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Autore: Evilcassy    23/04/2009    2 recensioni
Che la fortuna aiutasse gli audaci, Kagura Onigumo ne aveva già avuto prova. Scappata illesa (e creduta morta)a Parigi, ora cercava di rifarsi una vita completamente nuova, diversa, e soprattutto, LIBERA. E quando si trovò davanti alla vetrina di uno studio fotografico, a Montmartre, dove un cartello affisso segnalava la ricerca di una commessa, pensò che la ruota della fortuna avesse iniziato a girare per il verso giusto. Per Lei. - Spin-Off di This Time Around - [/SOSPESA -INCOMPLETA]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Kagura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '- This Time Around -'
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La Complainte de la Butte.

Onzieme Chapitre: Crying at the discoteque.

“Finalmente scopro la tua sorpresa!” Esclamò Jakotsu salendo sulla Citroen C4 di Suikotsu con l’aria di chi sta morendo dalla curiosità: “Sei molto bravo a fare il misterioso sai?” 

Suikotsu alzò solo un sopracciglio, inserendo la marcia. Avevano cenato in un ristorante greco vicino alla Gare de Lyon, e ora stavano  percorrendo Quai de la Rapee, in direzione del centro.

“Almeno dimmi in che quartiere si trova.” Pungolò il ragazzo, trovando il sorrisetto comparso sul volto dell’altro tutt’altro che rassicurante.

Marais. Sarò magnanimo e ti dirò pure la strada: Rue du Bourg-Abbé.” Jakotsu ci pensò un attimo, grattandosi il mento. “Les Bains-Douches!” esclamò, infine.

“Bravo!”

Uau! È da un sacco che non ci vado! Bravo Suiky, hai avuto davvero una bella idea!” scrocchiò le dita, come per prepararsi ad una serata movimentata. “Il massimo sarebbe che ci sia anche un tavolo prenotato per noi…” abbozzò.

L’altro annuì. “Esattamente. Dovremo però dividerlo con dei miei vecchi amici, ti scoccia?”

Jakotsu alzò le spalle “Non mi da affatto fastidio, sono contento che mi porti un locale così trendy!” ridacchiò, voltandosi verso l’altro, mordicchiandosi l’unghia del pollice tra il civettuolo e il giocoso. “E il dopo party a casa tua?”

“Se ne avrai voglia” tagliò corto Suikotsu, cercando di arginare il traffico cittadino.

 

“Per favore, evitiamo i soliti squittii acuti che solo tu sai fare” raccomandò, entrando nel locale. “Sai bene quanto mi infastidiscono in pubblico.” Jakotsu storse le labbra, scontento. “So bene di dovermi comportare in modo ‘civile’”

Aprì la porta dell’ingrasso, gettandosi sorridente in mezzo alla gente già presente nella discoteca. Salutò con un cenno della mano una sua vecchia fiamma, senza soffermarsi in convenevoli inutili, con Suikotsu al suo fianco. L’altro si guardava continuamente intorno, guidandolo verso i tavoli a bordo pista.

Hey, ma guarda chi c’è, Mukotsu!” esclamò, agitando le braccia nel vedere uno dei membri della compagnia che meno si prestavano alla vita notturna.

Dall’espressione ebete con cui rispose l’altro, sembrava sorpreso di vederlo tanto quanto lui. Anzi, sembrava addirittura agghiacciato dal notare che si stavano avvicinando a lui. E a suo fianco, con la stessa identica espressione di stupore e terrore, spiccava l’imponente figura di Ginkotsu, ex giocatore di Rugby ritiratosi prematuramente a causa dei troppi infortuni

“Ragazzi, che facce! Sembra non siate affatto contenti di vedermi!” pigolò, cercando di nascondere un certo nervosismo che la reazione dei suoi amici gli aveva creato. Qualcosa non andava. Di certo Mukotsu era sempre sulle sue, un tipo taciturno e riservato, ma Ginkotsu era uno dei suoi amici “storici” uno dei primi che aveva incontrato a Parigi, e non era mai capitato nulla tra di loro che potesse shockarlo tanto.

