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Autore: Fauna96    02/08/2016    3 recensioni
[Lockwood & Co.]
[Pre serie; Fittes & Rotwell]
- Io penso che dovremmo fare qualcosa al riguardo –
- Cosa, di preciso? –
- Combattere i fantasmi, no? Vuoi che ammazzino altra gente? Ci sono persone che lo fanno di mestiere, se leggessi di più lo sapresti –
- Cosa, le tue stupide riviste di fantascienza? E comunque sono tutti imbroglioni, Rotwell! –
- Ma noi no! “Acchiappafantasmi Fittes & Rotwell”, che ne dici? –
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In the half light we run
 

Qualcuno bussa alla porta della sua camera. Chissà chi è: suo padre, sua madre, o sua sorella. Oppure il dottore, curioso di vedere come vada la sua nevrosi (il caso più interessante in paese da vent’anni, minimo). Marissa resta seduta sul letto, il mento sulle ginocchia, gli occhi fissi nel vuoto. Prima o poi, chiunque ci sia dall’altra parte si arrenderà.
Dopo una breve pausa, il bussare si fa più insistente, seguito da una voce inaspettata: - Fittes? Vuoi piantarla di fare la bambina? –
Marissa è così sorpresa che, nonostante tutto, si alza e apre la porta; Tom Rotwell la fissa di rimando e con quell’espressione sussiegosa pare registrare tutto: gli occhi arrossati, la camicia da notte e il fatto che rimanga comunque più basso di lei di una spanna.
- Cosa vuoi? – borbotta Marissa, ignorando l’inatteso piacere nel vederlo.
Rotwell si stringe nelle spalle e le mette un piatto di biscotti sotto il naso. – Mi manda mia madre: crede che col cibo si possa risolvere tutto  - Ma certo: Rotwell non fa mai nulla di gentile di sua sponte. Ma Rotwell non fa nemmeno nulla di quel che sua madre gli dice. – Volevi vedere la pazza? Vedere se fossi seduta in un angolo a parlare da sola? –
- Fittes, ti ho detto di piantarla. Io non sono uno di loro, ricordi? Eravamo in due a... vedere quel che abbiamo visto -.
A quello Marissa stringe le labbra. Ha ragione. Gli strappa di mano il piatto (perché i biscotti della signora Rotwell sono buoni e lei ha fame) e lo fa entrare.
Rotwell e lei non hanno una vera conversazione da quasi due anni, da quando Rotwell è entrato in quella stupida fase maschile in cui si odia l’intero universo femminile; persino Marissa, che probabilmente è la ragazza meno femminile del creato.
Si accomoda senza permesso sul pouf (si appollaiava sempre lì anche prima) e la fissa con i suoi occhi affilati. Tutto in Rotwell è affilato, dai lineamenti alle parole, e dà la costante impressione di stare per dire qualcosa di scortese. La maggior parte delle volte, l’impressione è corretta. C’è stato un tempo in cui a Marissa la sfacciataggine di Rotwell piaceva, soprattutto perché faceva il paio con la propria. Ora, non ha una precisa opinione al riguardo.
- E’ stato un... – esita un attimo prima di pronunciare la parola proibita – un fantasma, vero? A uccidere Amanda Johnson –
Marissa annuisce, anche se non le piace molto il termine; ma effettivamente, come altro possono chiamarlo?
- Cos’è successo? –
Marissa grugnisce. – Lo sai cos’è successo. Ne parla tutto il paese -.
Rotwell rotea gli occhi. – So quello che dicono. E se fosse vero, tu saresti già in viaggio verso il Bedlam
* -.
Quel che è successo è in realtà molto semplice. Era già passato il crepuscolo e Marissa era vicino al fiume a... non se lo ricorda più, a fare cosa. Sull’altra riva Amanda Johnson, qualche anno più grande, si affrettava verso il ponticello, per tornare a casa. Non c’era mai arrivata.
- Era lì... rigida e blu. E quel... coso... sembrava un cadavere, l’immagine di un cadavere... l’ha uccisa. E poi guardava me -.
- Ma non ti ha uccisa – Rotwell socchiude gli occhi – Perché? –
- Grazie per la tua preoccupazione, Rotwell –
Lui fa un verso spazientito: - Sto solo... – inizia, ma si interrompe quando vede il sorriso abbozzato di Marissa; sbatte le palpebre, come se non fosse più abituato alle battute, alla confidenza che c’era tra loro, poi infine ricambia il sorriso.
- Era come se non potesse venire da me – riprende Marissa tornando seria – Forse è stupido ma... non è che ha paura dell’acqua? –
- Oppure eri tu – suggerisce Rotwell – Magari aveva paura di te, in qualche modo –
- In che modo? –
- Non lo so, della tua faccia! –
Un deciso bussare interrompe il loro ridicolo battibecco. – Missy? Cosa stai combinando lì dentro? Chi c’è? –
Rotwell non riesce a trattenere un ghigno e Marissa alza gli occhi al soffitto. Missy, per l’amor del cielo.
- Niente, Joanna... c’è qua Rotwell –
La porta si apre e sua sorella lancia un’occhiata vagamente sospettosa a lei e molto sospettosa a Rotwell, che non le è mai piaciuto. Non è la sola a pensare così di lui, affatto.
Rotwell capisce l’antifona e, per una volta, non la ignora: si alza, recupera il piatto vuoto e accenna un sorriso beffardo. – Stammi bene, Fittes. E anche tu, Joanna –
Se la batte prima che una delle due sorelle possa replicare, ma non prima che Marissa abbia colto il suo sguardo. Sa bene cosa significa: guai.
 
