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Autore: Altair13Sirio    02/08/2016    5 recensioni
Sveglia. Corri. Ruba. Mangia. Menti. Dormi.
Ripeti.
Questa è la vita della quattordicenne Riley, scappata di casa a undici anni e diretta verso il Minnesota piena di speranze. Una volta arrivata lì, però, Riley si è resa conto che quel posto che chiamava "casa" non era più tanto accogliente e sicuro per lei, e non volendo arrendersi e tornare indietro, ha deciso di andare avanti e vivere la vita a modo suo.
Così Riley ha deciso di dimenticare il passato e di diventare una persona nuova, una persona che niente ha a che fare con la Riley del passato; quella bambina che adora giocare a hockey, sempre in vena di scherzare, non c'è più. Riley ormai non prova più emozioni, e si limita a vivere per strada come una delinquente, in attesa di qualche evento che dia una svolta alla sua vita.
Allo stesso modo vivono le sue emozioni, che rassegnate, incapaci di togliere dalla testa della ragazza quell'idea che la fece andare via, continuano a occuparsi di lei nella speranza di farle fare le scelte giuste.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Riley Andersen, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Disgusto lasciò i comandi della console e si allontanò facendo ondeggiare il bacino con quell’aria da saccente che aveva sempre. << E’ tutta tua, Rabbia. >> Disse alzando una mano e andando a sedersi sul suo pouf viola, in tono con le pareti del Quartier Generale. Aveva fatto il suo dovere scacciando Duncan come un cane randagio e ora si rilassava, come al solito; sembrava prendere tutto con molta leggerezza, ma in realtà quando si metteva in testa una cosa la portava sempre a termine con solerzia, e nessuno poteva mettersi in mezzo. Seguì con lo sguardo la piccola sfera grigia scivolare nella propria corsia per andare a mettersi in fila assieme a tutte le altre palle grigie; i ricordi della ragazza che avevano collezionato durante la giornata.
Rabbia mise le mani sulle cloche della console mugugnando qualcosa di incomprensibile e puntò gli occhi dritto sullo schermo, dove veniva proiettato tutto quello che vedeva Riley.
<< Fai attenzione al quinto gradino… >> Mormorò rapidamente Paura, sapendo che quello specifico gradino fosse sempre pericolante; sarebbe stato un guaio se Riley si fosse fatta male inciampando lì.
Rabbia non rispose all’avvertimento del compagno, quindi quello glielo ripeté per assicurarsi che avesse capito. << Sì, sì… >> Sbuffò spingendo leggermente una delle due leve della console, facendo scendere le scale a Riley con più attenzione. Non appena il fatidico gradino fu superato, Paura tirò un sospiro di sollievo e si passò una mano sulla fronte.
<< Mi avevi sentito, oppure… >> Il dubbio assalì l’esserino viola, che volle giustamente sapere se Rabbia lo avesse ignorato di proposito o non si fosse accorto del tutto del suo avvertimento.
<< Ti avevo sentito… >> Lo precedette lui sospirando esasperato. Era fatto così, Paura: doveva essere sicuro di qualunque cosa, non poteva lasciare niente al caso, e in fondo era giusto che si comportasse così. Rabbia aveva imparato a non dare troppo peso alle sue insistenze, ma a volte era davvero difficile mantenere la calma con lui, però doveva farlo per il bene di Riley.
<< Guarda a sinistra, e poi a destra… >> Gli fece quando furono per strada.
<< Non c’è bisogno che me lo dici tutte le volte! >> Gli rinfacciò Rabbia senza staccare le mani dalla postazione di comando.
Paura si indignò e fece un passo indietro. << Scusa! Volevo solo essere sicuro che non te ne fossi dimenticato… >> Spiegò alzando lo sguardo in modo altero e incrociando le braccia.
Rabbia sbuffò via il fumo che gli usciva dalla testa e cercò di non pensare all’esserino dubbioso alla sua destra; non doveva deconcentrarsi quando seguiva Riley. In realtà anche Paura non voleva tenere il muso con lui, quella era semplicemente una delle tante scaramucce che nascevano e morivano in un secondo, lì al Quartier Generale, e sia Rabbia che Paura se n’erano già dimenticati.
A qualcun altro però piaceva vedere scompiglio in giro per casa. << Siete così carini quando litigate! >> Disse con voce di scherno la verde Disgusto, che dal suo pouf viola lontano dalla console guardava la scena con le gambe accavallate, gustandosi il doppio spettacolo di loro due e di quello che succedeva a Riley.
