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Autore: Mabisoraia    31/07/2016    1 recensioni
11 Settembre 2001.
Louis, ventisette anni, direttore di una compagnia di software, all'apice della carriera.
Harry, che di anni ne ha ventiquattro, lavora in una delle caffetterie più prestigiose di New York.
Louis lavora in un ufficio.
Harry è il ragazzo adibito a portare i caffè all'ultimo piano della torre Nord.
Si incontrano, si sorridono e tornano a fare il loro lavoro. Lo stesso rituale ogni mattina, da due anni a questa parte.
Fino a quel giorno particolarmente soleggiato di settembre.
NOTE
Tengo a specificare che con questa storia, non intendo assolutamente sminuire la tragicità dei fatti realmente accaduti quel giorno, né dei recenti avvenimenti a sfondo terroristico. Né tantomeno, esprimere i miei pareri politici, economici o di altro genere sulla situazione americana dell'epoca.
Spero che tutto questo, venga preso per ciò che è: una storia d'amore ambientata in uno scenario storico-culturale come un altro, senza altri fini che non siano quelli di dilettare (e, spero, emozionare), attraverso le parole.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Aprì gli occhi, ancora assonnato. Si beò del calore che proveniva dal materasso e si voltò, andando a sfiorare col braccio il ragazzo che dormiva accanto a lui.

Quello mugugnò qualcosa; doveva essere una frase sconnessa per esporre il suo disappunto nello svegliarsi.

Gli spostò leggermente i capelli sulla fronte, portando una ciocca di quella massa castana dietro un orecchio e andò a posare un bacio sulla tempia destra.

Lo vide sorridere appena, continuando però a tenere gli occhi chiusi, mentre cercava di riaddormentarsi.

Allora il riccio si arrese e si sollevò, rimanendo poggiato su un gomito, con tutta l'intenzione di guardarlo dormire.

 

 

 

 

Ma il suo piano venne interrotto senza preavviso. Non c'era un motivo ben preciso, come solitamente non ce n'erano mai, ma arrivò. Come una folata d'aria gelida in piena estate.

Era quasi un rituale ed entrambi avevano imparato come venirne fuori, la maggior parte delle volte.

 

Era successo quattro anni prima, ma lui sembrava ancora immerso in quella rete di incubi che non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.

Il suo psicologo continuava a ripetergli ad ogni seduta che sarebbe andata meglio. Tutto era tornato come prima. Meglio di prima.

Ma durante un attacco di panico, non c'era discorso logico che tenesse e questo Harry lo sapeva bene.

Così, cominciò a sudare freddo e a respirare affannosamente, la vista gli si appannò e si sentì trascinare in un vortice da cui temeva di non riuscire a venir fuori sta volta.

 

Martedì, 11 Settembre 2001

7.00 am

 

Un cerchio alla testa fu tutto ciò che Louis sentì non appena sveglio. E la prima cosa che pensò, fu che la sera precedente non sarebbe dovuto rincasare così tardi. O quantomeno avrebbe dovuto evitare tutto quell'alcool.

Non riusciva nemmeno a ricordare il motivo per cui si era ridotto a bere così tanto. Né tanto meno il volto dello sconosciuto con cui si era intrattenuto nei bagni di quel locale.

Alla sua età avrebbe probabilmente dovuto già mettere la testa a posto, come continuava a ripetergli sua madre ogni volta che ne aveva l'occasione. Peccato che l'unica cosa di cui gli importasse, fosse il suo lavoro.

Non che vivesse di castità, ovviamente. Preferiva però quelli che era solito chiamare 'passatempi': nessun dovere o preoccupazione o delusione che potesse evitarsi.

Ad una prima occhiata, Louis Tomlinson poteva considerarsi il perfetto mix tra la più profonda superficialità e appena un pizzico di superbia. Ad uno sguardo un po' più attento, poteva rivelarsi un qualcuno di diverso, anche se dall'anima complessa. Ad una sola persona, Louis si sarebbe svelato semplicemente come l'inizio e la fine di tutto.

Una fitta più forte alla testa portò a pensare il ragazzo castano che qualunque cosa l'avesse spinto a ridursi in quel modo la sera prima, non avrebbe dovuto cedere. Ora si sarebbe risparmiato la doccia ghiacciata che sarebbe stato costretto a fare per cercare di tornare lucido, nonché la ramanzina di Liam che gli avrebbe sicuramente urlato contro, vedendolo in quelle condizioni.

Louis spense la sveglia, che quella mattina non voleva accennare a dargli tregua. Gettò nuovamente la testa nel cuscino, finché non provò fatica anche a respirare, e fu costretto a voltarsi.

