Nota:
Ciao a tutti! ^^ Che dire... spero che vi
piaccia!
Lasciate qualche recensione, anche breve! Mi farebbe molto
piacere!
Concludo dicendo che i TH non mi appartengono e questa storia
è
solo
frutto della mia immaginazione! Grazie e tutti! XD
«Ehi
Bill
svegliati, siamo
arrivati.» Scosse il fratello in macchina, che subito si
rimise
dritto e si
spostò i capelli dal viso.
«Di
già?» chiese, con la bocca
ancora impastata dal sonno.
«Eh
si…» disse Tom,
appoggiandosi alla macchina scura e facendosi baciare dal sole caldo
del
pomeriggio.
Gustav
e Georg erano
già giù e
si stavano guardando intorno.
«Ma
questo
è il paradiso!» disse
Georg, aprendo le braccia.
«Chi ha le chiavi? Per ora voglio solo dormire per due giorni…» disse ancora Tom, stendendo la mano verso i due.
Gustav
tirò
fuori dalla giacca un portachiavi, con attaccate tre chiavi:
una per il cancello esterno, una per la porta d’ingresso e
una
per quella del
tetto. Sul portachiavi, dentro, c’era scritto il nome di una
ragazza, doveva
essere la proprietaria della casa, una certa Jennifer. Ma Tom non ci
pensò
troppo. Infilò le chiavi nel cancello dipinto di bianco e lo
aprì. I quattro
entrarono, guardandosi intorno, mentre attraversavano il viale del
giardino.
«Se
da fuori
è così, pensa
dentro!» gridò Bill, ripresosi dalla dormita,
tutto
eccitato e curioso come un
bambino.
Tom
entrò in
veranda, seguito
dagli amici, curiosi quanto il suo gemello. Anche la porta era bianca,
lucida,
con il pomello dorato. Bill suonò il campanello, sorridendo,
andando accanto al
fratello. Un “din don” profondo, di gran classe, li
fece
ammutolire e
guardarsi.
«Qui
ci deve
vivere una
straricca, secondo me… ma così tanto che i soldi
le
crescono sugli alberi.
Chissà il nostro management quanto l’ha
pagata…» disse Gustav, mettendosi una
mano sotto il mento.
«Ma…
mica
era di un suo
cugino? A me sembra di aver capito
così…» disse
Georg, guardando i gemelli e
poi Gustav.
«Mah…»
disse Tom, guardando
Bill. «Tu ne sai qualcosa?»
Bill negò muovendo di poco la testa. Tom si girò le chiavi tra le dita.
«Ma
chissene
frega… Che problemi che
ci facciamo…»
Tom girò le chiavi nella toppa, e con uno scatto la porta si schiuse.
«Aaah, suono divinooo» disse, entrando e guardandosi intorno.
Rimase
completamente a bocca aperta, come Bill, Gustav e Georg,
ovviamente. Non si preoccuparono neppure di chiudere la porta, erano
troppo
sbalorditi. Era la casa forse più grande, più
lussuosa,
più magnifica che
avessero mai visto in tutta la loro vita.
Il
pavimento era lucido, di marmo bianco;
stesso valeva per le scale a curva che salivano al piano superiore,
accompagnate da un corrimano dorato. C’erano vetri ovunque,
tutta
la parte sul
giardino sul retro era in vetro, e potevi vedere il roseto in piena
fioritura.
Loro erano appena all’entrata, da dove potevi già
farti
un’idea sull’intera
casa. Facendo qualche passo, scendendo due gradini entravano
ufficialmente nel
salotto, dove c’era un divano enorme, che faceva una lunga L,
sempre bianco, di
pelle, poi c’era una poltrona, coordinata al divano. Davanti
c’era un tavolo di
vetro, e poi la tv gigante a schermo piatto, saranno stati
più
di trenta
pollici. A sinistra c’era l’entrata della cucina,
senza
porta, anch’essa
grande, spaziosa, anche con il minibar con degli alcolici da
esposizione, ma
che potevano anche essere bevuti tranquillamente. Poi c’era
la
sala da pranzo,
ovviamente, nulla in confronto alla cucina: era grande più
del
doppio, con un
tavolo lungo chilometri.
Bill e Tom si guardarono a bocca aperta, ma con un sorriso lungo più del tavolo. Bill ora non voleva altro che vedere le camere da letto. Prese il fratello per il polso e lo trascinò di sopra, salendo di corsa le scale. Bill entrò in una camera, senza lasciare Tom, e rimase ancora, per l’ennesima volta, senza fiato. Più o meno tutte le stanze erano grandi come il salotto, cioè voleva dire solo una cosa: grandissime! In ogni stanza c’era almeno una finestra, almeno una, poi ce n’erano anche di più, in alcune c’era persino il terrazzo. C’era la scrivania, la televisione, il letto matrimoniale enorme, con la testata dorata, con tutti i ghirigori stile barocco, il bagno interno… Ma Bill non aveva visto ancora il guardaroba… C’era una porta doppia, tipo antine, sempre bianca. Bill la aprì con entrambe le mani e ci sparì dentro.
Tom
era
rimasto a guardare fuori dalla finestra. Era un vero
paradiso, sembrava di essere in vacanza. Avevano la completa vista sul
mare,
sulla spiaggia e sulle palme ai bordi della strada, tipo Hollywood, ma
non
erano ad Hollywood. Si girò e non vide più il
fratello.
Si guardò intorno, ma
non c’era, sembrava sparito nel nulla.
«Bill?
Bill dove sei?»
«Tom, sono qui!» urlò Bill, da dentro il guardaroba.
Anche
Tom entrò e si ritrovò in un’altra
enorme stanza,
con
milioni di appendini e qualche manichino, per non parlare poi
dell’enorme
specchio e tutti gli armadietti accanto, e il puff che c’era
davanti. Bill ora
poteva stare davvero ore chiuso lì dentro a truccarsi e a
vestirsi come voleva.