“Jackie, cosa diavolo ci fai qui?” domandò l’ex rugbista , stringendo convulsamente il bicchiere di cocktail che aveva in mano.

“Beh, perché? C’è la mia foto fuori dal locale con il divieto d’entrata?” rispose piccato. Mukotsu scosse la testa e si battè la mano sulla fronte. “Se ci fosse sarebbe un’ottima cosa per te.”

Jakotsu sbuffò spazientito, guardandosi attorno alla ricerca del proprio ragazzo, che pareva essersi dileguato.“Ma insomma! Si può sapere che cosa…

Sentì che qualcuno chiamava Suikotsu, urlando il suo nome al di sopra della musica assordante. Jakotsu pensò di aver sentito la voce di Renkotsu, ma doveva essersi sbagliato di certo: non lasciava mai il suo locale, a parte per rarissime e specialissime occasioni.

E poi lo vide.

Arrampicarsi sulle spalle dell’altissimo Kyokotsu, ex cestita del Paris Basket Racing, e alzare le braccia al cielo, ebbro di felicità e di vino, che dondolava la testa a ritmo di musica, mentre qualcuno gli porgeva una bottiglia, che lui si infilava tra le labbra. Lui, il suo tormento. La sua delizia perduta, la croce che non voleva sapere di abbandonarlo nonostante i suoi sforzi: Bankotsu.

Jakotsu si sentì mancare, la bocca che diventava asciutta, l’aria che non entrava nei polmoni. Ginkotsu gli si avvicinò, guardandolo incredulo: “Non dirmi che non lo sapevi… Non posso credere che Suikotsu ti abbia portato qui senza dirtelo.”

Il ragazzo strizzò gli occhi, cercando di darsi disperatamente un contegno e di calmare il battito irregolare e doloroso del suo cuore. “Che stasera ci fosse anche Bankotsu?”

“Beh, si.” Intervenne Mukotsu, guardandolo penosamente. “E’ il suo addio al celibato”

Jakotsu desiderò ardentemente che la terra gli si aprisse sotto i piedi. Si sentì trascinare di lato, e dalla forza ne dedusse che fosse Ginkotsu. Non riuscì comunque a staccare gli occhi da Bankotsu, che nel frattempo aveva visto Suikotsu e si era sporto, rischiando di rovinare a terra per dargli un cinque, mentre Renkotsu in piedi su un tavolo, riprendeva il tutto con una piccola fotocamera digitale.

L’amico cercò di riscuoterlo “Bankotsu ha invitato tutti noi, ma ha evitato di dirti qualcosa per evitare che tu… beh… insomma… sappiamo tutti quanto tu ne abbia sofferto. Non capisco perché Suikotsu ti abbia portato qui”

“Perché è un figlio di puttana della peggior specie” mormorò di risposta il ragazzo, lo sguardo vuoto.

“Sei venuto in auto con lui?” Jakotsu annuì, lanciando un’occhiata al campione di judo ancora inerpicato sulle spalle di Kyukotsu. “Jackie, ti chiamo un taxi?” si offrì Ginkotsu, il cellulare in mano. Il ragazzo scosse la testa. “Faccio io. Dopo aver ridotto quello che posso chiamare ex ragazzo in una larva sanguinante.” Ringhiò, cercando furiosamente Suikotsu con lo sguardo.

E i suoi occhi si incrociarono con quelli neri e profondi, dal disegno allungato e ipnotizzante di Bankotsu. Vide la sua bocca schiudersi dalla sorpresa e bloccarsi, una mano a mezz’aria, come se fosse diventato improvvisamente una statua.

Alzò appena la mano in cenno di saluto, sentendosi la faccia in fiamme, prima di girare le spalle e correre verso il bagno. Quasi sfondò la porta d’ingresso, spintonando un ragazzo che stava uscendo e gettandosi dentro uno dei bagni. Lo chiuse a chiave e si sedette sulla tazza, la testa tra le mani.

Aveva voglia di urlare, di fare una sceneggiata, di prendere a calci Suikotsu per la bella sorpresa, di sfogare la rabbia e l’umiliazione a pugni sulla sua faccia.

