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Autore: The Writer Of The Stars    01/08/2016    2 recensioni
Una notte di febbraio, mentre fuori imperversava la tempesta e i suoi discutevano nella loro stanza, Draco, fissando inerme le goccioline d’acqua che si schiantavano contro il vetro e correvano verso il basso, aveva addirittura promesso a se stesso che non sarebbe morto senza prima ritrovarla e ricevere il suo perdono. In dieci anni era cambiato. Era cresciuto e forse era stato costretto a fortificarsi, a buttare via quella lingua malefica e saccente, ad ammettere di essere debole. Dei ragazzi che lo indicavano a scuola e lo escludevano se ne fregava altamente – anche se rendersi conto che tra loro vi erano quelli che un tempo chiamava amici gli aveva provocato una crepa piccola piccola in corrispondenza del ventricolo destro- e quando suo padre era stato sbattuto in prigione per frode finanziaria o qualcosa di simile aveva pianto contro il cuscino solo per cinque minuti. Poi aveva smesso e guardando sua madre con gli occhi gonfi, si era chiesto dove diavolo era stato mentre la sua famiglia si distruggeva.
*
Trama ispirata dal manga “A Silent Voice - Koe no katachi”. Titolo ispirato all’omonimo libro di Jonathan Safran Foer.
|Dramione AU!|
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note:
Trama ispirata dal manga “A Silent Voice - Koe no katachi”.
I dialoghi in corsivo tra parentesi indicano frasi espresse attraverso il linguaggio dei segni.
 

Molto forte, incredibilmente vicino.

Odiava dover chiedere aiuto a qualcuno, ma aveva una grande voglia di latte e menta e pretendeva che gli venisse preparato al più presto. Lorelayne, la domestica, sembrava sparita nel nulla e ciò gli stava procurando un nervosismo non indifferente; capriccioso e viziato, potevano dirgli qualunque cosa, ma lui voleva il suo latte con la menta.

“Signorino Draco?” Il bambino si voltò verso l’ingresso della cucina, sbuffando in direzione della donna. Ce ne aveva messo di tempo per farsi vedere!

“Voglio del latte.”

“Certo.”

“Con la menta.” Lorelayne annuì piano, reprimendo il moto di divertimento nato nell’osservare quel piccolo aristocratico incrociare le braccia al petto e tamburellare col piedino in terra con fare agitato. Nove anni e un concentrato di arroganza e sfrontatezza, davvero un gran colpo.

“Glielo preparo subito.” Draco si lasciò andare ad un’espressione soddisfatta e mentre la donna si avvicinava al piano cottura, il bambino si arrampicò su una delle sedie troppo alte per lui, rischiando di cadere ma evitando, ovviamente, di cercare aiuto. Era già stato abbastanza chiedere quel dannato latte, poteva bastare.
Pochi minuti dopo, Draco tendeva le braccine verso il costoso tavolo in marmo, afferrando il famigerato bicchiere di latte e tentando di trovare il modo meno imbarazzante per porre la domanda che tanto fremeva nella sua testa,

“Senti” Lorelayne lo guardava interessata e, forse, un tantino rammaricata del fatto che non la chiamasse mai per nome.

“Prima, quando mia madre era arrabbiata” Draco centellinò nervosamente la bevanda dinanzi a sé, osservando il moto concentrico del liquido verdastro attraverso la trasparenza del bicchiere in vetro e a Lorelayne si strinse un po’ il cuore, perché con quegli occhietti mesti sembrava finalmente il bambino che doveva essere.

“Ce l’aveva con me?”
Lorelayne avrebbe voluto abbracciarlo. Perché per quel bambino era così difficile comportarsi da tale?

“Assolutamente no, signorino.” Draco alzò gli occhioni grigi verso la donna, tentando di ottenebrarli con una patina di sprezzante superiorità altamente frangibile, volgendo il mento con fare altezzoso.

“La signora ha avuto una discussione con vostro padre, ma è tutto risolto. Non dovete preoccuparvi.” Gli sorrise con fare materno e Draco divenne rosso di imbarazzo e la odiò, mentre le manine pallide stringevano con forza il bicchiere, scivolando sulla superficie vitrea.