«È
il guardaroba più
figo che abbia mai visto in vita mia!»
urlò Bill, battendo le
mani e andando in giro saltellando. «Ho
lo
spazio per
mettere tutte le valige, finalmente le posso svuotare completamente e
ci sarà
ancora posto scommetto!»
Tom
gli
sorrise e poi andò ancora in giro per la
casa, lasciando Bill al suo paradiso.
La
casa
era talmente grande che per cercare
Gustav e Georg doveva urlare, Bill avrebbe perso la voce!
Salì
un’altra rampa di scale e si trovò in
solaio, era come un appartamento, con sala e camera da letto collegati,
un’enorme stanza unica, dove la testata del letto in pratica
era
lo schienale
del divano, erano attaccati; poi c’era il bagno, munito,
inoltre,
di una vasca
da bagno gigante, forse era il più grande tra tutti gli
altri
bagni della casa.
Il pavimento lì era tutto in parquet e la stanza era
illuminata
grazie a due
porte vetrate, che davano sulla terrazza.
Uscì
fuori e respirò ancora a pieni polmoni il
profumo di salsedine dell’aria, mentre il vento lo
accarezzava
leggero in viso
e faceva muovere dietro di lui le tende chiare. Aveva deciso che quello
spazio
sarebbe stato suo, non c’erano dubbi, non voleva sentire
ragioni.
Il solaio era
suo, punto e stop.
Rientrando
nella sua futura camera notò una
porta, in fondo alla stanza. Provò ad aprirla, ma era
chiusa.
Collegò subito
che quella doveva essere la porta per arrivare sul tetto.
Cercò
le chiavi nelle
enormi tasche dei pantaloni, e quando le trovò
aprì la
porta. Salì le scale e
arrivò sul tetto. Si guardò intorno, era tutto
pieno di
fiori, poi c’erano
degli sdrai prendisole e una piscina che prendeva quasi la
metà
del tetto. Ecco
un altro motivo per far sì che quello spazio fosse solo suo:
la
piscina.
Scese
di
corsa tutte le scale, fino a
ritornare di sotto, in salotto. Gustav e Georg che ancora erano
dispersi da
qualche parte, mentre Bill era al suo parco giochi personale.
Scese
di
sotto, in taverna. Era grande come il
solaio, e Gustav e Georg si trovavano proprio lì, uno che
giocava da solo a
biliardo, Georg, con una stecca in mano, e l’altro che
controllava gli attrezzi
della piccola palestra.
«Finalmente
vi ho
trovati! In questa casa ci si perde! Ho visto che di sopra
c’è il solaio, ed è
mio, chiaro? E poi sopra ancora c’è il tetto con
la
piscina. Figata, vero?»
«Si,
però non capisco
perché il solaio dev’essere per forza tuo»
disse
Georg, puntando
la stecca sulla pallina bianca e colpendola, facendola andare contro
una rossa,
che finì in un buco.
«Perché
io devo stare
comodo. Essendo il più importante qui…»
Gli
arrivò una cuscinata in faccia da parte di
Gustav, che era vicino al divano.
«Ehi!»
«Piantala
di fare lo
sbruffone»
gli rispose Gustav.
«Bravo, così si parla» disse Georg, complimentandosi con l’amico.
Gustav
fece un piccolo inchino con la testa e poi
si mise seduto sul divano. Di fronte a sé aveva un altro
televisore gigante e
sotto vide l’impianto stereo e accanto la play-station.
«Questo
posto è fatto su
misura di noi quattro. Poi è ovvio che i nostri genitori
dicono
che siamo
sempre viziati!»
disse
Georg, guardando le altre aste appese dietro di
lui.
«Mm…
Bill ha trovato già
la sua camera. C’è un guardaroba grande come
metà
di questa stanza!»
«Allora
è perfetto per
lui e i suoi vestiti!»
«Si,
gliel’ho detto pure
io.»
Improvvisamente
sentirono la porta sbattuta al
piano sopra di loro.
«Avete
sentito?»
chiese
Tom, indicando
in alto con un dito. Tutti e due annuirono. Corsero di sopra, dove
incontrarono
anche Bill che scendeva velocemente le scale.
«Avete
sentito pure voi?»
chiese
Bill, saltando
giù dagli ultimi gradini, tenendosi al corrimano.
«Si,
ma
cos’è stato?»
Tutti
e
quattro si guardarono e poi andarono
verso il salotto, da dove si poteva vedere l’entrata. Si
fermarono dietro alla
parete e fecero sbucare fuori solo le teste, l’una sopra
l’altra, per vedere.
Una
ragazza appoggiò delle valigie a terra e
sorrise soddisfatta, mettendosi le mani sui fianchi e controllando che
tutto
fosse rimasto come prima.
«Casa
dolce casa…»
disse,
sollevata.
I quattro si guardarono confusi. Videro la ragazza scendere dai gradini e andare verso la cucina.
Aprì
il frigo e lo
richiuse sconfitta, dicendo: «Ah
bene, non
c’è proprio niente…»
Notò
dei jeans all’altra uscita della cucina,
così si avvicinò corrugando la fronte. Vide
quattro
ragazzi che si sporgevano
verso il salotto.
«Ma
dov’è andata? Non
torna più… Secondo voi chi è?»
«Secondo
me ha sbagliato
casa…»
Lei
si
schiarì la voce dietro di loro e Bill,
Tom, Gustav e Georg sobbalzarono dallo spavento, si girarono e
guardarono la
ragazza che avevano di fronte. Solo allora lei si accorse che quelli
erano i
Tokio Hotel, proprio loro, non era una sua allucinazione. Li conosceva
di
vista, e chi non li conosceva? Le loro facce, soprattutto quelle dei
gemelli
Kaulitz, erano dappertutto, e sul piano musicale dominavano ormai quasi
tutte
le classifiche mondiali.
«I
Tokio
Hotel?!»
«Si,
siamo noi…»
disse
Bill, guardando i
compagni al suo fianco.
«E
che ci
fate voi in
casa mia?!»