Aveva la schiena a pezzi, quello che sembrava un martello pneumatico alle prese con la sua testa e molto probabilmente delle profonde occhiaie ad incorniciare quella visione.

Guardò in direzione della finestra, le tende leggermente scostate, e dalla sua posizione Louis riuscì a vedere la luce opaca del sole che sorgeva, e le ombre dei grattacieli di Manhattan che si riflettevano sulle vetrate del suo appartamento.

Ricordò di aver scelto quella casa per la vista che offriva. Quando si era trasferito dalla periferia newyorkese dove era nato, nel cuore di Manhattan, la sua vita era stata stravolta.

Era abituato fin da piccolo alla vita di un tranquillo quartiere, dove aveva tra l'altro conosciuto il primo ragazzo che gli aveva fatto mettere in discussione tutto. E da che ricordasse era stato anche l'ultimo, visto come era andata a finire.

Aveva ventitré anni all'epoca, meno esperienza e più voglia di vivere. Sogni nel cassetto e progetti da realizzare, insieme a quello che pensava sarebbe stato l'uomo della sua vita.

Peccato che appena due mesi dopo avergli chiesto di sposarlo, l'avesse trovato impegnato a letto con una loro vecchia amica di college.

Più volte si era ritrovato a pensare che avrebbe preferito il tradimento con un altro uomo, perché con una donna pensava di non poter competere.

Strizzò le palpebre a quel ricordo e si lasciò accarezzare da quello spiraglio di luce, che ora si distendeva sulla sua schiena e lo riscaldava appena.

Sarebbe rimasto lì ancora per un po', ma si ricordò di avere un appuntamento con un cliente importante quella mattina e considerò che non era il giorno adatto per prendersi del tempo libero.

 

 

Come se ci fosse un momento adatto per te, lo rimproverò il suo inconscio.

 

 

D'altronde, Louis si giustificava pensando che quel riposo non gli sarebbe servito a nulla. Non aveva famiglia, né nessuno accanto con cui condividere quel tempo. Gli bastavano sei ore di sonno a notte, notevoli varietà di filtri di tè, provenienti dai più svariati posti del pianeta. Per il resto, si accontentava.

Tra l'altro, quando era piccolo, non era certo stato abituato a tutto quel lusso che ora, decisamente, lo circondava. Si alzò finalmente dal letto e raggiunse direttamente la doccia, visto che aveva l'abitudine di dormire nudo. Qualche suo compagno di letto, in passato, aveva provveduto a fargli notare che non era esattamente una cosa normale. Ma lui non ci aveva mai badato più di tanto. In fondo queste persone duravano più o meno tre giorni nel loro periodo di prova.

 

Quando venne fuori dal getto d'acqua fredda, che aveva avuto fino a poco prima aperto sulla sua testa, si asciugò alla bell'e meglio e cominciò a vestirsi.

Osservò il suo armadio, diviso esattamente a metà. Da una parte, tutti gli abiti che usava per andare a lavoro. Una maschera d'austerità che Louis tollerava a stento. Dall'altra, il vestiario di un qualunque ragazzo ventisettenne. Considerò per un attimo l'idea di presentarsi a lavoro in t-shirt, prima di dare uno sguardo all'orologio.

Inveì contro sé stesso e ai muri di quell'appartamento troppo grande per lui. Prima di uscire di casa, afferrò al volo la sua inseparabile tracolla in similpelle e si precipitò in ascensore.

 

Solitamente prendeva la metropolitana, perché gli piaceva incontrare gente diversa ogni giorno, che andava in migliaia di posti altrettanto diversi. E in piccoli sotterranei, si incontravano così tanti pensieri, speranze, paure, fini e inizi.

Il suo collaboratore più fidato, Payne, qualche volta lo aveva preso in giro per quella abitudine. Si sarebbe potuto permettere anche un autista, e si ostinava a prendere i mezzi pubblici.

 

Quella mattina però Louis fu costretto a prendere un taxi. Era l'unico modo per recuperare tempo.

Saltò fuori dall'auto gialla, lasciando una mancia generosa al tassista e corse verso i grattacieli di fronte a lui.

 

Ridusse appena il ritmo non appena entrò nella torre nord. Erano le otto e un quarto, aveva tutto il tempo di raggiungere con più tranquillità l'ultimo piano. Entrò nell'ascensore vetrato, quello che dava la visuale sull'intera Manhattan. Davanti a lui il World Trade Center, gli altri sei edifici che si stagliavano in tutta la loro imponenza nel cielo newyorkese.

Il cielo di un azzurro quasi ambrato dal sole, che rifletteva su ogni vetro a sua disposizione, creando nelle vicinanze un ventaglio di colori da mozzare il fiato.

