Film > Zootropolis
Segui la storia  |       
Autore: DeniseCecilia    03/08/2016    12 recensioni
Una fanfic dedicata a Judy, a Nick e a un possibile "noi".
Alle scelte che il mondo ci chiede di fare e che non possiamo ignorare, se vogliamo crescere.
Ma che, in fondo, sono soltanto nostre, e di chi amiamo.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Hopps, Judy Hopps, Nick Wilde, Stu Hopps, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mi scuso in anticipo coi maschietti per le eventuali castronerie che posso aver scritto – capirete subito a che proposito.
A mia discolpa, il fatto che non sto mettendo giù un manuale, ma una storia, che spero continui a divertirvi.
Mi bastava rendere l'idea.

 

Per tutto il resto, non mi pento di niente (cit.).
 


 

XVIII. Ferite

 

L'aveva osservato per tutto il pomeriggio, mentre sua moglie si divideva tra il thé della domenica con le amiche ed un ennesimo, vano tentativo di convincere la figlia a desistere dall'idea di sposarsi.
Un coniglio che spia, letteralmente, un altro coniglio – il primo attrezzato con binocolo, tuta mimetica e arnesi da meccanico; il secondo, ignaro, che alterna la semina di un appezzamento di terra con frequenti pause.
Era tutto uno scattar selfie, così almeno parve a Stu Hopps: ogni due per tre infatti Rick Hamilton fermava il trattore, si metteva in qualche posa pretenziosa – metteva in mostra i bicipiti, o imitava mosse di kung-fu – e cliccava.
Avanti di questo passo, e faremo notte, pensò Stu ben infrattato nel suo cespuglio sulla collina.
Ma non appena ebbe finito di pensarlo, ecco che Hamilton ripartì per portare il suo amato John Deere sotto la tettoia adiacente al granaio, parcheggiare e smontare.
Alla buon'ora, pensò Stu pregustando con un sorriso ciò che stava per fare.
Hamilton si avviò verso un casale, ma Hopps non si mosse per altri dieci minuti. Se ne restò in quieta e lucida attesa, nel caso l'altro coniglio avesse scordato qualcosa e fosse tornato sui suoi passi, o per qualsiasi altra eventualità.
Solo quando vide le luci temporizzate del patio spegnersi, e il riquadro azzurro della televisione comparire in una stanza che non vi si affacciava direttamente, si sollevò dalla posizione sdraiata che aveva tenuto per ore, si sgranchì e raccolse le due sacche che aveva con sé: quella vuota, e quella con gli attrezzi.
Si calò una calzamaglia color carne, trafugata a Bonnie, sul muso e scese.
Il trattore dormiva sonni tranquilli.
Con la massima cautela, Stu si arrampicò su una delle ruote anteriori, sollevò il cofano facendo leva con un piede di porco, camminò sopra il motore del grosso automezzo e si mise al lavoro.
Staccò connettori metallici e tubi.
Estrasse la batteria, che lasciò scivolare nella sacca vuota sulle sue spalle, così come la ventola e le cinghe di trasmissione.
Poi si occupò di smontare il radiatore. Lo sollevò e gettò da basso, sopra una balla di fieno telata poco distante. L'avrebbe recuperato più tardi.
Si fermò a verificare, binocolo alla zampa, che nella casa Hamilton non si fosse spostato, e si preparò alla seconda parte del lavoro.
Calò il cofano attento a non fare rumore e ridiscese.
Cercò, e trovò, una scaletta che gli consentisse di raggiungere le componenti inferiori del motore.
Le connessioni elettriche le strappò: non avrebbero più connesso nulla, tanto valeva sbrigarsela.
Collettore e raccordi di scarico: via.
Convertitore di coppia: via.
Trasmissione, con tutti i bulloni: via.
Arrivato a quel punto, stanco per il lungo appostamento e con le braccia doloranti per la fatica, fu tuttavia un gioco per Stu caricare il motore vero e proprio, il radiatore ed altri ammenicoli su una carriola – che Hamilton, ne era certo, sarebbe stato lieto di prestargli – per portarseli al furgone.
Tre chilometri di distanza, ma ci teneva a fare le cose per bene ed evitare d'essere beccato.
Un ultimo dettaglio, e poi toccava sbrigarsi per tornare a Bunnyburrow in tempo per salutare Judy e Nick prima che partissero.
Trasse di tasca un biglietto preparato in precedenza, risalì sul predellino e lo posizionò sotto un tergicristallo.
Si era preso del tempo, per scegliere le parole.
La prossima volta, invece del motore smonto te.
Un padre.
Era certo che Hamilton, per idiota che fosse, avrebbe inteso il messaggio.