«Casa
tua? Questa è casa
tua?»
Tom
prese le chiavi e lesse di nuovo il nome sul portachiavi. «Tu
sei… Jennifer?»
«Si,
sono
io. Piacere»
porse
la mano a Tom,
poi a tutti gli altri, che gliela strinsero dicendo il loro nome.
«Ok,
ora
che abbiamo
fatto le presentazioni… Mi spiegate che ci fate qui?»
«Beh
noi… il nostro
management… come faccio a spiegarlo?»
chiese
Bill al
fratello.
Il
cellulare di lei interruppe la confusa
spiegazione.
«Pronto?»
Passò
in mezzo ai
quattro e si mise sulla poltrona, tenendosi appoggiata con un braccio
al bracciolo,
ascoltando con attenzione. I Tokio si avvicinarono e Bill e Tom si
appoggiarono
allo schienale del divano, mentre Gustav ci si appoggiò
sedendosi e Georg
rimase in piedi, al lato.
«Ma
sei
tu zio! Menomale
che hai chiamato. Mi spieghi che ci fanno i Tokio Hotel a casa mia?»
«Ah…
ora si spiega
tutto. E adesso che si fa? Che?!! Convivere?!! Io, con
quattro…
maschi?!!»
Tom
rise
e guardò il fratello. «Almeno
non ti ha preso
per femmina!»
disse.
Bill lo spinse sul braccio.
«Ma
stavo
scherzando!»
si
difese Tom.
Lei
sbuffò e si appoggiò con la schiena alla
poltrona. «Ok,
va bene… Si, gli spiego tutto io… Si, ok. Ciao,
ciao.»
Chiuse
il telefono e
lo guardò, poi guardò quei quattro ragazzi. In
fondo… non le dispiaceva così
tanto condividere la casa con loro, erano pur sempre dei fighi
pazzeschi visti
così da vicino! Fece un sorriso e si alzò dalla
poltrona.
«Allora?
Chi era?»
chiese
Tom.
«Era
mio
zio, cioè il
vostro management…»
Tutti e quattro si guardarono.
«Le
sorprese della vita…
E allora che ti ha detto?»
«Che
c’è stato un
equivoco. In pratica zio ha chiesto a mio padre se la casa era libera,
e mio
padre, quello scemo, non si è ricordato che dovevo venirci
io
per passare le
vacanze, e così ha detto di sì. E adesso ci
ritroviamo in
cinque.»
«Cioè
vuoi dire che
dovremmo convivere…»
disse
Tom, con la faccia da furbo.
«Ehm…
si…»
disse
lei, un po’
intimidita da quello sguardo.
«Per
me
non ci sono problemi.
Per voi?»
chiese Tom agli altri.
«No,
per
me nessun
problema.»
«Per
me
è lo stesso.»
«Si
potrebbe fare.»
«Visto?
Che problema
c’è? Tanto noi avremo le nostre cose da fare, tu
le tue»
disse
Tom, sorridendo.
Lei si mise a guardarlo indecisa.
«Mmh…
ok, va bene»
disse
alla fine.
«Perfetto!
Allora…
Jennifer…»
«Potete
chiamarmi Jinny.»
«Ok,
Jinny. Allora…
quanti anni hai?»
«Quasi
diciotto.»
«Quindi
sei la più
piccola qui dentro!»
disse
Bill, tutto felice che per una volta non fosse lui.
«A
quanto
pare…
Avete
già visto la
casa, vi siete ambientati?»
«Abbastanza…
Più o meno
abbiamo anche scelto le camere…»
rispose
Bill.
«Io
il
solaio!»
dissero assieme Jinny e Tom, alzando la mano.
Tutti
li
guardarono, loro si guardarono con
occhi da rivali.
«Ehi,
non
ci pensare
nemmeno. Quello è mio.»
«Ma
sentilo… non è
nemmeno casa tua e già pretendi di dettare gli ordini. La
casa
è mia e la mia
stanza rimane mia.»
«Quella
è la tua stanza?»
«Si,
qualche problema?»
«Si,
perché la voglio
io.»
«No,
scordatelo.»
Bill
intervenì e li divise, mettendosi in
mezzo.
«Perché
non ve la
giocate a pari e dispari? Mi sembra la soluzione migliore…»
disse,
mettendo una
mano sul petto del fratello.
«Ok!»
rispose
Tom, convinto
di poter vincere.
«Perfetto!»
disse
lei, non rifiutando
la sfida.
«Pari
o
dispari?»
chiese
lei,
avvicinandosi ancora a Tom.
«Pari»
disse
lui, deciso.
«Ok,
io
dispari allora.»
I
tre
rimasti da parte si guardarono e
iniziarono a fare scommesse su chi avrebbe vinto l’ambito
solaio.
«Secondo
me vince Tom…»
«Invece
per me vince
Jinny.»
«Allora,
sei pronta a
perdere?»
chiese lui, guardandola con un sorrisetto beffardo.
«Se
dovrò perdere lo
farò con stile»
rispose
lei, sorridendogli.
«Bene,
fammi vedere di
che cosa sei capace.»
«Con
piacere.»
«Uno,
due,
tre»
dissero assieme, muovendo il pugno davanti a loro. Al
“tre”
aprirono il pugno e
mostrarono il numero.
«Tre»
disse
il suo numero
Tom.
«Due»
disse
lei, già
sorridendo. «Cioè
cinque, che è dispari. Quindi ho vinto io. Si arriva
a tre?»
«Si,
ma
non vantarti
perché non vincerai altre due volte.»
«Vedremo…»
«Uno,
due,
tre.»
Mostrarono i numeri. Cinque e due, sette. Ancora dispari, ancora un
punto per
Jinny. Erano già due a zero per lei e Tom iniziava a perdere
la
calma.
«Tom,
mi
stupisci… Che
ti succede? Non avevi detto che non avrei vinto più?»
«Stai
zitta, che questa
volta…»
Entrambe
le volte lei aveva fatto due, perciò
Tom credeva che lo avrebbe fatto di nuovo. Era già pronto a
buttare giù pari,
così che anche se avesse buttato due sarebbe stato punto
suo.
