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Autore: Najara    05/08/2016    8 recensioni
Per la prima volta da decenni respirai e non fu uno dei dolorosi rantoli che precedono la morte, no, fu un respiro pieno, profondo, ricco di profumi e di sensazioni. Il terribile circolo di morte in cui ero caduta era stato spezzato: infine vivevo.
Storia scritta per il contest: "Fantasy Styles-Mille sfumature dell’immaginario" di onlyfanfiction.
Prima classificata. :-)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sacrificio

 

Per la prima volta da decenni respirai e non fu uno dei dolorosi rantoli che precedono la morte, no, fu un respiro pieno, profondo, ricco di profumi e di sensazioni. Il terribile circolo di morte in cui ero caduta era stato spezzato: infine vivevo.

L’aria della notte era fresca, la città in festa risuonava di voci e di risa, ovunque lanterne decorate risplendevano fugando la notte con le loro caldi luci e io, stretta nel tiepido abbraccio della sacerdotessa, potei crogiolarmi nel mio successo. Durò solo un istante perché presto tra la folla sentii i passi pesanti e rumorosi delle guardie: non ero ancora al sicuro. Il respiro della mia salvatrice accelerò così come il suo cuore contro il quale ero tenuta.

“Calma, non possono sapere della nostra fuga, oggi la città è piena di gente e quelle che vedi sono solo guardie cittadine che mantengono l’ordine.” Bisbigliai alla mente preoccupata. Percepii la donna calmarsi e allentare la presa sull’unica arma in suo possesso: il tanto sacrificale con il quale avrebbe dovuto uccidermi. La piccola lama dritta avrebbe avuto ben poca efficacia contro le guardie armate di tutto punto e protette dalle armature, ma questo non glielo dissi, era già sufficientemente sconvolta dall’atto sacrilego che io l’avevo spinta a compiere: lasciarmi in vita.

Mi strinsi di più al suo corpo, come a ricordarle quanto fossi fragile, quanto avessi bisogno di lei, sembrò comprenderlo, il suo viso delicato e giovane si indurì e in lei percepii la determinazione che mi aveva portata a sceglierla. Determinazione, coraggio e un briciolo di ribellione. Sentimento quest’ultimo che avevo rivolto verso il Salvatore, il Coraggioso, il Valente, il Signore della Vittoria, l’uomo che mi aveva usata e condannata a morire. L’uomo che uomo non era più, diventato una cosa oscura secoli prima, quando il ragazzo che era stato si era, assieme alla sorella, coraggiosamente e stupidamente offerto per richiudere il Portale e salvare tutti loro.

 

I suoi passi la portarono a oltrepassare un ponte, uno dei molti della città e io potei assaporare l’odore dell’acqua. Amavo l’acqua, io che ora ero fuoco.

“Ferma.” Intimò una voce forte e decisa: era una guardia. La donna strinse il braccio attorno a me in un gesto di protezione, nascondendo nervosamente sotto il mantello il bianco vestito delle Sacerdotesse  “Cosa portate?” Chiese ancora l’uomo.

“Tua figlia.” Suggerii mentre mi insinuavo nella mente del soldato.

“La mia bambina.” L’uomo inclinò la testa sbattendo le palpebre, poi annuì.

“Va bene, passa pure.”

“Grazie e buona Festa della Rinascita.” Sentivo la perplessità nella sua voce, sapeva che non aveva mostrato una bambina alla guardia.

“Certo… buona festa anche a te.” Rispose l’uomo ancora leggermente frastornato dal mio intervento.

“Come hai fatto?” Mi bisbigliò incredula.

“I miei poteri crescono velocemente.” Le spiegai, avevo bisogno che fosse concentrata e non che si interrogasse su cosa fosse successo, dovevamo allontanarci dalla città al più presto, che fosse per barca o a piedi.

Lontano dal Tempio fummo davvero tra la folla. Poco distante sfilava il simulacro di uno dei terribili draghi che avevano attraversato il Portale prima che l’Incorruttibile lo sigillasse. I cittadini festanti battevano le mani e ridevano davanti alle eleganti spire da esso formate, troppo lontani i ricordi delle urla di paura e di dolore. Io però ricordavo, ogni istante di vita che anno dopo anno mi era concesso mi permetteva di ricordare.

