoperto Alessandro Baricco. Mentre si perdeva tra le righe di Novecento le arrivò un sms dall'unica persona che l'aveva appena spezzata, e mai la minaccia preferita di sua madre le era sembrata così adatta:  

Ti prendo, ti spezzo le ossa e ci gioco a shanghai.  

Lui c'era riuscito. L'aveva spezzata. 

Il messaggio altro non era che un semplice - Ciao, come va?- 

Allontanò il cellulare, per evitare di buttarlo a terra e saltarci sopra. 

Non aveva nessuna intenzione di rispondergli, non voleva fargli credere che bastasse così poco per ripulirsi la coscienza. Lui meritava di sentirsi in colpa. 

Doveva sentirsi una merda, per rendere il concetto. 

Come le accadeva spesso ultimamente scoppiò a piangere. Si sentiva stupida per essere così tragica, ma era ormai diventata un rubinetto aperto. 

Dopo pochi secondi, o minuti, una mano le coprì la spalla, per poi ritirarla quasi nell'immediato. Lei saltò sul posto, spaventata, e voltandosi vide il volto dispiaciuto di Matteo. 

La pena che provava per lei era evidente. 

Lo guardò con gli occhi ancora umidi, arrabbiata per la debolezza che stava mostrando proprio a lui. 

"Cosa vuoi Matteo? Lo vedo come mi guardi, sai?" 

Matteo non si aspettava una reazione del genere e si allontanò di un passo, biascicando un "Io... Io volevo solo..." Poi s'interruppe. La rabbia con cui lo guardava Emma poteva quasi sentirla lui stesso, odiava questo lato di lei. Era così passionale nei suoi umori. Tutto ciò che lei provava, lo provava con un'intensità che lui non avrebbe mai creduto possibile se non fosse che gliela trasmetteva con tanta forza, facendo si che lui stesso sentisse sue quelle emozioni. Strinse i pugni per sopprimere la voglia di schiaffeggiarla. 

"Sei una cretina" disse infine, allontanandosi. 

Emma, per quanto l'odiasse, si sentì davvero una cretina.  

Da quel giorno non aveva smesso di soffrire, ma cercò di tenere a bada il dolore per quando era da sola, preferibilmente prima di addormentarsi. Il resto del tempo lo passò concentrandosi di più sullo studio, come non aveva mai fatto in vita sua. Ironicamente funzionò.  

 

Quella volta fu la prima e l'ultima che soffrì come un cane per un ragazzo. C'era voluto un anno per arginare del tutto il dolore e per capire che non era la fine del mondo.  

Ma, in un certo senso, era stata la fine di un mondo. Del mondo intero no, ma il suo mondo fatato dove spesso si era rifugiata, quello dei suoi possibilissimi sogni e del principe azzurro che la salvava, quel mondo era distrutto.  

Capì che non aveva bisogno di essere salvata da nessuno, ma il lavoro sporco avrebbe dovuto farlo lei stessa.  

Capì che i sogni non sono abbastanza, sono un inizio ma poi spettava a lei decidere cosa farne. 

 

 

"...ama farsi guardare 
non sopporta la gente 
che annoia e che rompe..." 

 

Emma si destò di colpo dai suoi pensieri, saltando sul posto per lo spavento. La voce di Vasco Rossi arrivava a tutto volume fin nella sua stanza e, nervosa, raggiunse con grandi passi felpati la finestra, spalancandola con poca grazia.  

Matteo, la cui camera s'intravedeva a pochi metri di distanza, fingeva di suonare una chitarra immaginaria e, mentre pogava, la guardò con un mezzo sorrisetto furbo. Guardandola e indicandola, iniziò a cantare: 

"Alza sempre la voce, sa sempre tutto lei, e anche quando c'ha torto non lo ammette mai!"  

Un tic involontario fece saettare, in alto, il sopracciglio destro di Emma. 

Esatto, per il nervoso. 

"Deficiente!" urlò Emma dalla finestra, mentre Matteo le faceva l'occhiolino e teneva il ritmo, ciondolando la testa. 

