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Autore: _Pulse_    26/04/2009    1 recensioni
Uscì in accappatoio e si asciugò velocemente i capelli con un asciugamano. Era così strana quella situazione… Lei e i Tokio Hotel, in una sola casa, a convivere. Voleva proprio vedere ciò che ne sarebbe uscito fuori.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: Ciao a tutti! ^^ Che dire... spero che vi piaccia! Lasciate qualche recensione, anche breve! Mi farebbe molto piacere!
Concludo dicendo che i TH non mi appartengono e questa storia è solo frutto della mia immaginazione! Grazie e tutti! XD

 

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Tom scese dalla macchina e si stiracchiò, guardando davanti a sé quell’enorme villa bianca, con un bel giardino e tutt’intorno pace e tranquillità. Respirò profondamente il profumo di mare nell’aria.

«Ehi Bill svegliati, siamo arrivati.» Scosse il fratello in macchina, che subito si rimise dritto e si spostò i capelli dal viso.

«Di già?» chiese, con la bocca ancora impastata dal sonno.

«Eh si…» disse Tom, appoggiandosi alla macchina scura e facendosi baciare dal sole caldo del pomeriggio.

Gustav e Georg erano già giù e si stavano guardando intorno.

«Ma questo è il paradiso!» disse Georg, aprendo le braccia.

«Chi ha le chiavi? Per ora voglio solo dormire per due giorni…» disse ancora Tom, stendendo la mano verso i due. 

Gustav tirò fuori dalla giacca un portachiavi, con attaccate tre chiavi: una per il cancello esterno, una per la porta d’ingresso e una per quella del tetto. Sul portachiavi, dentro, c’era scritto il nome di una ragazza, doveva essere la proprietaria della casa, una certa Jennifer. Ma Tom non ci pensò troppo. Infilò le chiavi nel cancello dipinto di bianco e lo aprì. I quattro entrarono, guardandosi intorno, mentre attraversavano il viale del giardino.

«Se da fuori è così, pensa dentro!» gridò Bill, ripresosi dalla dormita, tutto eccitato e curioso come un bambino.

Tom entrò in veranda, seguito dagli amici, curiosi quanto il suo gemello. Anche la porta era bianca, lucida, con il pomello dorato. Bill suonò il campanello, sorridendo, andando accanto al fratello. Un “din don” profondo, di gran classe, li fece ammutolire e guardarsi.

«Qui ci deve vivere una straricca, secondo me… ma così tanto che i soldi le crescono sugli alberi. Chissà il nostro management quanto l’ha pagata…» disse Gustav, mettendosi una mano sotto il mento.

«Ma… mica era di un suo cugino? A me sembra di aver capito così…» disse Georg, guardando i gemelli e poi Gustav.

«Mah…» disse Tom, guardando Bill. «Tu ne sai qualcosa?»

Bill negò muovendo di poco la testa. Tom si girò le chiavi tra le dita. 

«Ma chissene frega… Che problemi che ci facciamo…»

Tom girò le chiavi nella toppa, e con uno scatto la porta si schiuse. 

«Aaah, suono divinooo» disse, entrando e guardandosi intorno. 

Rimase completamente a bocca aperta, come Bill, Gustav e Georg, ovviamente. Non si preoccuparono neppure di chiudere la porta, erano troppo sbalorditi. Era la casa forse più grande, più lussuosa, più magnifica che avessero mai visto in tutta la loro vita.

Il pavimento era lucido, di marmo bianco; stesso valeva per le scale a curva che salivano al piano superiore, accompagnate da un corrimano dorato. C’erano vetri ovunque, tutta la parte sul giardino sul retro era in vetro, e potevi vedere il roseto in piena fioritura. Loro erano appena all’entrata, da dove potevi già farti un’idea sull’intera casa. Facendo qualche passo, scendendo due gradini entravano ufficialmente nel salotto, dove c’era un divano enorme, che faceva una lunga L, sempre bianco, di pelle, poi c’era una poltrona, coordinata al divano. Davanti c’era un tavolo di vetro, e poi la tv gigante a schermo piatto, saranno stati più di trenta pollici. A sinistra c’era l’entrata della cucina, senza porta, anch’essa grande, spaziosa, anche con il minibar con degli alcolici da esposizione, ma che potevano anche essere bevuti tranquillamente. Poi c’era la sala da pranzo, ovviamente, nulla in confronto alla cucina: era grande più del doppio, con un tavolo lungo chilometri.

Bill e Tom si guardarono a bocca aperta, ma con un sorriso lungo più del tavolo. Bill ora non voleva altro che vedere le camere da letto. Prese il fratello per il polso e lo trascinò di sopra, salendo di corsa le scale. Bill entrò in una camera, senza lasciare Tom, e rimase ancora, per l’ennesima volta, senza fiato. Più o meno tutte le stanze erano grandi come il salotto, cioè voleva dire solo una cosa: grandissime! In ogni stanza c’era almeno una finestra, almeno una, poi ce n’erano anche di più, in alcune c’era persino il terrazzo. C’era la scrivania, la televisione, il letto matrimoniale enorme, con la testata dorata, con tutti i ghirigori stile barocco, il bagno interno… Ma Bill non aveva visto ancora il guardaroba… C’era una porta doppia, tipo antine, sempre bianca. Bill la aprì con entrambe le mani e ci sparì dentro. 

Tom era rimasto a guardare fuori dalla finestra. Era un vero paradiso, sembrava di essere in vacanza. Avevano la completa vista sul mare, sulla spiaggia e sulle palme ai bordi della strada, tipo Hollywood, ma non erano ad Hollywood. Si girò e non vide più il fratello. Si guardò intorno, ma non c’era, sembrava sparito nel nulla.

«Bill? Bill dove sei?»

«Tom, sono qui!» urlò Bill, da dentro il guardaroba. 

Anche Tom entrò e si ritrovò in un’altra enorme stanza, con milioni di appendini e qualche manichino, per non parlare poi dell’enorme specchio e tutti gli armadietti accanto, e il puff che c’era davanti. Bill ora poteva stare davvero ore chiuso lì dentro a truccarsi e a vestirsi come voleva.

«È il guardaroba più figo che abbia mai visto in vita mia!» urlò Bill, battendo le mani e andando in giro saltellando. «Ho lo spazio per mettere tutte le valige, finalmente le posso svuotare completamente e ci sarà ancora posto scommetto!»

Tom gli sorrise e poi andò ancora in giro per la casa, lasciando Bill al suo paradiso.

