Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: AliNicoKITE    08/08/2016    1 recensioni
Dal testo:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 17
Parola d’ordine: In amore e guerra

AFRODITE
A volte, la vita di Afrodite poteva sembrare, ai più, o assolutamente perfetta, o assolutamente mediocre. Queste due opzioni quasi opposte tra loro dipendevano, principalmente, dall’opinione che qualcuno poteva avere di Afrodite.
 Quando ‘Afro’ era arrivata al liceo, non era mai stata più sicura di voler stravolgere la sua vita, soprattutto in merito a ciò che la gente pensava di lei. Sebbene anche negli anni precedenti non fosse mai stata timida, infatti, non era nemmeno mai stata popolare come avrebbe voluto.
Insomma, sia lei che suo fratello minore, Eros, avevano sempre avuto un disperato e primitivo bisogno di attenzioni che, a differenza delle altre persone, facevano di tutto per supplire con ciò che i geni avevano donato loro, cioè, per essere chiari, una bellezza da distruggere le autostime altrui.
Afrodite non negava, insomma, di adorare essere al centro dell’attenzione, né che solitamente otteneva gli sguardi della folla grazie a un look che la valorizzasse, curato nei dettagli.
Il trucco, amava spesso ripetere, era l’arma –il proiettile migliore, diceva lei- dei brutti, ma dato che lei non era sicuramente brutta, invece che un proiettile, nelle sue mani una matita da trucco acquisiva la forza di una mitragliatrice.
 Già il fatto che usasse armi come termini di paragone per trucchi e belletti faceva presumere chi, fin dal primo anno nella scuola, fosse la sua ‘punta’ migliore.
Afrodite aveva puntato Ares dopo la prima lezione di ginnastica; i suoi pensieri principali, durante quelle due ore, erano stati: ‘Dio mio, quegli addominali’, oppure ‘Una maglietta così aderente dovrebbe essere illegale’, e così via andando avanti. Poco importa che in quella stessa lezione fossero in mostra altri ragazzi dalle piacevoli apparenze, come Thanatos, o, se si amava l’aria leggermente emo, l’Ade Grace di allora, appena quattordicenne: l’unica persona che aveva colto il suo sguardo era stata Ares La Rue.
 I problemi, però, erano cominciati subito, giusto alla fine della lezione: Ares pareva essere interessato alla maggior parte delle ragazze che gli passavano davanti, possibilmente combattive e disposte a rispondergli per le rime. Per la prima volta, la nuova Afrodite disposta a molto-o-quasi-tutto per ottenere la vita sociale perfetta vacillò, soprattutto quando, alla fine del primo anno, vi fu lo Scandalo della Cintura, la prova, insomma, che a volte la bellezza poteva nuocere alla famiglia Beauregard.
 Quella storia, però, Afrodite aveva giurato a sé stessa di nasconderla e non tirarla più fuori, soprattutto se pensava a come fosse finita. Erano stati cancellati, quel mese di follia e quell’estate orribile, ritagliati dalla sua vita perfetta come una foto venuta male in un album di ricordi.
La vita di Afrodite, infatti, poteva effettivamente essere considerata perfetta: era bella, era conosciuta e ammirata, aveva delle buone amiche e un ragazzo bellissimo che la adorava. Eppure, alcuni la osservavano con pietà, reputandola persino mediocre, o finta: come se la sua quotidianità, i suoi sforzi, le esperienze imbarazzanti che cercava di nascondere, i litigi con Ares, o con i suoi genitori, i sotterfugi per evitare Efesto, come se tutte le imperfezioni che rendevano la vita di Afrodite reale fossero un illusione, e la sua bellezza fosse l’unica cosa che la tenesse in piedi. Come se Afro fosse semplicemente l’incarnazione di una cheerleader, e non potesse esserci niente per elevarla a qualcosa di più.
ARES
Ares LaRue, quella mattina, aveva litigato con Eris.
Di fronte a questa realtà dei fatti, nessuno dei loro rispettivi amici si sarebbe sorpreso: Poseidone non se ne sarebbe curato, Zeus avrebbe commentato che Eris era la solita pazza, Ecate avrebbe consolato Eris con un bacio e Dioniso avrebbe elargito ad entrambi i litiganti, una volta tornati a casa, una bistecca surgelata da mettere sui lividi.
Eppure, quella mattina era stato diverso.
