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Autore: nettie    06/08/2016    0 recensioni
«Tornerai sul serio?»
«Ti pare che ti lascio solo? Farò il possibile. Tu aspettami.»
«Non scordarti di me.»
Sembrava impossibile, ed Isaiah non voleva crederci. Il suo Inverno iniziò nel bel mezzo di un lontano Luglio di vent’anni prima, non accennando a tregua alcuna. Questa storia parla di due linee incidenti, e di come, dopo essersi incontrate per la prima e l’ultima volta, abbiano passato tutta la loro vita a rincorrersi invano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Questa storia parla di due linee incidenti, e di come, dopo essersi incontrate per la prima e l’ultima volta, abbiano passato tutta la loro vita a rincorrersi invano.

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Era una giornata umida, di quelle dove l’aria sembra a stenti irrespirabile, e l’aria nella grande casa vuota di Isaiah era totalmente piatta – insostenibilmente piatta.

L’uomo vagava per quella villetta spoglia senza una meta precisa; dopo aver fatto più e più volte “su e giù” per le scale, attraversò il corridoio e poi via: dentro in cucina ad osservare il sole tramontare, aldilà della finestra grande, dietro i monti, lasciando spazio a sua sorella Luna. Isaiah odiava la notte, era il momento più orrido e lugubre della giornata. Veniva lasciato da solo con se stesso e, a dirla tutta, lui non si era mai piaciuto poi così tanto. Uscì con passo pigro e trascinato dalla cucina, per poi salire gli scalini lentamente, con passo leggero. Come sempre, si buttò sul grande letto in quella stanza troppo fredda e troppo spoglia per i suoi gusti, e assunse la solita posizione a stella. Gambe e braccia larghe, volto rivolto al soffitto, dove, nell’angolo sinistro, c’era una macchia d’umidità che stagnava lì da un po’ troppo tempo. Stonava molto con il candore del soffitto bianco, e dava un senso di insoddisfazione all’uomo, più del dovuto. Sentiva il gelo penetrargli nelle vene ed attraversare le ossa in profondità, ma fuori era pieno Luglio.

Sospirò dopo essersi riempito d’aria i polmoni, proprio quei polmoni che aveva straziato nel corso degli anni, riempiendo anche quest’ultimi di brutti vizi. Non c’era molto da fare: Isaiah si sentiva solo, e all’alba dei suoi quarant’anni sentiva come di aver sprecato la sua vita a rincorrere sogni impossibili, troppe volte sfiorati con un dito, e poi mai realizzati. Quarant’anni erano pochi, certo, ma per lui un giorno aveva la pesantezza di due. Il terribile freddo che si portava dentro iniziò ad incrementarsi, e lui corrucciò il volto in un’espressione amareggiata. Avrebbe voluto dormire e non pensare, cercare di riposarsi almeno un po’ la mente assai tormentata, ma ogni singolo sforzo risultò vano: non riusciva a prendere sonno. Si rigirò più e più volte nel letto, ma niente servì a qualcosa. Sbadigliò lentamente spalancando la bocca e chiuse gli occhi, portandosi le mani grandi e curate fra i riccioli rossi che avevano sempre caratterizzato il suo aspetto. Si alzò svogliatamente, mentre veniva mangiucchiato poco a poco dalla noia. Proprio quest’ultima, malefica, lo assaliva nei momenti più brutti e nei periodi peggiori. Poggiò di nuovo i piedi scalzi sul pavimento gelido, e una volta alzato si soffermò ad osservare la sua figura riflessa sullo specchio.

