Grazie mille a tutte per l’accoglienza
calorosa a questa serie di fic. Qui mi sono spinta un po’ troppo in là… Chiedo perdono.
suni
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Sakura ormai cominciava ad esserne
drammaticamente convinta: di tutti i membri del loro nucleo familiare quello
con cui suo marito trascorreva più tempo sembrava proprio essere Bombo.
Sebbene tecnicamente appartenesse a
Itachi, e si dilettasse oltremodo a far la lotta con lui nel tempo libero del
bambino, il cane non faceva mistero della propria adorazione per Sasuke, il
capobranco. Era ai suoi piedi che si accucciava durante i pasti ed era sempre
lui il primo a cui scodinzolava ogni mattina. E Sasuke, ormai, aveva preso
l’abitudine di portarselo appresso persino al quartier generale,
perché tanto Bombo trovava sempre il modo di sgusciare fuori casa e
raggiungerlo lì, aspettandolo fedelmente davanti alle scale
d’ingresso ed allontanandosi solo per il tempo necessario ad andare ad
accogliere il suo padroncino all’uscita dell’accademia, con una
puntualità che lasciava tutti esterrefatti.
Sasuke fingeva di mal sopportare
l’adorazione della bestiola, brontolava sempre quando Bombo gli poggiava
la testa sulle ginocchia mentre lui rileggeva i rapporti, guardandolo con i
languidi occhi affezionati, e ripeteva continuamente che quel sacco di pulci
puzzava come una latrina e che avrebbe finito per divorare Chiyo
a notte fonda. Ma Sakura era scoppiata a sghignazzare come una povera demente
quando, un lunedì pomeriggio, era silenziosamente rientrata più
presto del solito e l’aveva trovato accovacciato a terra, intento a
stropicciare la testa di Bombo con una serie di versi e mugugni da completo
ritardato. Non era riuscita smettere di ridere finché Sasuke,
incarognito a morte, se l’era svignata altezzoso all’apice della
vergogna. Che lo adorasse, ormai, era fuori discussione.
Del resto Bombo, andava ammesso, era
proprio un cane Uchiha: snello, col pelo lucido e quasi completamente nero
eccezion fatta per una chiazza bianca sotto il collo, aveva lo sguardo
dell’animale selvatico e la compostezza di un faraone. Persino facendo le
feste pareva badare allo stile e soltanto con Itachi diventava un cucciolone giocoso che saltava nel fango.
Più d’un abitante di
Konoha era parso ben disorientato nel vedere l’ex nukenin
attraversare le vie cittadine con l’animale al seguito; Naruto rideva
come un matto ogni volta che lo vedeva comparire con la sua “scorta
pelosa“, come la chiamava lui; il più soddisfatto, comunque, era
stato Kakashi. S’era fatto un certo parlare di serpenti a casa Uchiha,
prima della nascita di Itachi, ma alla fine era un quattrozampe
quello che il suo allievo aveva alle
calcagna sfilando per le vie Konoha e questo, a sentir lui, doveva pur voler
dire qualcosa.
Nessuno aveva avuto cuore di
disilluderlo e spiegargli che di fatto, se Sasuke aveva accettato di sopportare
un cane tra i piedi, era soltanto perché suo figlio Itachi l’aveva
infinocchiato alla grande.
Non mi volevi?
Un anno prima
“Possiamo prendere un
cane?”
Itachi aveva posato le bacchette
accanto al piatto, prima di porre quella domanda. Faceva scorrere dal padre
alla madre uno sguardo supplice e speranzoso, e teneva le manine giunte,
accorato.
Sakura masticò lentamente, gettando
un’occhiata ricognitiva al marito, mentre Sasuke restava con la mano
sollevata nel gesto di portarsi il boccone alle labbra, preso alla sprovvista.
Erano settimane, ormai, che Itachi
aveva deciso di volere un cane. Erano settimane che ne parlava a Sakura ma
ancora non aveva osato sollevare l’argomento col padre, anche
perché lei l’aveva dissuaso. Dubitava che il suo freddo marito
avrebbe sopportato per casa una bestia abbaiante e caotica, perpetuamente scodinzolante
e che all’occorrenza perdeva bava. Per scrupolo Sakura aveva anche
tentato delicatamente di sondare il terreno, ma al solo accostamento delle
parole “Itachi” e “cane” sulla fronte del suo uomo si
era disegnata quella piega cupa che lei conosceva bene e che di solito non
portava proprio nulla di buono.
