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Autore: MaxB    01/08/2016    4 recensioni
Un castello abbandonato, nascosto nel bosco insieme ai suoi segreti.
Un ragazzo senza memorie.
Un gruppo di fantasmi che lo faranno sentire a casa per la prima volta dopo anni.
Ma c'è solo una cosa che Gajeel vuole più della sua memoria: Levy.
La ragazza che ama, che amava, e che sembra essere la chiave del mistero che gira intorno al castello.
Lo scopo di Gajeel è quello di salvarla, ma l'impresa potrebbe rivelarsi più oscura del previsto.
Tra ricordi riportati a galla da un lontano passato ormai dimenticato, amori e macabre scoperte, riuscirà Gajeel a salvare il suo futuro?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Mirajane, Pantherlily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13
Morti ovunque, reali e metaforiche



Levy guarì completamente solo l’inverno successivo, mesi dopo la fine della paradossale vicenda.
Gajeel aveva chiamato Polyushika, che aveva vissuto con loro per alcune settimane, curando Levy con impacchi per gli occhi e la gola, e ricette che incaricava Gajeel di cucinare. Doveva seguire una dieta specifica per recuperare i chili persi e allo stesso tempo non affaticare il corpo.
Il ragazzo viveva come un automa, senza capacitarsi di ciò che era successo. Si svegliava e cucinava, mangiava e faceva qualche lavoretto, stava con Levy, in silenzio, mentre lei faceva di tutto per non incrociare i suoi occhi.
Si ritraeva quando lui si avvicinava, anche solo per cambiarle una pezza o portarle il cibo in camera. Quella era la cosa che faceva più male.
Dopo una settimana ricominciò a parlare, con una voce gracchiante e ruvida, che però si ammorbidì in pochi giorni. Gajeel chiudeva gli occhi quando lei conversava con Polyushika; se si concentrava, riusciva a fingere che stesse andando tutto bene e che Levy si ricordasse di chi era lui.
Poteva illudersi di non essere diventato un estraneo per lei.
Polyushika una sera lo aveva preso in disparte e gli aveva detto che non doveva in alcun modo pressare Levy, forzarla a fare qualcosa o spingerla ad accettare la sua presenza. La ragazza aveva rivelato alla vecchia di aver paura di quel ragazzo che la fissava come un pazzo senza ragione, che la beveva con gli occhi in attesa di qualcosa che lei non comprendeva. Gajeel la inquietava.
E quello, per lui, fu il colpo di grazia.
Vivere non aveva più senso, come non aveva più sapore il cibo che Polyushika lo costringeva ad ingollare. I colori non esistevano più e la maggior parte del tempo Gajeel se ne stava seduto a fissare il vuoto, mentre i pensieri gli affollavano la mente e gli impedivano di muoversi.
- Ora basta! Sono stufa di fare da balia! Essere l’infermiera della ragazza mi va bene, ma tu sei patetico! Smettila di piangerti addosso e farti curare da una vecchia come me! – gli aveva gridato contro una volta Polyushika, di fronte all’ennesima risposta muta alle sue domande. – Levy non ti vorrebbe così.
Era dura, troppo, ma Polyushika aveva ragione. Ogni volta che Gajeel portava un pasto a Levy, tratteneva il respiro, in attesa di un riconoscimento in quegli occhi color miele. E ogni volta il cuore gli moriva quando Levy cercava in tutti i modi di non sfiorarlo accidentalmente e bisbigliava un piccolo e spaventato “grazie”.
Gajeel non rispondeva mai, e se ne andava in silenzio com’era arrivato, lasciandola sola o in compagnia di Polyushika. O di Lily, che non si allontanava più dal corpo di Levy. Lei aveva fatto presto a riprendere con il gatto il rapporto che aveva avuto anni prima, ma allora perché non poteva essere lo stesso con Gajeel?
Non sapeva come fosse potuto accadere, ma era diventato lui il fantasma di quella casa vecchia e vuota.
 
Un giorno decise di correre come aveva fatto il giorno in cui aveva scoperto il castello in rovina. Il giorno in cui aveva trovato le sue memorie. Se tanti mesi prima era successo qualcosa di così assurdo, con una corsa, non era da escludere che potessero esserci altre scoperte, altri cambiamenti.
