La Complainte
de la Butte.
Onzieme Chapitre: Crying at the discoteque.
“Finalmente
scopro la tua sorpresa!” Esclamò Jakotsu salendo
sulla Citroen C4 di Suikotsu con l’aria di chi sta
morendo dalla curiosità: “Sei molto bravo a fare il misterioso sai?”
Suikotsu alzò solo un sopracciglio,
inserendo la marcia. Avevano cenato in un ristorante greco vicino alla Gare de Lyon, e ora stavano percorrendo
Quai de la Rapee, in
direzione del centro.
“Almeno dimmi in
che quartiere si trova.” Pungolò il ragazzo, trovando il sorrisetto comparso
sul volto dell’altro tutt’altro che rassicurante.
“Marais. Sarò magnanimo e ti dirò pure la strada: Rue du Bourg-Abbé.” Jakotsu ci pensò un attimo, grattandosi il mento. “Les Bains-Douches!”
esclamò, infine.
“Bravo!”
“Uau! È da un sacco che non ci vado! Bravo Suiky, hai avuto davvero una bella idea!” scrocchiò le
dita, come per prepararsi ad una serata movimentata. “Il massimo sarebbe che ci
sia anche un tavolo prenotato per noi…” abbozzò.
L’altro annuì.
“Esattamente. Dovremo però dividerlo con dei miei vecchi amici, ti scoccia?”
Jakotsu alzò le spalle “Non mi da
affatto fastidio, sono contento che mi porti un locale così trendy!” ridacchiò,
voltandosi verso l’altro, mordicchiandosi l’unghia del pollice tra il
civettuolo e il giocoso. “E il dopo party a casa tua?”
“Se ne avrai
voglia” tagliò corto Suikotsu, cercando di arginare
il traffico cittadino.
“Per favore,
evitiamo i soliti squittii acuti che solo tu sai fare” raccomandò, entrando nel
locale. “Sai bene quanto mi infastidiscono in pubblico.” Jakotsu
storse le labbra, scontento. “So bene di dovermi comportare in modo ‘civile’”
Aprì la porta
dell’ingrasso, gettandosi sorridente in mezzo alla gente già presente nella
discoteca. Salutò con un cenno della mano una sua vecchia fiamma, senza soffermarsi
in convenevoli inutili, con Suikotsu al suo fianco.
L’altro si guardava continuamente intorno, guidandolo verso i tavoli a bordo
pista.
“Hey, ma guarda chi c’è, Mukotsu!”
esclamò, agitando le braccia nel vedere uno dei membri della compagnia che meno
si prestavano alla vita notturna.
Dall’espressione
ebete con cui rispose l’altro, sembrava sorpreso di vederlo tanto quanto lui.
Anzi, sembrava addirittura agghiacciato dal notare che si stavano avvicinando a
lui. E a suo fianco, con la stessa identica espressione di stupore e terrore, spiccava
l’imponente figura di Ginkotsu, ex giocatore di Rugby
ritiratosi prematuramente a causa dei troppi infortuni
“Ragazzi, che
facce! Sembra non siate affatto contenti di vedermi!” pigolò, cercando di
nascondere un certo nervosismo che la reazione dei suoi amici gli aveva creato.
Qualcosa non andava. Di certo Mukotsu era sempre
sulle sue, un tipo taciturno e riservato, ma Ginkotsu
era uno dei suoi amici “storici” uno dei primi che aveva incontrato a Parigi, e
non era mai capitato nulla tra di loro che potesse shockarlo tanto.
“Jackie, cosa
diavolo ci fai qui?” domandò l’ex rugbista , stringendo convulsamente il bicchiere
di cocktail che aveva in mano.
“Beh, perché? C’è
la mia foto fuori dal locale con il divieto d’entrata?” rispose piccato. Mukotsu scosse la testa e si battè
la mano sulla fronte. “Se ci fosse sarebbe un’ottima cosa per te.”