“Io non mi stavo preoccupando.”
***

“Hai sentito? Oggi arriverà una nuova!”

“Davvero? E chi è?”

“Non ne ho idea, ma probabilmente sarà qualche ragazzina di campagna appena arrivata. La classica sempliciotta che si presenta a metà dell’anno scolastico!”

Si poteva essere così estremamente pettegole e irritanti a soli nove anni?  Draco, scandagliando nelle proprie orecchie il ronzio nauseante delle ochette della sua classe, si rispose che era certamente possibile.

“Chissà come sarà questa qui!” come se non bastasse ora ci si era pure messo Blaise, quello che malgrado considerava suo “amico”, almeno prima che si riducesse a spettegolare con quelle piccole deficienti. Proprio una grande caduta di stile.

“Ragazzi! Vi chiedo un minuto di attenzione!” ruggì il loro insegnante, con somma gioia del piccolo Malfoy, già stanco di tutte quelle chiacchiere e di questa fantomatica “nuova arrivata”. Le voci si erano acquetate di colpo e piacevolmente incuriosito da ciò, Draco alzò gli occhi verso la cattedra in pesante legno, dove il maestro era ora affiancato da una figura minuta e palesemente insignificante. Draco osservò la massa informe e cespugliosa che la bambina aveva per capelli e si ritrovò infastidito nello scorgere gli occhietti scuri della ragazzina posarsi su ogni membro della classe con fare curioso. Tutta quella confusione per un esserino del genere?

“Forza, presentati ai tuoi compagni.”

La bambina rimase in silenzio, serenamente rivolta al resto della classe. Alcune risatine si alzarono dal fondo dell’aula, e Draco ghignò all’udire un indistinto
“Per me questa è ritardata.” Anche il maestro si stava spazientendo e piccato le posò una mano sulla spalla ossuta, scuotendola nervoso.

“Ehi, dico a te!” La ragazzina, quindi, saltò sul posto al percepire quel tocco deciso e, come risvegliata da uno stato catatonico, contemplò il volto dell’insegnante nel tentativo di capire le sue intenzioni, per poi mettere su un piccolo sorriso e annuire decisa mentre frugava all’interno della cartella impolverata. Ne tirò fuori un quaderno dalla copertina color borgogna e sotto agli occhi incuriositi di tutti lo aprì, scrivendo qualcosa sulla prima pagina bianca. Poi, la mostrò alla classe.

Io sono Hermione Granger, piacere di conoscervi.”

“Ma cosa …”

“Sono sordomuta, perciò da oggi in poi userò questo quaderno per comunicare con voi. Spero di diventare vostra amica!”

Draco lesse quella grafia estremamente precisa ed elegante per una bambina, mentre Tiger e Goyle sghignazzavano dietro di lui.

“Ci sarà da divertirsi con questa, eh Draco?” Un ghigno gli prese le belle labbra, squarciando tristemente il volto diafano e angelico.

“Credo proprio di sì.”
 

Prendere in giro Hermione Granger era estremamente divertente, oltremodo gratificante essere circondati dalle risate divertite dei suoi compagni di classe, eppure, da un lato, assai controproducente.  Se inizialmente avevano creduto fosse ritardata poiché non a conoscenza del suo handicap, ora Draco cominciava sinceramente a sospettare di un suo eventuale disturbo psichico. Perché non era normale che lei sorridesse a tutti in quella maniera.  Perché, come faceva a non arrabbiarsi quando le tiravano addosso il succo di frutta al mirtillo, gettando nella spazzatura l’uniforme macchiata indelebilmente? Quando le acciuffavano la chioma crespa, tirandole i capelli fino a farle male, come faceva a non piangere? E di quelle volte in cui lui si era seduto nel banco dietro il suo e le aveva urlato nelle orecchie, facendola sobbalzare perché aveva appena azionato l’apparecchio acustico e spaventata era caduta dalla sedia, rompendo così il settimo congegno nel giro di sei mesi, come faceva a non odiarlo? In tutta quella classe elementare di uno degli istituti più prestigiosi di Londra, gli unici che si erano avvicinati alla ragazzina con l’intenzione di fare amicizia erano stati quei due sfigati di Potter e Weasley, e così era ancora più divertente schernirla;come si dice, due piccioni con una fava.