Ma gli atteggiamenti positivi erano tipici di Gajeel quanto la cortesia e il galateo, quindi correva solo per sfogarsi.
Concentrati sul dolore alle cosce, si ripeté, gli occhi che bruciavano. Senti quanto ti bruciano le caviglie, ascolta il tuo respiro. Non pensare.
Non pensare.
Al fatto che per Levy era diventato un estraneo. Le aveva salvato la vita, ma a che prezzo?
Avrebbe dovuto essere il periodo più felice della sua vita, aveva avuto una seconda opportunità. Avrebbe dovuto uccidere la sua donna e restare solo a fare l’eremita Aveva rischiato di di liberare lo spirito maligno che aveva causato solo disgrazie.
Invece aveva vinto su tutto, perdendo la cosa più importante. Che senso aveva quello scherzo privo d’ironia? Era una punizione, forse? E per cosa?!
Frustrato, ringhiò e sferrò un pugno al tronco di un grosso albero. La neve gli cadde in testa come a deriderlo, e Gajeel rabbrividì. Non si era coperto granché bene, sperando di scaldarsi con la corsa.
Ma non puoi scaldarti se nel tuo cuore alberga il ghiaccio più ostile.
Ancora più arrabbiato, Gajeel infierì su quel tronco innocente ancora e ancora, fino a farsi sanguinare le nocche. Come quando aveva scoperto di dover uccidere Levy.
- Basta.
Gajeel si bloccò e alzò lo sguardo, puntandolo sui rami dell’albero. Erano fitti e grossi, così tanto da poter sostenere il peso di più persone e creare spazi comodi per sedersi.
Era il ciliegio suo e di Levy. Forse l’unica cosa in quel mondo che non meritasse una simile rabbia.
Il ragazzo si ritrasse imbarazzato, scusandosi mentalmente con il vecchio albero.
Un momento.
Gli aveva parlato?!
- Sono qui dietro.
Gajeel si girò di scatto, suo malgrado spaventato. Ne aveva viste abbastanza per sapere che una voce piccola e pacata come quella che sentiva poteva essere una minaccia spaventosa, in realtà.
Davanti a lui c’era una bambina. Una ragazzina. Aveva gli occhi chiari, saggi e stanchi, e un portamento fiero e sicuro. Gajeel sentì che quella piccoletta avrebbe potuto consolarlo e farlo sentire al sicuro come nessun altro, in quel momento.
Era la stessa bambina che aveva visto quando era andato da Polyushika la prima volta. Quella che gli aveva indicato la strada per la casupola della vecchia, appollaiata su una roccia vicino a quell’albero.
- C’è sempre una speranza, Gajeel. Lo sai. Non abbatterti. Pensa a cosa puoi fare per riavere indietro ciò che hai perso.
Il ragazzo, completamente spiazzato, deglutì senza rispondere.
Quella ragazzina innocente era un fantasma.
Un altro?!
- Nella vita ho potuto sperimentare ben poche cose, come puoi immaginare. Non sono mai diventata adulta, ho solo toccato la soglia dell’adolescenza. Ho visto questo mondo cambiare e l’amore trionfare sul male, sempre, anche se di tempo ce n’è sempre voluto tanto. Il tempo non ha fretta, Gajeel. Perché è eterno. Noi siamo esseri caduchi ed effimeri come i fiori di questo ciliegio, spazzati via dal vento senza preavvisi.
La ragazzina si avvicinò a Gajeel, lo sorpassò e provò ad accarezzare il tronco dell’albero, lì dove Gajeel lo aveva ferito.
- Come dicevo, non ho sperimentato molto. Ma ho osservato molto. Ho visto gli anni passare, le guerre scoppiare e cessare, senza mai estinguersi davvero, i bambini nascere e i nonni morire, le storie finire e il domani iniziare. A volte non ho trovato il senso di tutto ciò. Mi sono chiesta cosa siamo venuti a fare qui, se la sofferenza è dietro l’angolo e minaccia tutto quello che abbiamo di più caro. Viviamo poco, e viviamo una vita di stenti; abbiamo paura perché siamo sotto tiro ogni giorno che passa. Minacciati dal nostro stesso corpo, dalle nostre… come si dice? Cellule? La medicina moderna… duecento anni fa la medicina moderna consisteva nel farsi i salassi per scacciare i demoni, quando in realtà il problema era solo la pressione alta.