Ma poi pensò che non ne valeva la pena, farsi compatire dagli altri con una pagliacciata simile. Sarebbe uscito dal bagno e si sarebbe diretto immediatamente all’uscita, scomparendo con grande dignità. E con Suikotsu ci avrebbe fatto i conti il giorno dopo.

Il flusso dei suoi pensieri vendicativi venne interrotto da un picchiettare alla porta. “E’ occupato!” esclamò, scocciato.

“Sono io, aprimi” gli rispose la voce del suo ragazzo (o come lo definiva pochi minuti prima), attutita dalla porta e dal rumore.

Jakotsu aprì la porta, con lo sforzo immane per rimanere calmo. Prese un bel respiro, appoggiandosi allo stipite con le mani incrociate dietro la schiena, fissandolo: “Devo ringraziarti proprio: è una sorpresa che non mi sarei mai aspettato da te.”

L’altro centilenò il suo cocktail con aria seccata: “Smettila di fare il bambino e vieni fuori.”

“No, pezzo di merda, io VADO fuori. Di qui.” Puntualizzò Jakotsu, dirigendosi verso la porta. Suikotsu lo trattenne. “Sbaglio o eri tu quello a cui piaceva il mio lato stronzo?”

Il ragazzo si voltò verso di lui trapassandolo con uno sguardo carico di rancore: “Un conto è essere stronzi. Un conto è giocare con i sentimenti delle persone” sibilò, scandendo bene le parole per sottolinearne il significato. Tolse la presa sul suo braccio con uno strattone deciso, e fece per dirigersi nuovamente verso la porta, ma l’altro gli si parò davanti. “Mi ci hai portato te a questo. Credi che non lo notassi il tuo continuo pensare a Bankotsu? Sono anni che lo vedo prenderti in giro mentre tu speravi che ricambiasse i tuoi sentimenti. L’hanno notato tutti, tranne te. Dovevi vedere che gongolate faceva Renkotsu, quando Bankotsu entrava nel suo locale con una qualche bella ragazza, e che ti salutava a malapena, mentre tu avresti voluto morire.” Jakotsu deglutì furiosamente. “Quello che io e Bankotsu abbiamo passato insieme tu non lo puoi nemmeno immaginare. Lui è…

“Lo vedi! Lo giustifichi ancora! Nonostante tutto, ti schieri dalla sua parte. E’ ridicolo! Io sto solo cercando di farti aprire gli occhi sulla persona che ti ha rovinato la vita per quattro anni.”

Il groppo che il ragazzo aveva in gola non voleva saperne di sciogliersi. Deglutì nuovamente, sentendosi gli occhi pizzicare. “Non è umiliandomi davanti a tutti i miei amici che mi aiuti.” Mormorò infine, riuscendo a infilarsi tra l’altro e lo stipite della porta, guadagnando la libertà. Decise di dirigersi verso l’uscita, ma lo sguardo gli cadde nuovamente sul tavolo della festa, tra le persone che ballavano e si divertivano, scattando foto ricordo e alzando i cocktail per brindare. Bankotsu, in piedi sul tavolo, autografava tra gli applausi generali il decolleté ben fornito di una disinibita ragazza dai neri capelli a caschetto, che lui riconobbe senza esitare come Yura. Sospirò ancora, premendosi le dita sugli occhi e cercando di calmarsi.

“Credi davvero che gli importi qualcosa di te?” Suikotsu l’aveva raggiunto, e lo tormentava nuovamente.

Forse aveva ragione, ma non gli diede la soddisfazione di essere d’accordo con lui. Gli sibilò di andare a farsi fottere, prima di dirigersi verso il bancone del bar. Non avrebbe fatto a vedere a nessuno quello che stava provando in quel momento. Non avrebbe permesso a nessuno di prenderlo in giro, di deriderlo, di ferirlo nuovamente, né avrebbe dato la soddisfazione a Bankotsu di vederlo fuggire con la coda tra le gambe. Contro delle persone come lui, che si credevano gli dei del mondo e di poter giocare con le persone come se fossero soldatini di plastica, l’indifferenza era la migliore arma.

