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Autore: Charles and Paul    01/08/2016    1 recensioni
Febe Parker non sapeva di essere una semidivinità. Credeva che mostri, serpenti piumati e dei con piccoli problemi di altezza fossero solo leggende. Ma la sua vita verrà stravolta quando scoprirà che gli dei aztechi esistono ancora. Un’ardua impresa l’aspetta: recuperare lo specchio di Tezcatlipoca per salvare il Campo Aztlán ed i suoi amici. Ma temibili mostri si nascondono nell’ombra, e forze oscure stanno per risorgere.
Se credevate che esistessero solo divinità greche e romane, questa storia vi farà cambiare idea.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un' asiatica con l'alitosi mi prende di mira

Quando riaprii gli occhi, vidi che ero distesa su una branda ospedaliera. Ignacio dormiva su una sedia accanto al mio letto, con la testa appoggiata alla finestrella ed un rigolo di bava che fuoriusciva dalla sua bocca.
– Ben svegliata! – Disse qualcuno.
Voltai la testa; a poca distanza dal mio letto c’era un ragazzo con un camice da dottore, e lo stetoscopio che fuoriusciva da una tasca. I capelli neri di media lunghezza erano unti ed appiccicati alla fronte; la pelle giallastra era madida di sudore, ed indossava degli occhiali tondi appollaiati sul lungo naso aquilino. – Ciao! Io sono Ezekiel, il dottore del campo. – Disse puntando i suoi penetranti occhi neri cerchiati da dolorose occhiaie viola su di me, con un sorriso tenue. – Tranquilla, non ti sei rotta la gamba. Non ancora, almeno. – Tagliò dei piccoli pezzetti di garza. – Dave, per favore, metti un altro po’ di unguento speciale sulla gamba della nostra nuova arrivata. – Dopo che ebbe finito di parlare, un ragazzo che avrà avuto la stessa età di Marcelo, accostò la tenda che separava il mio letto da un altro e si affrettò ad armeggiare con i vari contenitori dell’armadietto con le medicine.
Dave aveva un’aria familiare. Aveva capelli ispidi e neri che gli solleticavano il collo. In testa portava un cappello da cacciatore di coccodrilli, con alcune spillette con le immagini di alcuni My Little Pony. Indossava anch’egli un camice da dottore sopra una maglia di color grigio stinto e dei pantaloni color kaki che arrivavano sopra le ginocchia. Sopra alla maglia c’era un’altra spilla con su scritto “Sono anch’io un piccolo dottore”, e nella tasca del camice, al posto dello stetoscopio, spuntava un cavallino di plastica con la criniera tagliata e sporca di fango. La prima cosa che si notava di quel ragazzo era che soffriva della sindrome di down. Dave non disse niente, prese un barattolo dove dentro era ammassata una poltiglia bianca e marrone, con alcuni spruzzi di nero. Il ragazzo con la sindrome di down alzò le coperte e mi prese la gamba, con delicatezza. Sembrava che si stesse sforzando per essere così delicato. Levò le bende per cambiarle, e dove prima c’era uno squarcio enorme, ora la pelle era solo un po’ arrossata. Dave tolse il tappo dal contenitore e ne fuoriuscì un odore di cannella e di fiori di sambuco. …almeno così avevo sperato. In realtà era un odore pungente, che mi faceva quasi lacrimare gli occhi.
Con l’ausilio di uno stecco mi spalmò quell’unguento maleodorante sulla gamba. Io storsi il naso, e domandai ad Ezekiel cosa fosse.
– Te lo dirò appena sarai guarita del tutto. Tutti hanno la stessa reazione quando lo diciamo per la prima volta, e rifiutano di proseguire le cure. – Dave mi sorrise, e mi fasciò la gamba. Prima che lui potesse andarsene, misi la mia mano sul suo braccio.
– Grazie – Gli dissi. Lui arrossì e scappò via.
Ignacio si risvegliò, spaventandosi per il suo stesso russare. – Febe, come stai?
– Sto bene. Grazie, Ignacio. – Sorrisi. Anche lui arrossì. Chissà perché, oggi arrossivano tutti.