Quella mattina Draco entrò in classe di pessimo umore; i suoi genitori avevano litigato nuovamente e per quanto fingesse di fregarsene, quelle grida che rimbombavano per le pareti austere della loro villa avevano il potere di destabilizzarlo pericolosamente. Non ascoltò nemmeno il saluto di Blaise e gli altri, limitandosi ad un’occhiataccia mentre si sedeva al proprio posto ed estraeva i libri dalla cartella. Quando si voltò verso il banco, però, si ritrovò ad osservare infastidito il quaderno color borgogna della Granger, dove al centro di un foglio immacolato troneggiava timidamente una scritta.

“Vuoi essere mio amico?”  

Sobbalzò e alzò subito lo sguardo verso il banco dinanzi al suo, dove Hermione lo guardava timidamente, con quegli occhi talmente espressivi che parlavano per lei.

Era pazza. Completamente.

Amico. Gli aveva chiesto davvero di diventare suo amico? A lui, lo stesso ragazzo che la perseguitava senza pietà? Draco digrignò i denti, afferrando quello stupido quaderno e scaraventandolo contro la ragazzina che, delusa, lo raccolse e si voltò senza abbassare la testa, nascondendo al meglio la vergogna. Il ragazzino fissò rabbioso la chioma disordinata di Hermione, trattenendo il fiato. Perché quella semplice ed infantile domanda gli era parsa come un’offerta di aiuto? Che ne sapeva lei della sua vita, dei problemi che stavano crescendo nella propria casa? E soprattutto, quanto pazza doveva essere per tentare di approcciarsi proprio con lui, il suo aguzzino? Draco distolse lo sguardo dalla sua figura e decretò di odiarla, inconsapevole di aver confuso la solitudine con la follia.

Il colpo di grazia per la Granger era arrivato ad un mese dalla fine della scuola. Come ogni anno, a sostegno del progetto di musica, tutta la classe era tenuta a partecipare alle competizioni nazionali di canto dove riuscivano sempre a strappare il primo posto ed un brillante trofeo da aggiungere alla bacheca dell’istituto. Ovviamente, contavano di ottenere lo stesso risultato anche quell’anno. Ma, ovviamente, non avevano fatto i conti con la situazione di Hermione. Il professor Hagrid aveva un carattere colmo di pietas che, personalmente, il piccolo Malfoy odiava e quando aveva annunciato loro che Hermione faceva parte della loro classe e che quindi aveva il diritto di partecipare alla gara di canto, era seriamente arrivato ad odiarlo. Hermione era in grado di emettere solo qualche gracchiante verso gutturale ed inutile dire che, sebbene facesse parte del coro, la sua presenza era ben percepibile ed aveva penalizzato la squadra, conducendoli alla sconfitta. La classe era dello stesso unanime parere: la Granger li rallentava, penalizzava i compagni ed era, nel complesso, un peso. Per questo quando Harry e Ron avevano proposto loro di imparare il linguaggio dei segni per comunicare con la ragazza, i bambini erano scoppiati a ridere e persino gli stessi insegnanti avevano ammesso l’inutilità della proposta.
Ad ogni modo, la sconfitta bruciava letale sulle loro pelli e il desiderio di prendersi una piccola vendetta premeva violento contro le loro anime corrotte. Draco, di certo, non era da meno.
La mattina successiva alla gara, Hermione era entrata in classe per l’ultima volta e si era trovata sola dinanzi alla lavagna scarabocchiata e piena di epiteti maligni contro di lei.

“Sei inutile!” “Ci hai fatto perdere!” “E’ colpa tua!” “Vattene!”

Ed Hermione, silenziosa e con gli occhi lucidi, se ne era andata davvero.
 