Appoggiò i gomiti sulla superficie lignea del bancone, sorridendo al barista. “Mi prepari un mojito ben carico, mon amì?”

 

Kagura aveva sonno. Sbadigliò nuovamente stiracchiandosi e gettando un’occhiata all’orologio. Le undici passate. Era davvero ora di andare a dormire, altrimenti il giorno dopo non sarebbe riuscita a svegliarsi presto, come era nei suoi propositi. Si alzò dal divano, scrollandosi di dosso la marea di cuscini, con un po’ di difficoltà: quel pancione cominciava davvero a pesare e la schiena ne risentiva. Chiuse la finestra dell’angolo cottura, controllò quella che dava sul salottino e notò che il computer portatile di Jakotsu era ancora acceso e connesso ad internet. Quel ragazzo avrebbe perso la testa, se non ce l’avesse avuta attaccata al collo. Scrollò il mouse per togliere lo screen saver e spegnerlo, ma si fermò un attimo, pensando di poter approfittare per dare un’occhiata qua e là a quello che succedeva nel mondo.

Anzi. Nel proprio paese d’origine.

In cinque mesi che si trovava a Parigi, Kagura aveva vinto tutte le tentazioni possibili di ricercare, sui quotidiani Online giapponesi, notizie riguardo alla “vicenda” di cui era, se così si poteva dire, passiva protagonista.

Cercò di trattenersi, scrocchiandosi le dita indecisa, ma poi pensò che ormai era trascorso troppo tempo, e che sicuramente i giornali nipponici avevano altre notizie sensazionali da sbattere in prima pagina. Si convinse che non le avrebbe dato fastidio, spiluccare notizie qua e la. D’altronde, era sempre buona cosa essere informati di tutti i fatti nel mondo, no?

Con questa decisione, si collegò al sito dell’Asahi Shinbun. In prima pagina, una notizia riguardo all’ennesimo caso suicidio di gruppo tra adolescenti. Sospirò sollevata: la vita in Giappone aveva ripreso il suo scorrere normale, senza eclatanti stravolgimenti. Oh, una nuova idol, che carina!

Scorse tutta la pagina, senza trovar traccia di nessuna notizia recente sul Gruppo Ragno o su Naraku Onigumo. Una punta di delusione si mischiò al sollievo: quindi tutto il suo penare, i suoi sforzi, i suoi rischi, erano stati la notizia della settimana, per poi cadere nell’oblio?

Beh, pazienza. Sperava soltanto che Naraku avesse avuto quello che si meritava. Almeno in piccola parte. Continuò a navigare sul sito, apprendendo di vari fatti di cronaca, inaugurazioni, show televisivi di successo, affari interni.

Uno spot pubblicitario prometteva tariffe bassissime per viaggi da Tokyo, Osaka e Kyoto verso destinazioni europee. Quasi senza rendersene conto, curiosò sulla tratta Tokyo – Parigi, scoprendo che aveva fatto pagare all’ignaro fratello di Sesshomaru, Inuyasha, qualcosa in più rispetto alle offerte. “Lo svantaggio delle partenze precipitose” sentenziò tra sé e sé. Cliccò vari link, sempre giapponesi, su vari argomenti, sino a che non si trovò su un forum femminile.

Navigò tra i vari post insulsi su cellulite e colore di capelli, sino ad arrivare alla sezione dedicata alla maternità. Scopri con piacere altre donne che si consigliavano a vicenda e si sostenevano moralmente durante la gravidanza. Fu sollevata dal notare molte madri single, che avevano fatto anche formato un nutrito gruppo. Lesse le loro vicende, trovandosi sorprendentemente rasserenata dal non essere sola in una condizione particolarmente dura. Certo, nessuna di loro aveva la fortuna di trovarsi a Parigi e di dividere la casa con un pazzo ragazzo d’oro.

Una sezione del forum era completamente dedicata ai fatti di cronaca che più avevano colpito le utenti. Vi entrò così, per curiosità.