Cercai di alzarmi, ma quando fui in piedi feci una piccola smorfia. Ezekiel non mi stava guardando, ma mi augurò la buona giornata cantando fra sé e sé “I get around” dei Beach Boys.

Ore 15:16. Corso di mitologia e cultura azteca.
Mi piacerebbe dire che era veramente figo ed interessante, ma non sarebbe vero. Era di una noia mortale.
Lawrence blaterava e blaterava, mentre la maggior parte di noi stava dormendo, altri scarabocchiando nei banchi dell’auditorio e Russel attaccava caccole verdi sotto il banco, distribuendole dalle più piccole alle più grandi in ordine crescente.
L’unica che stava veramente prendendo appunti era Godiva Wells.
– …ed il mito narra che un giorno Queztalcoatl se ne andò dal mondo degli umani sopra una zattera fatta di serpenti, ma che un giorno ritornerà! Ed infatti… è ciò che è accaduto. Oggi il grande e magnanimo dio serpente è il nostro direttore del Campo. Ci sono delle domande? –
Russel alzò la mano. – Sì, Russel? – Russel emise un peto. – Molto divertente. Qualcun altro ha delle vere e proprie domande? – Disse con aria seccata.
Questa volta fu Godiva ad alzare la mano. – Mi scusi, caposcout Shakusky, ma esistono altri campi oltre al nostro? –
Lawrence guardò fuori dalla finestra, sovrappensiero. – Che domanda stupida – Borbottò fra sé e sé. – Se ci fossero altri campi scoppierebbe sicuramente una guerra, e noi non saremmo qui. – Poi sorrise a Godiva. – Non ci sono altri campi. Insomma, come potrebbe mai esistere un accampamento di semidei greci?
– O romani – Aggiunse Godiva.
– È palese che la mitologia greca siano solo tutte frottole. Insomma, satiri, cioè uomini metà capre? Ma per favore! Sono tutte storielle per spaventare i bambini. Insomma, se insultassi qualsiasi dio che non sia della nostra meravigliosa cultura non succederebbe un bel niente! Ma comunque il nostro campo non si basa solo sulla mitologia azteca, infatti noi abbracciamo tutta cultura mesoamericana. Ognuno di voi potrebbe essere discendente di un azteco, oppure di un maya, o persino di un tolteco. –
Ping-Mei lanciò una pallina di carta e saliva sputata fuori da una cerbottana fai-da-te sulla guancia di Lawrence. – McCarthy, vuoi chiedermi qualcosa? –
Ping-Mei sogghignò. – Sì, Shakusky. Dopo tutti gli anni che ho passato in questo campo che sta cadendo a pezzi, mi sono sempre chiesta una cosa. Perché si chiama Aztlán? Insomma, potevamo chiamarlo anche “noi amiamo tutti il dio serpente”, oppure “Campo scout dell’amicizia”, o qualsiasi altra cosa poteva passare nella testa zuccherosa della maniaca dell’artigianato, – Disse indicando Candy. Quest’ultima incrociò le braccia sul petto e mise il broncio. Stava per protestare, quando Lawrence la precedette.
– Beh, McCarthy, Aztlán è la leggendaria terra di origine degli aztechi e di tutte le popolazioni di etnia nahua, una delle più importanti culture mesoamericane. Azteca, in lingua nahuatl, significa proprio gente di Aztlán. Se avessi studiato lo sapresti. Aztlán deriva dalle parole “nahuatl aztatl”, che significa Airone, o uccello dalle piume bianche, e “tlan o tlantli”, che significa “posto del”. Aztlán vorrebbe quindi dire “posto dell’uccello dalle piume bianche”, ma deriva anche dal nome del dio Atl, e significa “vicino all’acqua”. In tempi antichi, la città di Aztlán, dove era fondato il nostro campo, era un’isola, ma a causa di un cataclisma ci siamo posti in salvo sulle coste dell’America centrale. Ovviamente, nel corso dei secoli ci siamo spostati fino ad arrivare qui. –
Io chiesi, – Qui dove?