Era l’ultima, o
vinceva Jinny tre a zero oppure bisognava continuare. Bill, Gustav e
Georg
erano tutti lì attorno a guardare e le scommesse
aumentavano.
«Uno, due, tre» urlarono per la terza volta Tom e Jinny.
Lei
sorrise e guardò Tom, diventato
tutto rosso in viso dalla rabbia. Jinny questa volta aveva fatto tre e
Tom
aveva fatto due, sperando che anche lei lo facesse, così da
poter vincere, ma
lei era stata più abile.
«Cazzo
no!»
urlò Tom. Gustav,
colui che aveva sempre creduto che avrebbe vinto Jinny, fece il verso a
Bill e
Georg.
Tom
stringeva i pugni e girava incazzato per
il salotto, urlando bestemmie a qualsiasi cosa gli capitasse sotto al
naso.
«Tom,
dai
non fare così…
È solo un gioco…»
«No,
Bill! Io volevo
stare in solaio!»
sbraitò ancora.
Jinny
si
avvicinò a Tom superando il divano e
gli diede un leggero bacio sulla guancia, poi lo guardò in
viso,
arrossendo un
po’.
«Mi
hai
fatto vincere
apposta, vero? Sei davvero carino…»
gli
disse, poi salì di
sopra, correndo sulle scale.
Tutti
sapevano che Tom non l’aveva fatta
vincere apposta, pure lei, infatti l’aveva detto solo per
farlo
calmare un po’.
Tom
si
toccò la guancia su cui l’aveva baciato
e poi si guardò la mano, come per vedere il bacio in
sé.
«Si,
perché io faccio
vincere le signore…»
Jinny
si
guardò intorno nel solaio: vide che
le finestre erano aperte. Uscì nella terrazza e si
appoggiò al parapetto,
lasciò che il vento le spostasse i capelli biondi sul viso,
coprendo gli occhi
verdi. Rimase a guardare il sole che spariva dietro il mare, la notte e
le
stelle che stavano prendendo il sopravvento sul giorno. Sorrise e
rientrò in
camera. Corse giù e prese una valigia davanti
all’entrata,
dove l’aveva
lasciata. Corse di nuovo su e la aprì sul letto, prese un
cambio
e poi si tuffò
sotto la doccia, lasciandolo sul letto.
Uscì
in accappatoio e si asciugò velocemente i
capelli con un asciugamano. Era così strana quella
situazione… Lei e i Tokio
Hotel, in una sola casa, a convivere. Voleva proprio vedere
ciò
che ne sarebbe
uscito fuori.
Dopo
essersi cambiata, scese di sotto e vide
Tom sdraiato comodamente sul divano, con gli occhi chiusi. Sorrise e
andò verso
la cucina.
Nessuno
si era accorto di lei, era arrivata
silenziosa e non la si sentiva neppure camminare perché
aveva
solo le calze.
Aveva i capelli ancora un po’ bagnati, leggermente mossi, che
le
cadevano sulle
spalle.
Andò
di fianco a Bill, intento a cercare
qualcosa in qualche scaffale, che quando la vide fece un salto e si
mise una
mano sul cuore.
«Ma
quando sei
arrivata?!»
disse, prendendo di nuovo respiro.
«Adesso.
Ti sei
spaventato?»
«Puoi
dirlo forte! È
saltato sul tavolo in pratica!»
disse
Georg, ridendo. Bill lo guardò con la
faccia seria e gli fece una linguaccia.
Aprì
anche lei un armadietto e ci guardò
dentro: vuoto. Li aprì tutti, uno dopo l’altro, ma
l’unico aggettivo
utilizzabile era quello: vuoto. Lei disse qualcosa a bassa voce in
italiano,
sbuffando.
«Eh???»
chiesero tutti e tre.
Lei rise guardando le loro facce.
«Scusate.
Voi non capite
l’italiano… Ehi, potrei sfottere Tom senza che
nemmeno se
ne accorga!»,
rise da
sola, pensando
alla scena. «Sì…
comunque. Non c’è niente. Io… andrei a
prendere una
pizza, c’è una pizzeria qua dietro. Chi la vuole?»
Tutti
e
tre alzarono la mano, saltando.
«Ok,
va
bene, ho capito!
E Tom?»
«Figurati
se quello dice
di no alla pizza! Sì, anche a lui.»
«Ok…
Scrivetemi quale
volete che poi vado.»
Diede
un foglio con tutti i tipi di pizza a Bill, poi
andò a prendere le altre valigie che aveva lasciato
giù.
Le portò su e alla fine
ritornò in cucina dai ragazzi, ancora indecisi sul tipo di
pizza
da prendere.
«Allora?»
chiese,
sporgendosi
sul tavolo e guardando il foglio al contrario.
«Tu
che
prendi?»
le
chiese Bill.
«Margherita,
come al
solito.»
«Ok,
pure
io» disse Georg.
Jinny prese un foglietto di carta e se l’appuntò.
«Voi?»
chiese, il tappo della
penna sulle labbra.
«Io
con le
verdure.»
«Alle
verdure per
Gustav… E tu
Bill?»
«Ehm…
credo con le patatine
fritte.»
«Ok.
Ah, e per
Tom?»
Bill
ci
pensò su e poi disse: «Uguale
alla mia.»
«Ok,
va
bene. Allora
vado e torno.»
Jinny
uscì a prendere le pizze, loro rimasero
a casa. Tom dormiva, Bill, Gustav e Georg invece erano a parlare in
cucina.
«Che
tipa
quella Jinny.
Come vi sembra?»
chiese
Bill, appoggiando i gomiti al tavolo e tenendosi
la testa con le mani.
«È
una forza! Potrebbe
dare del filo da torcere a Tom se solo lo volesse. È una
tipa in
gamba.»
«Tu
Georg? Che dici?»
«Che
dico? Che è anche
carina… altro che.»
