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Autore: _eco    26/07/2016    3 recensioni
Cosa si aspetta di trovare? Stiles non è lì. E nel mondo sporco, crudele, rattoppato che le è stato gettato addosso mezz'ora fa, Stiles non esiste nemmeno, non è mai stato in quella casa.
[Stydia] [Season6]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Remember, remember, remember.

Quando sua madre le aveva chiesto di aiutarla ad organizzare la cena per il compleanno dello Sceriffo, era martedì. Lydia se lo ricorda bene, perché era anche il giorno in cui avevano scattato le foto dell'annuario, e lei aveva addosso quel vestito a fiori che sapeva di primavera. Se lo ricorda bene anche perché Stiles era passato a prenderla con la jeep, e perché avevano dovuto correre per tutta la scuola ed evitare che il flash del fotografo incontrasse gli occhi luminosi di Scott e Malia. Sarebbe stato un grosso guaio, davvero grosso, eppure non avevano potuto evitare di ridere mentre correvano. Correvano e ridevano. Lydia se lo ricorda bene. Ha pensato di scriverlo in un quadernetto, perché sa che potrebbe dimenticarlo da un momento all'altro, che è un miracolo già solo il fatto che ricordi ancora la risata di Stiles rimbomare per i corridoi. 
Oggi è mercoledì, ma a Lydia non sembra affatto che siano trascorse solo ventiquattr'ore. Dicono, vivi ogni giorno della tua vita come se fosse l'ultimo, però a Lydia quel martedì sembrava il primo giorno, mica l'ultimo. Questo mercoledì, invece, sembra l'ultimo, eppure non vuole finire. Lydia vorrebbe chiudere gli occhi e aspettare che mercoledì passi. Giovedì - domani - sarà un giorno migliore. Lydia vuole chiudere gli occhi e immaginare che Stiles non sia stato rapito da dei tizi a cavallo. È semplicemente sceso un attimo. Tornerà. Altrimenti perché dovrebbe stare qui ad aspettarlo, come effettivamente sta facendo? 
Lydia picchetta le dita contro il cruscotto della jeep. Non abbassa le palpebre da un minuto buono, gli occhi sono secchi, bruciano come se tanti piccoli spilli li pungessero simultaneamente. È buffo no? Vorrebbe chiudere gli occhi, ma nemmeno ci riesce. 
Stiles tornerà. 
Il telefono squilla e la fa sussultare. Lo schermo si illumina: mamma. Lydia si schiarisce la gola. Non parla da una decina di minuti. Ha pianto e basta, ma in silenzio.
« Mamma? »
La sua voce è meno tremolante di quanto temesse, per fortuna. 
« Lydia? Dove sei? »
« Fuori. »
« L'ho notato. »
Natalie ha un tono troppo serio. Qualcosa non va, ma, sinceramente, Lydia non è nelle condizioni giuste per tirare a indovinare quali problemi turbino sua madre. Di certo sono meno importanti e gravi di quelli che ossessionano la sua mente al momento.
« Hai bisogno di qualcosa? », chiede Lydia.
« Sono le sette passate, oggi è mercoledì. Ti ricorda qualcosa, signorina? »
Lydia chiude gli occhi e prova a pensare lucidamente. Poi, in un baleno, tutto si fa più chiaro.
« Il compleanno per lo Sceriffo. »
La voce s'incrina sull'ultima parola. Non è il padre di Stiles. Non più. È lo Sceriffo. È lo Sceriffo da circa venti minuti e Lydia deve ancora farci l'abitudine.
« Lydia, tesoro, se non vuoi venire... »
« No, no. Va bene. »
Natalie sospira dall'altra parte del telefono. Lydia sente un rumore di tacchi in sottofondo, lo sguardo cade sullo specchietto retrovisore e sulla propria immagine riflessa sul vetro. Gli occhi sono lucidi, rossi, le ciglia incollate fra loro a causa delle lacrime. 
« Va bene, arrivo. » ripete Lydia con maggiore convinzione. 
La jeep è posteggiata nel parcheggio della scuola, le chiavi sono ancora inserite. Lydia si sporge dal finestrino: Stiles non ha centrato perfettamente le linee bianche del parcheggio, andava troppo di fretta. Tuttavia, una voce nella testa le dice che sarebbe meglio sistemare l'auto, perché Stiles si arrabbierebbe così tanto se qualcuno la rovinasse, strisciandovi contro. Lydia scivola lentamente verso il sedile del guidatore, stringe le dita attorno alle chiavi, mette in moto. La jeep emette un rumore poco raccomandabile, ma Lydia, ormai, ha imparato a fidarsi anche di lei. Oh Dio, non ha davvero pensato alla jeep come ad una persona, vero? La ragazza accenna un sorriso, Stiles sarebbe fiero di lei. Le basta qualche manovra per parcheggiare meglio l'auto. C'è ancora il profumo di Stiles. Sparirà anche quello? Lydia alza il finestrino, prende le chiavi e apre la portiera. Deve andare.
                                                                                                     
