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Autore: Scarcy90    27/07/2016    1 recensioni
La giovane infermiera Lisa Light vive la sua solita vita nel reparto di Neurochirurgia in un ospedale universitario. Ad accompagnarla, nel viaggio di tutta una vita, il suo esuberante collega e migliore amico, Chris.
Julian Blackwood, uno sceneggiatore spiantato e colmo di pensieri, circondato da strani amici. Insieme ai quali ha fondato una casa di produzione cinematografica indipendente, la Maudits.
Un incidente motociclistico e un particolare progetto, costringeranno la zelante infermiera a confrontarsi con un mondo quasi completamente opposto al suo, in cui regnano solo le idee e l'immaginazione di chi crea qualcosa praticamente dal nulla. I due protagonisti saranno posti davanti a loro stessi. Dovranno fare scelte importanti per poter comprendere e accettare appieno le loro anime così diverse ma al contempo simili.
Dal Capitolo 5
-Lo fai sempre?- chiese lui con occhi strani.
-Cosa? Vestire i pazienti che ne hanno bisogno?-
-No, accarezzare le gambe dei pazienti in modo così provocante.-
Le guance di Lisa presero fuoco mentre si rendeva conto che non aveva tenuto l’elastico dei pantaloni largo ma aveva permesso che il dorso di una delle due mani restasse in contatto con la pelle di Julian
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 Il sole era già alto e scaldava l’aria di quella mattina inoltrata di fine inverno. Fuori la luce la faceva da padrone ma all’interno della camera tutto era avvolto dal buio, causato dalle finestre completamente serrate ad impedire l’ingresso del più minimo fascio luminoso.
D’un tratto il rumore stridulo e fastidioso di una sveglia iniziò a diffondersi con una certa insistenza. Le quattro mura dipinte di un leggero arancione, caldo e rilassante, apparivano scure e pesanti in assenza di una fonte luminosa. Appese sulle pareti molte foto raccontavano la vita che qualcuno aveva vissuto. Vacanze, scuola, compleanni, parenti, amici. Le fotografie di tutte le persone più importanti per l’inquilino di quella camera.
 Una mano piccola e sottile si sporse da sotto un lenzuolo giallo e arancione. Raggiunse l’origine di quel suono maledetto, con la precisione di chi quel gesto lo aveva fatto migliaia di volte.
 La sveglia sul comodino tacque, dopo che la piccola mano l’aveva zittita a suon di colpi.
 Un mugugno indistinto si sollevò dal groviglio di lenzuola.
 -Il tuoi risvegli mi catapultano direttamente in un film horror, lo sai?-
 -Sta’ zitto, Chris! Voglio dormire!-
 Una risata cristallina e divertita invase il tenebroso ambiente.
 La risata di un ragazzo che se ne stava sulla porta, in mano una tazza ricolma di caffè, le spalle appoggiate allo stipite e uno sguardo ilare che si abbinava perfettamente ai suoi riccioli biondo- rossicci.
 -Lis, la caposala va via dal reparto tra un’ora. E’ la terza volta che rimandi la sveglia.-
 Caposala… Un’ora… Va via.
 Parole sconnesse che nella mente assonnata di Lisa non assumevano un senso compiuto.
 -Cinquantanove minuti e il cambio turno per l’anniversario te lo scordi.-
 Cambio… Anniversario… Turno.
 Le richiamavano qualcosa alla mente.
 Spalancò gli occhi con orrore.
 Il viso di Theo le apparve improvvisamente davanti e insieme ai suoi occhi dolci e attraenti, anche il suo corpo statuario fece capolino nei meandri della sua immaginazione.
 -Devo andare!- esclamò scattando in piedi e cercando di raccattare qualcosa di decente da mettersi rovistando nella montagna di vestiti abbandonati sulla sedia davanti alla sua scrivania.
 -Buongiorno principessa-, mormorò Chris sorseggiando il suo caffè con aria sorniona.
 -Buongiorno un bel paio di cavoli! Coinquilino degenere! Avresti dovuto svegliarmi mezz’ora fa!-
 Lo sguardo di Lisa era a dir poco furibondo.