– Beh, mi sembrava ovvio. Siamo in Wisconsin. –
Rimasi sbalordita. Il Wisconsin era quasi al confine con il Canada, mentre l’Alabama dava sul mar atlantico! Erano praticamente agli antipodi!
Lawrence si schiarì la gola. – Per questo, la nostra antica terra di origine viene chiamata anche “Il continente perduto”. –
Mi accigliai. Quel nome mi era già familiare, ma non ricordavo dove l’avessi già sentito.
Lawrence guardò l’orologio. – La lezione è finita. Ma ricordate che tra due giorni si terrà la prima partita di quest’anno del gioco della palla! Vi consiglio di allenarvi bene! – Sogghignò e se ne andò.

Quella sera non riuscii a dormire bene. Pensavo a mia madre, e mi chiedevo come stesse. Il mio cellulare era scarico, ed anche se avesse funzionato, il segnale era praticamente inesistente.
Lanciai un’occhiata a Godiva, che stava dormendo con la testa strapiena di bigodini, e nel sonno farfugliava formule di fisica della quale non mi ricordavo.
Uscii dalla tenda cautamente, facendo attenzione a non svegliare Godiva.
Passeggiai per il Campo, zoppicando di tanto in tanto a causa della ferita.
– Ehi, chica. –
Mi voltai. Era Marcelo.
I capelli bagnati gli cadevano sulle spalle e teneva sotto braccio la sua immancabile tavola da surf. Mi sorrise esibendo il suo sorriso a 32 denti, che sembrava brillare sulla pelle caramellata. Marcelo smise di sorridere. – Che cosa hai, Febe? – Mi asciugò con il pollice la lacrima che mi era rimasta sulla guancia. Non mi ero accorta di stare piangendo. – Nostalgia di casa? Vieni con me. – Marcelo mi trascinò nell’aria mensa, dove al centro c’era un enorme falò. – Puoi sempre scrivere a chi vuoi tramite messaggi di fumo. – Prese da sotto il tavolo del buffet una penna a sfera ed un foglio, e me li diede. Indirizzai il messaggio a mia madre, chiedendole se stesse bene e di non preoccuparsi troppo per me. Gli dissi anche che mi ero fatta dei nuovi amici, e di dire a Consuela che Ignacio si lavava i denti tutte le sere. Quando ebbi finito, Marcelo prese il messaggio, frugò fra le tasche dei bermuda e trovò una moneta deformata. Borbottò imbarazzato, – Beh, noi non abbiamo coni particolari come i greci o… popoli del genere. – Mi accigliai.
– Perché ne parli al presente? – Marcelo si innervosì.
– Dicevo tanto per dire. – Si grattò la nuca. – Comunque, qui usiamo oggetti in oro oppure il buon vecchio scambio di merci. – Avvolse la moneta dentro il foglio e la buttò nel falò, dopo averlo acceso. Subito dopo averlo gettato, le fiamme si intensificarono, ed il messaggio bruciò rapidamente, ma della moneta non era rimasta neanche l’ombra. Rivoli di fumo si alzarono nel cielo. Non era fumo qualsiasi. Era molto più denso, e di un colore spettrale. Il fumo non si dissolse come avrebbe dovuto in pochi istanti, ma si spostò in volo verso sud, e si allontanò fino a scomparire.
Marcelo mi mise un braccio attorno alle spalle. – Senti un po’, piccola chica, che cosa ci fai alzata a quest’ora? Tra poco la stella di Queztalcoatl scomparirà del tutto.
– La stella di cosa?
– La stella di Quetzalcoatl. In alcuni miti si dice che quando Queztalcoatl lasciò il mondo degli umani, divenne il pianeta Venere. Lo so che questa cosa è impossibile, ma devi capire che i miti sono un po’ confusi, a volte. –
Stando vicina a lui, sentivo la pelle del suo torace umida sulla mia guancia. Aveva un odore di salsedine, eppure era strano, perché l’unica fonte d’acqua nei paraggi era di acqua dolce. Però dovetti ammettere che il contatto della sua pelle fresca sul mio volto arrossato dal pianto era piacevole. – Non riuscivo a dormire – Ammisi. – E tu, invece, cosa ci fai qui? – Chiesi.