Non era mai stato tutta questa bellezza, se non fosse che da giovane sembrava la personificazione del fascino. Alcuni tratti che avevano fatto parte della sua gioventù se li era tenuti stretti, mentre quest’ultima era volata via portandosi con sé un po’ tutto. Ma gli occhi smeraldini erano rimasti, forse erano solo un po’ più stanchi; ma erano lì, incastonati nel suo volto come due pietre preziose. Erano però infossati, quasi scomparivano, e raccontavano della tanta stanchezza che si celava in quell’uomo infelice. Il verde che tanto li caratterizzava s’era scurito, quasi spento, e ora risultavano opachi dalle troppe lacrime piante. Il suo bel volto era diventato così pallido che sembravano scomparse anche le lentiggini sulle guance e il naso, che un tempo lo rendevano tanto particolare. Le labbra carnose sembravano aver perso il loro volume, e i ricci ribelli, che avevano il colore del sole al tramonto, sembravano privi di ogni lucentezza, crespi e ruvidi. Un velo di barba incolta copriva il viso scarno e percorreva la mascella spigolosa. La statura alta e non troppo robusta di Isaiah narrava, a chiunque si fermasse ad osservarlo, di tempi gloriosi dove l’uomo s’era ritrovato con un fisico marmoreo e scolpito a regola d’arte, dove i muscoli appena accennati lo facevano sembrare chissà quanto perfetto. Quel fisico che poi perse tutte le fattezze che lo resero tanto bramato da troppe donne, rendendo Isaiah l’ombra di se stesso. Per un attimo gli parve di scorgere, al posto del suo riflesso sullo specchio, un Isaiah più giovane e più vitale. I tratti androgini del suo non più giovane volto, ora quasi scomparsi, tornarono per un solo attimo a farsi vedere, e l’uomo sentì il proprio cuore mancare un battito. Quanto gli mancavano quei momenti mai più vissuti, quelle fattezze mai più avute, quelle sensazioni che mai più aveva riprovato? Si passò nuovamente una mano sul volto, e diede uno sguardo all’orologio da polso, che era solito portare come fosse una parte integrante di sé. Mancava un quarto d’ora per far sì che fossero le dieci di sera. Erano passati soltanto vent’anni da quando Lazar se n’era andato.

Già, soltanto vent’anni…

Vent’anni che bruciavano come il fuoco e che sembravano quaranta Inverni; il doppio di quelli che lui aveva dovuto sopportare senza il suo amato Lazar. Il suo ricordo era ormai sbiadito e un po’ confuso, ciò faceva sanguinare ulteriormente il cuore di Isaiah. Fece distrattamente i conti; Lazar avrebbe dovuto avere cinquantaquattro anni ed una carriera bella sostanziosa, lì, al nord, con una bella moglie, e forse anche dei figli. Se n’era andato, era questa la verità. Se n’era andato, gli aveva mentito, e quasi ad Isaiah non importava più della loro brutta fine. Quasi, perché nonostante i vent’anni passati, il cuore ancora faticava a metabolizzare. E per un attimo che sembrò un’eternità, Isaiah si sentì tradito.
 

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«Tornerò, te lo prometto.»

 

Sussurrò Lazar sulle labbra di un giovane Isaiah, faccia a faccia l’uno con l’altro. Era una calda notte di Luglio, quel Luglio di vent’anni prima che aveva fatto sognare entrambi. Le stelle brillavano in cielo e lo costellavano in tante, numerose e bellissime, facendo compagnia alla loro amata Luna, che era tonda e piena in tutta la sua maestosità. Le onde del mare s’allungavano verso la giovane coppia, bagnavano i loro piedi scalzi, solleticandoli, e ogni tanto uno schizzo ribelle toccava le caviglie di entrambi. Isaiah osservava il buio orizzonte a dir poco sconvolto, sentiva lo stomaco e il cuore in subbuglio; non era una bella sensazione. Preferiva rimanere in un silenzio religioso, che esprimeva –quasi- alla perfezione tutto il dolore che lo stava pervadendo, improvvisamente. Aveva la testa poggiata sulla spalla robusta di Lazar, il braccio muscoloso di quest’ultimo gli circondava le spalle, e con tanto affetto lo teneva stretto a sé. Dopo le parole di Lazar, non ci fu neanche una parola fra i due per lungo tempo: preferivano parlare con sguardi, carezze e sospiri. Il più piccolo guardava l’orizzonte dinanzi a sé, come fosse sconcertato, e nel mentre si stringeva come un bambino a Lazar, quasi senza accorgersene. Aveva udito più che chiaramente le sue parole, e quest’ultime avevano centrato il suo petto come la più affilata delle lame. Le aveva comprese nel pieno del significato ma in cuor suo non voleva crederci, le orecchie confermavano ciò che aveva sentito, ma l’animo aveva iniziato di già a negarlo con ferocia insistenza.