****

Quando Lydia entra nel vialetto di casa sua, Natalie è già lì, nel portico, ad aspettarla. Indossa l'abito rosso, quello che mette solo alle cerimonie di famiglia importanti, quello che metteva le rare volte in cui papà la portava al ristorante. Lydia è felice che sua madre abbia ricominciato ad uscire. E poi lo Sceriffo è una brava persona, affidabile, attento, rispettoso. A Lydia è sempre piaciuto.
« Eccoti qua! » esclama Natalie, entrando in auto. 
Lydia mugugna qualcosa in risposta, lo sguardo fisso sul volante. Finge di essere concentrata sulla guida, evita di voltarsi. Deve avere un aspetto orribile, e forse avrebbe fatto meglio a salire un attimo in bagno e sciacquarsi il viso. Forse non dovrebbe andare. Cosa si aspetta di trovare? Stiles non è lì. E nel mondo sporco, crudele, rattoppato che le è stato gettato addosso mezz'ora fa, Stiles non esiste nemmeno, non è mai stato in quella casa. 
« Sei sicura di voler venire? Non è che ti annoi? » domanda Natalie, che in realtà - e Lydia lo sa bene, ma come potrebbe biasimarla? - è più concentrata sul suo appuntamento con lo Sceriffo che su come stia sua figlia.
Perché dovrei annoiarmi? C'è Stiles. 
« Ho portato un libro con me, non mi annoierò. E poi te l'avevo promesso. »
In realtà, era martedì quando gliel'aveva promesso. E martedì c'era ancora Stiles.
« È un vero peccato che John non abbia figli. »
Lydia frena un po' troppo bruscamente al sentire questa frase. Annuisce vagamente e deglutisce.
« Non ne parla spesso, ma si capisce che ne soffre. » continua Natalie, mentre controlla di aver messo bene il rossetto.
« Immagino. »
Lydia non sa nemmeno con quale forza sia riuscita a rispondere senza lasciar trapelare nessuna emozione. Entra lentamente nel vialetto di casa Stilinski e spegne il motore. Natalie si volta, meravigliata. 
« Cosa? » chiede Lydia, temendo che sua madre abbia notato il viso ancora un po' rosso per il pianto.
«Quante volte sei venuta qui? » le chiede.
« Una. » risponde Lydia. « Due, forse. »
Almeno duecento volte.
« Io ci vengo spesso e non ho ancora imparato che c'è quel muretto lì davanti. Rischio sempre di distruggere l'auto. » borbotta Natalie, tra sé. 
Lydia non risponde, sfila le chiavi dal quadrante e apre le portiera. Sta per aprire la borsa e prendere le chiavi di casa di Stiles, ma non dovrebbe. Sua madre inizierebbe a fare domande. È legittimo che le chiavi di casa Stilinski le abbia lei, che con lo Sceriffo esce da diversi mesi. Ma lei - Lydia - perché dovrebbe averle?
Stiles esiste solo nei suoi ricordi.
Natalie apre la porta d'ingresso. È tutto buio, dentro.
« Dovrebbe tornare per le otto e trenta. » le spiega sua madre, mentre appende il cappotto all'attaccapanni che si trova nell'ingresso. 
Lydia accende la luce senza nemmeno chiedersi quale tasto pigiare. Lo sa bene che quello al centro mette in moto l'areatore, quello a destra illumina il soggiorno e quello a sinistra l'ingresso. Natalie è troppo occupata a fiondarsi in cucina per meravigliarsi della perspicacia della figlia.
Le due trascorrono i seguenti venti minuti in silenzio, lavorando per la cena come in una catena di montaggio. Per Lydia è solo un modo per non esplodere, Natalie scambia l'atteggiamento taciturno della figlia per semplice concentrazione o stanchezza. Ogni tanto, Lydia si guarda attorno, alla ricerca di quella tazza incredibilmente ridicola con la scritta 'Star Wars' in nero. Non c'è più.