"Adesso ti faccio vedere io" borbottò poi, avvicinandosi al computer. Aprì i-tunes, e fece partire la canzone di risposta e, per far capire subito l'antifona al suo vicino, fece partire la canzone dal ritornello. 

 

"...Ma perché non ti fai mai i cazzi tuoi  
e t'impegni a esser sempre più bastardo che puoi  
perché i cazzi tuoi non te li fai mai  
però rischi di farti fare il faccione sai..."  

Voltandosi in direzione di Matteo, a testa alta, lo ritrovò affacciato al davanzale. 

"Sfigata. Non sai fare di meglio?" Urlò, sovrastando la voce di Max Pezzali che, giustamente, continuava a cantargli di farsi i cazzi suoi. 

Emma si sporse come lui, dalla sua finestra, e gli tirò una gomma da cancelleria. E l'avrebbe preso se avesse avuto più mira. 

"Sei un codardo, perché non me le dici in faccia le cose, invece che lasciar parlare Vasco, eh?"  

Di rimando lui le rilanciò la sua gomma da cancellare, e a differenza sua, la beccò con una mira infallibile sulla fronte. 

La gomma rimbalzò, cadendo nel vialetto che divideva le due case, ed Emma si massaggiò il punto colpito, pregando il Signore che potesse aver pietà dell'anima di Matteo, perché lei non ne avrebbe avuta. 

"Bambino!" gli disse, acida. 

"Strega" rispose lui, con una calma che fece incazzare, ancora di più, Emma. 

Emma si allontanò dalla finestra, avvicinandosi al comodino. Aveva messo, in un piccolo vaso di vetro, tanti sassolini colorati trovati al mare, per creare quel vaso decorativo. Ne prese uno color ambra, grande quanto metà del suo palmo, e tornò alla finestra con un sorrisetto sinistro, mentre lui le dava la schiena, fischiettando a ritmo della musica. 

Prese la mira, questa volta non poteva mancarlo. Il che sarebbe stato impossibile, con quel sasso. 

Lo beccò giusto tra l'attaccatura dei capelli e il collo, facendolo immediatamente piegare in avanti per la sorpresa, e lanciò un gridolino di vittoria, alzando i pugni al cielo per esser riuscita a colpirlo. 

Lui si voltò verso di lei, ora sembrava davvero incazzato.

Era anche ora.

"Ma sei cogliona?" Le urlò.

"Hei ciccio, hai iniziato te!" esclamò, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria da saputella.

Le riusciva molto bene.

"Ah, e questo giustifica il tuo tentato omicidio?"

Il solito esagerato.

"Potrebbe, sì."

Per un attimo si guardarono minacciosi, entrambi in silenzio. Poi, con un gesto fulmineo, Matteo le lanciò qualcosa, e quel qualcosa che le colpì la guancia sembrava viscido e umido, tanto che Emma saltò all'indietro, cadendo, e urlando per lo spavento e lo schifo di non sapeva cosa.

Sentì Matteo ridere di gusto, mentre lei, schifata, guardava lo schifidol giacere per terra.

Avvertiva ancora la sensazione di viscido sulla guancia.

Bleah

"Vaffanculo! Giuro che ti farò di peggio!" Urlò, sperando che la sentisse.

La porta della sua stanza si aprì con un tonfo secco, facendola saltare sul posto.

Sarebbe morta d'infarto avanti così.

"Emma, ora basta, sono io la cretina che domani si sveglia alle sei!"

Sua mamma entrò furiosa nella sua stanza, poi si avvicinò alla finestra.

"Signorino, parlo anche con lei, sa"

Sentì Matteo farfugliare delle scuse, per poi chiudere la finestra. Sorrise vittoriosa, sua mamma lo aveva fatto tacere e lei, essendo figlia sua, poteva prendersi il punto di vittoria, no?!

"Brava mami, digliene quattro!" Esordì, battendo le mani. Sua madre l'incenerì con lo sguardo.

"Vedi di star buona, o non ci sarà nessuna sfilata" la minacciò, puntandole il dito contro.

Emma, in risposta, si lanciò sul letto, con poca grazia.

"Sì, capo."

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _deny_