E non erano passati neanche cinque minuti.

Lazar lo strinse maggiormente a sé e passò una mano fra i suoi ricci rossi e morbidi che posavano scompigliati poco sopra le spalle. Li pettinò con quelle dita lunghe e affusolate che si ritrovava, arricciò le ciocche più e più volte quasi come fosse il suo passatempo ideale. Il Silenzio più totale rimase costante fra i due, fino a quando il bel panorama non venne oscurato da numerose nubi scure, e la luna fece la sua uscita dalla scena. Così, cadde il buio su di loro, e anche il mare sembrava aver smesso di scintillare. Allora Isaiah si ritrovò costretto a puntare i suoi occhi verdi in quelli di Lazar, di un azzurro ipnotizzante quasi trasparente. Il rosso amava quegli occhi chiari forse più di ogni altra cosa al mondo, erano lo specchio della sua anima, due perle chiare dove poteva annegare ed annullare ogni singola sofferenza. Per Isaiah, Lazar era sinonimo di futuro e salvezza – mai avrebbe potuto sbagliarsi di più! Sospirò, e si sentì quasi mancare il fiato quando il biondo lo strinse ancor di più a sé, poggiando la fronte sulla sua. Erano così vicini l’uno all’altro, e nelle loro menti balenò spontaneamente l’idea di scambiarsi un piccolo e fugace bacio: chi se ne sarebbe mai accorto?

Lazar fece per allungarsi ulteriormente verso il più piccolo, sembrava stringerlo a sé ora con fermezza, ora con mani tremanti: era l’emozione che stava prendendo il sopravvento. Era sbagliato: lui per primo sapeva quanto fosse sbagliato, più di tutti gli altri. Si sentiva in colpa nei confronti della donna che ogni volta con sacra dedizione lo aspettava a casa, quella donna graziata dal Fato e che ora aspettava un bambino. E il bambino nel grembo della donna era di Lazar senz’ombra di dubbio, ma Lazar non era nient’altro che un bambino lui stesso, un bambino che a trentaquattro anni ancora si rifiutava di crescere. Quando il biondo si avvicinò maggiormente per sfiorare le labbra del giovane abbracciato a lui, fu Isaiah ad allontanarsi e a scuotere la testa lentamente, in segno di negazione. Certo, aveva avuto giudizio, ma anche lui sentiva un’irrefrenabile voglia di violare le regole.

Non poteva, non potevano.

 

«Tornerai sul serio?»

 

Chiese nuovamente, con il tono di un bambino indifeso che ha paura di perdere ciò che di più caro ha al mondo. Un improvviso rossore si era impadronito delle sue guance già rosee di loro, e teneva lo sguardo basso per l’imbarazzo che scalpitava forte nella cassa toracica. Ma non era imbarazzo puro: era misto ad un forte disagio, mescolato al senso di colpa che sembrava mangiarlo vivo. Era lui il terzo incomodo, e Ruth la donna che aveva avuto la fortuna di ricevere un anello al dito da Lazar, proprio dall’uomo che ora amava lui, Isaiah. Lazar gli prese il mento fra due dita, quasi lo costrinse a guardarlo negli occhi e a sostenere il proprio sguardo. Fu solo quel semplice gesto a far scoppiare nel petto il cuore di Isaiah, che lo guardò a sua volta negli occhi e sfociò in un sorriso enorme e solare. Quel sorriso fece stringere il cuore di Lazar, che disse:  

 

«Ti pare che ti lascio solo? Farò il possibile. Tu aspettami.»

 

E gli occhi di Isaiah, a queste parole, si illuminarono di gioia. Non gli importava affatto se avesse dovuto aspettare dieci mesi o dieci anni; lui lo avrebbe aspettato sempre e comunque. Sentiva che ne valeva davvero la pena, tutto qui. Loro insieme, poi, erano meravigliosi. Il più piccolo continuò a mantenere l’ampio sorriso sulle labbra, e ciò scaturì una forte emozione in Lazar, che sentiva ardere bollente nel torace; partiva dal cuore e pensava si chiamasse “amore”. Lo strinse ancor di più al petto e gli scompigliò i capelli, sfociando in una tenera risata mentre scuoteva appena al capo. In verità, Lazar era confuso e sentiva il cuore spaccato a metà, era tutto un gran disordine: non sapeva affatto come fare. Ma Isaiah pensava che il maggiore fosse serio, fermo nelle sue decisioni: credeva alle sue parole.