Si sarebbe potuto pensare alle grandi città, come ad un complesso di traffico, inquinamento, odori sgradevoli e luci abbaglianti. E forse era proprio così.

Ma Louis quello spettacolo non l'avrebbe sostituito con nessun altro posto al mondo. Pensava che fosse la prova dell'incontro delle opere umane, con quelle divine.

Liam una volta aveva anche provato a spiegargli che si trattava di un semplice fenomeno di rifrazione della luce. Ma lui preferiva non sapere quali fossero le spiegazioni scientifiche dietro quello spettacolo mattutino.

 

 

Piano 110. Torre nord.

 

Louis mise piede nel suo ufficio e Liam gli si scaraventò contro, dicendogli che ce l'aveva fatta per un pelo anche questa volta. Poi sorrise, rasserenato dal fatto che non gli sarebbe toccato intrattenere il loro cliente.

Scesero entrambi all'ottantasettesimo piano, sala conferenze.

 

"Hai avvisato il ragazzo della caffetteria di raggiungerci qui?" chiese Louis, già preoccupato di non poter bere il suo prezioso infuso per quella mattina.

E il tuo dannato tè non è l'unico problema, lo imbeccò ancora una volta la sua coscienza.

"Avvisato un'ora fa" rispose efficiente Liam, con un sorriso sghembo all'angolo della bocca, che sembrava stesse alludendo a qualcosa.

Louis temeva che oramai Liam fosse diventato talmente bravo a capirlo, da sapere cosa volesse o stesse per fare, ancora prima che dicesse o facesse qualcosa.

 

Liam Payne, il perfetto uomo che chiunque avrebbe voluto al suo fianco. Maniaco dell'ordine, paladino della puntualità, difensore della correttezza, in tutti i campi in cui potesse essere applicabile.

Eppure, sulla diretta via del suo successo come compagno, si era schiantato il suo capo d'ufficio, che con turni assurdi, non gli permetteva neanche la parvenza di quella che poteva definirsi una vita sociale, figuriamoci sentimentale.

D'altro canto, Louis sperava con tutto il cuore che quel ragazzo non trovasse mai un lavoro con una paga più decente di quella, perché non avrebbe saputo dove mettere le mani senza di lui.

 

"L'appuntamento non era alle otto e mezza?" chiese irritato Louis, cominciando ad essere ansioso per un motivo non ancora definito nella sua testa.

"Già, starà arrivando. Io vado a recuperare dei documenti dall'ufficio. E vedi di non scappare col ragazzo del bar"

"Liam Payne!" Ma prima che questo potesse sentirlo, le porte dell'ascensore si erano già chiuse.

Si riaprirono qualche secondo dopo però, mostrando una chioma riccia, racchiusa in un bandana blu, che preannunciava una visione, se possibile, ancora più piacevole. Il ragazzo con la divisa del Costa Coffee, e il vassoio con le loro ordinazioni.

Louis sorrise al solito e si affrettò a recuperare i soldi dal portafoglio. Ma prima che potesse porgerglieli, un boato seguito da un tonfo, rimbombò nelle orecchie di entrambi, facendoli cadere a terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì, 11.09.2001

07.00 am

 

"Harry datti una mossa! Tra dieci minuti esco di casa" lo spronò Niall, che ora era già vestito ad aspettarlo sulla porta.

Lui ed Harry condividevano da un annetto circa, quel piccolo appartamento nella periferia di New York. Niall lavorava nell'agenzia immobiliare che si trovava a qualche centinaio di metri dal bar, dove invece lavorava Harry. Erano partiti entrambi dalla cara vecchia Inghilterra qualche anno prima, tante speranze e un notevole spirito di avventura.

Progettavano di aprire un'attività in proprio, ma per ora stavano ancora cercando di mettere qualcosa da parte. Non volevano fare un passo più lungo della gamba. Niall pensò a quanta strada avessero fatto insieme dopotutto.

E si sarebbe sentito quasi fiero anche del suo migliore amico, se non fosse che stava assistendo al solito spettacolo mattutino in cui Harry cercava di lavarsi i denti, infilarsi i jeans e le scarpe, il tutto contemporaneamente.

Scosse appena la testa, pensando che il riccio non fosse cresciuto poi molto, rispetto a quando stavano a Brighton.

 

Ora stava tentando anche di sistemarsi i capelli, imprecando con ancora il dentifricio in bocca. Decisamente immaturo.

Riuscirono ad essere fuori di casa alle sette e un quarto. Entrambi attaccavano alle otto con il loro turno. Raggiunsero in tram il centro di Manhattan. Harry salutò il ragazzo biondo davanti al Costa Coffee, dopo avergli dato il solito croissant alla gianduia. Fece cenno di saluto ai colleghi, andò nel bagno adibito al personale e indossò la divisa della caffetteria.