I genitori biologici di Ares ed Ecate, loro non li avevano mai visti. Secondo Ares, non li sarebbero mai venuti a cercare, e la cosa era reciproca: né da parte sua, né da parte di sua sorella, infatti, era mai nato il desiderio di andare a investigare sulla madre che li aveva abbandonati e poi, chissà, trovarla e scoprire che la loro vita altro non era che una replica di serie B di ‘Mamma mia’. Era probabile che fossero nati in una famiglia disastrata, turbolenta –i loro caratteri erano, dopotutto, in parte frutto del corredo genetico che avevano lasciato loro-, oppure erano figli di una sedicenne alle prese di un parto gemellare senza l’ombra del fidanzatino di allora tra le corsie dell’ospedale.
 Da piccolo, Ares aveva provato rabbia, al pensiero dell’abbandono che avevano subito. Col passare degli anni, i suoi sentimenti si erano ammorbiditi, prima grazie a una forzata indifferenza, poi con una certa coscienza di causa: non doveva essere stata una situazione facile per i loro genitori, in ogni caso, quindi Ares non era abbastanza ipocrita da voler giudicare una donna che, ignara, camminava per le strade di New York con gli occhi scuri di Eris e i capelli di Ares.
I loro nomi li aveva scelti lei, ed era l’unica cosa che la loro madre biologica aveva lasciato, assieme a un cognome che non era davvero il suo.
 Sballottati da una famiglia affidataria all’altra, con Ferro e Pancetta come unica costante, Eris era cresciuta acida, cinica, Ares facile all’ira e spregiudicato. Uniti, i gemelli La Rue avevano incontrato Lucia e Marcus con troppa diffidenza negli occhi per essere bambini normali, eppure aveva funzionato. Marcus era sembrato l’unico in grado di inquadrarli subito: la prima giornata assieme, infatti, l’avevano passata a vedere incontri di wrestling e a mangiare hot dog grondanti ketchup, con grande soddisfazione di tutti e tre, nonostante i silenzi imbarazzanti o le domande inopportune da entrambe le parti.
  In seguito, Ares era rimasto entusiasta del vecchio lavoro di Marcus, quando aveva trovato la divisa da militare nell’armadio, ed Eris aveva ascoltato i racconti di guerra con aria grave, seria, mentre gli occhi dell’uomo che li aveva accolti in casa si facevano distanti e tristi. Ares aveva imparato da Marcus quali fossero le guerre che erano davvero giuste, senza violenze e spargimenti di sangue innocente, cioè nessuna. Per la prima volta, aveva capito cosa significasse davvero la parola ‘guerra’, un concetto che prima aveva associato al sopravvivere nei quartieri dove erano stati costretti a vivere. Un concetto che, nonostante tutto e fortunatamente, non era mai stato realmente del suo mondo di bambino.
 Lucia sapeva tenerli in riga. Litigava con Eris come se si divertisse, facendola arrendere a forza di risposte salaci. Riusciva a rubare baci al marito, misantropo e burbero come un orso, ed elargiva abbracci a tradimento ad Ares, che accettava sorpreso quell’affetto a lui estraneo. Dopo qualche anno, Ares aveva smesso di essere esageratamente freddo, in tensione, nei confronti della loro famiglia adottiva. Eris ci aveva messo forse di più, ma alla fine anche lei aveva rinunciato ai pianti in solitudine, dopo che le sue compagne di classe la evitavano come la peste, preferendo nascondere il viso nell’incavo della spalla di Lucia.
 Una cosa bella, per tutti.
Come se avesse potuto durare davvero, pensò Ares La Rue, di fronte al viso in lacrime di sua madre. Lucia aveva i capelli scuri venati di grigio, e occhi grigi stanchi e rossi che, negli anni trascorsi assieme, Ares aveva visto raramente in quello stato.
Le parole di Lucia incontravano il silenzio, rimbalzando sui muri della cucina. Alle pareti, Ares osservò, con un angolo della sua mente, le fotografie del matrimonio dei suoi genitori: Marcus poco più alto di sua moglie, il suo sorriso più vivo di quello che aveva ora; a quel tempo, non aveva ancora finito il servizio militare.
 -Ares, ascoltami.
Sollevando lo sguardo, incontrò quello di Lucia. Lei non aveva più la fede, né il sottile anello di fidanzamento, a ingentilirle l’anulare sinistro.
-Eris non la prenderà bene.- fu la risposta di Ares. L’orologio, inclemente, segnava il loro crescente ritardo per prendere l’autobus per la scuola; Ares decise che avrebbe preso la moto, con la testa ancora ovattata mentre lentamente realizzava.