La casa era talmente grande che per cercare Gustav e Georg doveva urlare, Bill avrebbe perso la voce!

Salì un’altra rampa di scale e si trovò in solaio, era come un appartamento, con sala e camera da letto collegati, un’enorme stanza unica, dove la testata del letto in pratica era lo schienale del divano, erano attaccati; poi c’era il bagno, munito, inoltre, di una vasca da bagno gigante, forse era il più grande tra tutti gli altri bagni della casa. Il pavimento lì era tutto in parquet e la stanza era illuminata grazie a due porte vetrate, che davano sulla terrazza.

Uscì fuori e respirò ancora a pieni polmoni il profumo di salsedine dell’aria, mentre il vento lo accarezzava leggero in viso e faceva muovere dietro di lui le tende chiare. Aveva deciso che quello spazio sarebbe stato suo, non c’erano dubbi, non voleva sentire ragioni. Il solaio era suo, punto e stop.

Rientrando nella sua futura camera notò una porta, in fondo alla stanza. Provò ad aprirla, ma era chiusa. Collegò subito che quella doveva essere la porta per arrivare sul tetto. Cercò le chiavi nelle enormi tasche dei pantaloni, e quando le trovò aprì la porta. Salì le scale e arrivò sul tetto. Si guardò intorno, era tutto pieno di fiori, poi c’erano degli sdrai prendisole e una piscina che prendeva quasi la metà del tetto. Ecco un altro motivo per far sì che quello spazio fosse solo suo: la piscina.

Scese di corsa tutte le scale, fino a ritornare di sotto, in salotto. Gustav e Georg che ancora erano dispersi da qualche parte, mentre Bill era al suo parco giochi personale.

Scese di sotto, in taverna. Era grande come il solaio, e Gustav e Georg si trovavano proprio lì, uno che giocava da solo a biliardo, Georg, con una stecca in mano, e l’altro che controllava gli attrezzi della piccola palestra.

«Finalmente vi ho trovati! In questa casa ci si perde! Ho visto che di sopra c’è il solaio, ed è mio, chiaro? E poi sopra ancora c’è il tetto con la piscina. Figata, vero?»

«Si, però non capisco perché il solaio dev’essere per forza tuo» disse Georg, puntando la stecca sulla pallina bianca e colpendola, facendola andare contro una rossa, che finì in un buco.

«Perché io devo stare comodo. Essendo il più importante qui…»

Gli arrivò una cuscinata in faccia da parte di Gustav, che era vicino al divano.

«Ehi!»

«Piantala di fare lo sbruffone» gli rispose Gustav.

«Bravo, così si parla» disse Georg, complimentandosi con l’amico. 

Gustav fece un piccolo inchino con la testa e poi si mise seduto sul divano. Di fronte a sé aveva un altro televisore gigante e sotto vide l’impianto stereo e accanto la play-station.

«Questo posto è fatto su misura di noi quattro. Poi è ovvio che i nostri genitori dicono che siamo sempre viziati!» disse Georg, guardando le altre aste appese dietro di lui.

«Mm… Bill ha trovato già la sua camera. C’è un guardaroba grande come metà di questa stanza!»

«Allora è perfetto per lui e i suoi vestiti!»

«Si, gliel’ho detto pure io

Improvvisamente sentirono la porta sbattuta al piano sopra di loro.

«Avete sentito?» chiese Tom, indicando in alto con un dito. Tutti e due annuirono. Corsero di sopra, dove incontrarono anche Bill che scendeva velocemente le scale.

«Avete sentito pure voi?» chiese Bill, saltando giù dagli ultimi gradini, tenendosi al corrimano.

«Si, ma cos’è stato?»

Tutti e quattro si guardarono e poi andarono verso il salotto, da dove si poteva vedere l’entrata. Si fermarono dietro alla parete e fecero sbucare fuori solo le teste, l’una sopra l’altra, per vedere.

Una ragazza appoggiò delle valigie a terra e sorrise soddisfatta, mettendosi le mani sui fianchi e controllando che tutto fosse rimasto come prima.

«Casa dolce casa…» disse, sollevata.

I quattro si guardarono confusi. Videro la ragazza scendere dai gradini e andare verso la cucina. 

Aprì il frigo e lo richiuse sconfitta, dicendo: «Ah bene, non c’è proprio niente…»

Notò dei jeans all’altra uscita della cucina, così si avvicinò corrugando la fronte. Vide quattro ragazzi che si sporgevano verso il salotto.

«Ma dov’è andata? Non torna più… Secondo voi chi è?»

«Secondo me ha sbagliato casa…»

Lei si schiarì la voce dietro di loro e Bill, Tom, Gustav e Georg sobbalzarono dallo spavento, si girarono e guardarono la ragazza che avevano di fronte. Solo allora lei si accorse che quelli erano i Tokio Hotel, proprio loro, non era una sua allucinazione. Li conosceva di vista, e chi non li conosceva? Le loro facce, soprattutto quelle dei gemelli Kaulitz, erano dappertutto, e sul piano musicale dominavano ormai quasi tutte le classifiche mondiali.

«I Tokio Hotel?!»

«Si, siamo noi…» disse Bill, guardando i compagni al suo fianco.

«E che ci fate voi in casa mia?!»

«Casa tua? Questa è casa tua?» Tom prese le chiavi e lesse di nuovo il nome sul portachiavi. «Tu sei… Jennifer?»

«Si, sono io. Piacere» porse la mano a Tom, poi a tutti gli altri, che gliela strinsero dicendo il loro nome.

«Ok, ora che abbiamo fatto le presentazioni… Mi spiegate che ci fate qui?»

«Beh noi… il nostro management… come faccio a spiegarlo?» chiese Bill al fratello.

Il cellulare di lei interruppe la confusa spiegazione.

«Pronto?» 

Passò in mezzo ai quattro e si mise sulla poltrona, tenendosi appoggiata con un braccio al bracciolo, ascoltando con attenzione. I Tokio si avvicinarono e Bill e Tom si appoggiarono allo schienale del divano, mentre Gustav ci si appoggiò sedendosi e Georg rimase in piedi, al lato.

«Ma sei tu zio! Menomale che hai chiamato. Mi spieghi che ci fanno i Tokio Hotel a casa mia?»

«Ah… ora si spiega tutto. E adesso che si fa? Che?!! Convivere?!! Io, con quattro… maschi?!!»

Tom rise e guardò il fratello. «Almeno non ti ha preso per femmina!» disse. Bill lo spinse sul braccio.

