Eccolo di nuovo lì, seduto sullo scomodo sgabello su cui aveva passato la maggior parte del suo tempo nell'ultima settimana, di fronte a sé il cavalletto e la tela, a terra accanto a lui quelle che aveva strappato nei giorni precedenti.
A guardarle saltava subito all'occhio che erano molto simili, rappresentavano una strada deserta, un cielo grigio che piangeva pioggia e una sagoma avvolta da un mantello di broccato carminio, l'unica macchia di colore in quel paesaggio desolato.
Il giovane dalla capigliatura rossa però, sapeva alla perfezione che quel dipinto era diverso perché finalmente ce l'aveva fatta, si guardò le mani sporche di pittura e la sua mente tornò indietro di qualche anno, quando il suo maestro gli aveva spiegato come ottenere il nero mescolando i colori, ricordava a memoria la combinazione blu di prussia, lacca di robbia e un pò di giallo, ma questi colori per il nero che stava cercando di creare adesso non avrebbero funzionato.
Questo nero era della sfumatura che aveva avvolto la sua anima trascinandolo senza pietà in un vortice di disperazione e sofferenza, era il nero che odiava, quello in cui sprofondava senza possibilità di salvezza e, ironia della sorte quel nero che tanto odiava era lo stesso degli occhi del ragazzo che dopo tempo immemore era giunto come un vento fresco a smuovere la cenere sotto cui si nascondeva ancora una debole fiamma.
Rialzando gli occhi, il pittore prese il pennello con mano tremante e lo intinse per l'ultima volta nella tavolozza, poi diede il tocco finale al dipinto, immobile, guardò il suo capolavoro specchiandosi negli occhi del colore che odiava sul viso dell'unica persona che avesse mai amato e sorrise. Poi fu il nulla.