 

Se Judy era ancora arrabbiata, in quel frangente non ne diede mostra.
D'altra parte era troppo presa a tenere a bada la madre, indecisa tra l'abbandonarsi a una scenata, un estremo tentativo di liberare Judy da un destino catastrofico, o sdilinquirsi di piacere nel vederla con un Cartier al dito. Il Cartier, quello di famiglia.
Stu Hopps fu più veloce, e neutralizzò le ultime resistenze della moglie semplicemente stringendo la zampa di Nick nella sua, ancora sporca di olio e polvere; e così sigillando la questione.
“Suppongo sia comunque meglio una volpe, di un coniglio sconosciuto che fa irruzione e insulta un po' tutti”, concesse infine Bonnie.
Non era un entusiastico benvenuto in famiglia, ma per ora Nick sentiva di potersi accontentare.
Coniglio buzzurro 0, Volpe astuta 2, pensò, seppure con una punta di rammarico per la piccola discussione avuta poco prima con Judy, che inquinava il suo successo.
L'importante era che i futuri suoceri non avessero subodorato e quindi chiesto nulla, sarebbe stato penoso e difficile da gestire.
Un lungo giro di saluti a fratelli e sorelle per Judy – Nick se la cavò con un saluto collettivo – e poi volpe e coniglia raggiunsero il loro treno.
Le ombre della notte cominciavano a calare proprio allora.

 

Avevano tacitamente concordato di rimandare i chiarimenti, e di prendersi una decina di minuti per chiamare Ben e Fru-Fru: gli avrebbero chiesto se desideravano essere loro testimoni di nozze.
Magari, poi, avrebbero affrontato il loro scazzo con più serenità.
Nick si era, anzi, quasi del tutto ripreso e, forte della sua conoscenza di Judy, mentre tornava verso lo scompartimento stava mettendo insieme una linea di difesa che includesse anche delle scuse.
Ma quando, avvicinandosi, con le maledette orecchie ipersensibili che si ritrovava la sentì fare il nome di Gideon – vicino alle parole litigato, paura, fiducia e cosafaccioadesso – agì dando voce all'impulso meno equilibrato e più distruttivo che aveva a portata di zampa.
Aprì la porta senza bussare obbligandola a terminare la telefonata, e lasciò uscire quel che sentiva senza filtri.
“Potresti chiedere a me cosa fare adesso, per esempio. E' a me che hai dato addosso stasera, proprio quando ti stavo chiedendo...” – aiuto era la parola, ma Nick non la pronunciò – “ti stavo chiedendo una cosa importante. E' con me che dovresti chiarirti, non con lui”, rimarcò, freddo.
“E' un amico, e quando si hanno problemi si chiede consiglio agli amici, Nick” si giustificò la coniglietta. “Stavo cercando di – ”
“... farti consolare, Judy. Cercavi di farti consolare, perché oh, non sia mai che qualcuno, e in particolare io, metta in dubbio la tua immagine di mammifera tutta d'un pezzo”.
Mai Nick Wilde riuscì tanto tagliente come in quell'istante, quando di essere tagliente non aveva punto intenzione.
In verità, voleva solo andare al nodo della faccenda, e il nodo era che Judy si era sentita messa in discussione. Una cosa che le faceva dare di matto.
A torto o a ragione, aveva creduto che Nick stesse mettendo in dubbio la sua convinzione, determinazione e volontà; ed ora eccoli lì.
Freschissimi di fidanzamento ufficiale, e alle prese con il loro primo... beh, secondo litigio.
“Ora sei crudele, Nick”, gli disse lei, ma con tono battagliero.
Ecco. Crudele. La volpe non credeva che avrebbe più rischiato di sentirsi così, non con Judy, ma stava succedendo. Tradito. Accusato.
Se poche ore prima si era arrischiato a sbilanciarsi, a parlare delle sue paure, era perché con lei si sentiva al sicuro. Si era mostrato vulnerabile, si era lasciato andare.
Si era lasciato andare così tanto che aveva sentito il bisogno di richiudersi a riccio, rannicchiarsi in se stesso giusto un po', il tempo di prepararsi a riparlarne.
Ma per una volta Judy non l'aveva capito.
O, comunque, non aveva voluto difenderlo.
Perché era occupata a difendere se stessa.
“Sai cosa? Ti sollevo dal peso della mia crudeltà, e vado a farmi un giro”, le disse allora, facendo l'unica cosa che sapeva davvero fare quando si sentiva isolato e sotto attacco: del sarcasmo duro e puro.
Per un attimo, un attimo soltanto, sperò che Judy lo trattenesse e lo pregasse di non andare, di parlare. Ma non lo fece, e lui si eclissò.