«Ma stavo scherzando!» si difese Tom.

Lei sbuffò e si appoggiò con la schiena alla poltrona. «Ok, va bene… Si, gli spiego tutto io… Si, ok. Ciao, ciao.» Chiuse il telefono e lo guardò, poi guardò quei quattro ragazzi. In fondo… non le dispiaceva così tanto condividere la casa con loro, erano pur sempre dei fighi pazzeschi visti così da vicino! Fece un sorriso e si alzò dalla poltrona.

«Allora? Chi era?» chiese Tom.

«Era mio zio, cioè il vostro management…»

Tutti e quattro si guardarono.

«Le sorprese della vita… E allora che ti ha detto?»

«Che c’è stato un equivoco. In pratica zio ha chiesto a mio padre se la casa era libera, e mio padre, quello scemo, non si è ricordato che dovevo venirci io per passare le vacanze, e così ha detto di sì. E adesso ci ritroviamo in cinque.»

«Cioè vuoi dire che dovremmo convivere…» disse Tom, con la faccia da furbo.

«Ehm… si…» disse lei, un po’ intimidita da quello sguardo.

«Per me non ci sono problemi. Per voi?» chiese Tom agli altri.

«No, per me nessun problema.»

«Per me è lo stesso.»

«Si potrebbe fare.»

«Visto? Che problema c’è? Tanto noi avremo le nostre cose da fare, tu le tue» disse Tom, sorridendo. Lei si mise a guardarlo indecisa.

«Mmh… ok, va bene» disse alla fine.

«Perfetto! Allora… Jennifer…»

«Potete chiamarmi Jinny.»

«Ok, Jinny. Allora… quanti anni hai?»

«Quasi diciotto.»

«Quindi sei la più piccola qui dentro!» disse Bill, tutto felice che per una volta non fosse lui.

«A quanto pare… Avete già visto la casa, vi siete ambientati?»

«Abbastanza… Più o meno abbiamo anche scelto le camere…» rispose Bill.

«Io il solaio!» dissero assieme Jinny e Tom, alzando la mano.

Tutti li guardarono, loro si guardarono con occhi da rivali.

«Ehi, non ci pensare nemmeno. Quello è mio.»

«Ma sentilo… non è nemmeno casa tua e già pretendi di dettare gli ordini. La casa è mia e la mia stanza rimane mia.»

«Quella è la tua stanza?»

«Si, qualche problema?»

«Si, perché la voglio io.»

«No, scordatelo.»

Bill intervenì e li divise, mettendosi in mezzo.

«Perché non ve la giocate a pari e dispari? Mi sembra la soluzione migliore…» disse, mettendo una mano sul petto del fratello.

«Ok!» rispose Tom, convinto di poter vincere.

«Perfetto!» disse lei, non rifiutando la sfida.

«Pari o dispari?» chiese lei, avvicinandosi ancora a Tom.

«Pari» disse lui, deciso.

«Ok, io dispari allora

I tre rimasti da parte si guardarono e iniziarono a fare scommesse su chi avrebbe vinto l’ambito solaio.

«Secondo me vince Tom…»

«Invece per me vince Jinny.»

«Allora, sei pronta a perdere?» chiese lui, guardandola con un sorrisetto beffardo.

«Se dovrò perdere lo farò con stile» rispose lei, sorridendogli.

«Bene, fammi vedere di che cosa sei capace.»

«Con piacere.»

«Uno, due, tre» dissero assieme, muovendo il pugno davanti a loro. Al “tre” aprirono il pugno e mostrarono il numero.

«Tre» disse il suo numero Tom.

«Due» disse lei, già sorridendo. «Cioè cinque, che è dispari. Quindi ho vinto io. Si arriva a tre?»

«Si, ma non vantarti perché non vincerai altre due volte.»

«Vedremo…»

«Uno, due, tre.» Mostrarono i numeri. Cinque e due, sette. Ancora dispari, ancora un punto per Jinny. Erano già due a zero per lei e Tom iniziava a perdere la calma.

«Tom, mi stupisci… Che ti succede? Non avevi detto che non avrei vinto più?»

«Stai zitta, che questa volta…»

Entrambe le volte lei aveva fatto due, perciò Tom credeva che lo avrebbe fatto di nuovo. Era già pronto a buttare giù pari, così che anche se avesse buttato due sarebbe stato punto suo. Era l’ultima, o vinceva Jinny tre a zero oppure bisognava continuare. Bill, Gustav e Georg erano tutti lì attorno a guardare e le scommesse aumentavano.

«Uno, due, tre» urlarono per la terza volta Tom e Jinny. 

Lei sorrise e guardò Tom, diventato tutto rosso in viso dalla rabbia. Jinny questa volta aveva fatto tre e Tom aveva fatto due, sperando che anche lei lo facesse, così da poter vincere, ma lei era stata più abile.

«Cazzo no!» urlò Tom. Gustav, colui che aveva sempre creduto che avrebbe vinto Jinny, fece il verso a Bill e Georg.

Tom stringeva i pugni e girava incazzato per il salotto, urlando bestemmie a qualsiasi cosa gli capitasse sotto al naso.

«Tom, dai non fare così… È solo un gioco…»

«No, Bill! Io volevo stare in solaio!» sbraitò ancora.

Jinny si avvicinò a Tom superando il divano e gli diede un leggero bacio sulla guancia, poi lo guardò in viso, arrossendo un po’.

«Mi hai fatto vincere apposta, vero? Sei davvero carino…» gli disse, poi salì di sopra, correndo sulle scale.

Tutti sapevano che Tom non l’aveva fatta vincere apposta, pure lei, infatti l’aveva detto solo per farlo calmare un po’.

Tom si toccò la guancia su cui l’aveva baciato e poi si guardò la mano, come per vedere il bacio in sé.

«Si, perché io faccio vincere le signore…»

Jinny si guardò intorno nel solaio: vide che le finestre erano aperte. Uscì nella terrazza e si appoggiò al parapetto, lasciò che il vento le spostasse i capelli biondi sul viso, coprendo gli occhi verdi. Rimase a guardare il sole che spariva dietro il mare, la notte e le stelle che stavano prendendo il sopravvento sul giorno. Sorrise e rientrò in camera. Corse giù e prese una valigia davanti all’entrata, dove l’aveva lasciata. Corse di nuovo su e la aprì sul letto, prese un cambio e poi si tuffò sotto la doccia, lasciandolo sul letto.