 -Ma dormivi così beata grazie al sottofondo della dolce melodia che intoni russando. Comunque io mi sono svegliato non più di cinque minuti fa, giusto il tempo di preparare il caffè. Ti vorrei ricordare che non ho intenzione di farti da sveglia, hai visto come tratti quella poverina? Non ho intenzione di prenderle da te.-
 Lisa sfilò i pantaloncini del pigiama pronta a sostituirli con un bel paio di jeans aderenti ma comodi. Ormai non aveva più alcuna vergogna nel restare in intimo davanti al suo amico Chris. Erano coinquilini da così tanti anni che gli unici ormoni che avevano in circolo quando erano insieme di certo non erano di natura sessuale.
 Non erano due amici, ma due fratelli.
 -Non dovevi vederti con Erika stamattina?- chiese lei sorpresa mentre copriva il suo reggiseno bianco in microfibra con una canotta grigia molto semplice.
 -Mi ha dato buca. Ha detto di non aver bisogno del mio aiuto per oggi.-
 -Io ancora devo capire se questa è la tua ragazza o la bambina a cui fai da baby sitter.-
 Chris bevve un altro sorso di caffè con una tranquillità sorprendente.
 -Mi piace aiutarla a studiare e poi finché me la concede per tre sere a settimana a me va più che bene. E’ così selvaggia e disinibita. Aiutarla nello studio è un piccolo prezzo che pago volentieri se poi in cambio ottengo regolare sesso sfrenato.-
 Fece spallucce mentre Lisa si legava i lunghi capelli castani in una coda di cavallo alta.
 -Lo sai che la tua freddezza nei confronti del sesso femminile sarà la tua rovina un giorno? Cosa pensi di fare quando ti innamorerai sul serio di una donna?-
 Questa volta Chris scoppiò in una vera risata.
 -Pensi davvero che io mi possa innamorare, Lis? Sono allergico all’amore, ricordatelo.-
 Lisa gli lanciò uno sguardo irato.
 -E poi a che mi serve innamorarmi? Le ragazze da portarmi a letto non mi mancano e se ho bisogno di parlare vengo da te. Non ho obblighi o impegni seri, e ogni mia ragazza di turno mi ha sempre donato qualcosa.-
 -Immagino cosa…- insinuò Chris mentre cercava di truccarsi decentemente.
 -Lo sai che mi piace sperimentare.-
Lisa vide il suo amico riflesso nello specchio mentre si esibiva in un plateale occhiolino.
 -No, non lo so. E non lo voglio sapere. I particolari della tua scabrosa vita sessuale, tieniteli per te.-
 -Dici sempre così eppure come ascolti quando ti racconto quello che faccio…-
 Lisa afferrò un cuscino dal divanetto e lo lanciò dritto in faccia all’amico.
 -Ho capito l’antifona, tolgo il disturbo-, disse lui con sorriso furbo dipinto sul volto.
 -Sempre il solito-, mormorò Lisa una volta che Chris fu fuori dalla sua stanza.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio. Era un mezzo disastro ma non aveva tempo per fare di meglio.
 La Caposala Burton era sempre molto rigida e precisa. Per i cambi turno voleva essere avvisata di persona entro il suo orario di lavoro. Entro le tredici in punto di ogni giorno, sabato e domenica esclusi. E in quel momento a quella precisa scadenza mancavano poco più di trenta minuti, venti dei quali sarebbero serviti a Lisa solo per essere in ospedale.
 -Io vado!- esclamò aprendo la porta che dava sul pianerottolo di quel piccolo appartamento che lei e Chris condividevano da più di cinque anni.
 -Niente caffè e sigaretta?-
 Lisa e Chris non erano dei veri e propri fumatori ma avevano i loro immancabili riti. Caffè insieme ogni mattina, seguito da una sigaretta. Bicchiere di vino prima di andare a dormire, seguito da una sigaretta. Le loro dosi di nicotina finivano lì, a meno che non uscissero a bere o a ballare, lì se ne concedevano qualcuna in più.
 -Hai visto che ore sono?!- urlò lei afferrando la borsa. –Non ho neanche il tempo di respirare, figuriamoci di fare una delle nostre eterne colazioni.-
 -Okay, però non scordare il pranzo con tua madre-, rispose lui dalla cucina con una vocina divertita.