Difatti Sasuke si accigliò
lievemente, riprendendo a mangiare.
“Mpf.
No,” scandì quindi, noncurante. “Abbiamo già
te.”
Sakura soffocò una risata nel
tovagliolo , prima di lanciargli un’occhiata severa.
“Sas’ke!” lo riprese,
esterrefatta.
Itachi sgranò gli occhi,
ferito, e si ritrasse incredulo.
“Ma io sono un bambino!”
protestò lamentoso.
Sasuke sospirò rassegnato,
incupendosi.
“E pensa che io volevo un
serpente,” lo liquidò, brusco. “Gli avrei costruito un
bellissimo terrario…” continuò, assorto.
“Sas’ke!”
ripeté Sakura con tono più alto e minaccioso, mentre suo figlio
sembrava sul punto di scoppiare a piangere. “Sei un mostro di perfidia!”
Suo marito sbuffò con
disinteresse, gettandole un’occhiata annoiata, poi il labbro di Itachi
tremolò, i suoi occhioni neri si fecero lucidi
e Sasuke gettò le bacchette sul tavolo esasperato.
“Mmh, va bene, non è vero che volevo un
serpente al posto tuo. Ma niente cani, chiaro?” borbottò
sostenuto, scagliando al figlioletto uno sguardo eloquente.
Itachi storse il nasino e portò
gli occhi nel piatto, sconfitto. Finì il pranzo quasi in assoluto
silenzio finché Sakura non si alzo’ di
corsa, attirata dal pianto di Chiyo. Itachi, che
stava aspettando da tre ore che la sorellina si svegliasse perché faticava
a smettere di saltellarle intorno cercando di farla ridere – cosa che non
poteva avvenire, dal momento che la neonata non ne era ancora in grado –
la seguì senza una parola e Sakura notò il suo disappunto
particolarmente marcato. Persino quando lo lasciò trafficare attorno
alla sorella Itachi rimase malinconico e stranamente calmo, limitandosi a
sventolarle distrattamente la mano davanti.
Passò in quello stato tutto il
pomeriggio, fece i compiti senza protestare – lui che di solito la
domenica tentava in ogni modo possibile di svignarsela a giocare, finché
il padre non andava a recuperarlo per le caviglie – e quasi non si mosse
da camera sua – e Itachi non stava mai
fermo per più di mezz’ora. Aveva l’innata capacità di
schizzare come un fulmine da un punto all’altro, riuscendo nel frattempo
ad inciampare dappertutto: le sue ginocchia erano un’esposizione di
bozzi, lividi e graffiature di ogni forma e dimensione. Sasuke levava gli occhi
al cielo ad ogni nuova ferita d’onore ma stranamente non faceva commenti,
e Sakura sapeva perché: a sette anni l’aveva visto personalmente
incartarsi davanti all’ingresso del quartiere e finire faccia a terra;
Itachi – l’altro , il primo – l’aveva recuperato
come un sacco di patate e se l’era portato via, flemmatico. Non era un
granché aggraziato, all’epoca; ma era già il bambino
più carino di Konoha.
“Ridi da sola?”
Sakura si volto di soprassalto,
riscuotendosi, e trattenne un vero accesso di risa nello scorgere Sasuke che la
osservava con leggero scherno, indulgente e superiore. Scartò per
ragioni evidenti la risposta sincera (“scusa, stavo pensando che da bambino inciampavi ovunque “)
e scrollò la testa con un sorriso di miele, sporgendosi a baciare la sua
fronte. Sasuke serrò l’occhio e storse il naso, parendo profondamente
infastidito, mentre le labbra di Sakura scivolavano verso le sue. Le fece
scorrere le braccia intorno ai fianchi, attirandola a sé, e in quel
momento Chiyo lanciò uno strillo tale da farli
sobbalzare.
"Che
se…" iniziò Sasuke, quasi ringhiando.