Quasi cadde dalla sedia, vedendo il primo post, il più visitato e il più scritto, dedicato completamente a sé: Kagura Onigumo. La ragazza che aveva aperto il thread sosteneva di averla conosciuta, in quanto era una delle segretarie della Feder Inc, e sosteneva che era una persona taciturna e riservata,  perennemente scortata da suo fratello o da uno dei suoi uomini, e he le aveva sempre dato l’idea di essere molto sola. Oltre che a mostrare più anni di quanti ne avesse in realtà (e questo la rese meno simpatica agli occhi di Kagura). Ma mai avrebbe immaginato quello che si nascondeva sotto.

Un’altra aggiungeva rammarico per una vicenda che si era conclusa così drammaticamente, e sperava che “No Taisho faccia davvero sbattere quel bastardo in galera a vita”

Tanti altri thread parlavano della sua storia, le dedicavano pensieri e immagini. Si sentì quasi commossa. C’era chi si scambiava notizie riguardo alla sua relazione con Sesshomaru no Taisho.

“Lui non ha rilasciato dichiarazioni” commentava una. “Ma ieri sera su uno giornale di gossip ho letto che stavano per celebrare le loro nozze in segreto.”

Kagura scoppiò a ridere. Questa era davvero buona! Fece per risponderle, ma si trattenne. Continuò a scorrere i vari post, sorridendo mestamente. Una utente puntualizzava che, dopo lo scandalo Onigumo, la percentuale di donne che denunciavano episodi di violenza si era duplicata. Questa notizia, seppur infondata, rese orgogliosa la donna. La sua vicenda aveva lasciato un’impronta decisiva ed importante.

 

La testa di Jakotsu dondolava sul bicchiere ormai vuoto di Cosmopolitan. Si sentiva uno straccio, ma aveva ancora la forza necessaria per tenersi in piedi e per non voltarsi verso la pista. Più di una volta Ginkotsu e Kyukotsu erano venuti a tentare di trascinarlo nella mischia, o quantomeno di farlo smettere di bere in un angolo da solo, ma lui li aveva scacciati in malo modo.

Suikotsu aveva tentato di avvicinarsi, ma come se avesse percepito che avrebbe solo peggiorato le cose, era tornato al tavolo. O in pista, chissà.

Ordinò ancora un altro cocktail, un Long Island, che praticamente trangugiò. Il barista, Jerome, gli fece notare che era il decimo che si scolava. Lui gli rispose che era già tanto se non si gettava in gola una bottiglia di vodka intera, per poi darle fuoco.

“Guarda che se sei troppo ubriaco la security ti lancia fuori senza pietà” l’avvisò l’altro, riprendendo il bicchiere vuoto. “Ormai sei sull’orlo del coma etilico…

Jakotsu fece spallucce. Poi guardò l’orologio, mettendoci un intero minuto per focalizzare bene l’ora. Le tre passate. Era stato quattro ore fermo allo stesso bancone a bere e a rimuginare sulle sue disastrose relazioni interpersonali.

A quell’ora Kagura stava sicuramente dormendo, con il suo pancione scalciante. Sorrise al pensiero, e decise che era decisamente tempo di levare l’ancora. Mosse un passo e per poco non rovinò a terra. Dannazione come girava la testa. Cercò di riprendersi, scuotendosi, ma non fece che peggiorare la situazione. Camminò lentamente, con una mano appoggiata sul bancone, e barcollò sino all’uscita. Le scale furono disastrosamente difficili da percorrere.

Varcata la porta, l’aria gelida lo colpì in pieno, e con quella anche la consapevolezza di essere appiedato. Frugò in tasca alla ricerca del cellulare. Trovò invece il pacchetto di sigarette, e se ne infilò una tra le labbra. L’accese dopo vari e ilari tentativi, e poi proseguì con la ricerca del telefonino.

Se la memoria non lo tradiva, aveva memorizzato il numero di telefono del servizio taxi.

“Ah, eccolo!” esultò, rischiando di far cadere la sigaretta. Farfugliò qualcosa alla voce meccanica e nell’interrompere la conversazione, chiudendo il telefono, si ustionò il palmo della mano con la sigaretta. Strillò, lasciando cadere tutto quello che aveva in mano, strizzando gli occhi sulla vescichetta che si era già formata. Sbuffò, sentendosi incredibilmente depresso e mediocre, mentre scivolava a terra cercando il cellulare. Ovviamente la batteria e il relativo sportellino si erano staccati. Dannazione. Li raccolse, faticando per stare in equilibrio, e cercò di rimetterli a posto, senza successo.