Il preside Silente lo aveva annunciato una mattina, dopo una settimana di assenze da parte della ragazza. Era stato duro ed estremamente irato nel parlare di bullismo alla base del trasferimento della Granger e chissà come mai, in quel momento non rideva più nessuno ma se ne stavano tutti rigidi e composti sui loro banchi. Si scomodarono solo per puntare il dito contro Draco Malfoy e accusarlo di essere l’unico colpevole dinanzi all’anziano preside e Draco, rimasto solo in mezzo al falso buonismo di quei traditori, passò in breve da carnefice a vittima.

Ogni mattina trovava insulti scritti sul proprio banco da parte di studenti di altre classi e solo dopo due settimane dalla partenza di Hermione, si rese conto che quelle scritte c’erano da molto tempo prima, da quando aveva iniziato a prendersela con lei.

Stupida.

Gridò di rabbia alle pareti scrostate dell’aula vuota e spinse via il banco traballante, gettandolo in terra.

Quella stupida, ecco perché arrivava sempre prima degli altri.

Draco gridò e si portò le mani ai capelli mentre con un colpo al cuore scorgeva un quaderno abbandonato sotto il vecchio banco di Hermione.

Un quaderno dalla copertina color borgogna.

Scosse la testa e ingoiò le lacrime di rabbia.

Quella stupida cancellava le scritte sul mio banco prima che arrivassi io.

E diventato ora vittima di ragazzini che lo picchiavano divertiti nel retro del cortile scolastico, Draco non reagì perché, in cuor suo, sapeva di meritarselo.
Un occhio nero non sarebbe mai bastato a redirmelo da tutto il male che le aveva fatto.

 
10 anni dopo

Doveva finirla. Ci pensava da un mese ormai, ma la straziante convinzione era giunta quella stessa mattina. Si era alzato tardi e si era perciò precipitato verso l’armadio con una foga animale che non gli era affatto propria. Come diceva Lorelayne, sarebbe risultato dolorosamente elegante persino imbrattato di catrame nella zona di scarico del porto. Aveva arraffato la divisa scolastica e se l’era infilata nel giro di pochi secondi, ma mentre saltellava per la stanza nel tentativo di infilarsi la scarpa destra era ignominiosamente andato a sbattere contro la mensola bassa dove teneva i vecchi libri della scuola elementare. Draco aveva tirato qualche mezza bestemmia al vuoto incommensurabile della sua fredda stanza, ma si era zittito non appena aveva scorto alcuni libri finiti in terra a causa dello scontro. Li avrebbe anche potuti lasciare lì, visto il ritardo, ma la sua odiosa vena perfezionista lo aveva costretto a piegarsi in terra e a raccattarli fugacemente. Ne afferrò uno e riconoscendo la foderina color borgogna si bloccò. Aveva conservato il quaderno di Hermione Granger per dieci anni e non sapeva neanche lui il motivo. Da una parte si sentiva ancora terribilmente in colpa per quello che le aveva fatto, ma non si trattava certo solo di quello, perché, ad esempio, come gli era venuto in mente di imparare il linguaggio di segni? Avevo tempo si era sempre detto, tanto di pomeriggi solo in casa, dopo la partenza di Hermione e la sua inversione da perseguitore a perseguitato, ne aveva a valanghe e in fondo non aveva neanche voglia di stare a sentire i litigi tra i suoi genitori, che ormai erano all’ordine del giorno. Così aveva studiato. A volte si sedeva sul ciglio del letto e fissando quella piccola macchia azzurra sul muro che aveva provocato con i colori a spirito a cinque anni, si chiedeva cosa cazzo stesse facendo in realtà. Aveva imparato il linguaggio dei segni perché sperava di rivederla? Sì, forse era così. Voleva trovarla per chiederle scusa? Si era arreso all’evidenza e lo aveva ammesso. Una notte di febbraio, mentre fuori imperversava la tempesta e i suoi discutevano nella loro stanza, Draco, fissando inerme le goccioline d’acqua che si schiantavano contro il vetro e correvano verso il basso, aveva addirittura promesso a se stesso che non sarebbe morto senza prima ritrovarla e ricevere il suo perdono. In dieci anni era cambiato. Era cresciuto e forse era stato costretto a fortificarsi, a buttare via quella lingua malefica e saccente, ad ammettere di essere debole. Dei ragazzi che lo indicavano a scuola e lo escludevano se ne fregava altamente – anche se rendersi conto che tra loro vi erano quelli che un tempo chiamava amici gli aveva provocato una crepa piccola piccola in corrispondenza del ventricolo destro- e quando suo padre era stato sbattuto in prigione per frode finanziaria o qualcosa di simile aveva pianto contro il cuscino solo per cinque minuti. Poi aveva smesso e guardando sua madre con gli occhi gonfi, si era chiesto dove diavolo era stato mentre la sua famiglia si distruggeva.
Hermione Granger, comunque, non l’aveva più vista. E alla fine poteva anche mandare beatamente a quel paese la sua promessa delirante, perché ormai si era stancato di vivere solo per orgoglio. Non voleva togliersi la vita per depressione – sua madre era quella depressa tra loro- ma perché si odiava. Sempre più spesso gli capitava di ripensare al se stesso di qualche anno prima e si chiedeva come potesse essere stato così, che cosa gli aveva fatto quella ragazzina sordomuta per spingerlo a perseguitarla. Assolutamente niente.