Sbirciò fuori dalla finestra, un sole particolarmente luminoso che si infrangeva contro ogni cosa che incontrava. Tornò dietro il bancone e diede uno sguardo alla lista delle prenotazioni giornaliere. La prima della lista, era lì da due anni ormai.

Sorrise nel vedere che quello strano ragazzo aveva ordinato per l'ennesima mattina consecutiva, la stessa qualità di tè. Come poteva bere la stessa cosa per così tanto tempo, senza annoiarsi? Non sentiva la curiosità di assaggiare qualcos'altro? Con queste domande a frullargli in testa, ed il solito vassoio per le mani, Harry si diresse a passo svelto verso la torre nord.

 

Solitamente andava all'ultimo piano. E amava la vista di Manhattan da lì.

Quella mattina però aveva avuto il contrordine di andare qualche piano più giù.

Premette il pulsante per l'ottantasettesimo piano. Non appena le porte scorrevoli si aprirono, il suo cuore fece una piccola capriola. Il ragazzo dagli occhi blu (così come l'aveva soprannominato, visto che non conosceva il suo nome), era seduto con i gomiti su un grande tavolo da riunioni. Aveva il volto imbronciato che gli ricordava tanto l'espressione di un bambino. Eppure per un momento Harry ebbe l'impressione di aver visto quei due occhi illuminarsi alla sua vista. Ma solo per un attimo, perché poi lo vide abbassare lo sguardo, come imbarazzato.

Poggiò il vassoio sul tavolo, temendo che a quella vista, potesse sfuggirgli da un momento all'altro dalle mani.

Il ragazzo castano non guardò nemmeno lo scontrino e si precipitò a recuperare il portafoglio dalla sua borsa. Tornò indietro e lo guardò dritto negli occhi, lasciando i soldi nella sua mano. Harry stava per balbettare un 'grazie', ma quello gli morì in gola, quando un tonfo fortissimo lo spinse sul pavimento.

 

Quando riprese conoscenza qualche minuto dopo, riuscì a vedere solo polvere e fumo attorno a sé. Faceva fatica a respirare, e usò il collo della camicia che indossava per filtrare l'aria. Gli bruciavano gli occhi e sentì una tempia che continuava a pulsargli per il dolore. Provò a sollevarsi sui gomiti, trattenendo un lamento per il dolore che proveniva da punti indefiniti del suo corpo. Eppure il lamento lo sentì lo stesso, evidentemente non era lui ad averlo emesso. Si guardò attorno e riuscì ad individuare un'altra figura poco più in là.

 

Le immagini si riavvolsero velocemente nella sua testa. Si trovava nella torre nord, per fare una consegna.

Quella consegna. Il ragazzo dagli occhi blu doveva essere ancora lì. "Mi senti? Stai bene?" Provò biascicando Harry. Non sapeva nemmeno il nome di quel ragazzo. Un altro lamento, questa volta più di risposta che di dolore. "Aspetta, provo a raggiungerti"

"Non riesco a muovermi" riuscì allora a parlare Louis. Harry si trascinò qualche metro più avanti dove era sdraiato il ragazzo dagli occhi blu, che a quanto pare era bloccato sotto una trave che doveva essere crollata. Louis continuava a guardarlo con le pupille dilatate in maniera sconcertante.

Il ragazzo dagli occhi verdi tremò un attimo vedendolo così, prima di provare a riprendere lucidità.

"Come ti chiami?" chiese col tono più dolce che riuscì a recuperare.

Per un momento il ragazzo castano continuò a guardarlo, poi però "Louis" rispose.

"Ok Louis, non preoccuparti, ora provo a chiamare qualcuno" Harry provò ad alzarsi e raggiunse a tentoni il posto dove ricordava di aver visto un telefono. Sollevò la cornetta, e provò a digitare il numero del 911.

Dall'altra parte, solo il silenzio. Le linee dovevano essere cadute. Non aveva idea di cosa fosse successo, ma qualunque cosa fosse, doveva essere grave.

Tornò affranto nuovamente verso Louis e si inginocchiò vicino al ragazzo. "Non c'è linea. Devo provare a tirarti fuori, te la senti?" Louis annuì in maniera quasi impercettibile. Il ragazzo dagli occhi verdi si avvicinò alle sue gambe e posò le mani sulla trave, per cercare il punto migliore dove applicare la pressione.

Quando lo trovò, cercò i suoi occhi. "Pronto?" Gli chiese, tentennando col tono di voce. "Si...solo, dimmi il tuo nome"

"Harry, mi chiamo Harry" rispose il ragazzo con gli occhi smeraldini, concedendogli un sorriso rassicurante.