Prima c’era stato il panico, poi il terrore, infine i pianti. I nostri eserciti non erano valsi a nulla, niente poteva fermare gli orrori che uscivano da quel maledetto strappo. Il popolo invocava un salvatore così eravamo partiti, io e lui, fratelli gemelli, principi del nostro mondo, coraggiosi guerrieri pronti al sacrificio. Folli e stupidi bambini che avevano voluto credere a una oscura profezia che raccontava come il Portale potesse chiudersi solo dall’altro lato. Non avemmo il tempo di capire se la profezia avesse ragione. Oltrepassato il Portale lui era stato preso e io… io usata.

“La colomba!” Esclamò qualcuno, come la mia salvatrice, alzai la testa a osservare. Sul balcone del Tempio della Rinascita una sacerdotessa bianco vestita rilasciava una colomba altrettanto bianca. Il simbolo della Rinascita del loro Signore Splendente, il simbolo della mia morte.

Non questa volta però, non questa volta. Il pensiero mi fece sorridere e di nuovo apprezzai il fatto di poter ancora respirare.

“Come è possibile?” Mi chiese la ragazza. Era nata e cresciuta nel Tempio, non comprendeva cose come l’inganno o la politica, convincerla a portarmi via e quindi a disobbedire, aveva richiesto uno sforzo enorme.

“Deve fingere che sia tutto normale. Non può dire che sono fuggita, creerebbe il panico.”

“Ma…” Si bloccò e capii cosa l’aveva distratta dalla domanda. Sul ponte che ci avrebbe allontanato dal centro città e dalla festa c’era un corteo di lanterne portate, come voleva il rituale, dai Sacerdoti Neri. Sapeva, perché glielo avevo detto io, che se si fosse avvicinata a uno di loro avrebbero percepito la mia presenza e per noi sarebbe stata la fine.

“Dall’altro lato.” Intimai cercando di non lasciale percepire il mio panico. I Sacerdoti Neri erano quello che restava degli uomini che si votavano al Possente Principe. Esseri potenti e astuti, legati da indissolubile lealtà al loro Signore, poiché in essi portavano parte della sua oscurità, potevo percepirla, anche da lontano, potevo vedere come fossero solo tentacoli la cui testa pensante era Lui.

Fu rapida a muoversi tra la folla, sfuggendo al corteo per me e lei mortale. Altre guardie si pararono sulla nostra strada, fecero domande, guardarono e poi frastornate ci lasciarono passare. Il mio potere cresceva, ogni minuto di vita mi permetteva di diventare più forte. Solo qualche ora e avrei potuto librarmi in quell’aria che respiravo e assaporavo così avidamente. Avevo bisogno di tempo e per ottenerlo dovevo allontanarmi da Lui e quindi dalla città.

Voltammo l’angolo di un palazzo, finalmente lontani dalla popolazione in festa, davanti a noi c’era il salvifico buio.

“Dove stai andando, mia preziosa sorella?” Quella voce: la Sua voce. Rabbrividii, mentre la mia salvatrice raggelava, la mente paralizzata dal terrore. “Sì, lo so che su quella tua piccola lingua sentivi già il sapore della libertà, della vita, della speranza, ma temo che fossero sentimenti prematuri. Pensavi davvero che non avrei percepito il tuo intervento sulle deboli menti delle mie guardie? Hai lasciato una scia facile da seguire.”

“Non…” Mi stupii nel sentire la sacerdotessa parlare, malgrado il tremito nella voce fosse ben udibile, era più coraggiosa di quello che credessi. “Non potete ucciderla.”

Notai la perplessità mista al fastidio nello sguardo del ragazzo. Quei lineamenti perfetti, belli e delicati e quegli occhi così carichi di malinconia da ispirare il pianto si appuntarono sulla sacerdotessa, come se all’improvviso si fosse accorto di lei.

Un gruppo di Sacerdoti Neri si stava silenziosamente raccogliendo attorno a noi, il popolo festante era ben lontano dall’immaginare cosa stava succedendo in mezzo a loro.

“Giusto…” Mormorò Lui. Se il viso era simbolo di purezza la sua voce era gelida come un mattutino vento invernale, specchio della freddezza che dominava la sua anima. “Come hai fatto a convincerla a portarti via? Non percepisco il Controllo in lei.” Guardava la sacerdotessa con indifferenza come se l’argomento non fosse di grande importanza. Eppure sentivo, percepivo, in Lui una certa curiosità.