Iniziarono a chiamarsi per cognome per gioco, come tante altre cose. Dopotutto, loro erano soci, e una volta il signor Rotwell aveva detto una cosa sul fatto che il nome di battesimo dava troppa confidenza ai colleghi. A sei anni, né Tom né Marissa avevano ben chiaro il significato di ‘confidenza’, ma parve loro comunque una buona idea chiamarsi per cognome. La cosa aveva suscitato grande divertimento negli adulti del quartiere; ripensandoci, anche Marissa deve riconoscere che doveva essere piuttosto ridicolo vedere ciondolare in giro due mocciosetti che si urlavano l’uno il cognome dell’altra. Anche ora non riesce a pensare a lui come ‘Tom’ e senza dubbio si sentirebbe a disagio se lui la chiamasse Marissa.
Pure il sussurro che proviene dal giardino è un “Fittes!” al quale è più che abituata, così come lo è all’ora improbabile. Ma se devono andare a caccia di fantasmi, non possono certo farlo alle undici del mattino.
Rotwell la aspetta con in mano due attizzatoi (almeno non ci inciampa più sopra) e con quell’espressione elettrizzata che ha sempre accompagnato le loro scorribande notturne.
Senza una parola si dirigono verso il punto incriminato, che di giorno pullula di poliziotti che non sanno bene che pesci pigliare. Si acquattano dalla parte sicura e si fissano.
- Allora? – chiede Marissa stringendosi addosso lo scialle “preso in prestito” da sua madre; è solo aprile, le notti sono fredde.
Rotwell appare indeciso sul da farsi. - ...Aspettiamo? – propone, brandendo l’attizzatoio come se fosse una spada. Marissa alza le spalle.
I fantasmi, o qualunque cosa siano, non sono una novità per loro. Come in tutte le città del mondo, c’è anche qui una casa stregata e, come tutti i bambini del mondo, anche loro hanno fatto la prova di coraggio entrandoci. Solo che lì dentro c’è davvero qualcosa. Erano luci e pallide ombre soprattutto, nessuna delle quali sembrava particolarmente interessata a loro; all’inizio Marissa non le vedeva nemmeno, al contrario di Rotwell, che si era fatto bianco come un lenzuolo la prima volta. Marissa sentiva più che vedere: lievi sussurri, fruscii, parole che non riusciva a comprendere.
Avevano fatto un patto col sangue, come nei libri d’avventura, giurando di non rivelare a nessuno cos’avevano visto; non che qualcuno avrebbe creduto loro comunque, come esemplificato recentemente.
Solo dopo un po’ Marissa si accorge delle rapide occhiate che le lancia Rotwell; sembra nervoso, ma non tanto per la situazione, per il fantasma.
Alza le sopracciglia. – Be’? Cosa vuoi? –
- Nulla. Solo che... non ti dà fastidio? Due giorni fa hai visto morire una persona e... eccoti qua -.