“Non dirlo,”
sussurrò Sakura posandogli il dito sulle labbra. “Raccontapalle. Non pensi affatto che sia una
seccatura.” Si volse spedita per salire le scale, lanciandogli
all’ultimo un’occhiata. « Itachi è molto
triste.”
“Noi non avremo mai un
cane,” sentenziò maestosamente Sasuke, convinto.
“Dagli solo un’occhiata,
è così mogio!” lo riprese Sakura, sparendo al piano di
sopra.
Sasuke sbuffò, profondamente
tediato.
Itachi era alla scrivania, seduto sulla
sua seggiola. I suoi piedi ciondolavano pigramente nel vuoto e aveva il mento
poggiato di sbieco nel palmo della mano; leggeva svogliatamente gli appunti sul
quaderno, sbuffando tra sé. Sasuke lo osservò in silenzio dalla
porta socchiusa, prima di bussare sommessamente.
“Si?” trillò mesto
il figlio, voltando la testa.
Sasuke oltrepasso la porta,
guardandolo serio.
“Tra poco è ora di
cena,” annunciò sbrigativo. “Hai quasi finito i
compiti?”
Itachi annuì tornando a
guardare i fogli, le labbra strette con rammarico.
“In realtà ho un prob…fa niente,” si affrettò a pigolare.
“Che problema?” chiese
Sasuke aggrottando la fronte, con un passo avanti.
Itachi scrollò più volte
la testa, ritroso.
“Non fa niente,”
mormorò apatico. “Hai tante altre cose da fare, non voglio darti
fastidio,” aggiunse quasi senza emettere suono, affranto.
Sasuke sollevò appena un
sopracciglio, scettico. Da consumato attore quale lui stesso era, trovava
estremamente comiche le toccanti interpretazioni del figlio.
“Mh…
Itachi?”
“Si?” cinguettò il
bambino, parendo già ritenersi vincitore.
“Sei mica diventato
stupido?”
Itachi distolse subito lo sguardo e si
tormentò le labbra tra
denti, scornato: papà uno, Itachi zero. Sembrò pensarci un
po’ su, poi emise un leggero, triste sospiro.
“Sarà vero, se lo
dici,” mugolò avvilito.
Sasuke non si fece impressionare
neppure da quella melodrammatica replica – “nii-san,
aiutami o muoio” era solito dire disperatamente al fratello quando non
riusciva ad aprire i biscotti, ai tempi dei suoi sei anni: Itachi sorrideva
sotto i baffi, con quel sorriso così discreto e impareggiabile, e gli
strappava il pacchetto di mano con uno sbuffo superiore. All’epoca Sasuke
si convinceva di ingannarlo con quelle scene di dolore, e soltanto molto tempo
dopo aveva capito che suo fratello, nella vita, non aveva fatto altro che reggergli
il gioco.
Aggrottò la fronte, accostando
il figlioletto.
“Itachi, cosa stai blaterando? Vuoi
che perda la pazienza?” esordì, sbuffando gravemente.
Itachi prese ancora qualche secondo e
poi scrollò la testa, assumendo un’espressione più
tranquilla.
“No, no,” assicurò
enfatico.
E poi voltò la testa di scatto
come nascondendo un accenno di tremolio delle labbra. Sasuke, davanti a quel
dispiacere ora dissimulato, si fece attento, cominciando a prenderlo sul serio.
Forse c’era davvero qualcosa che non andava.
“Itachi, che ti piglia?”
chiese spazientito.
“Non mi volevi?”
pigolò il bambino dandogli la nuca.
Sasuke spalancò gli occhi,
esterrefatto.
“Eh?”
“Tu non mi volevi, volevi il tuo
boa,” ripeté Itachi calmo, con tono ragionevole. Continuava a
nascondergli il viso, vergognoso, e Sasuke rimase fermo con gli occhi
spalancati.
“Ah…” emise,
allibito.
Itachi tirò leggermente su di
naso, cercando di non farsi sentire.
“Mi dispiace che ti do
fastidio,” soffiò grave, cercando invano di fare in modo che non
gli tremasse la voce.