Doppiamente codardo, Malfoy.

Afferrò il quaderno e lo infilò fugacemente nella cartella scolastica, senza neanche pensarci, correndo poi via verso la scuola. Forse lo avrebbero trovato più pallido del solito, con gli occhi vitrei e spalancati, accanto a quel dannato quaderno. Magari qualcuno avrebbe capito.
 

Odiava i corridoi di Hogwarts, il suo liceo, perché erano pieni di persone e voci. Un tempo, il vecchio Draco si sarebbe trovato a suo agio in quell’ambiente e sarebbe di certo rientrato tra i più popolari della scuola, attorniato da ragazzine facili e compagni di facciata. Invece si vedeva riflesso negli occhi degli sfigati del corso avanzato di matematica, e non gli importava. Tutte quelle persone intorno a lui lo stavano conducendo alla pazzia, le loro voci gli trapanavano i timpani con un dolore acuto e asfissiante. Draco vedeva persone parlare senza comunicare, persone che sentivano senza ascoltare* e realizzò quanto fossero tutti simili ad Hermione. A volte si era chiesto come ci si sente a non sentire, come lei, ma la risposta era palese e non sapeva se odiarla o meno. Chiuse gli occhi stanchi e si portò le mani alle orecchie, ovattando tutti quei suoni molesti.

Così va meglio.
 
Li riaprì e si fermò. Tra la spalla di quel giocatore di Football e la cheerleader che stava civettando con lui aveva intravisto una chioma che gli era familiare. Forse era solo suggestione ed era andato in panico, perché aveva anche gridato “Hermione!” realizzando solo poi che se fosse davvero stata lei non avrebbe di certo potuto sentirlo. Perciò corse. Spintonò un paio di ragazzini del primo anno fermi in mezzo al corridoio senza mai staccare gli occhi dalla sua nuca. Poteva davvero essere lei? Era davvero … tornata?

Le afferrò la manina pallida e la ragazza si voltò. Draco non seppe dire chi dei due fosse più sorpreso.

Era cambiata. Tantissimo. Era esile e minuta, come da piccola, ma quei dentoni che lo facevano tanto ridere dieci anni prima erano spariti per lasciare il posto ad un paio di incisivi delicati, e i capelli, quella capanna crespa che un tempo erano i suoi capelli, ora le cadevano sulle spalle in boccoli talmente morbidi che gli venne subito voglia di afferrarne uno tra le dita. Per la prima volta da quando la conosceva, Draco si fermò ad osservarle gli occhi nella loro semplice immensità e boccheggiò un paio di volte nel leggervi quelle parole che alle sue corde vocali erano state escluse.

“Hermione …” sussurrò, e lei lesse il proprio nome incastrato tra le sue labbra.

“Sei tornata.”

Draco si perse nel contemplare le pupille terrorizzate e confuse di Hermione e gli sembrò quasi di guardare lo schermo ingiallito di un vecchio cinema di periferia, perché tra la cornea e l’iride rivide chiaramente il se stesso bambino che gridava nelle orecchie di una ragazzina che non avrebbe mai potuto sentirlo.