“Lei è viva! E’ un essere pensante, non un mero animale come ci avete sempre detto.” Sul volto perfetto del mio antico fratello apparve un sorriso. Erano secoli che non lo vedevo eppure quel sorriso mi fece male, era così freddo e così distante dal sorriso contagioso del mio amato gemello.

“Oh.” Disse solo l’Illuminato Signore. Sulla fronte indossava una fascia blu decorata con fili d’argento, una specie di umile corona, ora la sollevò mostrando cosa nascondesse. Un seconda corona in oro, finemente cesellata, che sosteneva al centro un amuleto circolare. Non lo avevo mai visto, ma non mi ci volle molto per capire cosa fosse e quanto fosse potente. La sua energia mi colpì come un vento freddo, infrangendo le difese che avevo eretto.

“Salve sorella.” La sua voce nella mia mente era acuminata e mi ferì come fosse ghiaccio.

“Non sei mio fratello.” Era infantile ribattere quel punto, ma stavo per morire e a volte essere puerile è naturale, sono morta così tante volte da poterlo affermare con cognizione.

“Sento i tuoi poteri, sono ancora deboli e sono sicuro che lo erano ancora di più al momento della tua nascita, come puoi Controllare una mente fino a questo punto?” Con la mano indicò la giovane sacerdotessa che lo guardava preoccupata stringendomi contro il suo petto, il fatto che credesse di potermi ancora proteggere era ingenuo.

“Non ho fatto nulla.” Mentii e lui lo seppe, la sua presa su di me aumentò. Ero fuoco eppure il suo ghiaccio mi stritolava frugando nella mia mente alla ricerca della verità.

La verità era che avevo scoperto di poter mantenere una forma di coscienza anche quando ero solo fiamma. Non era una vera esistenza, ma mi aveva permesso di scandagliare le menti delle sacerdotesse e di scegliere colei che mi avrebbe ascoltato. Mi ci erano voluti dei mesi, ma alla fine l’avevo trovata, lei che era giovane e inesperta, ma che possedeva le giuste qualità. Poi era cominciata la parte difficile, entrare in contato con la sua mente. L’avevo visitata in sogno e, quando la sua mente era più fragile e indifesa, le avevo mormorato chi ero e cosa mi stessero facendo. Infine era giunto il giorno della mia rinascita e avevo fatto sì che fosse scelta per l’ambito compito. Allora, non appena il mio corpo si era formato, avevo urlato nella sua mente implorandola di risparmiarmi.

Il tanto sacrificale era a pochi millimetri dal mio collo quando, con un sussulto, si era fermata. Era la prima a farlo, la prima da quando avevo scoperto cosa potevo fare, centocinquanta anni prima. Avevo vissuto sapendo di dover morire in pochi istanti, ma avevo pensato e agito considerando che non sarei morta mai. Per la prima volta la mia perseveranza aveva portato i suoi frutti.

“Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai. Ricordo il nostro mentore che ce lo ripeteva. Voleva insegnarci ad approfittare della vita, ma al contempo ricordarci che come Signori del nostro regno ogni nostra azione sarebbe stata ricordata per secoli. Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe stata assolutamente calzante, almeno per quanto ti riguarda.” Ora che aveva visto in me la verità, la sua presa ferrea si allentò. Risistemò la fascia sulla sua fronte, ma lasciò comunque esposto parte dell’amuleto. “Trovavo…” cercò la parola alzando un dito e sfiorandosi le labbra, in un gesto aggraziato che tanto era piaciuto alle nobildonne e che immaginavo piacesse ancora. “… ironico, ecco, che fossero proprio le sacerdotesse di cui la tua amante era la capostipite a prendersi la tua vita ogni volta, anno dopo anno.”

“Non sei mai stato bravo a fare dell’ironia.” Gli risposi, nascondendo la ferita che quella frase riapriva. Sì a ogni sacrificio rivedevo il suo volto, lei che mi aveva baciato prima che partissi, supplicandomi di tornare sana e salva.

Sorrise, freddo, acutamente consapevole della mia sofferenza.

“Comunque ora che so che puoi comunicare mentre sei nel processo di rigenerazione ti affiderò ai miei Sacerdoti, le loro menti sono chiuse, solide fortezze di ghiaccio che i tuoi tiepidi attacchi non potranno scalfire.”

Tentai di rimanere salda, ma il terrore di ritornare in quel cerchio infinito di morte mi era insopportabile. Eppure, non c’era più nulla che potessi fare, la mia mente era troppo debole per resistergli, il mio corpo troppo giovane.