Sasuke non se la prendeva più
di tanto per le sue messe in scena, ma mal sopportava che suo figlio frignasse
veramente per qualunque sciocchezza, come una mezza cartuccia. In quel momento
però gli sembrò così delicato, e la sua paura talmente
orrenda che, ricordando le parole dette a tavola, si sentì proprio uno
stronzo. Rimase immobile per qualche secondo, senza sapere cosa fare.
S’incupì severo, per reazione istintiva, e socchiuse le labbra
facendo per rimproverargli severamente quelle lagne. Ma le spalle di Itachi
tremarono impercettibilmente e Sasuke realizzò che lui non era Fugaku. Non avrebbe fatto di suo figlio una macchina. Che
piangesse, se voleva piangere.
Non ci pensò nemmeno su –
se l’avesse fatto, rigido com’era, si sarebbe trattenuto – ma
si lanciò verso di lui e gli strinse intorno le braccia – lo
abbracciava raramente, perché non sapeva toccare le persone – e
affondò il volto tra i suoi capelli in un ruvido bacio sulla sua
testolina – anche questo faceva raramente, eppure Itachi aveva un profumo
così buono, e i suoi capelli sulle labbra sembravano farfalle:
l’aveva fatto lui, con Sakura, ed era strepitoso.
“Allora sei più scemo di
Naruto,” borbottò, burbero, senza smettere di serrarlo a
sé. Itachi si tuffò nel suo abbraccio, sembrando prenderci
sommamente gusto: gli sfregò il muso contro il petto e allacciò
quelle sue braccia come stecchini ai suoi fianchi.
“Non mi volevi?”
ripeté enfatico.
“Ma non dire caz…sciocchezze,
Itachi” sbottò Sasuke seccamente, quasi angosciato. “Come fai
a pensare un’imbecillità simile?” aggiunse. Aveva già
fatto lo sforzo di trattenere una prima volgarità, la seconda gli
sfuggì incontrollata.
Itachi non rispose, rimanendogli
incollato, e Sasuke si sentì frustrato nell’incapacità di
comunicare che lo segnava da sempre. Serrò le labbra, con la testa che
quasi ronzava, prese fiato, contrasse le mani e sputò fuori le parole e
l’orgoglio. Con suo figlio, quest’ultimo non gli serviva comunque a
niente.
“Tu sei la cosa migliore che ho
mai fatto, Itachi.”
Si sorprese dello straordinario senso
di leggerezza successivo, amplificando e reso idilliaco dal leggero ridere gioioso
di Itachi.
“Non preferisci un boa?”
“Era un pitone, e chissenefrega,” rispose Sasuke con voce smozzicata,
sfiorandogli la schiena in una carezza incerta. “Ma il cane, Itachi, non
si può. Oltretutto Chiyo è piccola e
potrebbe essere peric…”
“Io farei attenzione!”
protestò Itachi scandalizzato, sollevando la testa verso di lui di
scatto. “Credi che non starei attento? Io non lo farei nemmeno avvicinare
a lei, o gli stacco le zampe!” aggiunse veemente, e Sasuke lo
osservò quasi destabilizzato da quell’impeto.
“Sì ma…”
azzardò, austero.
“Guarda che io faccio il
fratello maggiore,” concluse Itachi compito, assottigliando gli occhi con
sufficienza.
Sasuke perse le parole, distolse lo
sguardo, si passò una mano sul mento e gettò giù un
groppo dalla gola.
“Non è questo il
punto,” esalò.
“Non sono poi la cosa
così migliore. Non ti interessa che ci tenga tanto,”
blaterò Itachi dando sfoggio di scarsa proprietà linguistica,
forse per l’emozione.
E Sasuke Uchiha capitolò,
chinando lo sguardo.
“Vedremo tra qualche
tempo,” borbottò, alzandosi e depositando il figlio sulla sedia
come se scottasse. “Vado a vedere se la cena…”
biascicò battendo in ritirata.
Itachi aspettò qualche istante
dopo che il suono dei passi di suo padre si fu spento, poi tirò su di
naso, si asciugò gli occhi con un lembo di kimono e ridacchiò tra
sé, tronfio: Sasuke era proprio un bietolone, ed era bastato fargli
credere che dubitasse davvero dell’amore paterno per averlo in pugno:
sembrava di pietra, il suo babbo, ma sotto la scorza era un panetto di burro.