Marcus e Lucia che accennano, senza alcun apparente motivo, a ciò che sta succedendo ai vicini del piano di sotto -‘Stanno divorziando, a volte succede.’ I litigi nascosti alle loro orecchie da una porta socchiusa. Eris che propone di andare tutti in Grecia, la prossima estate, e la timida remora di Marcus che sconsiglia di fare progetti per l’anno venturo. Lucia che sbatte la mano sul tavolo, durante una discussione accesa, così forte che una pietra dell’anello di fidanzamento salta dal suo incavo. Marcus che accenna ad Ares che, forse, tornerà a usare la divisa nell’ultimo ripiano dell’armadio. Eris che corruga la fronte, davanti ad alcune valigie di papà che sono state tirate fuori dalla cantina.
-Eris dovrà accettarlo.
Per la prima volta dall’inizio del discorso –‘Io e Marcus abbiamo deciso di prenderci una pausa’-, Ares sentì le lacrime salirgli agli occhi. Non era rabbia, però, a causarle, o la solita tendenza a recriminare tutto a tutti; era un male sordo nel petto, che faceva bruciare forte gli occhi mentre si sforzava di immaginare il loro futuro. Ares ed Eris con Lucia. Marcus via, nel mondo che aveva descritto ad Ares, bambino, con lo sguardo triste che ora indossava sua moglie. La sua futura ex-moglie.
  No, Eris non l’avrebbe accettato. Eris si sarebbe chiusa a guscio, prima di insultare entrambi, Marcus e Lucia, accusandoli di tutto ciò che, invece, hanno sempre evitato di fare, con le migliori intenzioni. E forse nemmeno Ares avrebbe saputo metabolizzare la situazione, però era sua sorella il problema più urgente, quindi non doveva ancora pensarci troppo, non poteva.
Eris…
***
Ares La Rue, quella mattina, litigò con Eris.
Di fronte a questa realtà dei fatti, nessuno dei loro rispettivi amici si sarebbe sorpreso: Afrodite avrebbe nascosto il suo dispiacere con un’espressione serena, cercando di rallegrare il suo ragazzo, Estia avrebbe sospirato, rassicurando entrambi che era normale, dopotutto, che in famiglia si litigasse, Atena avrebbe blaterato qualcosa sulle statistiche sulle relazioni tra fratelli.
Eppure, quella mattina fu diverso.
Eris affrontò Ares non appena questi uscì dalla cucina. Aveva con sé lo zaino nuovo che Marcus le aveva regalato e una nota mortalmente risoluta, quasi folle, negli occhi.
-Stanno divorziando, non è vero?
Ares annuì, senza troppi fronzoli, e sapeva anche senza guardare che le mani della sorella si erano chiuse a pugno.
-Dopo tutti quei bei discorsi sul vivere bene, sulla famiglia, dopo ogni cazzata su come i litigi non influenzino davvero gli affetti-la voce bassa, un po’ roca, faceva sperare ad Ares di cancellare tutto, di poterle dire di no, che erano ancora una famiglia, unita, dopo e grazie a tutti gli sforzi che avevano fatto.
-Sono peggio di tutti gli altri. Sono peggio dei due drogati e di quelli che ci rispedivano indietro dopo una settimana.
-Non è colpa loro, a volte-
Eris lo interruppe, ed Ares percepì lui stesso quanto suonassero vuote le sue parole.
-E di chi è la colpa, allora? Del sogno di papà, della sua vita, così inconciliabile con le idee pacifiste della mamma? O è colpa dei soldi, che scarseggiano perché la ditta di mamma è fallita? E’ colpa tua, Ares?-veleno, veleno, recriminazioni, la colpa, di chi era la colpa?-E’ colpa tua, perché hai fatto tornare in mente a papà cosa vuol dire sentirsi un eroe, con tutti i tuoi vaneggiamenti da bambino su ‘Papà va in guerra perché anche se non è giusto, a volte accade lo stesso’?
-Smettila! -le mani di Ares si strinsero ai polsi della sorella-Stai sputando su ciò che di buono abbiamo avuto-
-Cosa abbiamo avuto?-le labbra di Eris erano livide, gli occhi ridotti a fessure-Un appartamento minuscolo e qualche incontro di wrestling? Hot dog col ketchup? Qualcuno che ti venisse a prendere da scuola quando finivi dal preside?
-Una famiglia! Fino a ieri mi pareva stessi benissimo, Eris!-il nome di sua sorella era come un insulto.