 

Avrebbe potuto, dovuto trattenerlo, pregarlo di non andare, di restare e parlarne.
Si era pentita immediatamente di avergli tenuto testa, anziché scusarsi e basta.
Ma aveva sempre avuto questo vizio: poiché le era toccato lottare contro tutti per fare ciò che desiderava e riteneva giusto per sé, aveva sviluppato un'insana sete di riconoscimenti, una sete che non si spegneva mai.
E quando aveva sentito Nick dire le parole sbagliate per il motivo giusto, aveva ignorato il motivo e si era fissata sulle parole.
Aveva lasciato che l'orgoglio prendesse il sopravvento.
E che facesse danni.

 

In corridoio, la luna inondava della sua luce perlacea il profilo rugoso e scavato di un vecchio elefante dalla pelle cadente.
Seduto su una panchetta a ribalta davvero troppo piccola per il suo sedere, sembrava tuttavia non farci caso, e incurante degli scossoni del treno si stava preparando una sigaretta con cartina e tabacco, tenendola sospesa a mezz'aria vicino al finestrino abbassato.
“Guai in paradiso?”, domandò a Nick quando questi gli passò davanti.
Sorpresa d'essere stata interpellata, la volpe non rispose subito.
Si sedette di fianco all'elefante e sbuffò.
“Così pare”, rispose laconico.
Il pachiderma colse il sottinteso e non disse più nulla, si limitò ad offrire a Nick la sigaretta appena confezionata.
“Grazie, no”.
Una fiammella balenò nell'oscurità, poi sparì, lasciando in sua vece soltanto un tondino rosso di braci accese.
“Non si potrebbe fumare, qui dentro”, notò Nick distrattamente.
“Vedi dei controllori, qua attorno?”, chiese l'elefante.
“Domanda pertinente”, osservò la volpe, evitando di precisare che, in effetti, lui era un pubblico ufficiale. E avrebbe dovuto fargliela spegnere.
Molte cose dovrei fare, rimuginò. Non lasciar passare troppo tempo e ricucire con Judy, per esempio. Anche a costo di camminare sui ceci.
“Mai andare a letto senza aver fatto pace con chi ami”, ecco un'altra cosa che sua madre, finché era vissuta, gli aveva ripetuto costante.
Nick sapeva che quella storia, per quanto spiacevole, non era affatto così grave come appariva. Sapeva che erano l'impulsività e l'emotività a parlare – sì, persino in lui – e che quello era soltanto uno stupido fraintendimento, non un vero tradimento. Ma sapeva anche che più tempo trascorreva prima della riconciliazione, più difficile diventava metterla in atto.
Non voleva che quello scontro si trasformasse in una orrenda replica del post conferenza, come usava chiamarlo.
“Arrivederci”, disse dunque di lì a poco dopo una breve, silenziosa valutazione; rialzandosi e lasciando lo sconosciuto viaggiatore al suo personale vizio.