"Ok Harry, mi fido di te" aggiunse Louis. Il ragazzo riccio avrebbe voluto rispondergli che, dopotutto, non è che avesse altre scelte, ma non sapeva perché, sentì che quell'affermazione di Louis, andasse leggermente oltre il suo senso immediato.

Senza parlare della stretta allo stomaco che aveva avvertito, al suono di quelle parole. Così, si limitò a stringere la presa sulla trave e provò a rialzarla. Quella non si sollevò nemmeno di un millimetro, ma si spostò leggermente solo trasversalmente, creando attrito con le gambe di Louis, facendolo urlare per il dolore.

"Scusami, ti prego scusami" piagnucolò Harry, lasciando la trave e spostando la mano sulla fronte del castano, accarezzandogli una guancia.

"Non preoccuparti" lo rassicurò Louis, non appena smise di tremare per il dolore e sorrise appena, per cercare di calmare Harry.

"Per favore dimmi cosa devo fare, non so dove mettere le mani" tentò il riccio.

"Lascia perdere, è troppo pesante. Per favore però, dì qualcosa" Harry rimase basito per un attimo da quella richiesta. Cosa avrebbe potuto mai raccontare ad un ragazzo che probabilmente era in fin di vita? Un'altra stretta, stavolta al cuore, che gli fece prendere consapevolezza che il dolore che provava adesso, non era dato solo dalla situazione tragica che doveva affrontare. Ma dal fatto che, quello davanti a lui, non fosse un ragazzo qualunque, ma l'uomo misterioso dietro a cui aveva perso la testa negli ultimi due anni.

"Non so di cosa parlarti" buttò lì Harry, deluso dal fatto di non riuscire a dire nulla.

"Qualsiasi cosa Harry, qualcosa su di te. Hai un accento inglese, che ci fai qui?" sussurrò Louis, cercando di nascondere il dolore che ora sentiva a livello del femore. Pensò che fosse un buon segno. Quantomeno aveva ancora sensibilità alla gamba.

 

Harry sorrise appena, corrucciando la fronte, vedendo il lampo di dolore che aveva attraversato gli occhi di Louis, e si affrettò a parlare per cercare di distrarlo. "Era da quando andavo al liceo che sognavo di andare in America. La terra dove i sogni si realizzano, no?" Sorrise amaro Harry, ricordando quanto sperava di trovare nel nuovo continente.

"Mi spiace deluderti", ancora un ghigno di dolore a tracciare il volto di Louis, "ma devi aver sbagliato decisamente meta" sorrise adesso il castano, facendo comparire anche due fossette profonde ai lati del volto di Harry.

"Tu invece, prendi lo stesso tè ogni mattina da quando lavoro in quel bar"

"L'hai notato?" chiese Louis sorpreso.

"Beh diciamo che sono pochi quelli che chiedono l'infuso ai baccelli di vaniglia, ah e una bustina di zucchero di canna, come dimenticarlo" sorrise Harry.

"Ho paura dei cambiamenti improvvisi. Mi piacciono le cose abitudinarie. Mi rassicurano sul fatto che tutto rimane sempre uguale a sé stesso. È una cosa stupida, lo so, ma in un certo senso, mi tranquillizza. Ecco perché prendo sempre lo stesso tè. Ti aspettavi qualche spiegazione più articolata, vero?" Disse tutto d'un fiato Louis, tra un fremito e l'altro, perfino lui sorpreso dalla motivazione che aveva dato. Non ci aveva nemmeno mai fatto caso.

 

"In realtà pensavo semplicemente che ti piacesse il sapore della vaniglia" sorrise sincero il riccio, sorpreso da quella dichiarazione così personale di Louis.

 

"Hai famiglia?" Gli chiese il ragazzo castano, quasi spaventato dalla risposta che avrebbe potuto ricevere.

"Ho ventiquattro anni Louis" rispose semplicemente il riccio.

"Neanche io, e ne ho ventisette di anni" quasi sussurrò l'ultima parte, Louis.

"Hai una ragazza?" Chiese curioso il riccio.

Il ragazzo castano scoppiò a ridere, sinceramente sorpreso da quella domanda a bruciapelo.

"Diciamo che ho gusti diversi" disse sornione Louis, mentre si gustava l'espressione del riccio davanti alla sua risposta. Espressione che, nonostante la confusione data dal dolore, lasciava poco all'interpretazione.

Sarebbe potuta sembrare una conversazione qualsiasi, in un qualsiasi appuntamento tra persone che si erano appena conosciute. Ma erano in un grattacielo in fumo, a centinaia di metri da terra, e non avevano idea di cosa stesse succedendo fuori da quella stanza.