Sto imparando tutto ciò che riguarda la mia vita attraverso i suoi occhi.*

Hermione lo aveva riconosciuto ed era terrorizzata. Draco se ne accorse dal modo in cui tentò di indietreggiare e immediato un attacco di panico lo colse.

“No no, aspetta, io …” balbettò celermente per poi darsi dell’idiota. Aveva imparato quel dannato linguaggio dei segni, era il momento di usarlo.

Non voglio farti del male.”

Gli occhi sgranati di Hermione gli diedero la conferma che la sua pazzia non era stata inutile.

“Conosci il linguaggio dei segni?” si sorprese nel vedere le piccole manine screpolate di Hermione tremare nel porre la sua domanda, e con un nervoso gesto del capo annuì, sentendo una ridicola ansia assalirlo.

Dio, Draco Malfoy e il suo orgoglio erano proprio caduti in basso.

Hermione, comunque, non aveva smesso di indietreggiare e lo scontro con lo zaino poggiato in terra fu provvidenziale, perché Draco non si rese nemmeno conto del come, ma pochi secondi dopo era lui a giacere contro il linoleum dei corridoi con un brutto livido sul fondoschiena. Se non altro, poteva vantarsi di avere ottimi riflessi. Hermione , in piedi dinanzi a lui, poté guardarlo per la prima volta da un’altra prospettiva e le parve indifeso. Quando erano bambini non aveva mai voluto odiarlo. Anzi, a dirla tutta, forse gli voleva anche un po’ bene. Così, senza un motivo. Anche se la prendeva in giro, anche se le faceva male, anche se così non era normale perché era una dannata masochista, non lo voleva odiare. Draco Malfoy le faceva pena perché era solo. Non solo come lei che se ne stava sempre per conto proprio, ma solo perché si portava addosso una solitudine invisibile che lei aveva notato dalla prima frecciatina pungente che le aveva rivolto e che lei aveva tentato di decifrare attraverso il labiale. Avrebbe tanto voluto diventare sua amica perché credeva che dietro quei magnetici occhi grigi ci fosse un’altra persona che gridava per venire fuori e lei non se ne sarebbe voluta andare via da quella scuola, se non fosse stato per sua madre, che sembrava soffrire il bullismo più di lei. Non lo aveva più visto ma aveva pensato a lui ogni giorno e adesso, mentre dalla cartella di Draco sbucava il suo vecchio quaderno delle elementari, Hermione scopriva che lo aveva sempre tenuto lui per tutti quegli anni, e che aveva addirittura imparato il linguaggio dei segni, e a quel punto, una domanda le sorse spontanea.
Draco si sentì afferrare una mano e alzando lo sguardo scoprì Hermione accovacciata al suo fianco, con gli occhi bassi e le gote rosse. Doveva essere ridicolo, steso su quel pavimento sporco e impolverato al fianco di una ragazzina sordomuta e più invisibile di lui, ma in quel momento decise di fregarsi dell’opinione altrui e preferì concentrarsi sulle dita di Hermione che tracciavano qualcosa di importante sul suo palmo.

“Perché?”

Draco non seppe rispondere ma fu solo in grado di guardare Hermione negli occhi. Gli tremarono addirittura le labbra mentre le lasciava un sorriso piccolo piccolo ma che comunque valeva come metà della risposta.

“Ti chiedo scusa.”

Hermione annuì e sorrise in maniera lieve ma lasciando comunque intravedere gli incisivi così diversi da quelli di un tempo. Draco incassò quel sorriso con una gioia nuova e quell’idea di uccidersi gli rimbombò nel cervello come la cosa più sbagliata del mondo. Era il giorno in cui aveva deciso di togliersi la vita, e invece ne stava salvando un’altra. In quel momento, mentre Hermione gli sfiorava ancora la mano e sorrideva, gli venne in mente di quel giorno di dieci anni prima in cui lei aveva tentato di salvarlo da se stesso ma lui, troppo piccolo e stupido all’epoca, aveva preferito ferirla e spingerla via come una fiera selvaggia e solitaria che vuole leccarsi da solo le proprie ferite. Nei suoi timpani, intanto, il cuore rimbombava talmente forte che gli pareva di sentirlo battere in sincrono con quello di Hermione e quella ritmica melodia schizzò da tutte le parti del suo corpo, tramutandosi in serenità e in felicità, quella che aveva tanto cercato segretamente.