Quando lo Sceriffo torna da lavoro, la tavola è già apparecchiata. Per due. Lydia non ha molta fame, così ha detto a sua madre. E poi è la loro sera, meglio lasciarli cenare in pace. John saluta Lydia con un bacio in fronte. Le fa uno strano effetto, vederlo entrare in casa e non chiamare Stiles. Ma lui sembra così... a suo agio, così normale. Stanco, sì, ma normale. 
« Lydia, tesoro, se vuoi puoi tornare a casa ora. Mi riaccompagna John. »
Lydia non sa, all'inizio, perché rifiuta l'invito della madre. Davvero, non lo sa.
« In realtà, non credo di sentirmi bene. » risponde.
« Puoi stenderti di sopra, nella stanza degli ospiti. » le propone lo Sceriffo.
Un brivido le percorre la schiena. 
No, non dirlo, non dirlo.
« È la prima a sinistra. »
Stanza degli ospiti. Prima a sinistra. 
No, Dio, no, non è la stanza degli ospiti quella!
« Grazie. » riesce a dire Lydia, prima di voltare i tacchi e procedere, forse a passo troppo veloce, verso la 'stanza degli ospiti'.
Sale i gradini a due a due, le voci di sua madre e dello Sceriffo che si allontanano sempre di più. Il corridoio, al piano di sopra, è nella penombra. 
La prima stanza a sinistra è tutto - tutto - fuorché la stanza di Stiles. Nessun poster attaccato alla porta, che è, invece, spoglia, priva di alcun segno di colla o scotch o di quel graffio che Stiles e Scott hanno lasciato da bambini, mentre giocavano con lo skate in corridoio. Lydia si sente sporca. Si sente inadeguata. Come può ricordare lei qualcosa che ha coinvolto in prima persona Scott e Stiles? Scott, il migliore amico di Stiles, che probabilmente ha già dimenticato tutte le avventure che ha vissuto insieme al figlio dello Sceriffo. 
Non è giusto.
Lydia entra nella stanza. È tutto buio. C'è puzza di chiuso, come se nessuno vi entrasse da mesi. Se non avesse cose più serie di cui preoccuparsi, Lydia farebbe una battuta su come questa stanza degli ospiti sia tutto fuorché ospitale. 
Accende la luce. L'interruttore è ancora lì, al solito posto; mentre tutto il resto è assolutamente, totalmente fuori posto.
Il copriletto è di un azzurro spento, l'armadio - aperto - è vuoto, eccezion fatta per alcune grucce, sulla scrivania ci sono solo una pila di vecchi libri, un quaderno e qualche penna. La finestra è aperta, le tende bianche danzano al ritmo del vento. Lydia scruta la camera alla frenetica ricerca della lavagna di plastica trasparente, dei fili rossi, blu, verdi, delle foto, del trofeo come 'peggior squadra di lacrosse' vinto cinque anni fa, della sveglia di Star Wars. Non c'è nulla, non c'è nulla che sappia di Stiles. 
Ecco che ad un tratto Lydia si sente sopraffatta, come un fuscello scosso da una folata di vento troppo forte e improvvisa. Ad un tratto capisce perché non è tornata a casa, perché ha finto di non senirsi bene - che poi, non era una bugia. Vorrebbe ridere di sé. Cosa si aspettava di trovare? Un armadio pieno di t-shirt usurate dal tempo, la divisa da lacrosse nel fondo, pantaloni abbandonati sulla sedia della scrivania, fogli sparsi su cui Stiles appuntava dettagli sulle sue ricerche? 
Le gira la testa. Deve sedersi, anche se l'idea di sedersi su quel letto e sapere che Stiles non ci si è mai poggiato le fa venire da vomitare. 
Un rumore di carta strappata attira la sua attenzione. Sotto il tacco degli stivali c'è un foglietto ingiallito e stropicciato. Lydia si china per prenderlo. È così sottile, così fragile, e Lydia non riesce a capacitarsi del fatto che su quel pezzo di carta ci sia la grafia di Stiles. Non riesce a capacitarsi del fatto che non sia ancora sparito. 