A riportarli alla realtà però, un secondo boato che fece tremare nuovamente il pavimento sotto di loro. Era meno forte di prima, ma il suono era lo stesso ed Harry provò ad avvicinarsi alla finestra per vedere cosa stesse succedendo. Vide la torre sud, di fronte a lui, andare in fiamme e sgretolarsi pian piano, sotto l'effetto di quello che doveva essere un esplosivo, pensò immediatamente.

"Louis non ho idea di cosa stia succedendo qui fuori, ma dobbiamo andarcene subito"

"Sono bloccato" constatò il castano, con tono rassegnato.

"Dobbiamo tirarti fuori di lì, in un modo o nell'altro" spiegò deciso Harry, che si alzò e corse verso l'altra stanza della sala riunioni. Tornò qualche secondo dopo con una seconda trave, decisamente più piccola di quella che bloccava le gambe di Louis. La posizionò sotto l'asse più grande, poggiandola sulla scrivania all'altra estremità, dove faceva forza con le braccia. Finché la trave non iniziò ad alleggerire la pressione sulle gambe del ragazzo castano, che cominciò a stringere le palpebre per il dolore acuto che lo colpì, non appena il sangue riprese a circolare regolarmente nelle sue gambe.

"-Louis, so che fa male, ma devi ascoltarmi. Per favore ascoltami, devi spostare le gambe di lì, adesso!"

Louis prese un respiro più profondo degli altri, serrò la mascella e cominciò a spostare lentamente una gamba alla volta da sotto la trave. Non appena Harry vide gli arti del ragazzo con gli occhi blu liberi, lasciò cadere la leva che aveva creato, accasciandosi a terra per la fatica.

"Ce l'hai fatta" sospirò affannato Louis, cercando di gestire il dolore e la paura che lo stavano assalendo.

“Ora dobbiamo andarcene, appoggiati a me" lo esortò, raggiungendo un suo fianco con la mano, e portandosi un suo braccio dietro il collo per sorreggerlo.

Si avvicinarono all'uscita, aprirono la porta e un'ondata di fumo e calore li investì in pieno, facendoli tossire. Harry non riusciva a vedere a cinquanta centimetri dal suo naso e dovette procedere con una delle mani avanti, per evitare di andare a sbattere contro qualcosa. Presero il corridoio a sinistra che sembrava avere meno fumo a riempire l'aria. Ma non appena svoltarono nuovamente l'angolo, la visione che gli si presentò davanti fu drammatica.

 

A terra c'erano corpi ustionati dalle fiamme e l'odore di nafta e benzina riempiva ogni centimetro di quella stanza. Dalle altre porte provenivano urla indefinite. Persone che chiedevano aiuto, lamenti. I due ragazzi si guardarono un attimo e il riccio prese l'iniziativa, lasciando Louis poggiato contro lo stipite di una porta e correndo verso le altre entrate. Man mano che procedeva, il fumo si infittiva e il calore si faceva più intenso. Il fazzoletto che aveva davanti al volto, non serviva ormai a molto. Si doveva star avvicinando al luogo dove era successo l'incidente o qualsiasi cosa fosse.

Vide una donna a terra con il volto ricoperto di sangue e notevoli bruciature sul corpo. "Aiutami" riusciva solo a gridare. La stanza da cui proveniva era sbarrata dalle fiamme, che si nutrivano di tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Harry provò a cercare un'altra entrata, ma quella stanza sembrava sigillata, salvo che per quella porta. Qualche secondo dopo, smise di sentire le urla.

Per un momento l'idea di sedersi lì e aspettare semplicemente che il destino facesse il suo corso, gli parve allettante. Ma solo per qualche secondo, finché non ricordò di aver lasciato Louis indietro.

Si rimise a stento in piedi e corse nel corridoio che aveva attraversato nel senso opposto. Vide una sagoma sdraiata a terra. Lo scosse dalle spalle e il ragazzo castano riaprì gli occhi, mettendosi a sedere.

Louis si accasciò su Harry, facendo fatica a respirare in quelle condizioni.

"Resta sveglio!" Urlò, scuotendo le spalle del ragazzo castano. Louis aprì gli occhi mettendo a fuoco i fotogrammi sfocati che gli si mostravano davanti. Riuscì a riprendere contatto con la realtà, quando un paio di labbra con la stessa consistenza del velluto gli si impressero sulla fronte. La sua mente riuscì a formulare un ultimo pensiero razionale prima di cadere nel baratro. Doveva vivere, anche solo per perdersi ancora una volta in quegli oceani smeraldini.

