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Autore: tiaspettoqui    07/08/2016    1 recensioni
Mi sentivo una perdente, una ragazza che si era ritrovata con un pugno di niente in mano perché aveva sognato troppo e ora doveva pagarne le conseguenze. Ogni volta che chiudevo gli occhi le immagini riaffioravano in me come se fossero maledizioni e ogni volta mi veniva in mente il giorno dopo dell’incidente. Vedevo Harry che mi parlava, mi sorrideva… ma non sentivo la sua voce. E forse non l’avrei più sentita.
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1115 parole.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hear me.

Già, lo vedo e mi manca il respiro.
 
Quella mattina, quando aprii gli occhi, sapevo già di non sentire nulla. Nella nostra stanza regnava il silenzio, e forse a me andava bene così. Era diventata quasi un’abitudine ormai, ma la notte non riuscivo a non pensare a quello che mi stavo perdendo la fuori. C’era un mondo che continuava ad urlarmi di uscire, di vivere anche se sapevo di essere in qualche modo diversa. Mi alzai dal letto con un dolore alla schiena allucinante e mi avvicinai al pianoforte. Feci un piccolo sol, ma nulla. Feci un la, ma niente. Premetti un fa e ancora nessun rumore. Pioveva, almeno da quel che vedevo. Osservavo le gocce attaccarsi al vetro e mi ritornò in mente quel giorno. Anche cinque mesi fa pioveva. Cinque mesi fa, in quella strada, vicino a quel cassonetto della spazzatura, c’ero io. Sono semplicemente passata davanti, senza nessuna preoccupazione, e quello scoppio mi ha rovinato la vita. Mi ha rovinato la cosa più bella che potessi fare nella mia vita: ascoltare. La musica, la mia voce, la voce degli altri, la voce di Harry, il pianoforte. Tutto andato in frantumi, come se fossero qualcosa di malvagio. Sentii un piccolo spiffero d’aria e, quando mi girai, trovai Harry con un sorriso sornione sulle labbra.
“Amore mio”, potei leggere dal labiale.
Sorrisi e mi avvicinai a lui per poterlo abbracciare, sentire quel profumo che tanto mi era mancato in quei cinque giorni ed essere un po’ più felice. Mi baciò la testa e sentivo le mie labbra muoversi, senza sentire nessun rumore provenire da esse.
“Mi sei mancato tanto.” dissi.
Mi baciò sulle labbra e quel contatto mi era mancato più del dovuto. Mi aggrappai alla sua maglietta e approfondii il bacio, cercando di essere un po’ più sicura di me stessa.
Prese un piccolo blocchetto – il nostro – e scrisse una frase: “Sei sempre più bella, come stai?”
Scrollai le spalle e mi sdraiai sul letto, sentendo il materasso abbassarsi subito dopo, segno che Harry si era sdraiato con me.
Mi sentivo una perdente, una ragazza che si era ritrovata con un pugno di niente in mano perché aveva sognato troppo e ora doveva pagarne le conseguenze. Ogni volta che chiudevo gli occhi le immagini riaffioravano in me come se fossero maledizioni e ogni volta mi veniva in mente il giorno dopo dell’incidente. Vedevo Harry che mi parlava, mi sorrideva… ma non sentivo la sua voce. E forse non l’avrei più sentita. Un tocco caldo e delicato sul braccio mi risvegliò dai miei pensieri e mi accorsi di Harry che continuava a guardarmi ammaliato, come se avesse appena visto una dea.
Mi baciò il naso e mi fece vedere un foglio con scritto: “Sono qui, non me ne vado.”
“Rimaniamo così, ti prego.” Sussurrai con la voce rotta dal pianto.
Lo guardai per quelle che parvero ore e ogni giorno che lo guardavo, non mi stancavo mai di pensare a quanto bene mi facesse. Fissai i suoi occhi verdi e ci trovai ogni certezza, ogni risposta alle mie inutili domande. Lui era lì con me, per me. Gli accarezzai i ricci ormai lunghi e intrecciai le mie dita in ogni ricciolo, come a imprimerne la morbidezza e la lunghezza. Osservai le sue fossette che avevano fatto capolino sulle sue guance e notai il naso rosso per il freddo, poiché eravamo a metà Dicembre. Mi mancava la sua voce. Mi mancava la sua voce appena sveglio, quella roca e trascinata; mi mancavano i suoi acuti e il suono della chitarra quando voleva farmi sentire le canzoni che scriveva. Mi mancava sentirlo urlare per casa perché il pavimento era freddo e lui era scalzo e mi mancava la sua risata. Quella risata spensierata, felice, sognatrice. Quella risata che solo un ragazzo di vent’anni con una valanga di sogni e di speranze può avere. Quella risata che mi ha fatto innamorare di lui, quella che faceva spuntare quelle fossette che ogni persona amava. Mi mancavano un po’ anche i suoi gemiti, quando facevamo l’amore. Mi mancava lo schiocco delle sue labbra quando mi baciava a stampo e mi mancava anche quella strana suoneria che si ostinava a inserire sul telefono. Continuai a piangere in silenzio mentre lui mi accarezzava una guancia. Quanto era paziente? Quante volte mi mandava lettere, anche se era lontano? Quante volte mi aveva tirato su di morale e cercato di affrontare le mie crisi notturne? Troppe volte, ed io non sapevo nemmeno come ripagarlo.
Presi una penna dal comodino ed il blocco di fogli scrivendo: “Sono un peso per te, non è vero?” lo guardai come un bambino guarda la madre dopo aver combinato qualche guaio; dispiaciuta, colpevole. Lo vidi scrivere molte parole una dietro l’altra, senza fermarsi, fino a che non mi porse il foglio sorridendo. “Non sei mai un peso, nemmeno quando mi chiedi di scriverti o di accarezzarti i capelli per non fare gli incubi. Non sei mai un peso perché forse ti amo più del dovuto e vorrei cantartelo, urlartelo, sussurrartelo. Ma non posso. Non posso perché qualcuno ha ostacolato il tuo modo di vivere, ma sono qui. La notte, il giorno, la sera, il pomeriggio, a mezzanotte, a mezzogiorno. Io sono qui.”
Lo baciai, lo baciai così tante volte da imprimere quel sapore di menta sulle mie labbra. Non era facile non sentire più un suono, non era facile convincersi di essere uguale ad ogni essere umano, non era facile parlare in questo modo: attraverso uno stupido pezzo di carta che non rispecchiava perfettamente nessun sentimento. Ma quando Harry sfilò la mia maglietta e cominciò a baciarmi le lacrime che continuavano a scendere, il collo e le spalle, capì che a lui non interessavano i miei difetti perché avrebbe cercato di tramutarli in pregi, sempre. Perché lui sapeva che, in un modo o nell’altro, io l’avrei ascoltato e lui l’ avrebbe fatto con me. Lui sapeva che non avrei mai superato al cento per cento quel trauma, ma mi avrebbe aiutato a lenire il dolore ed io avrei cominciato ad amarmi un po’ di più, come lui aveva fatto quel giorno. Perché aveva captato un sussurro che difficilmente si udiva.
“Aiutami, ascoltami, ti prego.” Aveva ascoltato ogni mia supplica, ogni mio piccolo desiderio. E, quando mi svegliai a pomeriggio inoltrato con i capelli di Harry che mi solleticavano la guancia, capì che lui sarebbe rimasto lì, come unica certezza.
 

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