Per Lydia.

È scritto di fretta, in corsivo, al centro del foglio ripiegato. 
Lydia apre il biglietto e la prima cosa che la colpisce è tutta una serie di cancellature che si susseguono. Sorride genuinamente. Giusto per un attimo, Lydia sorride, perché Stiles è disordinato e quel foglio è disordinato e tutto, paradossalmente, ha un suo ordine, perché quel foglio è di Stiles, quel foglio è Stiles. 
Lydia indietreggia alla cieca, finché la sua schiena non incontra la parete, e si lascia scivolare per terra. Si ripromette di leggere ogni parola immaginando la voce di Stiles, perché la paura di dimenticarla è troppo, davvero troppo da sopportare, e Lydia sa che non dipende da lei - è tutto molto più grande di lei - ma si sentirebbe certo meno in colpa, sapendo almeno di aver provato a ricordare.

Cara principessa Leyla,
no, no, okay, è stupido iniziare così. Volevo solo che fosse tutto più... familiare per te, ecco; ma suppongo che, se mi hai già dimenticato, come credo che sia, questo non farebbe altro che confonderti e potresti prendermi per matto, quindi... insomma, sono un fanatico appassionato di Star Wars, okay? In caso l'avessi dimenticato. Credo che sia importante.


Lydia sospira. Stiles riesce a farla sorridere anche quando tutto ciò che vorrebbe fare è raggomitolarsi in un angolo e piangere. Il che la fa arrabbiare, perché che cosa ha mai fatto di male per meritarsi questo? Perché Stiles l'è stato portato via? Lydia continua a leggere, tutto d'un fiato, senza perdere una parola, per paura che persino quel sottile foglio di carta possa dissolversi nel nulla.