Harry lo risollevò di peso e lo fece poggiare sulla sua schiena, cercando di trascinarlo nuovamente al punto da cui erano partiti. L'aria era irrespirabile ormai. Il riccio si guardò attorno ma non riusciva a vedere punti d'uscita.

Proseguì a tentoni, tenendo gli occhi socchiusi per la polvere, finché intravide una zona meno densa di fumo e afrettò il passo in quella direzione. Riuscì a raggiungere le scale, e più giù vide due squadre di vigili del fuoco che continuavano a portare giù feriti e gridavano di scendere. Nella rampa l'aria sembrava più pulita e Louis riprese conoscenza. Harry procedeva sulle scale, inciampando ad ogni gradino mentre trascinava Louis dietro di sé. Ad ogni piano dovevano fermarsi per far procedere le squadre d'emergenza che cercavano di soccorrere quante più persone potevano. Quando, venti minuti dopo, giunsero al primo piano e cercarono di procedere per l'ultima rampa, sentirono la sensazione di un rterremoto. La torre oscillò un paio di volte e un rumore di vetri rotti e cemento infranto cominciò a riempire l'aria. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo in quel momento.

Più tardi qualcuno dei più fortunati, avrebbe appreso che la torre sud stava letteralmente collassando su se stessa. Continuarono a correre uno dietro l'altro, finché una rampa di scale più giù, non sentirono gridare qualcuno che l'uscita di emergenza era chiusa dalle macerie. Harry e Louis si guardarono negli occhi.

Stupore, paura e un qualcosa di indefinito, che più in là probabilmente avrebbero classificato come amore.

Videro un corridoio alla loro destra, non avevano idea di dove portasse, ma non importava più. Se fossero rimasti lì, sarebbero morti intrappolati comunque. Louis si appoggiava su una sola gamba, appigliandosi ad Harry e al muro del corridoio che ora stavano percorrendo.

Procedevano senza meta, alla ricerca di uno spiraglio di luce o aria. Poi all'improvviso si sentirono mancare la terra sotto i piedi, polvere e fumo, misti all'angoscia di non essere riusciti a fare tutto.

 

Harry pensò di non aver chiamato sua madre il giorno prima come faceva al solito per rassicurarla. Aveva rimandato a quel giorno. Ma non ne avrebbe avuto il tempo.

Non avrebbe avuto tempo per aprire quel ristorante sulla quattordicesima strada.

Tempo per ristrutturare quell'appartamentino in periferia con Niall e dirgli che era stato una tra le persone più importanti della sua vita.

Tempo per dire al ragazzo con gli occhi blu che non gli bastava più portargli un tè al mattino.

 

Quando Harry schiuse nuovamente gli occhi e trovò Louis con le labbra leggermente spalancate che giaceva inerme accanto a lui, lo scosse. Ma Louis non si muoveva più.

"Loueh" singhiozzò il suo nome il riccio, portando il bandana a coprire il naso del ragazzo castano per cercare di filtrare l'aria. Esausto, si avvicinò al suo viso e gli sfiorò le labbra con le proprie, quasi nel tentativo di restituirgli la vita. E in quel momento, smise di avere paura.

Nulla avrebbe avuto importanza, tutto sarebbe potuto finire. E semplicemente, decise di lasciarsi andare.

 

E l'avrebbe fatto, l'avrebbe fatto davvero. Se non avesse sentito qualcuno scuoterlo dalle spalle e urlare a qualcun altro che erano ancora vivi. Un ragazzo che poteva avere forse la sua stessa età, con i capelli corvini e gli occhi amaranto, si caricò lui e Louis sulle spalle trascinandoli fino ad un'altra rampa di scale, in piedi per miracolo. Harry vide la luce davanti a loro. Dei vigili del fuoco che, in una scena quasi a rallentatore, gli urlavano contro di correre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora un altro uomo che gli urlava contro. E continuava a stringerlo, nell'intento forse di spezzargli le ossa, per quanto stava facendo pressione su di lui.

Eppure dovette funzionare, perché riprese a respirare.

“Scu- scusami, non volevo svegliarti” balbettò Harry, con ancora gli occhi sgranati e il sudore che continuava a colargli lungo la spina dorsale.

Vide il ragazzo castano tirare un sospiro, forse di sollievo.

“Cristo santo Haz, quante volte ti ho detto di avvisarmi?” sbottò Louis, più preoccupato che realmente arrabbiato.

“Non me lo aspettavo, te lo giuro” disse velocemente il riccio.

“Okay scusami, è che ho paura quando fai così” spiegò il castano, cercando anche lui di tranquillizzarsi.

“Sempre lo stesso?” chiese Louis solo per conferma.

Harry annuì, portandosi le mani in viso e stropicciandosi gli occhi.