Jakotsu sbuffò spazientito, guardandosi
attorno alla ricerca del proprio ragazzo, che pareva essersi dileguato.“Ma
insomma! Si può sapere che cosa…”
Sentì che qualcuno
chiamava Suikotsu, urlando il suo nome al di sopra
della musica assordante. Jakotsu pensò di aver
sentito la voce di Renkotsu, ma doveva essersi
sbagliato di certo: non lasciava mai il suo locale, a parte per rarissime e
specialissime occasioni.
E poi lo vide.
Arrampicarsi sulle
spalle dell’altissimo Kyokotsu, ex cestita del Paris Basket Racing, e alzare le braccia al cielo, ebbro di
felicità e di vino, che dondolava la testa a ritmo di musica, mentre qualcuno
gli porgeva una bottiglia, che lui si infilava tra le labbra. Lui, il suo
tormento. La sua delizia perduta, la croce che non voleva sapere di
abbandonarlo nonostante i suoi sforzi: Bankotsu.
Jakotsu si sentì mancare, la bocca che
diventava asciutta, l’aria che non entrava nei polmoni. Ginkotsu
gli si avvicinò, guardandolo incredulo: “Non dirmi che non lo sapevi… Non posso credere che Suikotsu
ti abbia portato qui senza dirtelo.”
Il ragazzo strizzò
gli occhi, cercando di darsi disperatamente un contegno e di calmare il battito
irregolare e doloroso del suo cuore. “Che stasera ci fosse anche Bankotsu?”
“Beh, si.”
Intervenne Mukotsu, guardandolo penosamente. “E’ il
suo addio al celibato”
Jakotsu desiderò ardentemente che la
terra gli si aprisse sotto i piedi. Si sentì trascinare di lato, e dalla forza
ne dedusse che fosse Ginkotsu. Non riuscì comunque a
staccare gli occhi da Bankotsu, che nel frattempo
aveva visto Suikotsu e si era sporto, rischiando di
rovinare a terra per dargli un cinque, mentre Renkotsu
in piedi su un tavolo, riprendeva il tutto con una piccola fotocamera digitale.
L’amico cercò di
riscuoterlo “Bankotsu ha invitato tutti noi, ma ha
evitato di dirti qualcosa per evitare che tu… beh… insomma… sappiamo tutti
quanto tu ne abbia sofferto. Non capisco perché Suikotsu
ti abbia portato qui”
“Perché è un
figlio di puttana della peggior specie” mormorò di risposta il ragazzo, lo
sguardo vuoto.
“Sei venuto in
auto con lui?” Jakotsu annuì, lanciando un’occhiata
al campione di judo ancora inerpicato sulle spalle di Kyukotsu.
“Jackie, ti chiamo un taxi?” si offrì Ginkotsu, il
cellulare in mano. Il ragazzo scosse la testa. “Faccio io. Dopo aver ridotto
quello che posso chiamare ex ragazzo in una larva sanguinante.” Ringhiò,
cercando furiosamente Suikotsu con lo sguardo.
E i suoi occhi si
incrociarono con quelli neri e profondi, dal disegno allungato e ipnotizzante
di Bankotsu. Vide la sua bocca schiudersi dalla
sorpresa e bloccarsi, una mano a mezz’aria, come se fosse diventato
improvvisamente una statua.
Alzò appena la
mano in cenno di saluto, sentendosi la faccia in fiamme, prima di girare le
spalle e correre verso il bagno. Quasi sfondò la porta d’ingresso, spintonando
un ragazzo che stava uscendo e gettandosi dentro uno dei bagni. Lo chiuse a
chiave e si sedette sulla tazza, la testa tra le mani.
Aveva voglia di
urlare, di fare una sceneggiata, di prendere a calci Suikotsu
per la bella sorpresa, di sfogare la rabbia e l’umiliazione a pugni sulla sua
faccia.
Ma poi pensò che
non ne valeva la pena, farsi compatire dagli altri con una pagliacciata simile.
Sarebbe uscito dal bagno e si sarebbe diretto immediatamente all’uscita,
scomparendo con grande dignità. E con Suikotsu ci
avrebbe fatto i conti il giorno dopo.
Il flusso dei suoi
pensieri vendicativi venne interrotto da un picchiettare alla porta. “E’
occupato!” esclamò, scocciato.