Tipico di Rotwell: preoccuparsi delle conseguenze dopo.
Ad essere sincera, Marissa non se n’è nemmeno accorta. Cioè, non ci ha pensato, ha evitato di pensarci fino ad ora, quando il corpo blu e gonfio di Amanda Johnson le si riaffaccia alla mente. Deglutisce. Non ha intenzione di dire una parola al riguardo a Rotwell.
- Sto benissimo – taglia corto.
Rotwell borbotta un okay e chiude la bocca. Segue un silenzio imbarazzato, come raramente c’è mai stato tra loro: Rotwell aveva sempre qualcosa da raccontare e Marissa, pur non essendo loquace quanto lui, contribuiva con commenti scanzonati. Si ritrova un po’ a rimpiangere quei tempi, più semplici e di sicuro più divertenti. Sospira, fa per aprire la bocca per dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma si ferma. C’è un rumore, in lontananza ma chiaro: cani che abbaiano.
Dà di gomito a Rotwell. – Li senti? Ci sono dei cani –
- Cani? – ripete lui – Fittes, non ci sono cani... al massimo qualche uccello –
- No, no, ci sono anche dei cani che si avvicinano... – Marissa si interrompe. Da qualche parte, insieme al ricordo della paura e dello shock di quella sera, affiora un’altra memoria.
- C’erano anche due giorni fa – mormora – Li ho sentiti... erano con lui -.
Rotwell allenta appena la presa sulla sua spalla e si volta. Dopodiché pronuncia una delle imprecazioni più colorite che Marissa abbia mai sentito.
Lei lo vede leggermente sfocato, come le foto dei nonni da giovani; ma non ci vuole molto per intuire le membra putrefatte, il viso a brandelli... il gelo.
Restano immobili, come incollati al terreno, incapaci di muoversi o di dire una parola. Persino i pensieri sono difficoltosi, gli unici coerenti riguardano il terrore e la sensazione di morte... e i cani ululano e ululano...
- Basta! – la voce di Rotwell è come un colpo di pistola; Marissa sente la sua mano, gelida ma solida, afferrarla, trascinarla via, e lei non oppone resistenza, non potrebbe nemmeno se lo volesse.
- Fittes! Guardami! – Rotwell ha il fiato corto, il viso pallido coperto da un sudore freddo; la stringe forte per le braccia, le fa male, ma è un dolore buono, in qualche maniera: le ricorda di essere viva. Prende un respiro profondo e sente qualcosa sciogliersi dentro di lei.
- Ci sono... sto bene, Rotwell. Grazie -.
Rotwell sembra rendersi conto all’improvviso quanto siano vicini e la lascia andare, facendo un passo indietro.
Sono tornati al limitare del boschetto, proprio accanto alle case, alla gente, e la notte sembra essersi fatta all’improvviso più mite. Si fissano in silenzio, poi Rotwell azzarda un: - Be’, era veramente disgustoso, quel coso – e basta quello per farli scoppiare in risatine isteriche.
 