-Certo, perché è colpa mia!
Stavolta, Eris stava urlando, ed Ares non si preoccupava più di cosa Lucia potesse sentire.
-E’ colpa mia se tutti litigano, perché Lucia dice che io sono depressa e ho bisogno di spazio, e tu e Marcus siete tutti lì a dire: ‘Ma no, è fatta così, non puoi scusarla’, e dopotutto chi è che si diverte quando tutti si guardano in cagnesco, io!
-Sei sempre la solita egocentrica, non capisci mai-
Il sonoro ciocco del pugno di Eris sul naso del fratello era ciò che stavano aspettando entrambi. Trasformando le lacrime in pugni, i tentativi di vedere il lato positivo della situazione –se esisteva davvero- in graffi, entrambi, seppure in silenzio, si chiesero se, prima o poi, i litigi tra di loro avrebbero avuto infine delle conseguenze, come dopo anni di matrimonio era successo ai loro genitori.
AFRODITE
Afrodite non vide Ares tutta la mattina. Il suo ragazzo non si presentò a nessuna delle lezioni, e la mente di Afrodite viaggiò a vuoto, ponderando i motivi che avrebbero potuto spingere Ares a saltare persino il primo giorno di scuola.
Seduta dietro di lei, Demetra Gardner aveva parlottato incessantemente con il suo ragazzo fino a farsi rimproverare da più insegnanti; eppure, all’ora di pranzo sembrava più sollevata e felice di come fosse appena arrivata a scuola, come se le parole di Thanatos avessero avuto il potere di calmarla.
  La mensa era un continuo chiacchiericcio, a volte animato da urli e risate sguaiate. Afrodite aveva sempre visto quell’ambiente come lo specchio della società della scuola, la dimostrazione visiva dei vari gruppetti e ruoli di potere tra gli studenti.
  Poseidone, al solito, era circondato dalla squadra di nuoto al completo; per festeggiare il ritorno a scuola, i nuotatori si erano dipinti il viso di azzurro, usando i mirtilli che una delle ragazze della squadra aveva portato per merenda. Il viso di Poseidone era solare e allegro, gli occhi verdi brillavano a contrasto con la pelle da puffo, sebbene, come Afrodite notò immediatamente, Anfitrite non fosse seduta vicino a loro ma, anzi, riservasse sguardi rancorosi alla squadra di nuoto a cui un tempo apparteneva. Afrodite già si figurava il titolo che la Fama avrebbe posto tra poco in giro per la scuola: ‘Poseidone è ancora single, Anfitrite scartata come un vecchio calzino’, o qualcosa del genere. Con un moto di empatia femminile, si appuntò di consolare Anfitrite non appena avesse avuto l’occasione.
  Poco lontano, Zeus e Atena facevano comunella attorno ad un piccolo tavolo circolare. Entrambi seri, accoltellavano le mele che stavano mangiando con una metodica violenza, sembrando entrambi due strateghi in procinto di mettere a punto una strategia d’attacco. Dallo stesso lato di Zeus, Ermes lanciava alcuni piselli verso Artemide, seduta al tavolo di fianco a pochi centimetri di distanza. Di fronte all’amico, Apollo rideva in faccia alla sua gemella.
 Con occhio distratto, Afrodite osservò il gruppetto di Dioniso, Arianna seduta vicino a lui, Estia di fronte. La piccola Grace osservava con pari insistenza sia Ade, al solito seduto con Thanatos e Demetra in un angolo della mensa, sia Apollo, con un vago rossore nelle guance quando si soffermava troppo su quest’ultimo.
 E, al tavolo di Afrodite, Era chiacchierava con Persefone, che era troppo timida per opporsi alla sfilza di insulti contro Zeus Grace che l’altra le vomitava addosso come acido.
Ares, Ecate ed Eris non si vedevano in giro, così Afrodite si risolse a sedersi vicino a Persefone; immediatamente, Era la incluse nella sua filippica contro Zeus.
-Guardalo, là, a parlare con Atena! Mi ruba pure l’amica-borbottava, macerando i piselli come avrebbe voluto fare con il cervello del suo ex-ragazzo-poi durante la serata da Dion mi fissava, coerente soprattutto. Se non fosse che Atena è la Svizzera fatta persona, sempre neutrale tranne che con Poseidone, sarei già lì a urlargli addosso.
-Con questo tono di voce, dubito che non ti senta comunque, tesoro. Stai calma o ti verranno le rughe in giovane età.