– Stessa ragione, chica.
– Posso farti una domanda, Marcelo? – Lui annuì placidamente. – Perché la tua pelle ha lo stesso odore del mare? –
Sorrise di nuovo. – Mio padre è uno dei molteplici dei dell’acqua. È il dio Atl, lo stesso che ha anche dato nome al Campo, per intenderci.
– Ma se tuo padre ha dato il nome ad il Campo… perché si chiama anche “Luogo dell’uccello dalle piume bianche”?
– Questo non lo so, chica. Non seguivo molto le lezioni di Lawrence quando le frequentavo. – Rise. – Puoi comunque chiederlo a lui oggi pomeriggio. Beh, io ti lascio, chica. Le onde all’alba sono spettacolari. – E si allontanò dalla mia visuale.
In quel momento ero molto confusa. Onde? Ma… come faceva un laghetto ad avere delle onde?
Ma infondo, che importava. Quando un ragazzo così ti stringeva una spalla, che importanza aveva la logica?

 – E QUESTO LO CHIAMI PUNTO CROCE?! SE QUELLO È UN PUNTO CROCE, IO SONO LA PRESIDENTESSA DEGLI STATI UNITI! – Candy stava letteralmente sbraitando. A quanto pare, era una delle poche che prendeva sul serio l’artigianato. – Rifallo da capo! – Sbraitò contro Russel.
Avevo un sonno pazzesco. Il mio ricamo si sdoppiava se ci tenevo lo sguardo troppo fisso, ma una cosa la vidi bene: la giovane principessina di Malibu che stava venendo inferocita verso me e Godiva. Candy strappò dalle mani di Godiva il suo ricamo, poi inforcò gli occhiali di plastica rosa sul naso, come se fossero lenti da gioielliere. Guardò scettica Godiva. – Questo lavoro… QUESTO LAVORO… È SEMPLICEMENTE SUBLIME! Ma guardate le rifiniture! – Si mise il ricamo sopra la testa e si esibì in un pliè. – Mai visto lavoro di tale magnificenza! Sentite come gli occhi preghino di vederne ancora! Com’è morbido al tatto! – E se lo strusciò sulla pelle abbronzata. Era ufficiale: la mia insegnante di artigianato era completamente fuori di testa. – Splendido! – Lo ridette a Godiva, e sembrava che il suo malumore fosse svanito. Perciò, andò a bersi il suo quotidiano frullato di starbucks e si sdraiò su una sdraio, cospargendosi la pelle con olio abbronzante ed ignorandoci beatamente per i restanti venti minuti della lezione.

 – Nel mio corso non ammetto che voi perdiate! Ricordate, se siete secondi siete dei perdenti e siete anche molto probabilmente morti! Nel mio corso non c’è posto per mammolette smidollate! E sì, mi sto riferendo a voi, ragazzi del primo anno! – Sam si rigirò il berretto da caccia all’indietro, e sputò sul terreno, mettendosi il fucile a pallini in spalla. – Per cominciare – Solcò a grandi passi il perimetro del campo, – faremo una piccola lezione teorica, e poi vi allenerete in quella che io chiamo “colpisci l’avversario prima che lui colpisca te”! –
Godiva si intromise. – Ehm… intendi scherma?