Piegai la testa, sentendo la sconfitta scivolarmi amara lungo la gola.

“Non essere così triste! Siamo i salvatori di questo mondo, proprio come desideravamo!” Il suo sorriso entusiasta non nascondeva, non a me, la freddezza che c’era in lui. “Ricordi? Abbiamo attraversato il Portale andando verso probabile morte per salvare tutti loro e ora vorresti rinunciarci? Vorresti condannarli alla morte, al terrore di quando il Portale era un flusso continuo di orrori e mostri?” La sacerdotessa mi strinse con più forza come se all’improvviso temesse di aver preso la decisione sbagliata, sentivo nella sua mente il dubbio: e se fossi stata io la cattiva?

Lo ero? Il dubbio pervase anche me, l’essere che un tempo era mio fratello aveva ragione, Lui era il male, ma quel tipo di male minore che si ha l’abitudine di preferire. Volevo solo fuggire, diventare forte per poi raggiungerlo e ucciderlo, per liberare mio fratello, ma non solo, per vendicarmi dell’orrore che mi aveva fatto subire, per punirlo della sofferenza che mi aveva inflitto. Però, c’era un però: se fossi riuscita nel mio intento, se lo avessi ucciso, chi avrebbe controllato il Portale? Io? No, non conoscevo quel potere e lo sapevo. In me c’era ancora abbastanza di quella giovane fanciulla che aveva deciso di sacrificarsi per salvare il mondo? Ma chi, chi avrebbe mai immaginato che il sacrificio sarebbe stato eterno?

“Dimmi Fenice, morirai perché io viva in eterno? Permetterai che mi nutra del tuo sangue e che attraverso di esso io sia immortale?” Sorrise, glaciale e bellissimo. “Salverai questo mondo morendo, ancora e ancora, all’infinito?”

Avrei voluto urlare di no, piangere e supplicare perché la mia vita finisse per davvero, ma, dal giorno in cui avevo attraversato il Portale per la prima volta, ero stata maledetta e non potevo fuggire.

Quei ricordi erano gli ultimi che avevo, tenevo i pugnali ben stretti mentre mi guardavo attorno in quel mondo sorprendentemente normale. Avevo attraversato il Portale e fatto il primo passo accanto a mio fratello quando un’ombra era calata su di lui. Quando aveva riaperto gli occhi in lui c’era solo più malinconica freddezza. Aveva catturato la mia mente, debole e inesperta, e mentre il mio io impotente urlava mi aveva immersa in un fuoco sacro. Il dolore era stato oltre ogni immaginazione e quando finalmente avevo aperto gli occhi a guardarmi c’era lei, la donna che amavo. Avevo tentato di parlare, ma non avevo emesso alcun suono, poi la lama fredda e brutale del tanto mi aveva tagliato la gola. Era stata la mia prima morte come Fenice, ma di certo non l’ultima.

“Non puoi chiederle questo, è un sacrifico troppo grande…” Mormorò la sacerdotessa e io la guardai, era sincera?

“Ha ragione Lui, gli orrori che escono dal Portale sono…” Accennai sconfitta, ma lei mi interruppe:

“Mostrameli.”

Era la prima volta che parlava nella mia mente, forse non sapeva che Lui ci stava ascoltando e osservando con la fredda curiosità di un essere che sa di aver vinto.

Mostrarle tutto quell’orrore? Perché? Non lo sapevo, ma lo feci, le mostrai ogni cosa, ogni verità che avevo opportunamente taciuto affinché mi aiutasse, dopo tutto stava per morire e rispettare la sua ultima volontà mi sembrava giusto.

Quando finii piangeva. Sulle prime pensai che era stata sopraffatta dalle immagini di distruzione e morte, ma poi con un sussulto di stupore compresi che piangeva per me. Non aveva visto le sofferenze del suo popolo, ma le mie.

“Non devi sacrificarti a quel modo per noi. Deve esserci un’altra soluzione!” Sgranai gli occhi, lo pensava davvero. Il suo cuore era sincero, avrebbe preferito morire che lasciare che qualcuno si sacrificasse per lei. 

“Il sacrificio non è desiderato?” Mormorò alzando leggermente il sopracciglio l’essere oscuro da cui dipendevano le mie numerose morti. Colsi il dubbio in Lui, avevo sfiorato raramente la sua mente in quei lunghi secoli di morti e stroncate rinascite, ma si era nutrito del mio sangue anno dopo anno ed era mio fratello, almeno in parte, quindi potei percepire più di quanto credessi possibile. Lo vidi dubitare, lo vidi indugiare e poi, con grande sorpresa, vidi la sua paura. Non credevo potesse provarla, non Lui.