«Sì,
volete farvi
riconoscere subito tu e Tom? Sempre e solo a quello pensate…»
sbuffò Bill.
«Che
cosa?
Rosso? Sul serio?»
chiesero Gustav e Georg assieme, sbalorditi.
«Si,
pochissimo, ma è
arrossito. Ve lo dico io… quei due si piacciono.»
«Bill,
tu
per queste
cose sei un mago. Potresti fare cupido…»
disse
Georg,
sorridendo.
«Lo
so,
grazie…
modestamente, non è da tutti…»
rispose
lui.
«Secondo
voi Tom ci
proverà?»
chiese Georg.
«Ah
boh,
non me lo
chiedere… io non me ne intendo»
disse
Gustav.
«Figurati…
secondo me
si, è più che sicuro»
disse
Bill.
Tom,
in
sala, si svegliò e focalizzò intorno a
lui. Aveva un certo languorino. In effetti, ora che ci pensava, aveva
mangiato
solo a colazione, era ovvio che avesse fame. Aveva una mano sul petto,
l’altra
dietro la testa. Sentì i ragazzi parlare in cucina, ma non
riusciva a
distinguere bene le parole, era troppo lontano.
Sentì
la porta aprirsi e poi chiudersi. Alzò
di poco la testa e vide Jinny con dei cartoni della pizza in mano. Si
diresse
sorridendo in cucina, non si era nemmeno accorta di lui.
Raggiunse Bill e compagni in cucina, appoggiò i cartoni sul tavolo. Si guardò intorno.
«Ma
Tom
non si è ancora
svegliato?»
Tom
le
toccò la spalla da dietro, «Sono
qui.»
«Ti
sei
svegliato giusto
in tempo»
disse lei, girandosi.
Lui
le
sorrise e prendendole il fianco la
sorpassò, andando accanto a suo fratello Bill.
«Che
pizza mi hai preso?»
le
chiese, sbirciando
dentro ad un cartone.
«Quella
come Bill, l’ha
scelta lui per te, perciò se non ti piace è colpa
sua.»
«Dai,
mi
fido del mio
fratellino…»
disse,
guardandolo dolcemente.
«Ma
che
carini…»
disse
lei, sedendosi e
prendendo l’ultimo cartone, sotto tutti.
«Tu
sai
già che è quella
la tua?»
chiese Tom.
«Certo.
L’ho guardato
mentre le metteva dentro. La prima è quella di Georg, poi
c’è quella di Gustav
e le altre due sono vostre.»
«Hai
una
memoria di
ferro!»
disse Bill, guardando la sua pizza prima di quella del fratello.
Tutti
presero la propria e si misero intorno
al piccolo tavolo della cucina: Tom a capotavola, con ai lati Bill e
Jinny, poi
c’erano Gustav, di fianco a Jinny, e Georg, di fianco a Bill.
Jinny
si
era appena seduta, eppure era già in
piedi. Prese da un cassetto delle posate, dei bicchieri di plastica,
dei
tovaglioli da un armadietto in alto e riempì
d’acqua una
caraffa trovata nella
credenza. Mise tutto sul tavolo, poi si rimise seduta.
Guardò
Tom al suo
fianco, sorrise. Sorrise pure Tom. Bill, Georg e Gustav si guardarono e
si
misero a ridere sottovoce, non facendosi vedere.
Jinny
aveva già il coltello in mano e stava
tagliando la sua pizza. Prese una fetta e iniziò a mangiare.
«Beh?
Perché non
mangiate? Guardate che si fredda»
disse,
dopo aver
mandato giù il boccone. Bill mangiò un pezzo
della sua.
«Com’è?
È buona, vero?
Gino è il migliore del mondo!»
disse
lei. Bill annuì con la testa, senza
nemmeno perdere tempo a rispondere. Così, dopo che Bill
aveva
fatto da tester,
si misero a mangiare tutti quanti.
«Mi
spieghi una cosa?»
le
chiese Bill.
Lei
buttò giù con un sorso d’acqua. «Si,
che
cosa?»
«Sei
italiana?»
«No,
no,
sono tedesca.
Solo che vivo da… quanti sono… tre anni qui in
Italia con
mio padre, per questo
so parlare italiano, se è quello che ti chiedevi.»
«Si,
esattamente.»
«Dai,
ci
racconti
qualcosa di te? Non sappiamo nulla, a parte il fatto che hai
diciassette anni»
disse
Tom.
«Ehi,
ne
ho quasi
diciotto»
lo rimproverò lei, puntandogli il coltello contro.
«Ok,
ok,
quasi diciotto.
Che fai, vai a scuola, giusto?»
«Si,
vado
a scuola. Nel
tempo libero o lavoro o faccio surf.»
«Lavori?
Che lavoro fai?»
«Faccio
part-time, aiuto
una mia amica che
ha un negozio di abbigliamento in un centro commerciale. Ha sempre un
sacco da
fare…»
«Ti
tieni
impegnata»
disse
Bill.
Tom
scambiò un’occhiatina al fratello,
pensando a chissà cos’altro.
«Che
cos’era quell’occhiata?»
chiese Jinny,
prendendo un’altra fetta di pizza. Tom sorrise e si mise una
patatina in bocca.
«Hai
mai
fatto sesso?»
le
chiese.
«Tom
ti
prego no! Anche
a tavola no!»
si
lamentò Bill.
«Zitto
Bill» lo ammonì Tom,
attendendo una sua risposta.
«Ahm…
sì, sì certo» disse
Jinny, sfuggendo al suo sguardo.
«Quando
la prima
volta?»
«Ehm…
sedici anni se non mi
sbaglio…»
«E
come
sei? Sei brava a
letto?»
Bill
chiuse gli occhi e la patatina che aveva
in mano la riappoggiò sulla pizza, pulendosi le mani sul
tovagliolo.
«Beh…
e io che ne so? Dovresti
chiedere al mio ragazzo…»
Tom
stava per soffocare. Era diventato
bordeaux, perché Bill iniziò a dargli delle
pacche sulla
schiena.