Cara Lydia,
se stai leggendo questa lettera, i casi sono tre:
1. Non l'ho ancora distrutta, strappata, bruciata, eliminata dalla faccia della terra.
2. Te l'ho consegnata - anche se ne dubito.
3. I Ghost Riders mi hanno preso.
4. Potresti anche non essere Lydia, il che è ancora più imbarazzante, credo.
I casi sono quattro, mi correggo. Se non ti ho consegnato questa lettera quando potevo, per favore, perdonami. Volevo farlo, ma poi ho pensato che avresti iniziato a piangere e avresti avuto paura, e non voglio. Non voglio che tu abbia paura. Non voglio che tu abbia paura nemmeno adesso, mentre leggi, anche se è stupido da dire, perché, dannazione, certo che avrai paura, ed è anche normale. 
Molto probabilmente avrai già dimenticato chi sono, ma ti prego, ti prego, continua a leggere. È importante. So che lo farai.
Mi chiamo Stiles Stilinski, sono il figlio dello Sceriffo, ho diciotto anni, frequento l'ultimo anno al liceo di Beacon Hills. Ho ottimi voti, non eccellenti. I voti eccellenti li hai tu, Lydia. Sono bravo in matematica e storia, un po' meno - un po' molto meno (si può dire?)  - in economia. Il coach mi odia. Credo che sarà ben felice di dimenticarsi di me. Gioco nella squadra di lacrosse della scuola, cioè, almeno ci provo. È più probabile che in porta ci finisca io che la palla, ma sto facendo progressi. Ho segnato per la prima volta circa due anni fa. Tu eri negli spalti, hai applaudito, mi hai guardato, hai sorriso. Non penso di aver mai visto qualcosa di più bello. Te lo ricordi? Spero di sì. 
Dovrei descrivermi? Fisicamente, intendo. Già il fatto che io faccia domande a un pezzo di carta dovrebbe farti riflettere su quanto io non sia affatto normale. Ma mi volete bene, almeno credo. Tu, Scott, Malia, Kira, mio padre. Mi volete bene e io ne voglio a voi, in modi tutti diversi. 
Descrizione fisica, ecco, sì. Molto simile a Brad Pitt. No, scherzo. Sono un po' più alto di Scott, meno muscoloso - molto meno muscoloso - di Jackson, occhi castani, capelli castani, tanti nei. Un tipo piuttosto noioso e anonimo, non so quanto possa servire questa descrizione, ma magari può aiutarti a ricordare. 
Risolviamo misteri, io e te. Siamo un ottimo team. Il cervello del branco. C'è una lavagna di plastica, è piena zeppa di foto e ritagli di giornale, ma ti assicuro che è la nostra arma migliore. Siamo una squadra, io e te. Non voglio che lo dimentichi, per favore, cerca di ricordare.
Una volta ti sei arrotolata il filo rosso - quello dei casi irrisolti, se non lo ricordassi - attorno al dito. Te lo ricordi? Poi ti ho aiutato io a srotolarlo e metterlo a posto. Non sei un caso irrisolto, sei una forza della natura, e non sarà semplice, ma promettimi che proverai a risolvere anche questo. So che lo farai, so che ci proverai con tutta te stessa, ma se non dovessi riuscirci, va bene così, non ti odierò per questo, non potrei mai. Potrebbero prenderti per matta, potrebbero darti della pazza perché proverai - almeno spero - a ritrovare qualcuno che per tutti non è mai esistito. Non ti fermare, per favore, non fermarti. 
Deaton dice che abbiamo una sorta di connessione, un qualcosa che ci permette di comunicare, di ancorarci l'uno all'altra. Ti sembrerà folle, lo so, e non so nemmeno perché te ne sto parlando. Spero che tu capisca e abbia la pazienza di arrivare a fine lettera. 
Sei morta tra le mie braccia tre mesi fa. Hai smesso di respirare, e io con te. Ho trattenuto il fiato, perché che razza di mondo è quello in cui io respiro e tu no? Il tuo cuore non batteva più, nemmeno lievemente. Scott non lo sentiva. E io ero lì, che ti chiamavo, ti dicevo di aprire gli occhi, di ascoltarmi, di tornare da me. Dovevi svegliarti, Lydia. E l'hai fatto. Grazie per esserti svegliata, credo che non avrei più ripreso a respirare, in caso contrario. Ti sei svegliata e mi hai stretto la mano. L'hai stretta così forte, come se non volessi più staccarti. Ti stavi aggrappando alla vita, ed eri bellissima.
Sei bellissima.
Te l'ho detto anche quella sera, anni fa, al ballo. Te lo ricordi? E quando piangevi in auto. Ti ho detto che sei bellissima anche quando piangi. Ricordi? Ma ti prego, ti prego, non piangere ora, non piangere quando non posso consolarti. Ricordi la trappola per coyote? Ricordi quell'orribile Motel in cui siamo finiti? Ricordi l'enorme regalo che comprai per il tuo compleanno? Ricordi la pista di pattinaggio? Ti ricordi di me, Lydia?
Non voglio dire quelle tre parole. Non voglio scriverle in questa lettera. Mi piace pensare che potrò dirtele di presenza, o che quando leggerai questa lettera avrò almeno avuto il coraggio di dirtele. Prima di essere rapito, intendo. E se le dicessi, se le dicessi e tu non ti ricordassi di me, credo che mi prenderesti per matto, ancora, e che ti spaventeresti e tireresti la lettera chissà dove prima di arrivare alla fine. Continua a leggere.
Non so quanto tu sappia dei Ghost Riders. Abbiamo fatto delle ricerche insieme, ma forse non ricorderai molto, visto che sono momenti che hai condiviso con me. Non so come funzioni, so ancora troppo poco in realtà. 
I Ghost Riders sono in grado di estirparti dalla memoria di tutti. Ti fanno sparire, così, in un battito di ciglia. Capirai se stanno venendo a prendere anche te, lo capirai facilmente. La gente inizierà a dimenticare il tuo nome, comincerai ad avere strane visioni di uomini a cavallo. Lydia, chiedi aiuto, immediatamente, se succede questo. Vai da Scott. Non stare da sola. 
Non so dove mi porteranno, non so se sarò in grado di pensare, o di ricordare. Non so se riuscirò ad uscirne da solo, sicuramente no.
Ho bisogno di te. Ho bisogno che tu non ti arrenda.
Hai presente quando ho scritto che non fa nulla se non riesci? 
Dimenticalo.
Devi riuscirci.
Fa eccome, okay?
La nostra vita è così bella - se escludiamo i pazzi che vogliono ucciderci ogni due per tre. Ma nvale la e pena, davvero. Rivoglio indietro la nostra vita, Lydia. E spero che lo voglia anche tu. 
Hai sempre avuto ragione, tu. Non dubitare di te stessa, non ora. 
Sto citando me stesso, il che è ridicolo. Te l'ho già detto in passato, ricordi? In caso contrario, adesso ricorderai.
Credo in te. 
Non aver paura.
Ci vediamo presto,
Stiles.