“Sono io, aprimi”
gli rispose la voce del suo ragazzo (o come lo definiva pochi minuti prima),
attutita dalla porta e dal rumore.
Jakotsu aprì la porta, con lo sforzo
immane per rimanere calmo. Prese un bel respiro, appoggiandosi allo stipite con
le mani incrociate dietro la schiena, fissandolo: “Devo ringraziarti proprio: è
una sorpresa che non mi sarei mai aspettato da te.”
L’altro centilenò il suo cocktail con aria seccata: “Smettila di
fare il bambino e vieni fuori.”
“No, pezzo di
merda, io VADO fuori. Di qui.” Puntualizzò Jakotsu, dirigendosi
verso la porta. Suikotsu lo trattenne. “Sbaglio o eri
tu quello a cui piaceva il mio lato stronzo?”
Il ragazzo si
voltò verso di lui trapassandolo con uno sguardo carico di rancore: “Un conto è
essere stronzi. Un conto è giocare con i sentimenti delle persone” sibilò,
scandendo bene le parole per sottolinearne il significato. Tolse la presa sul
suo braccio con uno strattone deciso, e fece per dirigersi nuovamente verso la
porta, ma l’altro gli si parò davanti. “Mi ci hai portato te a questo. Credi
che non lo notassi il tuo continuo pensare a Bankotsu?
Sono anni che lo vedo prenderti in giro mentre tu speravi che ricambiasse i
tuoi sentimenti. L’hanno notato tutti, tranne te. Dovevi vedere che gongolate
faceva Renkotsu, quando Bankotsu
entrava nel suo locale con una qualche bella ragazza, e che ti salutava a
malapena, mentre tu avresti voluto morire.” Jakotsu
deglutì furiosamente. “Quello che io e Bankotsu
abbiamo passato insieme tu non lo puoi nemmeno immaginare. Lui è…”
“Lo vedi! Lo
giustifichi ancora! Nonostante tutto, ti schieri dalla sua parte. E’ ridicolo!
Io sto solo cercando di farti aprire gli occhi sulla persona che ti ha rovinato
la vita per quattro anni.”
Il groppo che il
ragazzo aveva in gola non voleva saperne di sciogliersi. Deglutì nuovamente,
sentendosi gli occhi pizzicare. “Non è umiliandomi davanti a tutti i miei amici
che mi aiuti.” Mormorò infine, riuscendo a infilarsi tra l’altro e lo stipite
della porta, guadagnando la libertà. Decise di dirigersi verso l’uscita, ma lo
sguardo gli cadde nuovamente sul tavolo della festa, tra le persone che
ballavano e si divertivano, scattando foto ricordo e alzando i cocktail per
brindare. Bankotsu, in piedi sul tavolo, autografava
tra gli applausi generali il decolleté ben fornito di una disinibita ragazza
dai neri capelli a caschetto, che lui riconobbe senza esitare come Yura. Sospirò ancora, premendosi le dita sugli occhi e
cercando di calmarsi.
“Credi davvero che
gli importi qualcosa di te?” Suikotsu l’aveva
raggiunto, e lo tormentava nuovamente.
Forse aveva
ragione, ma non gli diede la soddisfazione di essere d’accordo con lui. Gli
sibilò di andare a farsi fottere, prima di dirigersi verso il bancone del bar.
Non avrebbe fatto a vedere a nessuno quello che stava provando in quel momento.
Non avrebbe permesso a nessuno di prenderlo in giro, di deriderlo, di ferirlo
nuovamente, né avrebbe dato la soddisfazione a Bankotsu
di vederlo fuggire con la coda tra le gambe. Contro delle persone come lui, che
si credevano gli dei del mondo e di poter giocare con le persone come se
fossero soldatini di plastica, l’indifferenza era la migliore arma.
Appoggiò i gomiti
sulla superficie lignea del bancone, sorridendo al barista. “Mi prepari un mojito ben carico, mon amì?”