Cosa si sarebbe mai potuto aspettare Isaiah da un uomo di quattordici anni più grande? Un uomo con una famiglia stabile, un lavoro e due figli da sfamare. Ma forse, non era proprio il lavoro del bel professore ad ostacolare la relazione con Isaiah, né tantomeno il pargolo che Dio aveva deciso di donargli, proprio quel Dio in cui Isaiah aveva perso la speranza e la fede. Lazar era un uomo sposato. Era questo ciò che metteva Isaiah nell’ombra, ciò che lo costringeva a vivere immerso nelle tenebre, ma quel sentimento che tanto nutriva per lui non lo faceva lamentare, né tantomeno pensare alla spiacevole condizione. Isaiah aveva vent’anni, tanti sogni nel cassetto e abbondante voglia di vivere. Con Lazar era tremendamente felice: gli bastava sapere questo per auto convincersi a continuare con quella relazione impossibile.

 

«Non scordarti di me.»

 

Sussurrò poi il rosso sulle labbra del biondo, continuando a tenere le labbra piegate in un tenero sorriso che trasudava amore e felicità da tutti i pori. Davvero, non gli importava della partenza di Lazar. Credeva che sarebbe tornato per davvero.

Il maggiore sorrise e baciò il capo di Isaiah, prima di alzarsi e trascinarsi dietro il più piccolo. L’altro, intrecciò in modo totalmente istintivo le proprie dita a quelle di Lazar, e si strinse forte al braccio muscoloso del più grande. Insieme, potevano far invidia al mondo.

Camminarono lungo la riva godendosi l’uno della compagnia dell’altro, sapendo che avevano -purtroppo- le ore contate, e che non avrebbero di certo potuto rivedersi all’istante. Ci sarebbe stata una grandissima distanza a separare Lazar da Isaiah: il minore lo aveva realizzato, ma il cuore non voleva saperne. L’altro, invece, era semplicemente preoccupato di non riuscire a sostenere quella grande bugia e farsi cadere tutto addosso. Appena sarebbe tornato a casa ci sarebbe stata la bella Ruth ad accoglierlo, lei, che pensava fosse andato solo fuori con amici, e suo marito avrebbe fatto finta di niente come da copione. Ma una volta lontano da Isaiah, cosa avrebbe mai fatto Lazar? Cosa sarebbe successo?

Isaiah non se ne preoccupava, si fidava ciecamente di lui e credeva che sarebbe tornato nel giro di qualche anno, che non fosse una cosa tanto per le lunghe.

Ci credeva fermamente.
 

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Ed invece, Lazar, dopo essere andato fra i freddi ghiacci del nord non era più tornato. Il pensiero di aver lasciato Isaiah con un grande punto interrogativo lo torturava ogni giorno, non c’era ora in cui non pensasse a che fine avesse fatto quel ragazzo tanto bello, tanto speciale. Aveva il suo numero di cellulare, era lo stesso ormai da vent’anni e non sapeva se lo avesse cambiato o meno. Passava le ore intere con occhi incollati a quel nome sul display, e si vergognava. Era solo una semplice fila di numeri digitali su uno schermo appannato, ma per lui, quella sequenza di numeri valeva tutto come niente. Certo, avrebbe potuto chiamarlo semplicemente premendo un tasto sullo schermo, ma la paura lo assaliva ogni volta, tirannica ed insistente, sempre di più, sempre di più. Isaiah faceva parte dei momenti più belli del suo passato, e si sentiva un verme ad averlo lasciato così, di punto in bianco, con una promessa di ritorno mai mantenuta. Si era poi fatto una vita, convincendosi giorno dopo giorno d’essere in grado di poterlo dimenticare, fino a quando non si costrinse a farlo diventare solo un lontano ricordo sfocato. Quel ricordo sfocato, però, ritornava più vivido che mai nei suoi sogni, e quando all’uomo capitava di rimanere completamente solo nella stanza. Allora i ricordi riaffioravano uno dopo uno, ed era tanta la colpa che sentiva esplodere nel petto. Quel giovane rimase così un segreto per tanto tempo, e Ruth non seppe mai niente. Lei continuò ad eseguire i suoi doveri da madre e moglie: lì nella fredda Svezia fece anche fortuna sul posto di lavoro, come lei stessa aveva sperato. Era una donna fantastica - Lazar non avrebbe mai potuto non dirlo, passava giorni interi a tessere le sue lodi come meglio gli riusciva: s’era ormai convinto che Ruth fosse sempre stata quello che cercava.