 -Ma che sei? La mia agenda?-
 Lisa alzò gli occhi al cielo.
 Se n’era dimenticata ed esistevano milioni di motivi per cui dimenticarsi di un pranzo con sua madre risultava sempre così tremendamente semplice.
La porta del reparto le si stagliò davanti dopo una corsa per le scale che le aveva mozzato il fiato. Fortuna che non l’aveva fumata quella sigaretta, altrimenti ci avrebbe perso un polmone nel salire quegli innumerevoli gradini.
 Digitò velocemente il codice composto da quattro cifre sulla tastiera numerica della grande porta di metallo ed entrò nel reparto esattamente dieci minuti prima che il turno della Burton arrivasse al capolinea.
 Si precipitò in infermeria e la vide lì, seduta alla sua scrivania con gli occhi fissi e concentrati sullo schermo del computer. Nonostante fosse severa e avesse rimproverato Lisa almeno un milione di volte, spesso per errori non commessi da lei, la ragazza ammirava quella donna con ogni cellula del suo corpo.
 Si faceva rispettare da tutti, primario compreso, e nessuno aveva il coraggio di contraddirla in pubblico. Il reparto funzionava alla perfezione anche grazie al pugno di ferro con cui mandava avanti tutta la baracca.
 Lisa non conosceva la vera età della caposala Margareth Burton ma ad occhio e croce aveva passato da poco i cinquanta. Corti capelli biondi, glaciali occhi scuri e un’espressione perennemente concentrata che incuteva terrore.
 Non aveva figli. Lei e il marito vivevano in un tranquillo paesino molto fuori mano. Fatto che costringeva la caposala ad alzarsi ogni giorno alle quattro del mattino per essere in reparto alle sette in punto.
 Tutta quella diligenza verso il lavoro si avvertiva nell’aria quando lei era nei paraggi, e l’intero personale s’impegnava al massimo per schivare una delle ramanzine della Burton, diventate celebri in tutto l’ospedale.
 -Caposala Burton, buongiorno.-
 -Oh, Lisa Light. Qual buon vento ti conduce tra queste quattro mura dopo un turno di notte? Sono stata anche informata che non è stato carente di emozioni.- Non aveva alzato gli occhi dal computer neanche per un attimo.
 -Sì, siamo stati indaffarati stanotte-, ammise lei. La caposala sapeva sempre tutto. Anche quando tornava dal periodo di ferie era a conoscenza deli eventi capitati ogni singolo giorno. Impossibile non trovare la questione piuttosto inquietante.
 -Ve la siete cavata bene, ne sono molto soddisfatta-, questa volta alzò gli occhi e li fissò in quelli della giovane infermiera. –Allora, immagino che se ti trovi da queste parti, affannata per paura di non vedermi nei paraggi, tu senta il bisogno di chiedermi qualcosa.-
 -In effetti mi servirebbe un cambio turno per sabato mattina-, Lisa lo disse tutto d’un fiato, la caposala aveva la brutta abitudine di interrompere chiunque. Meglio prevenire che curare.
 -Fammi indovinare-, un sorrisetto apparve sulle labbra della caposala. Non era esattamente ciò che poteva essere definito un buon segno. –Venerdì sera è l’anniversario del dottor Dawson e tuo. L’intenzione è quella di fare baldoria per tutta la notte, quindi non saresti in grado di essere abbastanza reattiva per presentarti in reparto alle sette del mattino?-
 Lisa ammutolì spalancando gli occhi.
 -Ci ho preso, cara?-
 La ragazza si limitò a muovere il capo su e giù in segno d’assenso.
 La caposala scoppiò a ridere.
 -Tranquilla, Light-, si asciugò una lacrima sfuggita in quel momento di ilarità. -Non ti sto spiando. Il dottor Dawson ha dato questa spiegazione, non proprio con i termini che ho utilizzato io, per chiedere un cambio al professore. Ero lì quando lo ha chiesto, quindi ti stavo aspettando. Sei troppo corretta per non venirmelo a chiedere di persona, nonostante tu abbia fatto la notte.-
 Lisa sbatté le palpebre dandosi mentalmente della stupida per aver pensato che la caposala si fosse trasformata in una specie di mostro alieno che riusciva a vedere il futuro.