Kagura aveva sonno. Sbadigliò
nuovamente stiracchiandosi e gettando un’occhiata all’orologio. Le undici
passate. Era davvero ora di andare a dormire, altrimenti il giorno dopo non
sarebbe riuscita a svegliarsi presto, come era nei suoi propositi. Si alzò dal
divano, scrollandosi di dosso la marea di cuscini, con un po’ di difficoltà:
quel pancione cominciava davvero a pesare e la schiena ne risentiva. Chiuse la
finestra dell’angolo cottura, controllò quella che dava sul salottino e notò
che il computer portatile di Jakotsu era ancora
acceso e connesso ad internet. Quel ragazzo avrebbe perso la testa, se non ce
l’avesse avuta attaccata al collo. Scrollò il mouse per togliere lo screen saver e spegnerlo, ma si
fermò un attimo, pensando di poter approfittare per dare un’occhiata qua e là a
quello che succedeva nel mondo.
Anzi. Nel proprio
paese d’origine.
In cinque mesi che
si trovava a Parigi, Kagura aveva vinto tutte le
tentazioni possibili di ricercare, sui quotidiani Online giapponesi, notizie
riguardo alla “vicenda” di cui era, se così si poteva dire, passiva
protagonista.
Cercò di
trattenersi, scrocchiandosi le dita indecisa, ma poi pensò che ormai era
trascorso troppo tempo, e che sicuramente i giornali nipponici avevano altre
notizie sensazionali da sbattere in prima pagina. Si convinse che non le
avrebbe dato fastidio, spiluccare notizie qua e la. D’altronde, era sempre
buona cosa essere informati di tutti i fatti nel mondo, no?
Con questa
decisione, si collegò al sito dell’Asahi Shinbun. In prima pagina, una notizia riguardo
all’ennesimo caso suicidio di gruppo tra adolescenti. Sospirò sollevata: la
vita in Giappone aveva ripreso il suo scorrere normale, senza eclatanti
stravolgimenti. Oh, una nuova idol, che carina!
Scorse tutta la
pagina, senza trovar traccia di nessuna notizia recente sul Gruppo Ragno o su Naraku Onigumo. Una punta di
delusione si mischiò al sollievo: quindi tutto il suo penare, i suoi sforzi, i
suoi rischi, erano stati la notizia della settimana, per poi cadere nell’oblio?
Beh, pazienza.
Sperava soltanto che Naraku avesse avuto quello che
si meritava. Almeno in piccola parte. Continuò a navigare sul sito, apprendendo
di vari fatti di cronaca, inaugurazioni, show televisivi di successo, affari
interni.
Uno spot pubblicitario
prometteva tariffe bassissime per viaggi da Tokyo, Osaka e Kyoto verso
destinazioni europee. Quasi senza rendersene conto, curiosò sulla tratta Tokyo –
Parigi, scoprendo che aveva fatto pagare all’ignaro fratello di Sesshomaru, Inuyasha, qualcosa in più rispetto alle
offerte. “Lo svantaggio delle partenze precipitose” sentenziò tra sé e sé.
Cliccò vari link, sempre giapponesi, su vari argomenti, sino a che non si trovò
su un forum femminile.
Navigò tra i vari
post insulsi su cellulite e colore di capelli, sino ad arrivare alla sezione
dedicata alla maternità. Scopri con piacere altre donne che si consigliavano a
vicenda e si sostenevano moralmente durante la gravidanza. Fu sollevata dal
notare molte madri single, che avevano fatto anche formato un nutrito gruppo.
Lesse le loro vicende, trovandosi sorprendentemente rasserenata dal non essere
sola in una condizione particolarmente dura. Certo, nessuna di loro aveva la
fortuna di trovarsi a Parigi e di dividere la casa con un pazzo ragazzo d’oro.
Una sezione del
forum era completamente dedicata ai fatti di cronaca che più avevano colpito le
utenti. Vi entrò così, per curiosità.
Quasi cadde dalla
sedia, vedendo il primo post, il più visitato e il più scritto, dedicato
completamente a sé: Kagura Onigumo. La
ragazza che aveva aperto il thread sosteneva di
averla conosciuta, in quanto era una delle segretarie della Feder
Inc, e sosteneva che era una persona taciturna e riservata,
perennemente scortata da suo fratello o
da uno dei suoi uomini, e he le aveva sempre dato l’idea
di essere molto sola. Oltre che a mostrare più anni di quanti ne avesse in
realtà (e questo la rese meno simpatica agli occhi di Kagura).