La ragazzina sorrise e fissò Gajeel dritto negli occhi, luce pura in una macchia di sangue.
- Non ho trovato risposte alle mie domande, Gajeel. Non ho risposte per nessuno. Ma se qualcuno mi chiedesse cosa ho imparato dalla vita, io risponderei che la vita stessa insegna qualcosa ad ognuno di noi, e la vita di tutti noi forma altra vita. La vita è viva, e agisce come vuole, come noi umani. La vita è un ostacolo infinito. La vita non ci rende le cose facili. Ma se le cose fossero facili, come potremmo sentirci soddisfatti? Forse la Vita vuole solo farci godere ciò che abbiamo dopo aver penato per anni. Chi lo sa. Io so solo che il senso della vita è la vita stessa. Sta a noi trovare un senso ad ogni giorno che passiamo in questo mondo.
La bambina dai lunghi capelli biondi sorrise di nuovo, inclinando la testa come Mirajane, e si allontanò.
- Io sono felice che il mio orfanotrofio abbia donato gioia e amore ai bambini di diverse generazioni. Penso di essere diventata io stesso l’edificio, ecco perché ancora non me ne sono andata. Insieme alla spada veglierò sul futuro di chi abiterà tra le mura del castello, e vivrò nei sorrisi di coloro che vorranno chiamarlo ‘casa’. Buona fortuna, Gajeel. Trova il modo di superare ogni avversità e non abbandonare mai coloro che ami.
La bambina sparì così com’era comparsa, lasciando Gajeel libero di respirare. Non si era reso conto di essere stato così immobile, incapace di battere ciglio e proferire parola.
- Grazie – risuonò un’ultima volta la voce della ragazzina tutto intorno a lui, facendolo arretrare fino a poggiare la schiena contro il tronco.
Rimase a fissare il cielo per alcuni interminabili istanti, finché non sentì le scarpe zuppe di neve sciolta e gli arti intirizziti.
Allora sorrise, una minuscola increspatura delle labbra, e riprese a correre verso casa.
Non sapeva dov’era andata la bambina, non sapeva se l’avrebbe più rivista o se ci avrebbe parlato ancora, ma sapeva che avrebbe vegliato su Fairy Tail.
Come poteva essere altrimenti?
- Grazie, Mavis – disse.
Una folata di vento caldo gli accarezzò il viso, e lui accelerò l’andatura.
Poteva solo ringraziare quella bambina uccisa troppo presto, strappata alla vita, i cui desideri di bontà erano stati realizzati dal fratello, Yuri Dreyar.
Poteva solo ringraziarla per avergli dato, anche se indirettamente, una vita.
 
Gajeel entrò in casa in fretta, scrollandosi la neve di dosso. Aveva iniziato a nevicare sulla via del ritorno, e lui voleva solo fare un bagno bollente.
Con Levy.
Scosse la testa a quel pensiero, scuotendosi i capelli e levandosi le scarpe e i calzini bagnati all’entrata.
Polyushika era tornata a casa sua da qualche settimana, anche se ogni domenica passava per vedere come stava Levy. Anche se Gajeel aveva il sospetto che la vecchia eremita si fosse leggermente affezionata anche a lui.
Salì le scale lentamente, cercando di non fissare le ombre che le lampade accese gettavano su quel salone immenso. Gajeel si fermò appena raggiunse il primo piano, si portò al centro del corridoio e appoggiò le mani al parapetto, guardando di sotto, fissando il vuoto; l’assenza di tutti quelli che davano vita a quella casa. Mavis era diventata il castello stesso, ma doveva essere triste senza nessuno a far riecheggiare risate e litigi tra quelle pareti.
Con un sospiro, Gajeel si diresse verso camera sua. Anzi, camera di Levy. Quella che un tempo era stata la loro camera e ora narrava solo storie di solitudine. Gajeel odiò ogni suo passo, ogni rumore attutito che i suoi piedi creavano pestando la moquette. A Fairy Tail, nessuno aveva mai sentito il rumore dei propri passi. C’era sempre troppo casino.
Il ragazzo bussò piano alla porta di Levy, temendo di disturbarla. Quando non udì alcuna risposta, abbassò piano la maniglia, mentre il flashback della loro prima volta gli inondava il cervello e lo faceva rabbrividire di dolore.