 

Mi sono messa nei guai. La situazione è grave, e tornarci sopra ora non farebbe che peggiorarla, pensò Judy, raggomitolata sotto l'esile lenzuolo della cuccetta.
Non era quella in cui aveva dormito all'andata insieme a Nick.
Se parlassimo adesso, ci faremmo altro male. Ed io l'ho già ferito abbastanza. Meglio attendere, meglio dormirci su, domattina tutto sarà più facile.
Tese la zampa oltre il cuscino e, con un tocco all'interruttore, cancellò l'odiosa luce che la faceva sentire esposta.
In un amen, tutta la potenza del suo orgoglio era sfumata, scemata come un fiammifero cui venga tolto l'ossigeno.
E l'aveva lasciata con la vergogna d'aver aggredito verbalmente, non una volta ma due, l'animale cui teneva di più al mondo.
Chiuse gli occhi e si voltò verso la parete.

 

Troppo tardi, lei già dormiva.
Una sottile inquietudine, proprio come alcune ore prima, si impossessò di Nick, che la attribuì alla tensione e se la scrollò di dosso.
Dormirono separati, ciascuno convinto che l'altro fosse tutt'ora arrabbiato.
Ciascuno considerandosi il vero responsabile dello screzio avuto, e conscio della sofferenza del compagno o della compagna più del proprio stesso respiro.
Passerà, fu il mantra di Nick quella notte, mentre Judy, più scossa, si dedicava agli aggettivi: stupida, ottusa, meschina ed egoista i suoi preferiti.

 

Nick Wilde aveva sempre avuto una passione per i film che raccontavano inseguimenti e peripezie in auto, da Getaway a Fast and Furryous.
Per questa ragione, mentre McHorn traghettava lui e Judy attraverso Zootropolis a colpi di slalom, su una volante con luci e sirene attivate, i suoi problemi con la coniglia gli parvero ancora più banali e perfettamente risolvibili della sera precedente.
Tuttavia, era deciso a non rimandare oltre il chiarimento: non appena fossero giunti davanti al tribunale, l'avrebbe affiancata e si sarebbe scusato. A quel punto non importava chi avesse ragione, o chi avesse ferito l'altro per primo, contava solo raggiungere l'obbiettivo e piantarla.
“Unità 44, datemi la vostra posizione. Il soggetto ha preso un ostaggio, abbiamo bisogno di rinforzi subito”, gracchiò una voce alla radio. Bogo.
Nick staccò il microfono dalla postazione, premette un tasto e rispose.
“Siamo in arrivo, capo. A meno di due chilometri, sulla F14”.
Veloci!” intimò loro Bogo.
“Hopps, i giubbotti antiproiettile sono sul pianale”, suggerì McHorn.
Judy si allungò per recuperarne due: il rinoceronte era in divisa e armato, loro due erano invece in abiti civili. Il collega era stato mandato a dare loro uno strappo dalla stazione alla centrale, quando, appena saliti in auto, avevano ricevuto la chiamata.
“Ci mancava solo un pazzo che mettesse a soqquadro il tribunale, oggi”, si lamentò quest'ultimo dando strattoni al volante.
“Nessuna idea del perché ha minacciato quel giudice?”, chiese Nick.
“Non che io sappia. Ma scommetto un cinquantino che il tizio ha in piedi una causa di affidamento dei figli. Sono quelli che sclerano più spesso”.
I tre tacquero, preparandosi mentalmente ad intervenire.