Ma mai avrebbe immaginato quello che si nascondeva sotto.
Un’altra
aggiungeva rammarico per una vicenda che si era conclusa così drammaticamente,
e sperava che “No Taisho
faccia davvero sbattere quel bastardo in galera a vita”
Tanti altri thread parlavano della sua storia, le dedicavano pensieri e
immagini. Si sentì quasi commossa. C’era chi si scambiava notizie riguardo alla
sua relazione con Sesshomaru no Taisho.
“Lui
non ha rilasciato dichiarazioni” commentava
una. “Ma ieri sera su uno giornale di
gossip ho letto che stavano per celebrare le loro nozze in segreto.”
Kagura scoppiò a ridere. Questa era
davvero buona! Fece per risponderle, ma si trattenne. Continuò a scorrere i
vari post, sorridendo mestamente. Una utente puntualizzava che, dopo lo
scandalo Onigumo, la percentuale di donne che
denunciavano episodi di violenza si era duplicata. Questa notizia, seppur
infondata, rese orgogliosa la donna. La sua vicenda aveva lasciato un’impronta
decisiva ed importante.
La testa di Jakotsu dondolava sul bicchiere ormai vuoto di Cosmopolitan. Si sentiva uno straccio, ma aveva ancora la
forza necessaria per tenersi in piedi e per non voltarsi verso la pista. Più di
una volta Ginkotsu e Kyukotsu
erano venuti a tentare di trascinarlo nella mischia, o quantomeno di farlo
smettere di bere in un angolo da solo, ma lui li aveva scacciati in malo modo.
Suikotsu aveva tentato di avvicinarsi, ma
come se avesse percepito che avrebbe solo peggiorato le cose, era tornato al
tavolo. O in pista, chissà.
Ordinò ancora un
altro cocktail, un Long Island, che praticamente trangugiò. Il barista, Jerome,
gli fece notare che era il decimo che si scolava. Lui gli rispose che era già
tanto se non si gettava in gola una bottiglia di vodka intera, per poi darle
fuoco.
“Guarda che se sei
troppo ubriaco la security ti lancia fuori senza pietà” l’avvisò l’altro,
riprendendo il bicchiere vuoto. “Ormai sei sull’orlo del coma etilico…”
Jakotsu fece spallucce. Poi guardò l’orologio,
mettendoci un intero minuto per focalizzare bene l’ora. Le tre passate. Era
stato quattro ore fermo allo stesso bancone a bere e a rimuginare sulle sue
disastrose relazioni interpersonali.
A quell’ora Kagura stava sicuramente dormendo, con il suo pancione
scalciante. Sorrise al pensiero, e decise che era decisamente tempo di levare l’ancora.
Mosse un passo e per poco non rovinò a terra. Dannazione come girava la testa.
Cercò di riprendersi, scuotendosi, ma non fece che peggiorare la situazione.
Camminò lentamente, con una mano appoggiata sul bancone, e barcollò sino all’uscita.
Le scale furono disastrosamente difficili da percorrere.
Varcata la porta,
l’aria gelida lo colpì in pieno, e con quella anche la consapevolezza di essere
appiedato. Frugò in tasca alla ricerca del cellulare. Trovò invece il pacchetto
di sigarette, e se ne infilò una tra le labbra. L’accese dopo vari e ilari
tentativi, e poi proseguì con la ricerca del telefonino.
Se la memoria non
lo tradiva, aveva memorizzato il numero di telefono del servizio taxi.
“Ah, eccolo!”
esultò, rischiando di far cadere la sigaretta. Farfugliò qualcosa alla voce
meccanica e nell’interrompere la conversazione, chiudendo il telefono, si
ustionò il palmo della mano con la sigaretta. Strillò, lasciando cadere tutto
quello che aveva in mano, strizzando gli occhi sulla vescichetta che si era già
formata. Sbuffò, sentendosi incredibilmente depresso e mediocre, mentre
scivolava a terra cercando il cellulare. Ovviamente la batteria e il relativo
sportellino si erano staccati. Dannazione. Li raccolse, faticando per stare in
equilibrio, e cercò di rimetterli a posto, senza successo.