«Hai il ragazzo?!» chiese, urlò, dopo aver ripreso un po’ di colore e più aria possibile.
Tutti
lo
guardarono. Bill,
Gustav e Georg notarono che nel suo accento c’era un
po’ di
gelosia e Jinny non
sapeva perché fosse così sorpreso del fatto che
lei
avesse il ragazzo.
«Sì,
non vedo che cosa ti
sorprenda tanto… Va bè, io ho finito. Vado a
mettere a
posto le mie valigie. Ci
vediamo dopo.»
Li
salutò in italiano, con un: “Ciaociao” e
poi
salì le
scale, senza guardarsi indietro, mentre Tom era ancora scioccato.
«Tom?
Ma
che ti è preso?
Ha il ragazzo, allora?»
chiese
Bill, mettendolo alla prova.
A
Tom
piaceva un sacco Jinny, si vedeva e
tutti lo avevano capito, tranne Jinny e Tom. Neppure il diretto
interessato
sapeva che le piaceva, doveva ancora scoprirlo e Bill non intendeva di
certo
rovinargli la sorpresa.
«Che
cosa? Io? Niente,
ero solo un po’ sorpreso perché…
perché
sembra tanto uno spirito libero.»
«Se
se,
spirito libero…»
disse
Georg,
prendendolo per il culo.
Bill
gli
fece un’occhiata, dicendogli di stare
zitto. Tom si alzò da tavola e finì
l’acqua dentro
il suo bicchiere, poi si
tuffò sul divano, prese il telecomando e si mise a guardare
un
po’ di tv, anche
se la maggior parte dei programmi erano tutti in italiano.
Bill guardò gli amici e poi guardò il fratello sul divano.
«Avete
visto? Sembrava geloso.»
«Sì,
ma ancora non l’ha
capito che gli piace.»
«No,
una
cosa per volta.
Ha un solo neurone, se si gioca pure quello è
fottuto…»
«Dai
Hagen, piantala. È
una cosa seria»
disse
Bill, guardando quasi preoccupato il fratello. «Sapete
che casino
succede se si interessa a lei, se è già
fidanzata? Non ve
lo immaginate nemmeno.
Tom quando vuole una cosa la ottiene sempre, non gliene importa come.
È
talmente testardo… Per questo potrebbe succedere un casino.
Li
avete visti come
si guardavano? Impressionante…»
«Bill,
non ti
preoccupare troppo per nulla. Tom è abbastanza grande da
cavarsela da solo, non
pensi?»
«Si,
ma…»
«Ma
niente. Lasciagli
fare ciò che crede giusto, sbagliando si impara.»
«Mmh,
forse hai ragione.»
Era
già abbastanza tardi. Jinny scese le scale
in pigiama, a piedi nudi, stringendosi nelle spalle. Vide tutti e
quattro sul
divano, che guardavano la tv e parlavano.
«Ragazzi
io vado a
dormire, chiudete voi?»
Tutti
si
girarono e la guardarono in mezzo
alle scale. Bill le fece ok con la mano e le sorrise. «Ok,
buona notte Jinny.»
«Buona
notte»
disse
lei,
rigirandosi. Stava già salendo le scale quando Tom le disse:
«Buona
notte e sognami!»
Lei rise a bassa voce e scosse la testa, sorridendo, dandogli le spalle.
«Vuoi
proprio che
abbia gli incubi…»
«Guarda
che ti ho
sentita!»
«Sì,
buona notte.»
***
Jinny
si
svegliò con l’odore del caffè
proveniente dalla cucina. Sorrise e si stiracchiò nel letto,
vedendo il sole
entrare abbagliante dalla finestra.
«Jinny!
Forza svegliati
pigrona! Qui siamo tutti in piedi!»
urlò da sotto Tom.
Lei
si
girò dall’altra parte e si accoccolò,
lasciando che il torpore delle coperte la facesse riaddormentare, ma
ormai era
sveglia. Si alzò, levando le coperte tutte da un lato.
Andò in terrazza e
guardò il mare, il sole stupendo, l’aria giusta.
Era una
giornata perfetta per
fare un po’ di surf. Si stiracchiò ancora
sbadigliando
alla luce del sole, poi
scese le scale, in pigiama e lasciando le ciabatte chissà
dove
per il solaio.
Raggiunse
tutti in cucina, Bill e Tom erano in
piedi, l’uno di fianco all’altro, appoggiati al
ripiano,
che bevevano la loro
tazza di caffè; Georg e Gustav invece erano seduti al
tavolo.
«Allora
il caffè c’era…»
disse,
avvicinandosi e
mettendosi seduta di fianco a Georg.
«No,
in
verità sono andato io
a prenderlo al bar. Non sapevo i tuoi gusti,
quindi…»
disse Gustav, un po’
imbarazzato.
«Ah,
non ti
preoccupare,
mangerò qualcosa in spiaggia.»
«Beh
buon
giorno,
comunque!»
le disse Tom, sorridendo.
«Buon
giorno…»
rispose
lei, coprendosi
la bocca per uno sbadiglio e alzandosi.
In
solaio, si infilò il costume e sopra la
tuta per fare surf. Era maledettamente comoda, ci si trovava da favola,
era
come una seconda pelle. Preparò la sua borsa e scese di
nuovo
giù.
Quando
Tom la vide con quella tuta aderente
aveva paura di sbavare sul pavimento lucido della sala. Lei
tirò
fuori il
cellulare e guardò l’ora.
«Ma
è tardi! Perché non
mi avete svegliata prima?»
«Senti,
noi intanto ti
abbiamo svegliata…»
disse
Tom, ripresosi.
«Programmi
per oggi?»
gli
chiese lei.
«Ahm…
le solite cose.
Interviste, registrazione e poi ancora interviste…»
disse
Bill, spuntando
in sala, accanto al fratello.
«Tu?
Hai
detto che
andavi in spiaggia, no?»
«Si,
sole,
mare, relax e
surf.»