Sarà piuttosto difficoltoso, il giorno dopo, trovare una spiegazione al fatto che due attizzatoi, riconosciuti poi dai signori Rotwell come propri, si trovino in un cespuglio proprio ai margini del fiume.
 
***
 
- Cos’avevi raccontato poi ai tuoi? –
Rotwell alza le spalle, fa roteare il vino nel bicchiere. – Non so, non ricordo. Forse nulla –
Marissa fa un verso scettico: il giorno in cui Rotwell non avrà un fantasiosa bugia da raccontare, sarà il giorno in cui lei appenderà lo stocco al chiodo e si darà a salotti letterari. Dietro di loro, la festa d’inaugurazione dell’Agenzia di Investigazione Metapsichica Fittes procede a gonfie vele anche senza di lei. Anzi, meglio senza di lei: Ned è un anfitrione eccellente.
- La tua Audrey è molto... vivace. E bellissima – azzarda e Rotwell grugnisce. – Rumorosa, vorrai dire. Ma è colpa mia: cosa dovevo aspettarmi da un’attrice americana? –
Si scambiano un sorriso e Rotwell inclina il capo di lato. – Grazie, comunque. E Ned è... affascinante -.
E’ patetico: hanno venticinque anni suonati e ancora si danzano intorno impacciati come se ne avessero quindici.
 
- Rotwell, mi stavi guardando le gambe? Seriamente? –
- No! Ma tu potresti anche metterti una gonna un po’ più lunga! –
- Per inciamparci sopra e finire tra le braccia di uno Spettro? –
 
- Grazie. Lui, sai, è anche un ottimo spadaccino –
- Più bravo di me? – Rotwell fa un mezzo sorriso che vuole essere provocatorio e invece è terribilmente malinconico. Stona un po’ sul suo viso, che sembra fatto più per ghigni taglienti sfacciati, anche se non è più un ragazzino insolente. Non le dà il tempo di rispondere, perché ride piano e aggiunge: - Credo proprio che dovrei aprire pure io un’agenzia. Come faresti senza un degno concorrente, altrimenti? –
Marissa ricambia il sorriso, sollevata che il discorso si sia spostato su un terreno più sicuro. – Mi spiace per i poveri bambini che prenderai sotto la tua ala -.
Non parlano, non vogliono parlare di quel vecchio progetto mezzo dimenticato, un sogno nel cassetto, più che altro, impolverato per i troppi anni.
 
- Io penso che dovremmo fare qualcosa al riguardo –
- Cosa, di preciso? –
- Combattere i fantasmi, no? Vuoi che ammazzino altra gente? Ci sono persone che lo fanno di mestiere, se leggessi di più lo sapresti –
- Cosa, le tue stupide riviste di fantascienza? E comunque sono tutti imbroglioni, Rotwell! –
- Ma noi no! “Acchiappafantasmi Fittes & Rotwell”, che ne dici? –
- ... Hai messo il mio nome davanti. Come mai questa gentilezza? –
- Suona semplicemente meglio, Fittes -

 



*Bedlam: Bethelem Royal Hospital, famoso ospedale psichiatrico di Londra





In estate divento incredibilmente pigra, quindi ci ho messo un sacco a scrivere questa storia, anche se è da molto che mi frulla in testa. Ah, Fittes & Rotwell. Li adoro e voglio sapere tutto su di loro, come hanno scoperto tutto sui Visitatori e perché, perché abbiano aperto due Agenzie diverse (io un’idea ce l’avrei ma...)
Chiaramente, siamo agli albori del Problema, quindi nessuno sa niente di niente; all’inizio, Fittes e Rotwell hanno circa dodici anni... e sì, Ned è il marito di Marissa (che però si è mantenuta il cognome, ovviamente e questo non interessa a nessuno)
Lo Spettro: perché i cani? Perché quel poverino è stato sbranato dai cani del signore del luogo nel 1300 o giù di lì; no, non so da dove abbia tirato fuori tutto ciò.
 
[Titolo rubato da Half Light I degli Arcade Fire]
  
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