<< Vuoi litigare, carina? >> Chiese con tono acido Rabbia senza neanche voltarsi. Ghignava leggermente mentre teneva gli occhi fissi sullo schermo, quasi come se le stesse tenendo il gioco.
Disgusto si scrutò un’unghia con sufficienza e scosse la mano come per arrendersi; non avrebbe mai tentato di far infuriare Rabbia di proposito; avevano già abbastanza problemi senza che cominciassero a litigare tra loro… Però una volta lo aveva fatto, e l’esserino verde ricordava con gusto quel momento in cui era riuscita a manipolare il focoso rosso a suo piacimento.
Era tutta una recita: tutti sapevano come andava a finire, ogni volta. Non volevano fastidi nel Quartier Generale, quasi come se fossero arrivati a una sorta di patto che gli imponesse di non interagire tra loro a meno che non ci fosse un’emergenza grave; la maggior parte del tempo la passavano in silenzio, stuzzicandosi innocuamente per rendere un po’ più viva la giornata, ma i rapporti tra i tre esserini erano idilliaci: non si intralciavano mai.
Gioia alzò la testa per acchiappare una vista decente da dentro la sua capanna; era immersa nel buio, e quella situazione la faceva sentire ancora più al sicuro. Aveva sentito dei rumori insoliti provenire dalla console e aveva pensato che stesse accadendo qualcosa, ma doveva essersi sbagliata: adesso che non c’era più lei, le cose andavano molto meglio.
Tornò a rannicchiarsi a terra, ascoltando il suono dei propri respiri e fissando una piccola sfera azzurra, luminosa di una debole luce che emanava un senso di calore e tristezza che faceva stare meglio la piccola stellina. La guardava tutti i giorni, dall’inizio fino alla fine, ripetendo ogni volta quelle sensazioni e dolori che avevano spezzato il cuore della sua povera piccola Riley. Lei non voleva che le accadesse quello, era successo senza che se ne accorgesse, senza che potesse fare qualcosa per rimediare al danno; questo perché era incapace di fare qualsiasi cosa buona e non se n’era mai resa conto in quegli undici anni in cui aveva mandato avanti quel posto, sbagliando in continuazione ogni scelta e facendo del male a Riley e ai suoi amici. Anche lei si era fatta del male, ma non le importava… Lei non era importante, poteva sopportare il dolore nel proprio petto; quello che non poteva sopportare erano gli sguardi delusi o affranti degli altri, che dopo aver creduto in lei erano stati abbandonati a sé stessi.
Sicuramente era noioso starsene immobili per tutto il giorno in un angolino, senz’altro da fare che rimuginare sul passato, ma era necessario: il suo ruolo era quello, e ci aveva messo troppo tempo per capirlo; non serviva là fuori, dove Rabbia aveva la situazione sotto controllo tutto il tempo, dove Paura gli stava fedelmente affianco, consigliandogli e aiutandolo, e dove Disgusto sceglieva come interagire con le persone, come comportarsi al momento opportuno con chiunque… A che serviva una come Gioia, se non poteva nemmeno controllare i propri sentimenti? Era importante che restasse lì, senza dare fastidio a nessuno, tenendo nascosto quel ricordo che aveva rovinato la vita di Riley.
Però a volte le veniva nostalgia; sapeva che fosse sbagliato, ma quando le capitava di sentire quella cosa dentro di sé, si affacciava a quella finestra dai bordi tondeggianti e guardava fuori, nell’angolo lontano dalla console, dove se ne stava seduta a fissare il vuoto Tristezza, che adempieva con cura il suo lavoro di rimanere dietro la linea da lei stessa tracciata. Lei sì che faceva qualcosa di utile! Questo pensava Gioia. Pensava che l’esserino silenzioso che aveva ignorato per undici anni fosse più utile e diligente di lei, che sicuramente compiva il suo dovere meglio di lei. Ma le andava bene, perché era la verità, e non c’era modo di cambiare le cose. Non serviva a nulla dare il meglio di sé per far credere agli altri che fosse brava: non lo era. Fine della storia.
E poi era molto meglio così, non doveva fare nulla che potesse fare del male a Riley ora che si era rinchiusa nella propria casetta. La loro piccola era al sicuro dalle sue folli idee e non doveva temere più niente, perché Rabbia e gli altri avevano tutto sotto controllo, perché Tristezza faceva il suo lavoro, perché erano tutti più felici senza di lei…
   
 
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