«Beata
te…»
disse
Bill, sbuffando.
«Allora
ci vediamo stasera»
disse
lei, superando i gemelli e andanto
vicina alla porta. Era sul punto di aprirla quando Tom le disse: «A
proposito di stasera. Prima di tornare noi ci fermiamo a prendere
qualcosa, perché
proprio non c’è niente. Ok?»
«Ah,
ok.»
Proprio
non te ne frega
niente,
pensò Tom.
«Ah
Tom,
scusa…»
«Eh,
che
c’è?»
«Non
è che
mi
daresti una mano con la tavola?»
gli
chiese.
Tom
annuì e la seguì nel
giardino. Raggiunsero il retro e una casetta di legno, costruita
lì in mezzo,
nascostra da alcuni cespugli.
«Questa
non l’avevo vista…»
disse
Tom.
Lei
tirò fuori dalla borsa
una chiave e aprì la porta della casetta. Entrarono ed era
completamente buio,
lei tastò il muro cercando il filo per accendere la luce, lo
trovò e la accese.
Ora si vedeva qualcosa. Jinny si avvicinò alla tavola da
surf,
azzurra e
bianca, con un grande delfino in mezzo.
«Beh?
Pensi di continuare a guardarmi oppure di renderti utile?»
chiese lei, guardando Tom imbambolato a guardarla e mettendosi le mani
sui fianchi.
«Ahm…
sì, un attimo. Qual è? Quella?»
indicò la tavola con il
delfino.
«Eh
sì,
ne vedi altre?»
«Già,
giusto.»
Tom
spostò Jinny e prese la tavola, togliendola dai ferri
che la reggevano appesa alla parete. Gliela diede e lei la
guardò, controllandola
per bene.
«Devo
dargli un po’ di cera…»
disse,
toccandola in superficie, dopo
avela ispezionata in lungo e in largo.
«Grazie
Tom, ci vediamo stasera.»
«Prego,
a dopo. Divertiti.»
«Certo!»
disse
lei raggiante, uscendo dalla casetta, guardando Tom e sorridendo.
***
«Siete
già tornati?»
Tom
entrò per primo, con due
borse in mano, che scaricò subito di fianco al divano, per
guardare meglio
Jinny.
Era
in
costume e con degli
shorts azzurri a fiori bianchi e rossi, sdraiata sul divano, che
coccolava un
gattino tutto nero con degli occhi verdi stupendi, come i suoi. Lo
agitò un po’
in aria, come se fosse un bambino piccolo, sorridendogli.
«Guardate
chi ho trovato nel roseto? Era graffiato su una zampa e allora
l’ho tenuto… Non
è adorabile questa palla di pelo?»
gli
accarezzò il naso con la punta del dito, ridendo.
Tom,
ora
che lo guardava
meglio, si accorse che aveva una zampa fasciata e che anche Jinny aveva
il
polso fasciato.
«Ma
che
hai fatto al polso tu?»
le
chiese, avvicinandosi e appoggiandosi
allo schienale del divano.
«Ah,
niente. Sono caduta male sulla tavola, ma nulla di grave, non mi fa
nemmeno
male.»
Si
alzò e tenne con una mano il gattino e con l’altra
prese
una borsa lasciata lì da Tom. Bill, Gustav e Georg erano
già al frigo e agli armadietti,
che sistemavano.
«Vedo
che sei solo tu lo scansa fatiche qui»
disse
lei, mettendo la borsa accanto alle altre sul tavolo.
«Chi,
Tom? Puff… C’è Bill che dà
una mano
perché vuole fare bella figura, almeno per
i primi giorni, ma è peggio, fidati»
disse
Gustav, prendendo delle scatole da una borsa.
Lei e Georg risero, mentre Bill si lamentava: «Molto gentile Gustav…»
Solo allora Bill si accorse del gatto che Jinny aveva in braccio. Si alzò da terra e la raggiunse, le prese il micio dalle mani e se lo appoggiò al petto.
«Ma
che
carino! Ciao piccolo!»
«Ecco,
Bill ci ha abbandonati…»
concluse Gustav.
«Dai,
vi do una mano io»
disse
Jinny, sbirciando in una busta. «Ma
quante schifezze che mangiate!»
«Esattamente,
sai come siamo noi maschi…»
rispose
Tom, parlandole
vicino all’orecchio.
Da
dove
arriva tutta questa confidenza?,
si
chiese Jinny.
«Ehi,
parla per te. Io mangio sano»
disse
Gustav, intervenendo e
guardando Tom.
«B-bravo,
così si fa»
disse
ancora un po’ scombussolata. «Riprendendo il
discorso
di prima… Come mai già tornati? Credevo
arrivavaste
più tardi.»
«Chi
hai nascosto
nell’armadio?» chiese Tom.
Lei
lo
spinse sul braccio, «Nessuno,
scemo.»
«Siamo
tornati prima perché
abbiamo fatto semplicemente prima: in studio ci siamo stati poco e le
interviste sono state fatte tutte insieme, tipo conferenza, e
perciò è stato
tutto più rapido» ripose Georg.
«Tu
che hai fatto invece?»
chiese Bill, rientrando in cucina con il cucciolo in braccio.
«Niente…
Ho preso il sole e
sono stata in acqua fino ad adesso. C’erano delle onde da
paura!
Troppo bello, dovresti
provare, sai Tom?»
«Ma
non sono capace…» rispose
lui.
«Embè?
Ti insegno.» Prese una
scatola di biscotti e la mise accanto a tutti gli altri, in un armadio.
«Sai
cucinare?» le chiese
Gustav, cambiando discorso. Lei fece “così e
così” con la mano, annuendo.
«Cosa
ti viene meglio?»
«Che
ne so… la pasta, e le
torte. Quelle si che mi vengono bene!» disse, leccandosi le
labbra.
«Allora
ci farai assaggiare…
Io vado matto per le torte» disse Georg.
«Ok,
va bene!» disse,
sorridendo.