 

L'azione calma l'ansia e la paura, si sa.
Il pensiero che là dentro, in quell'edificio grossolano e sgraziato, un alce stava tenendo sotto tiro un ostaggio – se fosse il giudice, un dipendente o un visitatore non era ancora chiaro – riportò l'animo di Judy in uno stato di equilibrio e concentrazione totali.
Tocca a me scusarmi, si disse mentre raggiungeva i colleghi del distretto di Savana, che formavano un cappannello dietro due auto schierate a barriera.
Prima pensiamo a trarre in salvo chiunque sia stato sequestrato, poi, per primissima cosa, mi riappacificherò con Nick. A costo di camminare sui ceci.
“Hopps”, si presentò ai colleghi. “E lui è Wilde”, aggiunse indicandolo.
“Entriamo in servizio ora e non abbiamo avuto modo di recuperare le nostre armi”, spiegò.
“Nessun problema, agenti”, rispose un tasso di mezza età, che dall'atteggiamento doveva essere un veterano, senza neppure guardarla.
“Il capitano Bogo ci ha detto del vostro arrivo, vi abbiamo preparato queste”, aggiunse porgendo a ciascuno una sparadardi.
“Mi corre l'obbligo di avvertirvi che Reuben, il sequestratore, è in possesso di una normale pistola vecchio stile, una Sig Sauer”.
“Una Sig?” si stupì Nick, non tanto per l'oggetto in sé – in città le pistole tradizionali erano ancora tanto diffuse quanto le sparadardi, specie nel sottobosco criminale – quanto per il fatto che potesse essere stato introdotto in un tribunale.
“E... i controlli?”, intervenne Judy, esplicitando la perplessità di entrambi.
“I controlli in ingresso vengono effettuati sui visitatori, ma non su avvocati e giudici. E' assurdo, ma è così. Non lo sapevate?”, chiese il tasso.
Judy e Nick si sentirono un bel paio di deficienti.
“Non prendetevela. Siete in gamba, mi dicono, ma comunque dei novellini”. Li guardò, o sarebbe meglio dire squadrò, per la prima volta.
“Sembra proprio che Reuben abbia pagato, e profumatamente, un avvocato perché trasportasse l'arma all'interno. Sta là dentro a spifferare ogni dettaglio da un quarto d'ora”, spiegò un lupo alle sue spalle. “L'arma era nascosta in un cesso da almeno un mese, allo stronzo è bastato andarla a recuperare prima dell'udienza”.
“Non è uno stronzo”, dichiarò seccamente, a sorpresa, il tasso. “E' il soggetto, il sequestratore, quel che preferisci – ma non un nemico. Modera i termini per moderare il pregiudizio, Wess”.
Il lupo assentì con un grugnito.
Non era la prima volta che il suo capo gli impartiva quella lezione.
Su tutti i presenti calò un silenzio teso.
Si consultarono con i due uomini all'interno che per primi erano intervenuti, stabilirono un piano d'azione per accerchiare Reuben e indurlo a deporre l'arma, senza dover arrivare allo scontro.
Si disposero in due file e, raggiunto l'ampio ingresso, alcuni poliziotti penetrarono nell'edificio sfilando radenti alle pareti mentre altri – fra i quali Nick e Judy – si posizionarono in piedi sulle scale.
Il loro compito ora era quello di attendere, attendere soltanto, per prevenire una fuga.