Uscì in accappatoio e si asciugò velocemente i capelli con un asciugamano. Era così strana quella situazione… Lei e i Tokio Hotel, in una sola casa, a convivere. Voleva proprio vedere ciò che ne sarebbe uscito fuori. 

Dopo essersi cambiata, scese di sotto e vide Tom sdraiato comodamente sul divano, con gli occhi chiusi. Sorrise e andò verso la cucina.

Nessuno si era accorto di lei, era arrivata silenziosa e non la si sentiva neppure camminare perché aveva solo le calze. Aveva i capelli ancora un po’ bagnati, leggermente mossi, che le cadevano sulle spalle.

Andò di fianco a Bill, intento a cercare qualcosa in qualche scaffale, che quando la vide fece un salto e si mise una mano sul cuore.

«Ma quando sei arrivata?!» disse, prendendo di nuovo respiro.

«Adesso. Ti sei spaventato?»

«Puoi dirlo forte! È saltato sul tavolo in pratica!» disse Georg, ridendo. Bill lo guardò con la faccia seria e gli fece una linguaccia.

Aprì anche lei un armadietto e ci guardò dentro: vuoto. Li aprì tutti, uno dopo l’altro, ma l’unico aggettivo utilizzabile era quello: vuoto. Lei disse qualcosa a bassa voce in italiano, sbuffando.

«Eh???» chiesero tutti e tre. Lei rise guardando le loro facce.

«Scusate. Voi non capite l’italiano… Ehi, potrei sfottere Tom senza che nemmeno se ne accorga!», rise da sola, pensando alla scena. «Sì… comunque. Non c’è niente. Io… andrei a prendere una pizza, c’è una pizzeria qua dietro. Chi la vuole?»

Tutti e tre alzarono la mano, saltando.

«Ok, va bene, ho capito! E Tom?»

«Figurati se quello dice di no alla pizza! Sì, anche a lui.»

«Ok… Scrivetemi quale volete che poi vado.» Diede un foglio con tutti i tipi di pizza a Bill, poi andò a prendere le altre valigie che aveva lasciato giù. Le portò su e alla fine ritornò in cucina dai ragazzi, ancora indecisi sul tipo di pizza da prendere.

«Allora?» chiese, sporgendosi sul tavolo e guardando il foglio al contrario.

«Tu che prendi?» le chiese Bill.

«Margherita, come al solito.»

«Ok, pure io» disse Georg. Jinny prese un foglietto di carta e se l’appuntò.

«Voi?» chiese, il tappo della penna sulle labbra.

«Io con le verdure.»

«Alle verdure per Gustav… E tu Bill?»

«Ehm… credo con le patatine fritte.»

«Ok. Ah, e per Tom?»

Bill ci pensò su e poi disse: «Uguale alla mia.»

«Ok, va bene. Allora vado e torno.»

Jinny uscì a prendere le pizze, loro rimasero a casa. Tom dormiva, Bill, Gustav e Georg invece erano a parlare in cucina.

«Che tipa quella Jinny. Come vi sembra?» chiese Bill, appoggiando i gomiti al tavolo e tenendosi la testa con le mani.

«È una forza! Potrebbe dare del filo da torcere a Tom se solo lo volesse. È una tipa in gamba.»

«Tu Georg? Che dici?»

«Che dico? Che è anche carina… altro che.»

«Sì, volete farvi riconoscere subito tu e Tom? Sempre e solo a quello pensate…» sbuffò Bill. «Ma… a proposito… avete visto che quando l’ha baciato, Tom è diventato rosso?»

«Che cosa? Rosso? Sul serio?» chiesero Gustav e Georg assieme, sbalorditi.

«Si, pochissimo, ma è arrossito. Ve lo dico io… quei due si piacciono.»

«Bill, tu per queste cose sei un mago. Potresti fare cupido…» disse Georg, sorridendo.

«Lo so, grazie… modestamente, non è da tutti…» rispose lui.

«Secondo voi Tom ci proverà?» chiese Georg.

«Ah boh, non me lo chiedere… io non me ne intendo» disse Gustav.

«Figurati… secondo me si, è più che sicuro» disse Bill.

Tom, in sala, si svegliò e focalizzò intorno a lui. Aveva un certo languorino. In effetti, ora che ci pensava, aveva mangiato solo a colazione, era ovvio che avesse fame. Aveva una mano sul petto, l’altra dietro la testa. Sentì i ragazzi parlare in cucina, ma non riusciva a distinguere bene le parole, era troppo lontano.

Sentì la porta aprirsi e poi chiudersi. Alzò di poco la testa e vide Jinny con dei cartoni della pizza in mano. Si diresse sorridendo in cucina, non si era nemmeno accorta di lui.

Raggiunse Bill e compagni in cucina, appoggiò i cartoni sul tavolo. Si guardò intorno.

«Ma Tom non si è ancora svegliato?»

Tom le toccò la spalla da dietro, «Sono qui.»

«Ti sei svegliato giusto in tempo» disse lei, girandosi.

Lui le sorrise e prendendole il fianco la sorpassò, andando accanto a suo fratello Bill.

«Che pizza mi hai preso?» le chiese, sbirciando dentro ad un cartone.

«Quella come Bill, l’ha scelta lui per te, perciò se non ti piace è colpa sua.»

«Dai, mi fido del mio fratellino…» disse, guardandolo dolcemente.

«Ma che carini…» disse lei, sedendosi e prendendo l’ultimo cartone, sotto tutti.

«Tu sai già che è quella la tua?» chiese Tom.

«Certo. L’ho guardato mentre le metteva dentro. La prima è quella di Georg, poi c’è quella di Gustav e le altre due sono vostre.»

«Hai una memoria di ferro!» disse Bill, guardando la sua pizza prima di quella del fratello.

Tutti presero la propria e si misero intorno al piccolo tavolo della cucina: Tom a capotavola, con ai lati Bill e Jinny, poi c’erano Gustav, di fianco a Jinny, e Georg, di fianco a Bill.

Jinny si era appena seduta, eppure era già in piedi. Prese da un cassetto delle posate, dei bicchieri di plastica, dei tovaglioli da un armadietto in alto e riempì d’acqua una caraffa trovata nella credenza. Mise tutto sul tavolo, poi si rimise seduta. Guardò Tom al suo fianco, sorrise. Sorrise pure Tom. Bill, Georg e Gustav si guardarono e si misero a ridere sottovoce, non facendosi vedere.

Jinny aveva già il coltello in mano e stava tagliando la sua pizza. Prese una fetta e iniziò a mangiare.