Allora attaccai, forse il mio corpo era ancora un fragile involucro, poco più di un pulcino spelacchiato e la mia mente torturata era troppo debole, ma il mio cuore era ancora quello forte di un tempo.

Le lacrime della giovane sacerdotessa mi diedero la forza di compiere quello che non sapevo di poter osare: assaltai la sua mente.

Mi respinse una volta, lo attaccai di nuovo e vinsi, vinsi perché lui aveva dubitato e io no, non lo facevo più, non ora che avevo visto le lacrime della sacerdotessa versate per me.

Piegai la sua mente, bruciando dello stesso sacro fuoco in cui Lui mi aveva immersa.

“Vuoi l’immortalità? Assaporala!” Sussurrai alla sua mente mentre lo sentivo urlare tra le fiamme.

“Il Portale! Moriranno tutti!” Non era più il freddo essere che conoscevo, ora era mio fratello a urlare. Con orrore compresi che l’essere-ombra viveva in mio fratello perché mio fratello glielo aveva permesso. “Era l’unico modo…” Rantolò. Mi ritirai, mentre l’orrore di quello che il mio gemello mi aveva fatto mi colpiva con la stessa violenza con cui avevo colpito lui. Era così convinto della necessità del sacrificio che si era piegato a quel terribile compromesso e ora  la sacerdotessa aveva appena spezzato tutte le sue convinzioni. Sopraffatta mi rinchiusi nella mia stessa mente, incapace di vedere quello che stava succedendo, cieca al mondo. Eppure quel mondo continuava a esistere.

“No!” La voce disperata della sacerdotessa mi raggiunse nel mio isolamento e in un istante capii che sarei morta, ancora. Mio fratello e l’ombra sua alleata e padrona stavano calando su di me, il pugnale sguainato, pronti a uccidere il fragile involucro in cui la mia anima era incarcerata. Avrei chiuso gli occhi se ce ne fosse stato il tempo, ma non ci fu, perché lei, la mia sacerdotessa, non lo permise. Nel suo pugno ora c’era il tanto, quel piccolo e insignificante pugnale brillò alla luce delle lanterne e poi colpì, rapido come le era stato insegnato, letale come era necessario.

Vidi il sangue sgorgare dal collo pallido di mio fratello, il delicato collare di placche d’oro non lo protesse e neppure i Sacerdoti Neri, immobili attorno a noi, come spettatori muti e indifferenti ora che l’ombra ferita aveva lasciato vuote le loro menti.

Vidi i suoi occhi sbattere confusi mentre una mano correva al collo e l’altra lasciava cadere l’arma con cui avrebbe voluto uccidermi.

“Sorella…” Mormorò alzando la mano verso di me, una supplica a cui si aggiunse un pensiero. “Il mio è l’unico modo per salvarli tutti e io devo salvarli che lo vogliano o no. L’ombra in me è l’unica a controllare il Portale, ho sempre creduto che non avresti permesso che il nostro popolo morisse solo per poter smettere di soffrire.” Non c’era accusa nella sua mente, solo convinzione e perplessità per la mia scelta. Senza ascoltarlo irruppi di nuovo in lui, questa volta non mi lasciai distrarre dalla parte che era ancora mio fratello, ma cercai l’ombra, sapevo che l’avevo bruciata ma non uccisa. Quando la trovai non ebbi pietà, avevo bisogno di sapere, dovevo conoscere il modo in cui controllava il Portale. Prima non pensavo di poter entrare in lei, ma ora che sapevo di poterlo fare dovevo tentare. Fu sorprendentemente facile.

“L’ombra ti ha ingannato.” Tornai a guardare mio fratello, mentre il sangue colava lentamente dal suo collo, portandosi via la vita come tanto spesso era successo a me. “Il Portale può essere chiuso. Ora che ho frugato nella Sua oscurità lo so.”

“No!” Protestò lui.

“Muori, sapendo che come tu hai usato me, lui ha usato te. Muori sapendo che il sacrificio non era necessario, che insieme avremmo potuto trovare un’altra via.” Morì, il viso bellissimo ancora più pallido del solito, gli occhi, di quel blu intenso di cui un tempo erano fatti anche i miei, vitrei. Il suo cuore smise di battere e così si spense la sua mente.