Sentì gli occhi
pizzicare. Ma in che cavolo di stato si era ridotto? “Sono una merda”
singhiozzò.
Qualcosa di caldo
gli scivolò sulle spalle, mentre una voce profonda lo rassicurava. “Non sei una
merda, sei solo molto ubriaco.”
Il qualcosa di
caldo era una giacca di pelle. E il suo profumo l’avrebbe riconosciuto tra
mille, così come la voce che l’aveva rincuorato. Non osava alzare la testa per
paura che non fosse vero. Un paio di mani gli sfilarono gentilmente il
cellulare smontato tra le dita, e lo rimisero a posto in un attimo. Poi gli
circondarono le spalle e lo alzarono.
“Jackie… sei davvero un guaio” gli sussurrò, con una nota
tristemente divertita nella voce.
Il ragazzo si
voltò, desiderando avere solamente la conferma che fosse davvero lui. Se lo
ritrovò davanti, i capelli ancora legati nella solita treccia corvina, qualche
ciocca che scappava via dopo la serata frenetica. Un piccolo sorriso gli
stendeva le labbra, e gli occhi neri sembravano volerlo inghiottire. “Bankotsu...” sussurrò.
“Mi dispiace che
sia andata a finire così. Davvero. Non sapevo nemmeno che tu e Suikotsu stavate insieme, non me l’ha detto. Non so cosa
gli sia passato per la testa…”
Jakotsu distolse lo sguardo da lui,
strizzando gli occhi per non far notare le lacrime che cercavano di uscire
prepotentemente. “Non importa, davvero.” Minimizzò, cercando di sorridere. “Sono
rimasto sorpreso, tutto qua.”
Un taxi si fermò
proprio davanti al locale. Jakotsu lo indicò come il
proprio. Provò a muovere un altro passo, ma rovinò a terra. Prontamente, l’altro
lo rialzò. “Tu non vai da nessuna parte da solo in queste condizioni!” esclamò
preoccupato. Si guardò intorno, forse alla ricerca di qualcuno di conosciuto, o
forse per accertarsi che non ci fossero paparazzi o chissà che altro di
compromettente. “Ti accompagno io” sentenziò alla fine. Jakotsu
sentì la felicità balzare nel suo petto. E anche dell’altro. Fu solo grazie ai
propri riflessi pronti che Bankotsu evitò il conato
di vomito del ragazzo.
Kagura fu svegliata dal rumore di
chiavi nella toppa della porta. Si era addormentata sul divano, tra i cuscini,
il pc portatile ancora acceso e connesso ad internet,
aperto sulla pagina del forum giapponese a cui si era appassionata. Guardò l’orario,
erano quasi le quattro. Ne dedusse che la serata doveva aver preso una piega
alquanto strana, se Jakotsu non l’aveva passata
interamente a casa del suo ragazzo. Chiuse velocemente la pagina di Explorer e
si alzò faticosamente, dirigendosi verso il corridoio. Cosa strana, le sembrava
di sentire bisbigliare una voce sconosciuta, insieme ad alcuni monosillabi
farfugliati che dovevano provenire da Jakotsu. La
porta si aprì piano e con somma sorpresa Kagura si
trovò davanti ad una scena davvero pietosa. Accese la luce per vederci meglio.
Jakotsu, semisventuto
era letteralmente sulle spalle di un bel ragazzo che Kagura
non riconobbe immediatamente. Il ragazzo trasalì a vederla, rischiando di far
ribaltare l’amico. La donna gli fece segno di entrare e chiuse la porta.
“Che diavolo è
successo?” domandò, mentre il ragazzo adagiava l’altro a terra, contro il muro.
Poi lo guardò meglio. L’aveva già visto da qualche parte, ma non ricordava
dove. Non era tra gli amici di Jakotsu… Oh! Era…
“Bankotsu?”
“Kagura, immagino.” Rispose lui. “Suikotsu
mi aveva parlato di te e Jackie…E anche lui, prima di
addormentarsi sul taxi. Ma non pensavo che tu fossi ancora in piedi a quest’ora…”
Lo sguardo del ragazzo cadde sulla pancia, e lo distolse subito, arrossendo.