«Beh? Perché non mangiate? Guardate che si fredda» disse, dopo aver mandato giù il boccone. Bill mangiò un pezzo della sua.

«Com’è? È buona, vero? Gino è il migliore del mondo!» disse lei. Bill annuì con la testa, senza nemmeno perdere tempo a rispondere. Così, dopo che Bill aveva fatto da tester, si misero a mangiare tutti quanti.

«Mi spieghi una cosa?» le chiese Bill.

Lei buttò giù con un sorso d’acqua. «Si, che cosa?»

«Sei italiana?»

«No, no, sono tedesca. Solo che vivo da… quanti sono… tre anni qui in Italia con mio padre, per questo so parlare italiano, se è quello che ti chiedevi.»

«Si, esattamente.»

«Dai, ci racconti qualcosa di te? Non sappiamo nulla, a parte il fatto che hai diciassette anni» disse Tom.

«Ehi, ne ho quasi diciotto» lo rimproverò lei, puntandogli il coltello contro.

«Ok, ok, quasi diciotto. Che fai, vai a scuola, giusto?»

«Si, vado a scuola. Nel tempo libero o lavoro o faccio surf.»

«Lavori? Che lavoro fai?»

«Faccio part-time, aiuto una mia amica che ha un negozio di abbigliamento in un centro commerciale. Ha sempre un sacco da fare…»

«Ti tieni impegnata» disse Bill.

Tom scambiò un’occhiatina al fratello, pensando a chissà cos’altro.

«Che cos’era quell’occhiata?» chiese Jinny, prendendo un’altra fetta di pizza. Tom sorrise e si mise una patatina in bocca.

«Hai mai fatto sesso?» le chiese.

«Tom ti prego no! Anche a tavola no!» si lamentò Bill.

«Zitto Bill» lo ammonì Tom, attendendo una sua risposta.

«Ahm… sì, sì certo» disse Jinny, sfuggendo al suo sguardo.

«Quando la prima volta?»

«Ehm… sedici anni se non mi sbaglio…»

«E come sei? Sei brava a letto?»

Bill chiuse gli occhi e la patatina che aveva in mano la riappoggiò sulla pizza, pulendosi le mani sul tovagliolo.

«Beh… e io che ne so? Dovresti chiedere al mio ragazzo…»

Tom stava per soffocare. Era diventato bordeaux, perché Bill iniziò a dargli delle pacche sulla schiena.

«Hai il ragazzo?!» chiese, urlò, dopo aver ripreso un po’ di colore e più aria possibile. 

Tutti lo guardarono. Bill, Gustav e Georg notarono che nel suo accento c’era un po’ di gelosia e Jinny non sapeva perché fosse così sorpreso del fatto che lei avesse il ragazzo.

«Sì, non vedo che cosa ti sorprenda tanto… Va bè, io ho finito. Vado a mettere a posto le mie valigie. Ci vediamo dopo.» Li salutò in italiano, con un: “Ciaociao” e poi salì le scale, senza guardarsi indietro, mentre Tom era ancora scioccato.

«Tom? Ma che ti è preso? Ha il ragazzo, allora?» chiese Bill, mettendolo alla prova.

A Tom piaceva un sacco Jinny, si vedeva e tutti lo avevano capito, tranne Jinny e Tom. Neppure il diretto interessato sapeva che le piaceva, doveva ancora scoprirlo e Bill non intendeva di certo rovinargli la sorpresa.

«Che cosa? Io? Niente, ero solo un po’ sorpreso perché… perché sembra tanto uno spirito libero.»

«Se se, spirito libero…» disse Georg, prendendolo per il culo.

Bill gli fece un’occhiata, dicendogli di stare zitto. Tom si alzò da tavola e finì l’acqua dentro il suo bicchiere, poi si tuffò sul divano, prese il telecomando e si mise a guardare un po’ di tv, anche se la maggior parte dei programmi erano tutti in italiano.

Bill guardò gli amici e poi guardò il fratello sul divano.

«Avete visto? Sembrava geloso.»

«Sì, ma ancora non l’ha capito che gli piace.»

«No, una cosa per volta. Ha un solo neurone, se si gioca pure quello è fottuto…»

«Dai Hagen, piantala. È una cosa seria» disse Bill, guardando quasi preoccupato il fratello. «Sapete che casino succede se si interessa a lei, se è già fidanzata? Non ve lo immaginate nemmeno. Tom quando vuole una cosa la ottiene sempre, non gliene importa come. È talmente testardo… Per questo potrebbe succedere un casino. Li avete visti come si guardavano? Impressionante…»

«Bill, non ti preoccupare troppo per nulla. Tom è abbastanza grande da cavarsela da solo, non pensi?»

«Si, ma…»

«Ma niente. Lasciagli fare ciò che crede giusto, sbagliando si impara.»

«Mmh, forse hai ragione.»

Era già abbastanza tardi. Jinny scese le scale in pigiama, a piedi nudi, stringendosi nelle spalle. Vide tutti e quattro sul divano, che guardavano la tv e parlavano.

«Ragazzi io vado a dormire, chiudete voi?»

Tutti si girarono e la guardarono in mezzo alle scale. Bill le fece ok con la mano e le sorrise. «Ok, buona notte Jinny.»

«Buona notte» disse lei, rigirandosi. Stava già salendo le scale quando Tom le disse: «Buona notte e sognami!»

Lei rise a bassa voce e scosse la testa, sorridendo, dandogli le spalle.

«Vuoi proprio che abbia gli incubi…»

«Guarda che ti ho sentita!»

«Sì, buona notte.»

 

***

 

Jinny si svegliò con l’odore del caffè proveniente dalla cucina. Sorrise e si stiracchiò nel letto, vedendo il sole entrare abbagliante dalla finestra.

«Jinny! Forza svegliati pigrona! Qui siamo tutti in piedi!» urlò da sotto Tom.

Lei si girò dall’altra parte e si accoccolò, lasciando che il torpore delle coperte la facesse riaddormentare, ma ormai era sveglia. Si alzò, levando le coperte tutte da un lato. Andò in terrazza e guardò il mare, il sole stupendo, l’aria giusta. Era una giornata perfetta per fare un po’ di surf. Si stiracchiò ancora sbadigliando alla luce del sole, poi scese le scale, in pigiama e lasciando le ciabatte chissà dove per il solaio.

Raggiunse tutti in cucina, Bill e Tom erano in piedi, l’uno di fianco all’altro, appoggiati al ripiano, che bevevano la loro tazza di caffè; Georg e Gustav invece erano seduti al tavolo.