Per quello Itachi non aveva mai, mai , mai dubitato che suo padre lo
vedesse come un tesoro. Qualche volta, di sera, si sforzava a rimanere sveglio,
fingendo di dormire, finché papà non veniva a guardarlo prima di
andare a sua volta a coricarsi – lo faceva quasi sempre. Quando poi Sasuke
usciva, chiudendosi la porta alle spalle silenzioso com’era arrivato,
Itachi sprofondava nel più sereno dei sonni.
Si batté le mani da solo,
soddisfatto. Il bilancio della giornata era ottimo: un cagnolino in dirittura
d’arrivo e un luuuuungo abbraccio morbido del
suo fichissimo papà. E l’aveva anche spinto a sputare che in
pratica l’adorava. La cosa migliore,
aveva detto.
Balzò giù dalla sedia,
impugnando il pennarello, e cerchiò accuratamente la data odierna sul
calendario, senza smettere il suo risolino privato.
“Itachi! Itachi, vieni a
vedere!”
Il bambino sollevò la testa
così di scatto dalla culla della sorella, nell’udire la voce
entusiasta di Sakura, che la sua testa cozzò contro la base della
campana del vento impalcata al di sopra di essa per baloccare la bambina.
“Ohio,” borbottò
vergognoso. “Eccomi!” strillò, gettando un’ultima
occhiata a Chiyo prima di ballonzolare fuori e
caracollare giù per le scale. Al piano di sotto non sembrava esserci
nessuno, sicché si guardò intorno perplesso.
“Mamma?” chiamò
incerto.
“In giardino! E muoviti,
su!” lo incitò lei, scoppiando a ridere.
Itachi corse alla porta, sgusciandovi
attraverso con espressione curiosa, e poi il suo viso si aprì in un
abbacinante sorriso entusiasta.
“Papà!”
soffiò raggiante, inchiodando ad occhi sbarrati, senza fiato.
Sasuke era accanto alla mamma, e tra
le mani reggeva un affarino, un batuffolo nero con enormi occhi brillanti e un
nasetto scuro, lucido. Il cane sporgeva il muso verso di lui per annusarlo,
sebbene lo shinobi paresse piuttosto restio a dargli corda. Sakura li guardava
ridendo, la mano che scorreva in una carezza tra la schiena soffice del
cucciolo ed il petto del marito.
“Il mio cane!”
esclamò Itachi scattando verso di loro, fuori di sé dalla gioia. “Papà,
mamma!” biascicò, incoerente.
Si schiantò contro le gambe del
genitore tendendo le braccia di slancio, estasiato. Sasuke sbuffò
rassegnato e si piegò sulle ginocchia, abbassandosi.
“Fa’ piano, che poi il
cadavere lo devo sotterrare io,” commentò, passando lentamente la
bestiola, che latrò piano e agitò le zampette, nelle braccia
incerte di Itachi. Il cagnolino prese subito a contorcersi freneticamente,
leccandogli la faccia con estremo impegno. Itachi scoppiò a ridere di
gusto, stringendoselo contro e lasciandosi fare la toeletta.
“E’ adorabile, signor U.
Dove l’hai pescato?” intervenne Sakura, piegando un po’ la
schiena per guardalo più da vicino. Itachi, ancora ridendo, si sedette
di schianto sull’erba e il cane poggiò le zampe anteriori sulle
sue ginocchia senza smettere di leccarlo, scodinzolando freneticamente.
“Non avevo intenzione di
prenderlo. Gli Inuzuka me l’hanno rifilato
quasi a forza,” precisò Sasuke, altero e imbronciato.
Sakura gli lanciò
un’occhiata paziente, sorridendogli saputa: di sicuro, nessuno
l’aveva costretto a far nulla – era tecnicamente impossibile
obbligare Sasuke ad agire diversamente da come decideva lui stesso – ma
piuttosto che ammetterlo si sarebbe strappato le braccia.
“E’ bellissimo!”
esclamò Itachi, dando al cucciolo una leggera manata. Quello prese a
mordicchiargli le dita, simulando la lotta.