Vuoi essere mia amica?”

Hermione sgranò gli occhi e pianse con in volto il sorriso più bello del mondo, e per la prima volta Draco la sentì forte ed incredibilmente vicina da farlo tremare.

E questa parte, questa piccola parte della mia vita, si può chiamare ‘Felicità’.*
 

******
 
Hermione non avrebbe mai potuto sentire la voce di Draco e per questo piangeva. Gli capitava sempre di osservarlo muovere le labbra mentre conversava con qualche persona e si disperava nell’immaginare come fosse la sua voce, se calma e pacata, profonda e raschiante, dolce e delicata, arrivando ad impazzire e a versare lacrime di frustrazione che Draco, prontamente, le asciugava di nascosto. Non avrebbe mai potuto udirlo, ma con il tempo aveva imparato a sentirlo.

Quando si erano scambiati il loro primo bacio sotto le stelle di Brighton, lontani dalla caotica Londra, Hermione avrebbe tanto voluto dirgli che era la ragazza più felice della terra, ma il sorriso imbarazzato di Draco era bastato a risponderle implicitamente.

Quando avrebbe voluto dirgli che lo amava ma non sapeva come fare e allora portava la propria manina tremolante al suo petto glabro e glielo scriveva sopra un po’ imprecisa e pasticciona. Draco allora le prendeva quella stessa mano e le baciava le nocche scheletriche, poi la fronte e poi il naso ed era il suo modo di dirle “io ti sento”, un bacio che corrispondeva ad ogni parola e valeva più di una vera dichiarazione.

Quando lui le aveva chiesto di sposarlo si era odiata per non aver potuto udire il suo “vuoi diventare mia moglie?” ma gli era bastato vederlo inginocchiato davanti a lei, con la scatolina di feltro blu in mano e l’anello che spiccava al centro di un cuscinetto di velluto, e aveva capito che stava per unire la sua vita a quella del ragazzo per sempre, e non c’era assolutamente altro che desiderava di più al mondo.

Quando era stesa sul lettino della ginecologa e il gel freddo le solleticava la pancia senza farla ridere, riusciva solo a vedere qualche chiazza grigia e lei era terrorizzata all’idea di divenire una madre che non avrebbe udito il suo bambino piangere quando sarebbe stato male, o ridere nei momenti spensierati. Ma
Draco aveva udito il cuore del bambino battere e quando lo aveva visto con gli occhi lucidi e lo sguardo perso sul suo ventre, Hermione aveva capito che il loro bambino sarebbe stato benissimo e che avrebbe compensato alla sua mancanza amandolo il doppio di quanto possibile.


Quando il loro bambino era venuto al mondo e lei non aveva potuto udire il suo primo vagito, il suo inno alla vita, ma Draco si era subito avvicinato a lei con quel minuscolo fagottino azzurro in mano e lo aveva poggiato sul suo petto gonfio di latte. Allora aveva aperto gli occhioni grigi come quelli del padre e si erano commossi entrambi in un tripudio di lacrime e abbracci che l’avevano fatta sentire la donna più felice della terra e, per un attimo, le aveva fatto dimenticare ciò che non aveva.

 Proprio allora, in quei momenti, tra quelle braccia e in quelle due paia di occhi così uguali da farla piangere, li aveva sentiti con sé, dentro di sé; Molto forte, incredibilmente vicino.
 

Note:
*1)Citazione tratta dalla canzone “Sound of silence” di Simon & Garfunkel.
*2) Citazione tratta dalla canzone “Through her eyes” dei Dream Theater.
*3)Citazione tratta dal film “La ricerca della felicità” con Will Smith.
Titolo ispirato all’omonimo libro di  Jonathan Safran Foer.

 
   
 
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