«Allora il caffè c’era…» disse, avvicinandosi e mettendosi seduta di fianco a Georg.

«No, in verità sono andato io a prenderlo al bar. Non sapevo i tuoi gusti, quindi…» disse Gustav, un po’ imbarazzato.

«Ah, non ti preoccupare, mangerò qualcosa in spiaggia.»

«Beh buon giorno, comunque!» le disse Tom, sorridendo.

«Buon giorno…» rispose lei, coprendosi la bocca per uno sbadiglio e alzandosi.

In solaio, si infilò il costume e sopra la tuta per fare surf. Era maledettamente comoda, ci si trovava da favola, era come una seconda pelle. Preparò la sua borsa e scese di nuovo giù.

Quando Tom la vide con quella tuta aderente aveva paura di sbavare sul pavimento lucido della sala. Lei tirò fuori il cellulare e guardò l’ora.

«Ma è tardi! Perché non mi avete svegliata prima?»

«Senti, noi intanto ti abbiamo svegliata…» disse Tom, ripresosi.

«Programmi per oggi?» gli chiese lei.

«Ahm… le solite cose. Interviste, registrazione e poi ancora interviste…» disse Bill, spuntando in sala, accanto al fratello.

«Tu? Hai detto che andavi in spiaggia, no?»

«Si, sole, mare, relax e surf.»

«Beata te…» disse Bill, sbuffando.

«Allora ci vediamo stasera» disse lei, superando i gemelli e andanto vicina alla porta. Era sul punto di aprirla quando Tom le disse: «A proposito di stasera. Prima di tornare noi ci fermiamo a prendere qualcosa, perché proprio non c’è niente. Ok?»

«Ah, ok.»

Proprio non te ne frega niente, pensò Tom.

«Ah Tom, scusa…»

«Eh, che c’è?»

«Non è che mi daresti una mano con la tavola?» gli chiese.

Tom annuì e la seguì nel giardino. Raggiunsero il retro e una casetta di legno, costruita lì in mezzo, nascostra da alcuni cespugli.

«Questa non l’avevo vista…» disse Tom.

Lei tirò fuori dalla borsa una chiave e aprì la porta della casetta. Entrarono ed era completamente buio, lei tastò il muro cercando il filo per accendere la luce, lo trovò e la accese. Ora si vedeva qualcosa. Jinny si avvicinò alla tavola da surf, azzurra e bianca, con un grande delfino in mezzo.

«Beh? Pensi di continuare a guardarmi oppure di renderti utile?» chiese lei, guardando Tom imbambolato a guardarla e mettendosi le mani sui fianchi.

«Ahm… sì, un attimo. Qual è? Quella?» indicò la tavola con il delfino.

«Eh sì, ne vedi altre?»

«Già, giusto.» Tom spostò Jinny e prese la tavola, togliendola dai ferri che la reggevano appesa alla parete. Gliela diede e lei la guardò, controllandola per bene.

«Devo dargli un po’ di cera…» disse, toccandola in superficie, dopo avela ispezionata in lungo e in largo.

«Grazie Tom, ci vediamo stasera.»

«Prego, a dopo. Divertiti.»

«Certo!» disse lei raggiante, uscendo dalla casetta, guardando Tom e sorridendo.

 

***

 

«Siete già tornati?»

Tom entrò per primo, con due borse in mano, che scaricò subito di fianco al divano, per guardare meglio Jinny.

Era in costume e con degli shorts azzurri a fiori bianchi e rossi, sdraiata sul divano, che coccolava un gattino tutto nero con degli occhi verdi stupendi, come i suoi. Lo agitò un po’ in aria, come se fosse un bambino piccolo, sorridendogli.

«Guardate chi ho trovato nel roseto? Era graffiato su una zampa e allora l’ho tenuto… Non è adorabile questa palla di pelo?» gli accarezzò il naso con la punta del dito, ridendo.

Tom, ora che lo guardava meglio, si accorse che aveva una zampa fasciata e che anche Jinny aveva il polso fasciato.

«Ma che hai fatto al polso tu?» le chiese, avvicinandosi e appoggiandosi allo schienale del divano.

«Ah, niente. Sono caduta male sulla tavola, ma nulla di grave, non mi fa nemmeno male.» Si alzò e tenne con una mano il gattino e con l’altra prese una borsa lasciata lì da Tom. Bill, Gustav e Georg erano già al frigo e agli armadietti, che sistemavano.

«Vedo che sei solo tu lo scansa fatiche qui» disse lei, mettendo la borsa accanto alle altre sul tavolo.

«Chi, Tom? Puff… C’è Bill che dà una mano perché vuole fare bella figura, almeno per i primi giorni, ma è peggio, fidati» disse Gustav, prendendo delle scatole da una borsa.

Lei e Georg risero, mentre Bill si lamentava: «Molto gentile Gustav…» 

Solo allora Bill si accorse del gatto che Jinny aveva in braccio. Si alzò da terra e la raggiunse, le prese il micio dalle mani e se lo appoggiò al petto.

«Ma che carino! Ciao piccolo!»

«Ecco, Bill ci ha abbandonati…» concluse Gustav.

«Dai, vi do una mano io» disse Jinny, sbirciando in una busta. «Ma quante schifezze che mangiate!»

«Esattamente, sai come siamo noi maschi…» rispose Tom, parlandole vicino all’orecchio.

Da dove arriva tutta questa confidenza?, si chiese Jinny. 

«Ehi, parla per te. Io mangio sano» disse Gustav, intervenendo e guardando Tom.

«B-bravo, così si fa» disse ancora un po’ scombussolata. «Riprendendo il discorso di prima… Come mai già tornati? Credevo arrivavaste più tardi.»

«Chi hai nascosto nell’armadio?» chiese Tom.

Lei lo spinse sul braccio, «Nessuno, scemo.»

«Siamo tornati prima perché abbiamo fatto semplicemente prima: in studio ci siamo stati poco e le interviste sono state fatte tutte insieme, tipo conferenza, e perciò è stato tutto più rapido» ripose Georg.

«Tu che hai fatto invece?» chiese Bill, rientrando in cucina con il cucciolo in braccio.

«Niente… Ho preso il sole e sono stata in acqua fino ad adesso. C’erano delle onde da paura! Troppo bello, dovresti provare, sai Tom?»

«Ma non sono capace…» rispose lui.

«Embè? Ti insegno.» Prese una scatola di biscotti e la mise accanto a tutti gli altri, in un armadio.