Era in pace ora ed era più di quello che lui aveva offerto a me.

Improvvisamente attorno a noi tornò il frastuono della città: le risate, le grida di gioia e di festa. Erano trascorsi pochi minuti, non si erano resi conto di nulla eppure tutto era cambiato.

“Non piangere, mia dolce sacerdotessa.” La ragazza osservava il corpo del giovane che aveva ucciso e piangeva, sconvolta dal proprio atto. “Hai liberato la sua anima da un peso troppo grande per essere sopportato: il sacrificio per il bene supremo; e hai liberato me.”

Alzai il collo ancora implume e osservai i Sacerdoti Neri, erano immobili, le menti vuote, incapaci di agire ora che mancava il loro leader.

“Al Portale.” Ordinai, non solo alla mia portatrice, ma anche a quella massa informe di ombre private della testa pensante. Non avrei potuto liberare quegli uomini che da troppo tempo avevano perso il loro Io, ma potevo liberare il mondo da loro.

Formammo un corteo fuori dal comune ritornando verso la folla per poter raggiungere il palazzo di mio fratello, a guidarlo la sacerdotessa che ora risplendeva del bianco del suo ordine avendo abbandonato il manto scuso, mentre i Sacerdoti Neri la seguivano indossando le armature di onice brillante come scaglie di un serpente. Uno di loro stringeva tra le braccia il corpo riverso del Lucente Salvatore.

La folla si fendette davanti a noi, i festeggiamenti terminarono, i draghi simulacri furono posati e osservandoci passare non ci fu anima viva che osò parlare.

Io ero tra le braccia di lei, la coraggiosa ragazza che aveva saputo, con il suo cuore misericordioso, provare compassione per me e darmi la forza e il coraggio di scegliere un’altra strada, di credere che ci fosse un’altra possibilità oltre quella scelta da mio fratello per salvare il mondo.

Ora il Portale era davanti a noi, un semplice strappo attorno al quale mio fratello aveva fatto erigere il suo palazzo. Una dopo l’altra i Sacerdoti Neri lo attraversarono, erano esseri oscuri e vuoti, non c’era più posto per loro nel mondo di domani.

“Come chiuderai il Portale?” La voce della sacerdotessa era forte, in una sola notte era cresciuta, forse persino più in fretta di me.

Sorrisi, mentre allargavo le ali osservando il cielo illuminarsi, il sole stava sorgendo e con esso la mia energia cresceva. Delicate piume rosse, arancio e oro ricoprirono il mio corpo mentre i muscoli si rinforzavano. Voltai la testa, ora riccamente piumata, verso la sacerdotessa che osservava meravigliata la mia trasformazione, dietro di lei una folla tratteneva a stento lo stupore e la meraviglia.

“Non è difficile, è stato aperto dal mondo di là e da là potrò chiuderlo, la profezia aveva ragione e così io e mio fratello.”

“Significa che non tornerai indietro?”

“No, questo non è il mondo in cui una Fenice può vivere, il mio nuovo mondo sarà dall’altra parte.”

“Ma…”

“Tu mi hai liberata dal mio ruolo di creatura sacrificale, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Non avete più bisogno di me.”

“Sei libera.” Comprese lei e io sorrisi di nuovo. Sentivo le menti di tutti quegli uomini e vedevo in loro il destino di quel mondo, li avevo liberati dal tiranno e ora dovevo liberarli da me stessa, dovevano crescere senza falsi dei da adorare e a cui affidarsi, dovevano imparare a badare a loro stessi, ad assumersi i loro rischi, a fallire e quindi a vincere da soli. Non c’era posto per una Fenice. Aprii le ali e mi librai nell’aria rifulgendo nel sole mattutino, libera e felice mi gettai nel Portale.

 

La Fenice era scomparsa, la sacerdotessa lo seppe dal vuoto che lasciò nella sua mente. Non ebbe il tempo di rammaricarsi perché tra le urla di meraviglia e di stupore vide il Portale scomparire, lo strappo non c’era più.

In un senso di profonda confusione capì che tutto sarebbe cambiato. In bene? In peggio? Non lo sapeva, ma si rese conto che, per la prima volta da secoli, dipendeva solo da loro.

 

                                                                                                                               

Disegno creato da Whiteney Black come premio per il contest: "Quietly into the night".

  
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