La ragazza dormiva nel letto troppo grande, la bocca socchiusa e i capelli profumati e puliti che venivano fatti ondeggiare ad ogni sbuffo del naso. Quando dormiva era così tenera, così simile alla donna che un tempo lo aveva amato. La fronte era distesa e nelle palpebre abbassate non si scorgeva traccia di paura. Non si vedevano le ferite che quel corpo aveva subito, nella carne e nell’anima.
Gajeel non resistette e si chinò per lasciarle un bacio in fronte, prima di allontanarsi in fretta e dirigersi all’armadio. Non aveva ancora portato i suoi vestiti nella camera in cui dormiva, la sua vecchia camera da single. Gli sembrava troppo definitivo. Terribilmente sbagliato.
- Ehi – mormorò Levy alle sue spalle, con la voce arrochita dal sonno. – Cosa fai?
Gajeel la guardò di sfuggita da sopra la spalla, odiando la visione di lei che si sfregava gli occhi e cercava di mettere in ordine i capelli. La odiava perché non era più sua.
- Prendo la mia roba ed esco, scusa se ti ho svegliata. Tra poco ti porto la cena.
Afferrata la biancheria, Gajeel si girò e la fissò, in attesa di… qualcosa.
Levy era sveglia e attenta, ora, e si torturava le mani nervosamente. – Non ho molta fame.
Lui scrollò le spalle, come se non potesse farci nulla. – Sai che Polyushika mi spenna vivo se non ti faccio mangiare.
Un sorriso piccolo quanto una lacrima le addolcì l’espressione facciale, ma gli occhi rimasero confusi e inquieti. Levy aveva ripreso peso. Non tanto quanto prima, non era ancora al massimo della forma fisica, ma almeno quelle volte in cui Gajeel aiutava Polyushika ad alzarla non toccava solo ossa.
Aveva rimesso su parte di quel bel sedere tondo che aveva tanto amato. Che continuava ad amare. E a desiderare.
- Va bene – acconsentì lei.
Gajeel annuì e si avviò verso la porta, mentre un altro pezzo del suo cuore già infranto cadeva in quella stanza. Cosa sarebbe successo nel momento in cui avesse perso ogni briciola di quell’organo?
Era meglio se non l’avesse avuto, un cuore. Sarebbe stato meglio senza.
- Gajeel – lo fermò Levy, toccandogli la mano.
Il ragazzo si girò di scatto e lei si ritrasse, pentendosi di quel contatto.
- Mh? – mugugnò lui, dandosi un tono, per non mostrarle quanto in realtà si struggeva per lei.
- Polyushika ha detto che se me la sento posso… iniziare a muovermi.
Aveva riacquistato peso, sì, ma lentamente. Molto lentamente. E il corpo che era rimasto fermo per due anni si stancava subito.
- Mh – rispose lui, attendendo ulteriori chiarimenti.
- Ti… ti andrebbe di… farmi visitare il castello o portarmi a passeggiare? Per, sai, i muscoli. Hanno bisogno di rafforzarsi un pochino.
Gajeel annuì. – Quando vuoi.
- Okay. Grazie. Allora… ehm… a dopo.
Lui le fece un cenno con la mano e si chiuse la porta alle spalle.
Mavis aveva ragione. La vita è una vera bastarda. È come l’amore, che prima ti dà tutto e ti fa toccare il cielo e poi, senza preavviso, ti toglie tutto quello che hai, con gli interessi.
Ma non possiamo lasciarci abbattere e dobbiamo trovare il buono nelle piccole cose di ogni giorno.
La felicità, per Gajeel, era e sarebbe sempre stata Levy. La Levy che, anche se viveva solo nei suoi ricordi, era lì con lui in quel momento.
E Gajeel poteva solo ringraziare se riusciva a vedere quegli occhi ogni giorno.
 
La prima volta che portò in girò Levy c’era anche Polyushika, nel caso in cui la ragazza avesse avuto un calo di forze o un mancamento. Attraversarono il corridoio fino alle scale, e Levy restò a contemplare il salone sotto di lei con gli occhi sgranati, sorridendo ammirata.
- Tu vivi qui?! – aveva chiesto a Gajeel, esterrefatta.