“Come lo vuoi chiamare?”
chiese Sakura, curiosa.
Itachi si
bloccò, corrugando la fronte, ed osservò il suo nuovo amico
criticamente. Il cane, in quel momento, rotolò al suolo dondolando la
pancia, mentre strattonava tra i denti i suoi pantaloni. Era ridicolo e
adorabile.
“Bombo,” affermò di
getto, illuminandosi.
“E’ rivoltante,”
commentò Sasuke asciutto, appena prima che una gomitata ben piazzata di
Sakura lo zittisse facendolo boccheggiare. “Ma è vero,”
borbottò stizzito. Lei gli strattonò il braccio, rischiando
l’incenerimento.
“Sei…sicuro,
Itachi?” cinguettò per dissuaderlo.
“Sì,” scandì
il bambino granitico. “E’ perfetto per lui. Non vedo l’ora di
mostrarlo a Minato!”
Sakura sorrise senza convinzione,
quasi imbarazzata, e Sasuke arricciò le labbra truce, sbuffando
drammaticamente.
“Come sono caduto in
basso,” strascicò sprezzante.
“Ma piantala,” lo riprese
sua moglie, spintonandolo.
Sasuke le serrò bruscamente le
braccia in vita strappandole una risata, con ripicca, e scagliò
un’occhiata eloquente ad Itachi.
“Sia chiaro, quell’animale
deve star lontano da me,” affermò altezzoso. “Non voglio
averci a che fare.”
Sakura sbuffò, prima di fargli
una pernacchia contro il collo.
“Io vado da Chiyo,”annunciò
noncurante, liquidandolo per rientrare in casa.
“Ma io stavo
pontificando,” osservò Sasuke, mostrandosi risentito.
“Appunto,”
ridacchiò amorevolmente lei.
“Possiamo costruirgli una
casa?” vagheggiò intanto Itachi, perso nella contemplazione di
Bombo.
“Ti ho appena detto che
io…” ribatté Sasuke severamente.
“Con il cartello del
nome,” continuò Itachi rapito.
Sasuke scosse la testa, bofonchiando
una lamentela.
“Ecco, così è
dritto?” chiese Sasuke, reggendo un'asse con la mano. “E levatemi
questo coso dai piedi o gli do fuoco,” ringhiò esasperato.
“Bombo è un cane, non
è un coso,” ribatté Itachi piccato. “Un pochino
più su, pa’,” aggiunse seguendo
con lo sguardo le sue manovre.
“A sinistra!” aggiunse
Sakura, che per l’occasione si era stravaccata sul prato con Chiyo tra le braccia e contemplava soddisfatta il marito, a torso nudo, arrabattarsi nel costruire una cuccia con Itachi e Bombo
che continuavano a gironzolargli intorno come invasati. Naturalmente Sasuke
aveva affermato di essere un portento nella costruzione di case di legno
– probabilmente aveva un diploma da falegname, ad Oto
– e ora stava erigendo una costruzione vagamente piramidale,
d’ispirazione cubica e tendente all’informe.
Un capolavoro d’architettura.
“Se siete tanto bravi
perché non lo fate voi?” sbottò stizzito.
“Ma sei tu che hai det…” osservò Sakura candidamente.
“Taci, signora U!” la
zittì lui torvo. “Lo so quello che ho detto. Itachi, ridammi il martello,”intimò brusco.
“Dovrei averlo io?” chiese
suo figlio, interrompendo per un istante l’inseguimento di Bombo.
“Sì, te l’ho dato
prima,” sibilò Sasuke spazientito.
“L’hai posato sul tetto
della cuccia, amore,”
suggerì Sakura ironica.
“’Mole,”
ripeté Chiyo convinta.
“E’ già pazza di
me,” commentò Sasuke sardonico. “Tutta sua madre.”
E il cane gli saltò contro
scodinzolando, con un latrato d’approvazione.
“Anche Bombo,”
commentò Itachi pacifico.
Sakura scoppiò a ridere, mentre
Sasuke corrugava la fronte.
“Dovrei ritenermi
fortunato?” bofonchiò scettico.
Peccato che stesse sorridendo.