Tutto sembrava andare per il meglio.

Lazar si presentava alle otto in punto dietro la cattedra in una scuola d’alto livello, dove studenti scalmanati si prestavano ad ascoltare incantati le parole dell’uomo; li domava e li rendeva docili come gattini. Anche lui era stato un ragazzo, conosceva quei giovani come le sue stesse tasche, poteva immedesimarsi in loro. Ma, dentro lo stomaco lo accompagnava sempre un nauseante senso di vuoto, ed erano ormai vent’anni che si ritrovava costretto a convivere con quest’intimo e privato dolore. Negava questo dolore, e la negazione stessa lo faceva sentire peggio fino a sentire la testa bollire e il cuore ardere nel petto, martellante, quasi a voler spaccare la cassa toracica. Non poteva parlarne con nessuno perché se ne vergognava incredibilmente tanto, era un suo segreto e se lo portava dietro come la più pesante fra le croci. Cosa avrebbe mai pensato la gente di lui? Quali mai sarebbero state le sue conseguenze? A cinquant’anni passati, Lazar si ritrovava a dover fare lo schiavo di sé stesso. Sapeva che non avrebbe mai potuto continuare così a lungo, ma ogni volta che al ritorno a casa incontrava gli occhi azzurri di suo figlio, diventava tutta un’altra storia. Era un bel giovane senz’ombra di dubbio, dedito allo studio e alla famiglia. Aveva la carnagione ambrata della bella Ruth, e gli occhi d’un azzurro trasparente tale al padre. La chioma mora e mossa scendeva appena sulle spalle, sfiorandogli il collo dalla pelle delicata. La mascella marcata e un fisico tutto d’un pezzo, Raphael ricordava una versione leggermente diversa del padre nel fiore della sua gioventù.

Lazar lo guardava lì, dietro la tavola, consumare la sua colazione prima di dirigersi in facoltà. Era orgoglioso del suo piccolo miracolo, lo stimava e credeva fermamente nelle sue capacità. Accanto alla figura di suo figlio, c’era una donna. Ruth, colei che gli era rimasta accanto per tutto questo tempo, e colei alla quale aveva più e più volte mancato rispetto. Era la donna di sempre con il sorriso di sempre, le labbra carnose dipinte di un rosa antico e le palpebre colorate di un sofisticato marrone. Due rughe si estendevano ai lati della bocca, sul collo e ai lati degli occhi, non facendo comunque venire meno il suo fascino, Era bella, certo, ma Lazar ricordava d’aver visto di meglio, e non in merito a lei. La verità era che il ricordo di Isaiah era vivido e palpabile nel suo animo assai straziato, e la voglia di andarlo a ricercare era tanta, troppa, fosse pure stato in capo al mondo. Palpitava con forza nel petto anche solo la voglia di rivederlo e di alleviare di un po’ i rimorsi che lo stavano tormentando tanto da non farlo dormire. L’ultimo suo sguardo non lo aveva di certo scordato, non aveva scordato la preghiera di quella notte di vent’anni fa, dove Isaiah s’era ritrovato a piangere copiosamente sul suo petto, versando centomila e più lacrime amare che, a detta sua, Lazar non sentiva di meritarsi. Era amore troppo coinvolgente e, a quell’età, aveva preferito fuggire con la sua metà ideale ma non perfetta. Con la sua metà non del tutto congruente, continuando a vivere nella menzogna per anni interi.



[ Angolo Autrice: 

Un grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fin qui. Per chi volesse continuare a seguire la vicenda di Lazar ed Isaiah, avverto che la storia avrà solo un altro capitolo della medesima lunghezza, e sarà pubblicato il 16 Agosto. 


-nettie.
   
 
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