 -Ti concedo il cambio, ho già chiesto a Grace Willis se avesse bisogno di qualche ora di straordinario e ha subito accettato. Presumo che dover mantenere quattro figli sia alquanto dispendioso.-
 -Immagino di sì- rispose Lisa ancora sbalordita.
 -Comunque, Light- ricominciò la caposala dando un’occhiata veloce all’orologio e alzandosi in piedi. –Devo ammettere che assistere alla conversazione tra il dottor Dawson e il primario è stato un evento alquanto rivelatore.-
 Fece qualche passo verso la ragazza.
 Lisa era sempre più confusa.
 -Lasciati dire da una vecchia signora, con alle spalle trent’anni di matrimonio, che il modo accorato con cui il dottore ha chiesto il cambio turno mi fa sospettare che lui abbia in mente qualcosa di speciale per il vostro anniversario. Non mi sorprenderebbe venire a sapere che magari ti porrà una domanda molto importante a cui tu sarai chiamata a rispondere.-
 Gli occhi di Lisa si spalancarono. Si stava riferendo ad una fantomatica proposta di matrimonio?
 -Sarai pronta a rispondere, mia cara Light?-
 “Bella domanda”. Rifletté Lisa. “Davvero una bellissima domanda”.
 Fino a quel momento l’idea di sposarsi non le aveva mai attraversato neanche l’anticamera del cervello. In più amava Theo, ma entrambi erano ancoro così giovani, non se la sentiva ancora di considerarlo suo marito. Theo non aveva per niente l’aspetto di un marito, accidenti!
 -Bene, il mio turno finisce qui- disse la caposala con un sorriso sincero. Si diresse verso la porta ma prima di abbandonare la stanza si fermò sulla soglia. –Rifletti bene su ciò che ti ho appena detto, perché una volta fatto sarà per sempre.-
 Tipico della caposala.
 Sganciava la bomba per poi dileguarsi nel nulla.
 Più Lisa pensava a quello che la Burton aveva appena detto e meno la credeva una cosa possibile. Theo era un uomo romantico, certo, ma anche molto pragmatico. Non avrebbe mai fatto una proposta di matrimonio senza neanche aver finito la laurea specialistica.
 O forse sì?
 Magari i sentimenti che provava per lei erano di una tale intensità da spingerlo a farle una proposta di così grande importanza.
 Lisa scosse la testa cercando di svuotare la mente. Non poteva farsi influenzare da una conversazione mezza origliata dalla caposala, doveva restare con i piedi per terra. Anche se l’idea di Theo inginocchiato ai suoi piedi con un anello di diamanti in mano era la scena più bella che avesse immaginato. Non sapeva cosa gli avrebbe risposto, ma avrebbe dato di tutto perché quella scena prendesse davvero forma davanti ai suoi occhi.
 Cercò di scacciare quei pensieri e si diresse verso l’uscita del reparto quando si bloccò di colpo.
 Ormai si trovava là, tanto valeva andare a controllare ciò che le aveva dato un po’ di pensiero durante tutta la notte.
 Perciò si voltò e si diresse lungo il corridoio del reparto.
 I suoi passi si arrestarono davanti a una porta.
 Letto 19, questo c’era scritto su una targa in plastica.
 -Speriamo stia bene, era conciato male stanotte-, mormorò tra sé e sé. Le altre infermiere erano impegnate con le consegne quindi non avrebbero fatto caso se fosse sgusciata un attimo nella stanza del signor Julian Blackwood per controllare le sue condizioni.
Bussò alla porta.
 Sentì una voce che la invitò ad entrare.
 Una volta nella stanza notò subito con grande piacere che il signor Blackwood era sveglio. Diverse aste con flebo e monitoraggi circondavano il suo letto, nonostante ciò Lisa notò subito dando uno sguardo agli schermi che i parametri vitali erano nella norma.
 Lui la fissò per un lungo istante prima di inarcare le sopracciglia confuso.
 -Ci conosciamo?-
 -Sono la sua futura moglie-, rispose lei con tono serio.
Blackwood spalancò gli occhi sorpreso.