Sentì gli occhi pizzicare. Ma in che cavolo di stato si era ridotto? “Sono una merda” singhiozzò.

Qualcosa di caldo gli scivolò sulle spalle, mentre una voce profonda lo rassicurava. “Non sei una merda, sei solo molto ubriaco.”

Il qualcosa di caldo era una giacca di pelle. E il suo profumo l’avrebbe riconosciuto tra mille, così come la voce che l’aveva rincuorato. Non osava alzare la testa per paura che non fosse vero. Un paio di mani gli sfilarono gentilmente il cellulare smontato tra le dita, e lo rimisero a posto in un attimo. Poi gli circondarono le spalle e lo alzarono.

Jackie… sei davvero un guaio” gli sussurrò, con una nota tristemente divertita nella voce.

Il ragazzo si voltò, desiderando avere solamente la conferma che fosse davvero lui. Se lo ritrovò davanti, i capelli ancora legati nella solita treccia corvina, qualche ciocca che scappava via dopo la serata frenetica. Un piccolo sorriso gli stendeva le labbra, e gli occhi neri sembravano volerlo inghiottire. “Bankotsu...” sussurrò.

“Mi dispiace che sia andata a finire così. Davvero. Non sapevo nemmeno che tu e Suikotsu stavate insieme, non me l’ha detto. Non so cosa gli sia passato per la testa…

Jakotsu distolse lo sguardo da lui, strizzando gli occhi per non far notare le lacrime che cercavano di uscire prepotentemente. “Non importa, davvero.” Minimizzò, cercando di sorridere. “Sono rimasto sorpreso, tutto qua.”

Un taxi si fermò proprio davanti al locale. Jakotsu lo indicò come il proprio. Provò a muovere un altro passo, ma rovinò a terra. Prontamente, l’altro lo rialzò. “Tu non vai da nessuna parte da solo in queste condizioni!” esclamò preoccupato. Si guardò intorno, forse alla ricerca di qualcuno di conosciuto, o forse per accertarsi che non ci fossero paparazzi o chissà che altro di compromettente. “Ti accompagno io” sentenziò alla fine. Jakotsu sentì la felicità balzare nel suo petto. E anche dell’altro. Fu solo grazie ai propri riflessi pronti che Bankotsu evitò il conato di vomito del ragazzo.

 

Kagura fu svegliata dal rumore di chiavi nella toppa della porta. Si era addormentata sul divano, tra i cuscini, il pc portatile ancora acceso e connesso ad internet, aperto sulla pagina del forum giapponese a cui si era appassionata. Guardò l’orario, erano quasi le quattro. Ne dedusse che la serata doveva aver preso una piega alquanto strana, se Jakotsu non l’aveva passata interamente a casa del suo ragazzo. Chiuse velocemente la pagina di Explorer e si alzò faticosamente, dirigendosi verso il corridoio. Cosa strana, le sembrava di sentire bisbigliare una voce sconosciuta, insieme ad alcuni monosillabi farfugliati che dovevano provenire da Jakotsu. La porta si aprì piano e con somma sorpresa Kagura si trovò davanti ad una scena davvero pietosa. Accese la luce per vederci meglio.

Jakotsu, semisventuto era letteralmente sulle spalle di un bel ragazzo che Kagura non riconobbe immediatamente. Il ragazzo trasalì a vederla, rischiando di far ribaltare l’amico. La donna gli fece segno di entrare e chiuse la porta.

“Che diavolo è successo?” domandò, mentre il ragazzo adagiava l’altro a terra, contro il muro. Poi lo guardò meglio. L’aveva già visto da qualche parte, ma non ricordava dove. Non era tra gli amici di Jakotsu… Oh! Era…

Bankotsu?”