La donna rimase a
bocca aperta. “ma cosa diavolo è successo?” domandò nuovamente, con più
veemenza. “Doveva uscire insieme a Suikotsu e…”
“Beh, l’ha portato
alla mia festa di addio al celibato, senza dirglielo.” Spiegò brevemente. “E
come puoi vedere, lui non l’ha presa benissimo.”
Jakotsu si lasciò cadere di lato,
russando. Bankotsu lo riprese sulle spalle,
dirigendosi verso la camera da letto, borbottandogli che a peso morto pesava un
quintale.
Kagura li seguì shockata: mai si
sarebbe aspettata un tiro mancino simile da Suikotsu,
non le sembrava il tipo. Evidentemente Bankotsu si
era sbagliato, non poteva essere.
Adagiando il
ragazzo sul letto l’atleta le spiegò come si era svolta la serata, con lui
preso dai suoi amici, osannato e tirato a destra e a manca e Jakotsu al bancone che beveva tutto quello che poteva
capitargli a tiro. Da solo. E incazzato come un drago. “Fortunatamente sono
riuscito ad uscire con una scusa e l’ho preso in tempo per evitare che
vagabondasse da solo per Parigi. In queste condizioni.” Kagura
lo svesti parzialmente, scuotendo la testa. “Povero Jackie.” Mormorò,
coprendolo con il lenzuolo e schioccandogli un bacio sulla fronte imperlata di
sudore. L’odore di alcool la nauseò.
Uscirono dalla
camera senza chiudere la porta. Bankotsu lo guardò un’ultima
volta, preoccupato. “Suikotsu lo ammazzo domani.” Promise.
La donna piegò la
testa di lato. Forse Bankotsu non aveva di certo il
coraggio di vivere alla luce del sole il suo rapporto con Jakotsu,
ma chi poteva giurare che non provasse qualcosa di profondo per lui?
“Vuoi dormire qui?”
gli domandò, quasi senza rendersene conto. Nemmeno lui sembrava molto in forma,
e non sembrava aver molta voglia di tornare a gozzovigliare. Lui la guardò
sorpreso. “Grazie, ma non preoccuparti. Troverò un hotel qui vicino. Sai, avevo
programmato di far baldoria tutta notte e prendere il treno delle Sei per Lille.
Abbiamo appuntamento con il Wedding Planner a pranzo, e Abi, la mia ragazza, mi ucciderà se non
sarò presente.”
“Oh. Senza
dormire?”
Lui scrollò le
spalle. “non dormo molto. Al contrario di Jakotsu.”
Tornò a fissarlo
sorridendo a sentirlo russare.
“Dai, davvero. Un paio
d’ore sul divano. E’ il minimo che posso darti come ringraziamento per avermi
riportato a casa il mio capo sano e salvo.” Scherzò lei, insistendo.
Lui annuì, piano. “Ma
mi sveglierò prestissimo, probabilmente non ci saluteremo neanche. Ti prego, se
Jackie non si ricorda nulla, non raccontarglielo. Finirebbe per illudersi, lo
conosco.”
Kagura annuì, in effetti le sembrava la
soluzione migliore. Notò le occhiate di sottecchi che Bankotsu
lanciava alla sua pancia e le scappò da ridere: “Non preoccuparti, non è di Jakotsu.”
Lui arrossì
nuovamente. “Non avevo molti dubbi a riguardo.” Rise. “E’ maschio o femmina?”
“Una bambina. Puoi
toccare la pancia, se vuoi. Jackie sostiene che porti fortuna.”
Il ragazzo le
restituì un sorriso triste, mentre appoggiava il palmo sul ventre e lo
accarezzava piano. “Me ne serve molta. E se lo dice Jackie, allora non può che
essere vero.”
Eccomi!!
Les Bains Douches esiste davvero, nella via indicata.
Crying at the discoteque
è una canzone degli Alcazar degli anni 90
Non preoccupatevi,
aggiornerò al più presto anche l’altra Fic.
Buon Weekend!