«Sai cucinare?» le chiese Gustav, cambiando discorso. Lei fece “così e così” con la mano, annuendo.

«Cosa ti viene meglio?»

«Che ne so… la pasta, e le torte. Quelle si che mi vengono bene!» disse, leccandosi le labbra.

«Allora ci farai assaggiare… Io vado matto per le torte» disse Georg.

«Ok, va bene!» disse, sorridendo.

«Programmi per la serata?» chiese Tom. Tutti si guardarono.

«Boh…» disse lei, alzando le spalle. «Io non ho nulla da fare.»

 

***

 

Tom era in cucina, ai fornelli, che cercava di preparare qualcosa, in quanto tutti si erano rifiutati e avevano complottato contro di lui. E ora si ritrovava a che fare con pentole e coperchi. Aveva cucinato così poche volte in vita sua che era già tanto se riusciva a mettere l’acqua per la pasta dentro alla pentola.

Sentì le mani di Jinny sui fianchi, ne era certo, quelle erano le sue, non c’erano dubbi.

«Ehi Jinny, che c’è?»

«Non ci credo… come hai fatto?»

«A far che?»

«A sapere che ero io!»

«Ah beh… sono abituato ai tocchi femminili, ormai li riconosco. Comunque… che cosa c’è? Non vedi che sono impegnato?»

Lei sorrise e si appoggiò al lavello, accanto a lui. Lo guardò, sempre sorridendo.

«Oh si, lo vedo che sei impegnato. Sai… ho sempre trovato gli uomini che cucinano estremamente sexy…»

«È un modo per dire che lo sono?»

«No, che mi piacciono i ragazzi che sanno cucinare, non che tu sei sexy, non che non lo sia…»

«Allora lo sono… capito la furbetta? E menomale che sei fidanzata…»

«Si, ma noi scherziamo.»

«Mmh, sarà…»

«Ma quanto sei cocciuto! Mi piace…»

«Eccola di nuovo…»

«Va bè, ho capito. Vado a preparare la tavola, se no non si mangia proprio niente.» 

Uscì dalla cucina e andò in sala da pranzo ad apparecchiare.

Bill, che aveva ascoltato tutto dall’inizio rimanendo nascosto dietro la parete, entrò in cucina e placcò il fratello da dietro, mettendogli le braccia intorno al collo.

«Bill! Lasciami stare!» urlò Tom, ridendo e cercando di liberarsi.

«Scommetto che se lo facesse una ragazza non faresti tutte queste storie…» disse Bill, appoggiandosi dove prima c’era stata Jinny.

«Ma se lo farebbe una ragazza sarebbe per un’altra ragione. Tu che vuoi? »

«Ho sentito che tu e Jinny in cucina avete delle conversazioni piuttosto… uhm… piccanti, ecco, tanto per restare in tema.» Tom rise e scosse la testa, guardando nella pentola. 

«Ma è Jinny che ha cominciato. Ci dev’essere una tigre dietro quella faccia da micino. Non pensi?»

«Mmh, può darsi… Che cucini? Cioè… che tenti di cucinare?»

«La… pasta? Ma non so se…»

«Perché non ti fai aiutare da Jinny?» Bill si mise ancora dietro il fratello e gli prese le mani, le portò al suo petto e le fece sfregare. «Mmh?»

«Bill ma piantala! Sei così fissato su me e Jinny?! Vattene ti prego, va’…» disse staccandoselo di dosso.

Il timer interruppe la conversazione e Tom spense il fuoco e mise la pasta nel lavandino, nello scolapasta.

Erano tutti intorno al tavolo, quello enorme della sala da pranzo. Solo che loro erano solo in cinque e perciò ne occupavano un ottavo.

Erano in fondo, nella stessa sistemazione del giorno precedente. Tom e Jinny erano vicini, e questo era pericoloso, almeno così pensava Bill. Quei due assieme non andavano affatto bene, erano simili, quasi identici.

«Beh? Cavolo però… nessuno dice niente… alla fine è ovvio che mi metto a parlare di sesso con Jinny! Almeno parliamo di qualcosa!»

«Tom ma non abbiamo nulla da dire…» parlò Georg per tutti.

«E dì una cazzata, no? Così almeno ti sfotto e ridiamo un po’.»

«Molto divertente…»

«Non mi sono mai interessata molto a voi, nel senso di gruppo, però devo dire che conoscendovi meglio e di persona siete simpatici. Sì, sì, mi sto affezionando a quattro bambini…» disse Jinny, ridendoci su.

«Occhio a come parli. Che qui di bambina ce n’è solo una» replicò Tom. «E poi che vuol dire che non ti sei mai interessata a noi? Non ci ascolti?»

«No, preferisco altra musica. Non capisco perchè ti sorprendi tanto: guarda che non tutti vi vengono dietro e vi svengono in braccio. Ecco, quando fai così il presuontoso non ti sopporto.»

«Ok, facciamo un passo indietro. Faccio finta di niente. Che musica ti piace?»

«Ascolto solo hip hop.»

«Giura! Anch’io!» esclamò Tom, sorpreso, mettendo le mani di fianco al piatto, sul tavolo.

«Davvero? Non lo sapevo… Ma com’è che fai rock e ascolti hip hop?»

«Beh, il rock lo abbiamo sempre suonato assieme… e anche se non è quello che suoniamo io ascolto solo hip hop.»

«Ah, come sei strano Tom. Ma lo sai che sei strano?»

«Beh, dipende dai punti di vista…»

«No, non è strano, è semplicemente scemo» disse Bill, ridendo. Rise anche Jinny.

«Ma… una volta, per caso, ho letto un’intervista e tu dicevi che il posto più strano in cui l’hai fatto è stato su un prato. È vero?»

Bill alzò gli occhi al cielo e alzò le braccia, sussurrando qualcosa, poi le mise sulla gambe, non toccando più cibo.

«Vedi Bill? È sempre lei che comincia!» si difese Tom.

«Jinny smettila per favore.»

«Oh ma vaffanculo Bill!» disse, in italiano.

«Ehi ma quella parola so che vuol dire!» rispose Bill.

«Tantomeglio, così non devo tradurre! Ma se non vuoi sentire vattene! C’è la casa di… quanti piani sono? Cinque piani circa! Hai un sacco di spazio, vattene no?!»

Bill si girò dall’altra parte e si mise a braccia incrociate. Lei lo guardò male.