- Ci vivi anche tu. Ci vivevamo tutti.
Levy lo aveva guardato, senza capire. - Tutti chi?
- Un giorno te lo dirò.
Avevano sceso le scale con una lentezza esasperante, ma per Gajeel Levy andava anche troppo veloce. Niente la legava a quel castello, e una volta in forze, temeva che se ne sarebbe andata come la nebbia mattutina.
Ci vollero due settimane per mostrarle la villa da cima a fondo, e dopo aver perlustrato ogni angolo segreto di quell’edificio, tranne l’armeria, che Polyushika aveva tassativamente vietato per paura che potesse causare un qualche shock alla ragazza, Levy chiese di poter riabilitare i muscoli nella piscina interna della villa.
Gajeel acconsentì e poco a poco Polyushika li lasciò soli, sempre di più, fino ad andarli a trovare ogni due settimane. Il ragazzo restava con la bocca asciutta e la gola secca ogni volta che Levy entrava nell’acqua, con il corpo, il suo corpo, fasciato in costumi che in passato le aveva sempre strappato di dosso.
Era più difficile che mai stare così a contatto con lei senza poterla nemmeno sfiorare, e a Gajeel sembrò di impazzire.
Fu per quel motivo che cominciò a raccontarle di loro. Di Fairy Tail, dello scopo di quell’orfanotrofio, del modo in cui erano cresciuti, delle feste e della baldoria. Gliene parlava a cena, in piscina, in salotto, nei momenti in cui la portava in giardino a passeggiare. Levy sembrava pendere dalle sue labbra, si beveva quella storia come se Gajeel fosse stato uno di quei libri che le piacevano tanto. Le parlò di lei, di com’era e di cosa faceva, dei suoi pregi e dei suoi difetti, dei suoi manierismi, delle abitudini, delle fisse e dei punti deboli così come di quelli forti.
Levy riscoprì se stessa grazie a quel ragazzo con cui condivideva le giornate, e iniziò a rintanarsi nella biblioteca della mansarda ogni volta che poteva. Quando Gajeel la chiamava per il pranzo o per la cena, Levy lo assaliva, euforica, parlandogli di questo o di quel libro, delle scoperte che aveva fatto, della sua capacità di tradurre le lingue antiche. E a Gajeel sembrava sempre di essere tornato indietro, di aver solo sognato quel periodo assurdo a cui erano seguite le morti e i fantasmi. Era tutto falso, lo aveva solo immaginato.
Però Levy non lo toccava mai, la notte non lo cercava, era cortese solo perché lei era gentile con tutti.
Iniziò a parlarle di loro, di loro due, quando la primavera iniziò a sciogliere la neve, e i fiori formarono una coperta morbida sull’erba. Le disse di come lei sgattaiolava in camera sua, di quanto tempo avesse impiegato lui per capire i suoi sentimenti, del loro primo bacio, della loro prima volta, ogni momento rubato ai loro doveri e ogni litigio, a cui seguiva immediatamente una riappacificazione sincera. Le raccontò dei loro progetti e di come lui si era sentito pronto a sposarla.
Levy restò zitta e distante per una giornata intera quando lui ebbe finito di raccontarle quella storia d’amore che un tempo le era appartenuta, sentendosi morire dentro tanta era la mancanza che gli divorava il petto.
Due giorni dopo, Gajeel la trovò di fronte al grande ciliegio che sembrava essere onnipresente nei momenti importanti della sua vita.
Levy giocava con un fiore e aveva una determinazione feroce nello sguardo. Gajeel sapeva che stava per chiedergli qualcosa, e che niente le avrebbe impedito di ottenere la risposta.
- Cosa fai qui da sola? – le chiese, chinandosi, per raccogliere altri fiori che poi le porse.
- Cos’è successo? – ribatté lei pacatamente.
Gajeel aveva capito perfettamente cosa voleva sapere, ma fece il finto tonto, sperando di sbagliarsi: - Dove?
- Qui. Perché mi sono svegliata senza un passato? Quanto tempo sono stata prova di coscienza? E perché? E dove sono tutte le persone di cui mi parli, quelli con cui sono cresciuta? Voglio sapere il mio passato, Gajeel.