– Ma beeene, abbiamo una saputella nel nostro corso. Ce n’è sempre uno ogni anno… quello dell’anno scorso è stato seppellito proprio dove sei tu. – Godiva chiuse la bocca e fece un passo indietro. – Bene. Le forze armate azteche erano tipicamente composte da grandi quantità di cittadini comuni, che loro chiamavano Yaoquizqueh, che vantavano solo un addestramento militare di base, ed un relativamente piccolo gruppo di guerrieri professionisti chiamati Pipiltin, organizzate in società guerriere e graduati secondo i loro compiti. Lo stato azteco gravitava attorno all’espansione politica ed al controllo delle altre città stato, compresa l’esazione dei tributi. Se state per chiedermi cosa sono le esazioni dei tributi, – scoccò un’occhiata fiammeggiante a Russel, che abbassò subito la mano, – non ne ho la benché minima idea. Io ho solo imparato a memoria quel che c’era da sapere. Se avete delle domande riguardo a paroloni da fare annodare la lingua, rivolgetevi a quell’idiota quattr’occhi di Shakusky. L’arte della guerra era la principale forza della politica azteca. In pratica, la società azteca si basava e si basa tutt’ora sulla guerra; ogni maschio azteco riceveva un addestramento militare fin dalla giovane età, e l’unico modo che avevano i cittadini comuni per salire la scala sociale era quello di intraprendere una carriera militare, soprattutto grazie al fatto di catturare prigionieri. Il sacrificio dei prigionieri di guerra rappresentava una parte fondamentale di molti riti religiosi aztechi; ovviamente oggigiorno non ci è più concesso uccidere prigionieri di guerra o sacrificarci agli dei - queste pratiche, come il sacrificio umano, sono state reputate primitive nel corso della nostra storia. Per concludere, l’arte militare era la forza che sosteneva l’economia e la religione. Ovviamente le mie lezioni non vi serviranno solo in questo mondo, ma anche se un giorno deciderete di passare all’altro mondo. Infatti, chiunque di voi cade in battaglia, potrebbe entrare a far parte dell’esercito del Sole. In pratica, consiste nel combattere al fianco del dio Huitzilopochtli, per quattro anni, fino a che non sarete degni di ascendere allo Shibalba. Ovviamente, potreste diventare guerrieri del Sole tutt’ora, se lo desideraste, ma è molto difficile che vi accettino dato che siete tutti degli incompetenti. – Sam grugnì. Quell’ora la passammo a ricevere spiegazioni su come avere una prima base di sopravvivenza, affiancate da dimostrazioni dateci da Sam mentre usava Ignacio come manichino.
– …ed è così che si stende un coccodrillo! – Tappò la bocca di Ignacio e lo buttò a terra, schiacciandolo. Qualcuno alzò la mano, ed indovinate chi era?
Non Godiva, fortunatamente.
Ad un certo punto della lezione, Godiva aveva avuto un fortissimo mal di pancia, ed era stata costretta ad andarsene nella tenda dell’infermeria. Chi aveva alzato la mano era stato invece un ragazzo del quinto anno, che indossava una piuma verde. – Sam, che ne dici di spiegare alle matricole quel nostro piccolo potere speciale? – Ammiccò. Portava capelli rasta legati in una coda, e la pelle scura riluceva al sole senza maglietta. Sam giocherellò con la corda del fucile.
– Qualsiasi semidio mesoamericano ha dei poteri speciali, che gli permettono di sopravvivere anche senza l’ausilio di armi. Un nostro semidio è un dromomane, ovvero la malattia che ti porta a camminare all’infinito per la ricerca della tua casa. In questo modo saprete sempre ritornare al Campo Aztlán, da qualsiasi punto vi troviate. La seconda abilità che possediamo è la cleptomania, e credo che qualcuno di voi l’abbia già scoperto. –
Era vero. Molte volte ero stata fermata da sorveglianti e poliziotti per aver rubato involontariamente magliette, crackers al formaggio o robe simili.
– Ora passiamo alla parte fondamentale, e quella più divertente… le armi. Le armi del nostro popolo sono essenzialmente il Macuahuitl, che significa letteralmente bastone, ma essenzialmente è una spada di legno, affilata in ossidiana sui lati. – Riconobbi l’arma di cui stava parlando.