 

Trascorsero due interminabili minuti.
Le radio agganciate alle spalline degli agenti rimasero mute.
Finché, dopo un ronzìo metallico, arrivò un'indicazione.
“Preparatevi a mettere in salvo l'ostaggio. Sta venendo verso di voi”.
“E il soggetto?”, chiese il tasso. “Informatemi sulla situazione”.
“Capitano Malloy... non c'è una situazione”, rispose la voce, ansante.
“Sarebbe a dire?”.
“Non abbiamo idea di dove si trovi Reuben. Ci ha tirato addosso un fumogeno, ha mollato la donna ed è sparito. Non abbiamo sparato alla cieca per non colpirla”.
“Avete fatto bene” lo rincuorò Malloy “ma ora non cercatelo. Uscite ed unitevi ad una squadra, a meno che non la incrociate strada facendo. Occhi aperti”.
Un fumogeno, cazzo, pensò tra sé il capitano. E poi cos'altro.
“Avanti”, ordinò, e gli agenti alle spalle sue e di Bogo si mossero in perfetta sincronia.
Nick si trovò così nuovamente di fianco a Judy e, avanzando in posizione d'attacco, parlò.
“Fai attenzione, ti prego. Ho bisogno di te” le disse sottovoce.
“Per chiarire la nostra scaramuccia, non per altro, ovvio”, aggiunse un secondo dopo, a titolo di tutela della sua dignità. O di ciò che ne restava: in quegli ultimi giorni si era praticamente strappato il cuore dal petto e gliel'aveva consegnato in un bel pacchetto con tanto di fiocco, perciò...
… altri quattro, cinque passi.
Sempre che ciò fosse possibile, in quella situazione di tensione, Judy si sentì intenerire.
Era una dichiarazione d'amore in piena regola, più bella di quella classica che le coppie si ripetevano in film e libri e che loro due ancora non si erano scambiati.
Avevano usato perifrasi, scherzato, sottinteso; ma non se lo erano ancora detto apertamente.
Forse spettava a lei rompere gli indugi.
Forse, quella circostanza non era migliore né peggiore di altre per farlo.
Così si risolse.
Altri passi avanti, altre scariche dalle radio che, sperava, avrebbero coperto a orecchie estranee le sue parole.
“Nick, io ti – ”
Si bloccò – lei, e tutto il mondo intorno – quando con la coda dell'occhio perse di vista il profilo della volpe che le camminava accanto.
Si volse appena in tempo per vederlo andar giù.
Il senso di quanto stava accadendo la raggiunse una frazione di secondo troppo tardi, accompagnato da uno spiacevole senso di estraneità.
Separata dall'evento fisico che l'aveva prodotta, la percezione degli spari si formò sulla superficie della sua coscienza nello stesso modo in cui la luce delle stelle raggiunge l'occhio animale – quando ormai tutto è compiuto, ed esse sono morte.
Si ascoltò gridare senza riconoscere davvero la propria voce.
“Nick!”.
Si piegò sul suo corpo a terra, ma subito fu spinta via dai paramedici.
Possibile che fossero già sul posto?
Erano stati chiamati mentre loro entravano?
“Nick!!”.
Li vide mentre gli posavano una maschera ad ossigeno sul muso, lo caricavano su una barella e gli tamponavano una ferita – uno squarcio – sulla gamba sinistra.
“Che guaio... gli ha beccato l'arteria femorale” udì uno di loro dire.
Si avvicinò e con la bocca secca, la testa intontita chiese di poter salire in ambulanza.
Le fu permesso e, per non rischiare, vi entrò ancor prima che la barella venisse spinta dentro.
Girandosi ad osservare la scena della quale era stata parte sino a un minuto prima, Judy si accorse infine che c'era sangue ovunque.
Non solo fiottava ancora dalla coscia di Nick nonostante questa fosse compressa dalle bende, ma colorava una larga parte del pavimento nell'atrio del tribunale.
E, immersi nel sangue, erano riversi i corpi di svariati poliziotti fra quelli che aveva visto muoversi e parlare a meno di un metro da lei; immobili.
“Nick...” chiamò di nuovo, inespressiva e improvvisamente tanto, tanto stanca; ma la sua debole voce fu sovrastata dall'urlo perforante della sirena bitonale.

  
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Zootropolis / Vai alla pagina dell'autore: DeniseCecilia