Il ragazzo non rispose subito, e rimase a scrutare i petali di fiori ammucchiati sulle sue mani, senza realmente vederli.
Quante volte si era fatto le stesse domande, senza però sapere cosa chiedere. Lui non aveva avuto una vita così facile. Lui aveva scoperto tutto dopo due anni, e nel peggiore dei modi. Levy invece poteva contare su di lui.
- Sei sicura di…
- Sì. Sono sicura. Ho bisogno di saperlo. Hai idea di cosa significhi svegliarsi senza un passato, in compagnia di uno sconosciuto con cui a quanto pare hai avuto una storia parecchio seria, e non saperne niente? E chi mi dice che tu non stai mentendo?
L’agitazione era così genuina e pura, così diversa da quella che l’aveva contraddistinta quando Acnologia aveva finto di essere lei. Come aveva fatto a non accorgersene, lui, che la conosceva meglio di lei stessa?
- Puoi aspettare fino a questa sera? È… complicata, come questione.
Levy restò zitta, e si rigirò il fiore tra le mani, interrogandolo come se avesse potuto suggerirle cosa fare.
- D’accordo.
Silenzioso com’era arrivato, Gajeel si allontanò, chiedendosi come la vita, la sua vita, potesse sfuggire così totalmente al suo controllo.
 
Gajeel portò tutta la cena in soggiorno, per cercare di raccontare l’inizio della storia senza mai interrompersi. Era l’inizio del loro presente, ma era stata la fine di molte altre storie.
A volte non si può distinguere l’albore di qualcosa dal suo termine, tanto sono imprescindibilmente legati.
Gajeel iniziò a parlare della storia dell’orfanotrofio, per cercare di spiegare quei fatti tanto assurdi e incredibili in modo che potessero avere un senso cronologico. Chissà se Levy gli avrebbe creduto. Lui, anni prima, non l’avrebbe fatto.
Levy intanto sfogliava in silenzio gli album di foto che Gajeel aveva ripescato dalla soffitta, come prova che quanto gli aveva detto era vero. Mentre parlava, vedeva le dita di Levy soffermarsi sui volti dei suoi vecchi compagni, come a cercare di riacquisire i ricordi mediante il tatto. Aveva impiegato l’intero pomeriggio per raccogliere tutte le foto di loro due, e con sua sorpresa aveva scoperto che erano davvero, davvero tante. Aveva cerato di incollarle su un album in modo che narrassero da sole la loro storia, e pensava di esserci riuscito bene: l’album immortalava l’evoluzione del loro amore, e Gajeel giurò di aver visto una lacrima sfuggire al controllo di Levy mentre osservava una foto in cui, abbracciati, guardavano i fuochi d’artificio.
Quando la storia cominciò a complicarsi, per la ragazza non ci fu più spazio per le distrazioni. Le foto dovevano aspettare. Gajeel vide prima lo sgomento e poi la rabbia farsi strada su quel viso dolce che tanto amava, e che ultimamente sorrideva così poco. Sgomento per l’assoluta stranezza di quella vicenda, e poi rabbia per la presa in giro a cui Gajeel la stava sottoponendo.
Nonostante questo, nonostante non credesse ad una parola di quelle che Gajeel le raccontava, Levy non fiatò. E ben presto la rabbia passò dal terrore più assoluto all’orrore, lasciandola vuota.
Più vuota di quanto non fosse stata prima.
Quando finì di raccontare, ormai alle prime ore del mattino, il pasto di Gajeel era diventato freddo, come il suo cuore. Lily si era acciambellato in grembo a Levy, godendosi le sue carezze distratte e sistematiche.
Il silenziò regnò sovrano per un tempo che al ragazzo parve infinito. Non sapeva cosa dire. Le aveva raccontato ogni singola verità. Toccava a lei decidere cosa farne.
- Quindi mi sono… infilzata. Con una spada magica – disse, toccandosi la cicatrice, lì dove batteva il suo cuore. – Ma non sono morta. Sono rimasta… in stato vegetativo per due anni, mentre un fantasma malvagio se ne andava in giro con le mie sembianze. Ma io ti comparivo in sogno. Io…
Levy iniziò ad agitarsi, facendo cadere il bicchiere d’acqua che aveva lasciato intatto.