Era quella che avevo usato la notte prima, per uccidere quella bestiaccia. – Era generalmente l’armamento base dei grandi superiori della gerarchia – Continuò. – Un colpo sferrato da questa arma è in grado di decapitare un cavallo! Seguita subito dopo dal Tepoztopilli, lancia in legno con lame affilate in ossidiana in cima! Infine, esiste Huitzauhqui, che consiste in una clava di legno tempestata di lame in ossidiana. Seguono poi le armi comuni, come lance, pugnali di ossidiana o di pietra a seconda dello scopo pattuito, arco e frecce. Le frecce normali si chiamano Mitl, mentre le frecce da guerra con punte taglienti in ossidiana vengono chiamate Yaomitl. Infine ci sono le fionde, fatte in fibra di agave. Se non l’avete notato… noi usiamo per quasi tutte le nostre armi l’ossidiana; l’ossidiana non è ossidiana qualsiasi, bensì ossidiana incantata, un dono che gli dei ci hanno elargito molto tempo fa. Bene, qualche domanda? –
Prima che qualcuno potesse porre una domanda, Sam sogghignò. – Bene! Come allenamento prenderemo due persone a caso… McCarthy e Parker! – Ping-Mei sogghignò. Il ragazzo dalla piuma verde le diede bruscamente una spada di legno, poi si avvicinò a me e mi diede a malincuore la stessa arma di Ping-Mei. – Buona fortuna, darling. –
Aveva un accento strano e molto buffo, ma si vedeva perfettamente che era molto ansioso. Ping-Mei allungò la mano. – Senza rancore, Parker? – Sorrise, mostrando l’apertura sui denti davanti. Ero perplessa. Ma infondo… anche nelle persone cattive c’è un qualcosa di buono!
Mi avvicinai e le strinsi la mano.
Avete presente il detto, “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”? Beh, se Ping-Mei fosse stata un grosso e grande lupo con gli occhi a mandorla e l’alitosi, non avrei mai voluto essere la sua cena.
Perché appena strinsi la sua mano, lei mi tirò una botta sulla nuca con l’elsa della spada di legno.
Barcollai all’indietro, e poi caddi intontita. Vidi Nacho scandalizzato, mentre alcuni ragazzi stavano facendo capannello intorno all’area di combattimento, urlando.
“Coraggio, Ping-Mei, fai vedere chi comanda a queste matricole!”, “Parker, togli quel sorriso dal volto di quell’asiatica a suon di cazzotti!” “Ragazze che combattono? STRAPPATEVI LA MAGLIETTA!”. Tutto intorno a me stava girando. Mi rialzai sui gomiti, ma Ping-Mei mi fu addosso, e mi diede un colpo sulla schiena. Vomitai.
COSA STA SUCCEDENDO QUI?!
I ragazzi si divisero, ed ammutolirono per far passare Queztalcoatl.
Questa volta, non era un enorme serpente piumato, bensì assomigliava di più ad una dracena greca. La parte superiore del corpo era umana. Aveva capelli lunghi ed ispidi, come la sua barba. La sua pelle era coriacea ed abbronzata, dura come il cuoio, solcata da profonde rughe agli angoli degli occhi, neri quanto l’ossidiana. Il torace non sembrava affatto di un vecchietto di miliardi di anni: era bensì tonico e posato su due spalle ampie. Indossava un copricapo fatto di piume ed abiti tradizionali: sui polsi portava due bracciali d’oro; ai lobi delle orecchie, degli orecchini d’oro, e fra il confine della coda da serpente e del torace umano, c’era una cintura d’oro e di piume colorate. Sotto agli occhi, era visibile un impercettibile strato di trucco rosso e bianco, che contornava gli occhi. Secondo Lawrence, odiava portare la sua forma ibrida a causa dello scherzo che gli fu inferto da Tezcatlipoca, suo fratello. La sua espressione era severa, e contratta in un cipiglio, indignato. I suoi occhi guizzarono subito su Sam, poi su Ping-Mei, ed infine su di me.
La sua espressione arrabbiata lasciò il posto a quella amorevole di una madre preoccupata. Strisciò velocemente accanto a me. – Oh, Febe… – Mi prese in braccio. A differenza di lui, sembravo un gattino; pur essendo grande tanto da circumnavigare il confine del campo quando era un serpente, anche nella sua forma umana rimaneva pure un uomo un po’ più alto di due metri. Strisciò lentamente verso una caverna, ai confini del Campo.
Quando entrammo, l’aria era piuttosto accogliente. Il dolore era ancora così lancinante che ricordo solo che Queztalcoatl mi appoggiò su una pietra dalla superficie liscia e che mi imbozzolò in più coperte.