 Lisa si aprì in un grande sorriso. Alla fine era stato lui a farle la proposta, e adesso la guardava sbalordito senza neanche riconoscerla? Forse era un po’ presto per gli scherzi, il paziente si stava appena riprendendo.
 -Non si preoccupi, sono solo una delle infermiere che erano di turno stanotte. La mia era solo una battuta per tirarla su di morale.-
 Il viso dell’uomo si rilassò ma il suo sguardo sembrava colmo di rabbia. Quei bellissimi occhi dal tagli mediorientale stavano per buttare fuori vere fiamme.
 -La prossima volta che vuole giocare, signorina, le consiglio di comprare un biglietto per il Luna Park. Magari evitando accuratamente di passare dalla mia stanza, le assicuro che la sua presenza qui non è gradita.-
 -Come, prego?-
 -Ha capito benissimo. Il suo scherzo non mi è piaciuto. E’ questo il risultato della laurea che ha conseguito e di tre anni di studi? Fare il pagliaccio con i pazienti che hanno appena subito un intervento al cervello? Lei la professionalità non sa nemmeno dov’è di casa!-
 Lisa stava per fulminarlo con gli occhi tanto era arrabbiata.
 -E lei è sempre così stronzo o è la mia particolare presenza a renderla così ispirato?-
 -Sempre più professionale-, mormorò lui irritato.
 -Sempre più stronzo-, disse lei trattenendosi a stento dall’urlare. Va bene l’atteggiamento assertivo e il dovere di mettere ogni paziente a proprio agio, ma gli insulti non li avrebbe accettati nessun infermiere con un po’ di sale in zucca.
 Si fissarono negli occhi per diversi secondi. Fiamme contro fiamme. L’incendio era stato inevitabile e lo spegnerlo risultava impossibile.
 -La invito a lasciare subito la mia stanza. Ho bisogno di riposo, non di un giullare in gonnella.-
 -Non chiedevo altro che essere cacciata!- esclamò lei furiosa. –Non merita le attenzioni di nessuno! Stronzo!-
 -Un po’ monotono come concetto, usa sempre lo stesso epiteto per descrivermi.-
 -E’ quello che le si addice meglio!-
 Lisa si voltò di scatto. Quegli occhi marroni che durante la notte le erano parsi così caldi e avvolgenti, d’improvviso si erano trasformati in due pezzi di ghiaccio ricolmi di rabbia e disgusto.
 Uscì subito dalla stanza, e si diresse di gran carriera fuori dal reparto, andando quasi a sbattere contro un ragazzo mingherlino e occhialuto, con lunghi capelli neri stretti in una coda.
 Si scusò, scappando via velocemente per evitare che il suo pessimo umore le facesse combinare un guaio.
 Come si permetteva uno stronzo del calibro di Julian Blackwood a trattarla in quel modo?! Anche se in maniera minore, lei aveva contribuito a salvargli la vita. Avrebbe potuto dimostrarsi almeno un tantino grato per il tempo che lei gli aveva dedicato.
 Aveva la sensazione che quel paziente sarebbe stata una sfida molto, molto, difficile. Non poteva neanche pensare a quanto si sarebbe rivelato difficile sopportare quell’uomo per interi turni di lavoro.
 Julian Blackwood si era presentato come il prototipo di paziente che tutto il personale del reparto avrebbe cercato di evitare. Lisa ne aveva incontrati tanti come lui e già sentiva nell’aria che gli infermieri, e forse anche i medici, avrebbe contato persino i secondi che mancavano al giorno in cui sarebbe stato dimesso.
 Un giorno piuttosto lontano, date le sue condizioni.
 Il reparto sarebbe diventato invivibile.
Mentre si dirigeva al ristorante dove sua madre, maniaca della precisione, la stava sicuramente aspettando già da dieci minuti abbondanti, decise di fare un piccolo punto della situazione di quella mattinata improbabile.
 Punto primo. Era stata svegliata, in tremendo ritardo, da un coinquilino i cui modi erano alquanto discutibili.
 Punto secondo. La figuraccia che le era toccata con la caposala Burton non se la sarebbe dimenticata per parecchio tempo.