- Scusa. Cioè, non volevo. È che…
- Tranquilla, Levy – mormorò lui, prendendole la mano. Lei ritrasse subito la sua, a disagio a causa di quel contatto.
Perché non le era successo quello che era successo a lui? Perché lui aveva riottenuto i ricordi visitando parti specifiche del castello e lei no? Nemmeno dopo aver sentito tutta la storia della sua vita!
Quanto ancora doveva penare per riavere la felicità che gli era stata strappata?
- Vai a letto – le ordinò, più bruscamente di quanto volesse. – Sono tante informazioni difficili da assimilare, una buona notte di riposo… o quello che ne resta, possono aiutarti a metabolizzare il tutto.
Levy annuì e, preso Lily, si diresse in fretta in camera. Senza ringraziare per il salvataggio. Senza nemmeno guardarlo.
Gajeel seppellì il viso nelle mani e rimase lì, immobile, cercando di tenere insieme i pezzi di se stesso. Poi si alzò lentamente e sparecchiò il tavolino del soggiorno.
Quando andò a mettere a posto gli album di foto, si accorse che quello suo e di Levy non c’era.
Lo cercò ovunque, ma era sparito. Lo aveva preso lei.
Anche se pensava che non avrebbe chiuso occhio, quella notte, quando Gajeel si buttò a letto si addormentò subito.
Sapere che Levy aveva le loro foto vicino gli aveva dato una speranza che da troppo tempo non si concedeva.
 
La speranza è l’ultima a morire, ma quando muore ci toglie ogni cosa, ogni voglia di vivere.
E Gajeel scoprì di non averla mai persa.
Almeno finché non arrivò la batosta finale, quella che uccise tutto, non solo la speranza.
Levy, dopo aver saputo la verità, dopo averla più o meno capita, gli aveva detto che gli credeva.
Gajeel sospettava che gli credesse solo perché per uno come lui era impossibile creare una storia tanto complicata eppure, a suo modo, verosimile. Era troppo assurda per non esere vera.  Levy non gli credeva sulla fiducia. No. Lo faceva solo perché la storia stava in piedi.
E quella fu l’unica cosa che gli disse in tre giorni.
Andò a passeggiare da sola, fece movimento in piscina da sola, gli chiese se poteva mangiare in camera da sola, perché non stava bene.
E Gajeel la lasciò fare, perché credeva che le servisse tempo. Solo quello, tempo.
E lui le avrebbe dato tutto.
Lei, però, non era disposta a dare tutto a lui.
La sera del quarto giorno, a cena, parlò di nuovo.
- Ho visto le nostre foto. Eravamo felici, vero?
- Molto – rispose lui, ingollando i sentimenti con il boccone che stava masticando.
C’erano arrivati. Stavano per ricominciare, insieme.
- Però io non ricordo nulla.
- Già. Ma con il tempo, mag…
- No, Gajeel. Scusami. Davvero, non so come dirti questa cosa. Io… capisco che mi ami, sul serio. Te lo leggo negli occhi. Ma la ragazza che pensi che io sia è morta ormai tre anni fa, quando ha unito se stessa a quel mostro assassino. Io non ho più ricordi. E senza ricordi non sono quella che amavi.
Gajeel non mosse un muscolo, non strinse nemmeno i pugni a causa della tensione. Era diventato una statua.
- Ho bisogno di ricominciare, di riscoprire chi sono. E ne hai bisogno anche tu. Qui dentro non posso farlo.
Era finita. Gajeel lo seppe ancora prima di sentire quelle parole lasciare la sua bocca per trafiggerlo al cuore.
Era finita.
- Voglio andarmene, Gajeel.




MaxB
Ooooooook *si nasconde*. Non uccidetemi. Vengo in pace.
Circa.
Sì, so che il capitolo è cortino e sì, so che sono bastarda, ma c'est la vie. E la vie non è tutta rosa e fiori, sapete? Potrei morire questa notte e basta, sarebbe finita lì. Penso che questa notte non morirò, comunque.
Sono sveglia dalle 4 di mattina quindi deliro ahaha.
Ma comunque.... - 2 capitoli e bye bye The Ghost.
Metterò il mio primo flag su Storia completa. Penso che mi commuoverò.
A presto, fatemi sapere se vi piace o no questo capitolo osceno ahahahah.
MaxB
  
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