 

“Saremmo potuti esserci noi al loro posto” sussurrò il riccio, pentendosene subito dopo, quando vide l'espressione di Louis cambiare radicalmente.

Aveva tirato fuori quella frase, solo pensata per troppo tempo.

 

Harry era inginocchiato sul letto, con le labbra appena dischiuse e gli occhi lucidi, con insieme il desiderio di rimangiarsi ciò che aveva detto, e il senso di leggerezza che fa da seguito all'ammissione di una colpa.

Eppure, chi in quella stanza sembrava stesse combattendo con la propria coscienza, non era lui.

Louis era come assorbito in qualche vorticoso insieme di pensieri che sembrava lo stessero tormentando.

Ed Harry conosceva ciò che aveva riportato a galla.

La sensazione di non aver fatto il massimo, di non aver pensato a chi era rimasto in quella torre.

All'uomo che Louis portava perfino tatuato sulla pelle, lui che dei tatuaggi non aveva mai capito il senso.

 

Scese dal letto, e con due passi raggiunse il ragazzo che teneva ancora le braccia stese lungo i fianchi, ma i pugni serrati. Le nocche bianche ad indicare la forza che ci stesse mettendo per non crollare.

 

Tra i due, Louis aveva sempre mantenuto il controllo per entrambi. E Harry ora si odiava per essersi sempre poggiato a lui.

 

Piantò gli occhi nei suoi e gli prese le mani fino a fargli riaprire i pugni.

“Perdonami”

Louis scosse in maniera quasi impercettibile la testa, continuando a fissarlo.

 

 

Harry lo vide aggrottare le sopracciglia per un attimo e poi coprire la distanza che ancora li separava.

Si avventò sulle sue labbra, come fossero l'unico appiglio che aveva per non annegare. E forse era realmente così, si ritrovò a pensare.

“Non farlo. Non chiedermi scusa” disse Louis, trasformando quel bacio in un miscuglio di denti e saliva, ma non gli importava.

Scese con le mani lungo il busto del riccio, ad arpionargli i fianchi con le dita.

Harry sfiatò a quel contatto quasi possessivo e portò le sue mani oltre il tessuto dei pantaloni che indossava, avvicinandolo a sé e aumentando quel gioco di frizioni che lo stava mandando fuori di testa.

 

Solitamente si sarebbero scambiati una serie di preliminari interminabili che avrebbero portato entrambi al limite.

Ma sta volta era diverso. Harry glielo fece intuire, spogliandosi da solo e facendo subito lo stesso Louis.

Non avevano bisogno di dolcezza, quella c'era sempre stata, dall'inizio, in tutto. Ora volevano solo sentirsi.

Louis mantenne il controllo per entrambi e affondò con una lentezza disarmante e quando Harry gli disse di muoversi, uscì con la stessa cura con cui era entrato.

Continuò a baciarlo sul collo, scendendo verso le clavicole e poi sullo sterno, andando poi a coprire il membro di Harry con la propria mano. Dette alcuni stacchi veloci dalla base, facendolo gemere, mentre nel frattempo aveva trovato il suo punto più sensibile, che conosceva ormai bene.

Con la visione del suo ragazzo sotto di lui, che continuava a tremare, venne anche Louis.

Si accasciò sul petto di Harry, rimanendo ancora dentro di lui e riprendendo a baciarlo in modo più delicato.

 

“Siamo già arrivati alla fase in cui usiamo il sesso per risolvere i nostri problemi?” chiese ridendo Harry, continuando però ad accarezzare i ciuffi castani di Louis.

“E lo chiami risolvere questo?” rise di gusto Louis, sollevandosi sui gomiti e sorridendo guardando il ragazzo ricciuto che si rilassava accanto a lui.

“Ti prego, non lasciarmi andare” disse Harry guardandolo con un'espressione seria adesso.

“Non ne ho nessuna intenzione, Styles” rispose il ragazzo dagli occhi blu.

 

E quella suonava come una promessa, pensò Harry.





E' passato quasi un anno da quando avrei dovuto pubblicare questa shot. Francamente non so cosa sia successo. Credo semplicemente che ci siano momenti in cui la vita lascia senza parole, anche solo da scrivere.

Ci tengo ad esplicitare il significato del titolo della one shot, Ivory die.

Letteralmente sarebbe 'dado d'avorio'. Si riferisce agli aspetti molteplici del caso fortuito, e alla crudeltà di quel caso. Sarebbe dovuto essere al plurale, ma tenendolo al singolare, spero di aver riportato anche il riferimento al verbo 'to die'.

Mi scuso per l'attesa e spero che ne sia all'altezza.

 

M.

  
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