Appena chiusi gli occhi, mi addormentai. E sognai.
Nel mio sogno, ero nel deserto, dove un uomo calvo, grasso e piuttosto brutto stava di fianco ad un chiosco, dove c’erano tre torte: una con un ripieno viola, l’altra con un ripieno arancione ed infine una con un ripieno giallo. Appena mi avvicinai, notai che l’uomo era rivolto di spalle. Gli girai attorno, ma da qualsiasi direzione lo vedessi, l’uomo era rivolto sempre di spalle. Il sole calò rapidamente, e rimase per metà nel cielo. – Non può ascoltarti. E… se è per questo, non può neanche vederti. – Disse una voce.
Mi girai, ma non vidi nessuno. Sul tavolo, però, era comparso un biglietto, con su scritto “Torte magiche. Solo a 150 dollari l’una!”
Alzai lo sguardo verso il sole. Un cespuglio di roveti passò alle mie spalle, mentre l’ombra dei cactus si allungava in modo innaturale. Il sole si ruppe, e tutto si tinse di blu. Sul cielo comparvero miliardi di stelle, che si trasformarono in costellazioni ed incominciarono a rincorrersi.
– Sto sognando o sono morta?
– Stai sognando – Rispose la voce di prima, ora proveniente dalle mie spalle. Sobbalzai e guardai in quella direzione. Alle mie spalle, c’era un coyote. – Belle, non trovi?
– Tu… parli? Ma sei un…
– Coyote? Già. Sono il tuo animale guida. Tutti ne hanno uno. O meglio… tutti voi semidei aztechi. – Il coyote si alzò su due zampe, e guardò in alto. Un’altra volta. Poi camminò in posizione eretta, intorno a me. – Ti stai chiedendo che cosa sia quello, giusto? – Fece un cenno con il muso verso l’uomo; era vero.
– Come…
– Io so tutto. – Rispose. – Passato, presente e… futuro, certe volte. Non sempre. Non sono un oracolo, e non mi è sempre concesso dire cosa accadrà. Quello è il tempo, Febe. Il tempo è immutabile. Il tempo è un vecchio imbroglione calvo. Da qualsiasi parte tu lo veda, lui rimarrà tale. – Aveva un’aria serena, ma quando lui si avvicinò verso il tempo, l’uomo si dissolse, e due soli sorsero. Il coyote sembrò spaventato. – L’animo umano è sempre stato tentato dal potere. Dal potere indissolubile… dalla ricchezza, dalla lussuria, dalla vita eterna. Impadronirsi del tempo è come impadronirsi del mondo stesso. Alcuni semidei stanno proprio facendo questo: stanno combattendo il tempo. Solo il tempo può curare alcune ferite. Solo ricordandoci chi siamo e da dove veniamo possiamo trovare la pace interiore. – Il terreno tremò. – Ops! Ho detto più del dovuto. – Il coyote si riabbassò, e si leccò una zampa. Poi mi guardò, ed i suoi occhi erano privi di pupille. Completamente bianchi. – Febe, forze oscure si stanno risvegliando, e la fine del mondo inizierà con la privazione delle tentazioni. Può sembrarti una buona cosa, ma non lo è. Le tentazioni sono ciò che ci dà un freno, e privando l’umanità del suo lato più marcio, rischierà solo di diventare ancor peggio. In passato qualcuno ha commesso degli errori… e qualcuno ne commetterà ancora in futuro. Ma Febe, tu devi mantenere l’equilibrio, perché solo tu puoi impedire che… –
Il sogno scomparve.
Mi svegliai. 
Nota degli autori
Ragazzi ci dispiace che in questo capitolo non succeda niente di particolarmente entusiasmante poichè ci serviva un capitolo che informasse un po' il lettore sulla cultura e le usanze mesoamericane, ma ehy ! ♥congratulazioni a te che sei riuscito a leggere un capitolo così lungo e con così pochi colpi di scena♥.
Promettiamo che nel prossimo capitolo ci sarà mooolta più azione "con Blackjack e squillo di lusso...anzi senza Blackjack".
Cordiali saluti

Il duo dei perdenti 

 
   
 
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