Kagura, immagino.” Rispose lui. “Suikotsu mi aveva parlato di te e Jackie…E anche lui, prima di addormentarsi sul taxi. Ma non pensavo che tu fossi ancora in piedi a quest’ora…” Lo sguardo del ragazzo cadde sulla pancia, e lo distolse subito, arrossendo.

La donna rimase a bocca aperta. “ma cosa diavolo è successo?” domandò nuovamente, con più veemenza. “Doveva uscire insieme a Suikotsu e…

“Beh, l’ha portato alla mia festa di addio al celibato, senza dirglielo.” Spiegò brevemente. “E come puoi vedere, lui non l’ha presa benissimo.”

Jakotsu si lasciò cadere di lato, russando. Bankotsu lo riprese sulle spalle, dirigendosi verso la camera da letto, borbottandogli che a peso morto pesava un quintale.

Kagura li seguì shockata: mai si sarebbe aspettata un tiro mancino simile da Suikotsu, non le sembrava il tipo. Evidentemente Bankotsu si era sbagliato, non poteva essere.

Adagiando il ragazzo sul letto l’atleta le spiegò come si era svolta la serata, con lui preso dai suoi amici, osannato e tirato a destra e a manca e Jakotsu al bancone che beveva tutto quello che poteva capitargli a tiro. Da solo. E incazzato come un drago. “Fortunatamente sono riuscito ad uscire con una scusa e l’ho preso in tempo per evitare che vagabondasse da solo per Parigi. In queste condizioni.” Kagura lo svesti parzialmente, scuotendo la testa. “Povero Jackie.” Mormorò, coprendolo con il lenzuolo e schioccandogli un bacio sulla fronte imperlata di sudore. L’odore di alcool la nauseò.

Uscirono dalla camera senza chiudere la porta. Bankotsu lo guardò un’ultima volta, preoccupato. “Suikotsu lo ammazzo domani.” Promise.

La donna piegò la testa di lato. Forse Bankotsu non aveva di certo il coraggio di vivere alla luce del sole il suo rapporto con Jakotsu, ma chi poteva giurare che non provasse qualcosa di profondo per lui?

“Vuoi dormire qui?” gli domandò, quasi senza rendersene conto. Nemmeno lui sembrava molto in forma, e non sembrava aver molta voglia di tornare a gozzovigliare. Lui la guardò sorpreso. “Grazie, ma non preoccuparti. Troverò un hotel qui vicino. Sai, avevo programmato di far baldoria tutta notte e prendere il treno delle Sei per Lille. Abbiamo appuntamento con il Wedding Planner a pranzo, e Abi, la mia ragazza, mi ucciderà se non sarò presente.”

“Oh. Senza dormire?”

Lui scrollò le spalle. “non dormo molto. Al contrario di Jakotsu.”

Tornò a fissarlo sorridendo a sentirlo russare.

“Dai, davvero. Un paio d’ore sul divano. E’ il minimo che posso darti come ringraziamento per avermi riportato a casa il mio capo sano e salvo.” Scherzò lei, insistendo.

Lui annuì, piano. “Ma mi sveglierò prestissimo, probabilmente non ci saluteremo neanche. Ti prego, se Jackie non si ricorda nulla, non raccontarglielo. Finirebbe per illudersi, lo conosco.”

Kagura annuì, in effetti le sembrava la soluzione migliore. Notò le occhiate di sottecchi che Bankotsu lanciava alla sua pancia e le scappò da ridere: “Non preoccuparti, non è di Jakotsu.”

Lui arrossì nuovamente. “Non avevo molti dubbi a riguardo.” Rise. “E’ maschio o femmina?”

“Una bambina. Puoi toccare la pancia, se vuoi. Jackie sostiene che porti fortuna.”

Il ragazzo le restituì un sorriso triste, mentre appoggiava il palmo sul ventre e lo accarezzava piano. “Me ne serve molta. E se lo dice Jackie, allora non può che essere vero.”

 

Eccomi!!

Les Bains Douches esiste davvero, nella via indicata.

Crying at the discoteque è una canzone degli Alcazar degli anni 90

Non preoccupatevi, aggiornerò al più presto anche l’altra Fic.

Buon Weekend!

 

 

 

 

 

 

   
 
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