Lydia ha la gola secca. Vorrebbe urlare, ma sente le risate ovattate di sua madre e dello Sceriffo, e urlare significherebbe rovinare la loro serata. E poi dovrebbe dare delle spiegazioni, ma non è ancora pronta.
I singhiozzi iniziano a risalire dal petto, ma Lydia è brava a soffocarli. Non deve piangere. Stiles non vuole che pianga. Oh, ma a chi importa? Non può certo vederla. 
Lydia chiude gli occhi, il suo viso si accartoccia in un'espressione di frustrazione, impotenza, rabbia.
Per quanto ancora riuscirà a ricordarlo? Ha la sensazione di aver già dimenticato la forma dei suoi occhi, i nei che costellavano il suo viso. Le sue mani. Lydia è terrorizzata al solo pensiero di poter dimenticare le mani di Stiles. 
Si lascia andare totalmente contro il muro, la lettera ancora tra le mani, i singhiozzi troppo ravvicinati, troppo violenti per essere trattenuti. 

È tutto grigio, è tutto lontano, ma Lydia tenta con ogni fibra del suo corpo di aggrapparsi ai momenti di cui Stiles parlava.

Ricorda. Ricorda. Ricorda.

Se lo ripete come un mantra, mentre fotogrammi confusi si rincorrono nella sua mente.

Ricorda. Ricorda. Ricordati di me, Lydia.

Stiles lo sussurra a bassa voce, seduto contro il muro, il capo chino, gli occhi stanchi.









 
  
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