«Altro che bambina io, sei tu il moccioso viziato qui dentro.» Si alzò da tavola, spostando la sedia rumorosamente e andò via, lasciando i quattro a bocca aperta.

«Che caratterino…» disse Gustav, prima di bere dal suo bicchiere.

Jinny si tuffò sul suo divano e spense tutte le luci del solaio. Accese la tv e si mise lì a guardarla, tanto per sbollire la rabbia.

Dieci minuti dopo sentì bussare alla porta. Decise di ignorarlo, si girò e si mise con la mano sotto ad un cuscino del divano, alzò un po’ il volume della tv.

«Jinny? Posso?» Era Bill. Lei si girò e guardò per un attimo Bill, la sua testa, che sbucava dalla porta.

«Sto dormendo, che cosa vuoi?» gli chiese, rimettendosi comoda sul divano, ad occhi chiusi.

«Volevo solo chiederti scusa. Dai, facciamo pace?»

«Dipende.»

«Da cosa?»

«Se mi lasci parlare di ciò che voglio con Tom, ogni volta che voglio.»

«Uhm… Non mi lasci scelta… Ok, va bene.»

«Allora siamo d’accordo.» Si strinsero la mano e poi Jinny lo abbracciò sorridendo.

Scesero entrambi di sotto, a braccetto. Tom, Gustav e Georg erano sul divano e quando li videro sulle scale sorrisero.

«Avete fatto pace?»

«Sì, certo…» rispose lei, guardando di sfuggita Bill.

Alle mie condizioni, certo…

Scavalcò il divano e si mise seduta accanto a Tom. Bill in mezzo a Gustav e Georg.

«Domani che fai?» le chiese Tom.

«Domani? Mmh… ah si. La mattina ho il turno in negozio. Mi devo alzare anche presto, uffa…»

«Scusa, ma perché lavori? Scommetto che con tutti i soldi che hai potresti vivere comodamente senza alzare un dito.»

«Che cosa?! Ma stai scherzando?! Io non ho un soldo! Credi che se vengo qui per un po’ sia ricca sfondata? È mio padre quello che ha i soldi… e non mi da mai niente… “Devi guadagnarteli, signorina”.»

«Allora è vero che l’apparenza inganna…» disse Bill.

«Ma allora tuo padre che lavoro fa?»

«In pratica è uno dei capi della Universal, lavora in America soprattutto.»

«Non ci credo! Allora è lui quello di cui parla sempre il nostro management! Il Grande Capo, come lo chiama lui. Giuro che non l’avrei mai detto» disse Tom, mentre metteva il braccio dietro le spalle di lei, sullo schienale del divano.

Bill si accorse subito di quel suo gesto e guardò gli amici al suo fianco con un sorrisetto come per dire: “L’avete visto?!!”. Anche Gustav e Georg sorrisero, annuendo mentalmente.

Lei tirò le gambe al petto, ascoltandolo mentre parlava. Bill, Gustav e Georg non lo seguivano neppure, erano concetrati sul cogliere ogni suo movimento che facesse capire che Jinny gli piacesse.

Tom sorrise, anche Jinny sorrise. Sorridevano guardandosi negli occhi, qui ci sarebbe scappato il bacio secondo Bill.

«Io vado a prendere da mangiare, ho fame» disse Bill, alzandosi dal divano facendo uno sguardo complice a Georg e Gustav.

«Ma te l’ho mai detto che sei una fogna?» disse Jinny.

Bill sorrise e rispose: «No, ma non mi offendo.» 

Bill andò in cucina, seguito da Gustav e Georg, per lasciarli da soli e vedere che succedeva. Infatti si misero a spiarli da lì.

Jinny ora aveva il potere in mano, il telecomando, e ciò che stava guardando non piaceva affatto a Tom, lo trovava estremamente noioso e nauseante.

«Jinnyyyyy… cambiaaaaaa…»

«Nooooooo… Mi interessa Tom, lasciami guardare. La casa è mia e perciò guardo quello che mi pare.»

«E ricomincia con sta storia… Uffa. Dammi il telecomando e basta, che tra noi due il più grande sono io.»

«E allora? Io non te lo do il telecomando.»

«Dai Jinny! Ma sta roba fa schifo!»

«Non è vero! È bello!»

«Ma vai via va’… Dammi.» Tom cercò di prendere il telecomando dalle mani di Jinny, ma lei glielo levò dalla traiettoria, stendendo il braccio dalla parte opposta.

«Per favore Jinny!»

«Ti ho detto di no.»

«Anche tu però non scherzi con la testardaggine, ne?» 

Tom allungò il braccio per prendere il telecomando, ma Jinny era sempre più veloce di lui. Ad un certo punto Tom le cadde addosso, facendola stendere sul divano, ma non l’aveva fatto apposta.

Bill, Gustav e Georg cercarono di vedere dopo lo schienale del divano, ma da lì non riuscivano a vedere proprio niente.

Jinny e Tom erano l’uno sopra l’altra, con gli occhi ad una distanza da far venire i brividi e le labbra che si sfioravano. Rimasero a guardarsi negli occhi per un’eternità di secondi, ascoltando solo il loro respiro, sentendo il calore dei loro corpi vicini.

Jinny si schiarì la voce: «Mi stai schiacciando, ti vuoi levare?»

«Cosa?»

«Non pesi proprio come una piuma.»

«Ah, scusa» le disse, diventando improvvisamente rosso.

Bill, Georg e Gustav non potevano vedere quel suo rossore e nemmeno Jinny, perché era buio, ma Tom si sentiva la faccia bruciare, sapeva bene di essere arrossito e non se ne riusciva a spiegare il motivo.

«Fa niente» gli rispose lei, mettendosi di nuovo seduta bene, ma dall’altra parte del divano, il più lontano possibile da Tom.

«Allora Bill, hai trovato da mangiare?!» chiese ancora lei, guardando verso la cucina. 

Bill e gli altri fecero finta di niente e rientrarono a razzo in cucina, non facendosi beccare.

«Ehm… si!» rispose Bill, incerto. «Ma… ora che ci penso… mi è passata la fame…»

«E allora muoviti e torna qua.»

«Si, arrivo.»

I tre si scambiarono un’occhiata e tornarono in salotto, si misero in mezzo a Tom e Jinny e si rimisero a guardare la tv. Ora nessuno dei due parlava più, guardavano entrambi la tv e non dicevano niente. E Bill non sapeva se aveva fatto male o bene ad averli lasciati soli per due minuti. Ma forse, Tom aveva capito che Jinny gli interessava, e gli interessava non poco.
   
 
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