 Punto terzo. Era venuta a scoprire che forse il suo fidanzato, un bellissimo specializzando ultimamente più glaciale di un iceberg, aveva intenzione di chiederla in sposa durante la cena per il loro anniversario.
 Punto quarto. Il paziente del letto diciannove, il signorino Julian Blackwood-non è professionale fare il pagliaccio in gonnella, era il più grande esempio di stronzo snob che avesse mai incontrato.
 L’ultimo punto in particolare la sconcertava.
 Il suo rapporto con i pazienti era sempre stato idilliaco, persino con persone più complicate di Blackwood, ma quel ragazzo… Aveva come la sensazione che non ci sarebbe stato mai modo di avere un rapporto civile con lui.
 Per lei era una vera e proprio sconfitta.
 Se poi a tutti i punti si stava per aggiungere sua madre che la salutava con la mano sventolante in fondo alla sala del ristorante, con il suo solito sguardo divertito ma allo stesso tempo pieno di rimprovero, i punti di quella mattinata salivano a quota cinque e questo si trasformava subito nel peggiore di tutti.
 Lisa avanzò verso il tavolo che ad ogni passo somigliava sempre di più ad un patibolo.
 Si preparò mentalmente alle solite domande che la madre le avrebbe posto, come ad ogni singolo incontro e telefonata.
 -Come stai, tesoro? Mangi abbastanza.-
 -Si, mamma tranquilla.-
 -Con Theo tutto bene, vero?-
 -Sì, certo mamma.-
 -Il matrimonio? Ci state pensando?-
 -Ovviamente, mamma, ma credo sia ancora affrettato parlarne con te.-
 L’aria annoiata di Lisa che si avventava sul suo piatto di lasagne non fece demordere sua madre Catherine, che continuò imperterrita finché non arrivo al nocciolo di ogni discorso che avevano affrontato da lì ai due anni precedenti.
 -Lo sai che non vedo l’ora di avere dei nipotini, vero tesoro?-
 Un sorso di vino rosso bello corposo e Lisa riuscì a mandare giù ancora una volta quell’enorme rospo che le si bloccava proprio sopra l’esofago ogni volta che la sua adorata genitrice se ne usciva bella come il sole con l’argomento bambini.
 -Mamma, ho venticinque anni. Posso aspettare ancora qualche anno prima di avere dei figli, non credi?-
 -Certo, ma che non siano troppi però. Lo sai che sono dell’idea che i figli si debbano avere prima dei trent’anni.-
 Lisa alzò un sopracciglio scettica. Parlava la donna che aveva avuto la sua unica figlia all’età di trentacinque anni. Una bella differenza rispetto ai paletti che le stava imponendo.
 -Sai, il bimbo di tua cugina Tracy ha ormai quattro anni. Non aspettiamo altro che te e saremo tutti più contenti.-
 Certo esempio perfetto la cugina Tracy. Aveva partorito il figlio a trentasette anni suonati e stava con un uomo che aveva l’età di suo padre e con due matrimoni falliti alle spalle. Senza contare i figli avuti da quei due matrimoni: una venticinquenne sfaticata che aveva appena fatto outing solo per far arrabbiare la madre, e un diciassette che non aveva mai avuto niente a che fare con il padre.
 Sì, sua cugina Tracy era davvero l’esempio perfetto di tutto ciò che Catherine odiava eppure trattandosi della sua nipote preferita, la dolce e perfetta Tracy, le si poteva concedere qualunque attenuante del caso.
 -Papà come sta?!- chiese Lisa con voce squillante per la tensione che sentiva dentro. Doveva almeno provarci a cambiare argomento.
 -Lavora come al solito. Ormai lo vedo così di rado che ricordo a malapena il suo volto. L’unica consolazione è che si fa sentire tanto al telefono, almeno questo.-
 Sua madre aveva sempre avuto un rapporto discordante con il lavoro del marito. Era un uomo d’affari, non ricco ma benestante, che doveva lavorare e viaggiare in continuazione perché la sua azienda di componenti elettroniche non andasse fallita.
 Il mercato e la crisi mondiale non gli permetteva di concedersi molte pause. Sua moglie, tuttavia, si era sempre mostrata molto paziente anche se il dispiacere per la mancanza del marito le si leggeva in faccia.