L’occhiata di fuoco di Era la fece quasi ridere, eppure l’amica si tranquillizzò sul serio.
-Hai visto Ares, o Eris?-le chiese Afrodite, spostando l’argomento di conversazione a cose più importanti. L’assenza di Demetra e Atena, di solito al loro tavolo, era evidente e quindi fastidiosa, sebbene accanto ad Era fossero comunque sedute altre cheerleader come Ebe e Anfitrite.
Per la milionesima volta nella sua vita, Afrodite fu felice di non aver provato ad uscire con uno dei tre fratelli invece che con Ares: i Grace attiravano davvero i peggiori drammi amorosi.
-Ecate ed Eris si stavano baciando appassionatamente al terzo piano-fu la risposta di Ebe, che era talmente innocente da repellere l’uso di termini come ‘limonare’. 
Persefone azzardò un sorriso, solidale per il tono leggermente scandalizzato dell’amica, poi dalle sue labbra uscì un ‘oh’ soffocato. Ade Grace la stava salutando con un sorriso, dall’altra parte della sala.
-Mi è sembrato che Eris stesse piangendo, dopo-continuò Ebe, eppure Afrodite non la ascoltava già più.
Finalmente, scorse con la coda dell’occhio Ares entrare nella mensa. Si alzò in piedi e, senza dire niente, lo trascinò lontano dalle occhiate indiscrete dei loro compagni di scuola o, peggio, di Efesto appostato in un anfratto nascosto, mentre mangiava piselli, carne, mele e una abbondante porzione di rancore.
Lo sguardo di Ares era basso, e i suoi modi sgarbati, eppure questo servì solo a far preoccupare di più Afrodite. Quando lei provò a baciarlo, il ragazzo la spinse lontano con un sospiro seccato.
-Cosa è successo?-lo interrogò ansiosa-Stai bene?
La risposta di Ares fu prima un mugugno indefinibile, poi un abbraccio talmente stretto da mozzare il fiato. Ares era triste, ed il fatto che mostrasse il suo stato d’animo ad Afrodite faceva solo capire quanto grave fosse la situazione. Per un attimo, Afro ebbe paura di non sapere cosa dire, come se le malelingue che le davano della ragazza bella, ma senza cervello, avessero ragione.
 Si limitò a stringerlo forte a sua volta, aspettando che parlasse. Ares era più alto, e in quella posizione le stringeva fastidiosamente il seno, eppure non si mosse finché non fu lui a scostarsi di un poco, il necessario per guardarla negli occhi. In un momento di intimità delicata e fragile, così estranea al loro rapporto, Afrodite vide che Ares aveva gli occhi lucidi e due lividi sullo zigomo destro, e sentì le sue labbra screpolate e tagliate in alcuni punti quando questi le poggiò sulle sue.
 Senza chiedere, Non subito, pensò, non ora, Afrodite Beauregard lasciò che il ragazzo di cui si era innamorata la baciasse e non la lasciasse andare fino a quando suonò la campanella che segnava l’inizio delle lezioni. Solo allora, con delicatezza gli accarezzò il viso macchiato dai lividi e lo condusse a lezione con lei, mentre sottovoce, così piano che solo lei riusciva a sentirlo, Ares le raccontava tutto, pronto a lasciarsi alle spalle ogni ferita non appena avessero varcato la porta dell’aula, dando inizio a una nuova battaglia. Pronto a negare che il silenzio di Eris gli facesse alcun male, Ares La Rue ringraziò il cielo perché, almeno per un poco, aveva potuto sperare che amore e guerra potessero convivere.










 
 
Angolo autrice
*Da leggere con sottofondo di Bohemian Rapsody* DRAMAAAA **uhuhhhhuuuuu** AND IT’S JUST BEGUUUN….
Okay, sarò veloce. Al solito, chiedo venia per il ritardo spaventoso e vi dico che spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Sì, tanto dramma, perché Eris prima o poi doveva litigare e Afrodite doveva prima o poi fare qualcosa (quanto sono cattiva a dire così, invece è una delle poche che fa qualcosa di buono per ora).
Grazie alla balda giovine, come dice mia nonna, (sì, dico a te M., LaFilleTerrible) che mi ha spinto a continuare la storia dopo un periodo letargico: spero che il capitolo sia stato di tuo gusto.
Baci, abbracci e dei fighi, si accettano commenti<3
Ali
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: AliNicoKITE