Superata la parte dell’interrogatorio, il resto della conversazione con Catherine Light si concluse con pettegolezzi sulle sue compagne di poker e sulla questione della casa che nonna Mary, la madre di Catherine e delle due sorelle, aveva lasciato in eredità. Una graziosa villetta fuori città che dalla morte della povera nonna Mary, avvenuta quasi un anno prima, era diventata l’oggetto di discordia tra le tre sorelle, peggio del pomo d’oro nel celebre poema omerico.
 La sorella minore, zia Alfreda, aveva messo di mezzo avvocati e tribunali senza una vera e propria ragione. Catherine e zia Sarah, la maggiore, si erano state catapultate nella sgradita situazione di trovare un difensore e quindi anche loro avevano assunto un avvocato.
 Una circostanza spiacevole che Lisa avrebbe tanto voluto risolvere in qualche modo. Come finale ideale si prospettava la vendita della casa, la divisione in tre parti alle sorelle, e il ricovero in un ospedale psichiatrico per quella fuori di testa di zia Alfreda. Era sempre stata pronta a mettere il suo zampino malefico in ogni questione, ma stavolta stava decisamente esagerando.
 Salutò la madre con un sorriso ma qualcosa dentro la stava logorando.
 Sua zia Alfreda.
 Il suo fidanzato Theo.
 Julian Blackwood.
 Persone che non c’entravano nulla l’una con l’altra eppure avevano contribuito tutte a crearle un pesante magone all’altezza dello stomaco.
 Si cominciò a chiedere se quel giorno non avrebbe fatto meglio a non abbandonare il suo morbido letto, magari restare a dormire sarebbe stata la soluzione ideale.
 Purtroppo la pigrizia non faceva parte del suo carattere.
 
*****
 
 -Possiamo definire questo come il peggiore dei tuoi incidenti, Julian?-
 -Peter, non ti ci mettere anche tu per favore. Ne ho avuto abbastanza di sarcasmo per oggi.-
 Julian era fermo nel suo letto con lo sguardo puntato al soffitto. Peter, uno dei suoi migliori amici, era andato a trovarlo in vece di tutto il gruppo.
 -E’ successo qualcosa?-
 -Un’infermiera in borghese che era di turno stanotte era venuta a controllare le mie condizioni armata di battute e sorrisi-, il suo tono era più duro che mai.
 -Oh, ha osato indispettirti, che gli dei ci risparmino questa catastrofe-, l’ironia non sembrava aver abbandonato la voce di Peter che se la rideva sotto i baffi mentre si rimetteva sul naso gli occhiali che sembravano un po’ troppo grandi per il suo viso magro e asciutto. –Almeno era un’infermiera carina?-
 -L’hai mancata per un pelo, è andata via due secondi prima che arrivassi tu. Comunque carina le si addice, ma non è nulla di sconvolgente.-
 Peter sembrò pensarci un attimo prima di rispondere.
 -Se è la moretta che ho incrociato prima potrei azzardarmi ad affermare che stiamo parlando di una gran bella figliola. I suoi occhi sono favolosi.-
 -Li definirei passabili.-
 -Quanto la fai difficile-, disse l’amico fingendo esasperazione.
 -Mica deve piacermi per forza, è solo un’infermiera.-
 -E tu sei solo uno sceneggiatore spiantato. Allarga i tuoi orizzonti ogni tanto.-
 -Sai perfettamente perché mi trovo in questo letto. Con le donne ho chiuso. Le storie serie ed io abbiamo raggiunto il capolinea. Solo sane scopate per Julian da oggi in poi.-
 Peter scoppiò a ridere.
 -Quando Daisy sarà qui demolirà quella sgualdrina della tua ex pezzo per pezzo. E’ furibonda per quello che hai fatto ed è ancora più infuriata con lei.-
 Scese un silenzio quasi spettrale.
 -Non sono fiero di essere stato così debole, ma il mio amore per Veronica era più profondo di quanto mi aspettassi.-
 -Tu lo definisci amore, io e Daisy orgoglio ferito.-
 -Come lo considerate tu e quel generale dell’esercito della tua ragazza non m’importa. So io come ci si sente-, abbassò lo sguardo con aria di sconfitta.
 -Non fare la vittima, non sei l’unico al mondo a cui hanno messo le corna per poi essere abbandonato in malo modo. Reagisci e basta, il mare è pieno di pesci.-
 -Sì, e il cielo di volatili.-
 -Quanto sei retorico-, disse Peter con un grande sorriso.
 -E tu sei solo uno zerbino alla mercé di una donna soldato.-
 -Potrebbe anche sembrare così, eppure mi sta bene. Il carattere di Daisy è solo uno dei suoi tanti pregi.-
 Julian guardò per un attimo l’amico e decise di non infierire oltre. La differenza di comportamenti tra lui e Daisy era talmente evidente che solo Peter non lo aveva ancora accettato come un’aggiunta negativa al loro rapporto. Il carattere di quella donna era un temibile mostro che prima o poi avrebbe divorato l’angelico Peter in un sol boccone.
 -Come procede la sceneggiatura?- decise di cambiare argomento.
 -Quasi terminata, aspettiamo solo te per mettere finalmente la parola fine.-
 -Non lascerò questo postaccio molto presto, a sentire il chirurgo ci vorrà almeno una settimana-, un sospirò abbandonò lento le labbra di Julian. Non gli erano mai piaciuti gli ospedali e l’idea di restare in quel posto asettico e incolore per sette lunghi giorni lo esaltava come una gita intorno alla bocca di un vulcano in piena attività.
 -Vuol dire che porterò il lavoro qui. Ci bastano poche ore per terminarlo.-
 -Mi sembra perfetto- esclamò Julian con un sguizzò di felicità negli occhi.
 -Sapevo che l’idea ti sarebbe piaciuta, anche Luke è d’accordo. Lui è fuori città per un paio di settimane ma domani posso venire io e potremmo lavorare. Luke non ha altro da aggiungere alla storia, gli va bene se la terminiamo solo noi due. Concluderemo questa sceneggiatura e potremo goderci un meritato periodo di riposo.-
 Peter era visibilmente compiaciuto. La loro bambina stava per ottenere il meritato epilogo dopo ben due anni di lavoro. Il loro primo lungometraggio avrebbe visto la luce, quantomeno sulla carta.
 -Per il manoscritto? Avete trovato qualcuno?-
 L’idea di creare un manoscritto dalla loro sceneggiatura era venuta a Luke, il terzo sceneggiatore del loro progetto. Con un libro ci sarebbe stata più pubblicità e più possibilità di attirare l’attenzione delle case cinematografiche.
 Un piano perfetto eppure costantemente sottoposto a variabili inattese.
 -Ancora nulla, ma ci stiamo lavorando. Ci sarà, nascosto in qualche luogo dimenticato, uno scrittore pronto a farsi carico di questo onore. Una storia intera, servita su un piatto d’argento, che deve solo essere sviluppata in modo decente.-
 -Non mi accontento del decente. Voglio che quello scrittore sia il migliore.-
 -Sei il solito. Non abbiamo soldi per pagare qualcuno, non credo che il migliore sia accessibile per le nostre misere finanze. L’importante è che sappia scrivere qualcosa di leggibile nella nostra lingua ma, soprattutto, che ne abbia voglia. Prima finirà il manoscritto prima avremo la speranza che il progetto decolli.-
 L’amico costretto a letto avrebbe voluto ribattere molto volentieri eppure era cosciente di ciò che Peter aveva detto. Non si potevano permettere uno scrittore professionista.
 Risultava necessario fare buon viso a cattivo gioco ed accettare qualche compromesso.
 Passarono il resto del pomeriggio a parlare in tranquillità evitando con accuratezza l’argomento Veronica, ancora troppo scottante per essere affrontato con la dovuta ragionevolezza.
 Julian si sentì più calmo. Le condizioni in cui versava solo la sera prima gli apparivano come un ricordo lontano e intangibile.
 Sperò con tutte le sue forze che quello stato d’animo di inconscia gioia durasse il più possibile.
 L’abisso oscuro in cui l’aveva gettato Veronica non doveva essere contemplato mai più.
 Ci voleva un bel macigno, proprio sopra la testa di quella traditrice. 
   
 
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