«Programmi
per la serata?» chiese
Tom. Tutti si guardarono.
«Boh…»
disse lei, alzando le
spalle. «Io non ho nulla da fare.»
***
Tom
era
in cucina, ai
fornelli, che cercava di preparare qualcosa, in quanto tutti si erano
rifiutati
e avevano complottato contro di lui. E ora si ritrovava a che fare con
pentole
e coperchi. Aveva cucinato così poche volte in vita sua che
era
già tanto se
riusciva a mettere l’acqua per la pasta dentro alla pentola.
Sentì
le mani di Jinny sui fianchi, ne era certo, quelle erano le sue, non
c’erano
dubbi.
«Ehi
Jinny, che c’è?»
«Non
ci credo… come hai
fatto?»
«A
far che?»
«A
sapere che ero io!»
«Ah
beh… sono abituato ai
tocchi femminili, ormai li riconosco. Comunque… che cosa
c’è? Non vedi che sono
impegnato?»
Lei
sorrise e si appoggiò al
lavello, accanto a lui. Lo guardò, sempre sorridendo.
«Oh
si, lo vedo che sei
impegnato. Sai… ho sempre trovato gli uomini che cucinano
estremamente sexy…»
«È
un modo per dire che lo
sono?»
«No,
che mi piacciono i
ragazzi che sanno cucinare, non che tu sei sexy, non che non lo
sia…»
«Allora
lo sono… capito la
furbetta? E menomale che sei fidanzata…»
«Si,
ma noi scherziamo.»
«Mmh,
sarà…»
«Ma
quanto sei cocciuto! Mi
piace…»
«Eccola
di nuovo…»
«Va bè, ho capito. Vado a preparare la tavola, se no non si mangia proprio niente.»
Uscì
dalla cucina e
andò in sala da pranzo ad apparecchiare.
Bill,
che aveva ascoltato
tutto dall’inizio rimanendo nascosto dietro la parete,
entrò in cucina e placcò
il fratello da dietro, mettendogli le braccia intorno al collo.
«Bill!
Lasciami stare!» urlò
Tom, ridendo e cercando di liberarsi.
«Scommetto
che se lo facesse
una ragazza non faresti tutte queste storie…»
disse Bill,
appoggiandosi dove
prima c’era stata Jinny.
«Ma
se lo farebbe una ragazza
sarebbe per un’altra ragione. Tu che vuoi? »
«Ho sentito che tu e Jinny in cucina avete delle conversazioni piuttosto… uhm… piccanti, ecco, tanto per restare in tema.» Tom rise e scosse la testa, guardando nella pentola.
«Ma
è
Jinny che ha cominciato. Ci dev’essere una tigre dietro
quella
faccia da micino.
Non pensi?»
«Mmh,
può darsi… Che cucini?
Cioè… che tenti di cucinare?»
«La…
pasta? Ma non so se…»
«Perché
non ti fai aiutare da
Jinny?» Bill si mise ancora dietro il fratello e gli prese le
mani, le portò al
suo petto e le fece sfregare. «Mmh?»
«Bill
ma piantala! Sei così
fissato su me e Jinny?! Vattene ti prego,
va’…»
disse staccandoselo di dosso.
Il
timer
interruppe la
conversazione e Tom spense il fuoco e mise la pasta nel lavandino,
nello
scolapasta.
Erano
tutti intorno al tavolo,
quello enorme della sala da pranzo. Solo che loro erano solo in cinque
e perciò
ne occupavano un ottavo.
Erano
in
fondo, nella stessa
sistemazione del giorno precedente. Tom e Jinny erano vicini, e questo
era
pericoloso, almeno così pensava Bill. Quei due assieme non
andavano affatto
bene, erano simili, quasi identici.
«Beh?
Cavolo però… nessuno
dice niente… alla fine è ovvio che mi metto a
parlare di
sesso con Jinny!
Almeno parliamo di qualcosa!»
«Tom
ma non abbiamo nulla da
dire…» parlò Georg per tutti.
«E
dì una cazzata, no? Così
almeno ti sfotto e ridiamo un po’.»
«Molto
divertente…»
«Non
mi sono mai interessata
molto a voi, nel senso di gruppo, però devo dire che
conoscendovi meglio e di
persona siete simpatici. Sì, sì, mi sto
affezionando a
quattro
bambini…» disse
Jinny, ridendoci su.
«Occhio
a come parli. Che qui
di bambina ce n’è solo una»
replicò
Tom. «E poi che vuol dire che non ti sei
mai interessata a noi? Non ci ascolti?»
«No,
preferisco altra musica.
Non capisco perchè ti sorprendi tanto: guarda che non tutti
vi
vengono dietro e
vi svengono in braccio. Ecco, quando fai così il presuontoso
non ti sopporto.»
«Ok,
facciamo un passo
indietro. Faccio finta di niente. Che musica ti piace?»
«Ascolto
solo hip hop.»
«Giura!
Anch’io!» esclamò
Tom, sorpreso, mettendo le mani di fianco al piatto, sul tavolo.
«Davvero?
Non lo sapevo… Ma
com’è che fai rock e ascolti hip hop?»
«Beh,
il rock lo abbiamo
sempre suonato assieme… e anche se non è quello
che
suoniamo io ascolto solo
hip hop.»
«Ah,
come sei strano Tom. Ma
lo sai che sei strano?»
«Beh,
dipende dai punti di
vista…»
«No,
non è strano, è
semplicemente scemo» disse Bill, ridendo. Rise anche Jinny.
«Ma…
una volta, per caso, ho
letto un’intervista e tu dicevi che il posto più
strano in
cui l’hai fatto è
stato su un prato. È vero?»
Bill
alzò gli occhi al cielo
e alzò le braccia, sussurrando qualcosa, poi le mise sulla
gambe, non toccando
più cibo.
«Vedi
Bill? È sempre lei che
comincia!» si difese Tom.
«Jinny
smettila per favore.»
«Oh ma vaffanculo Bill!»
disse, in italiano.
«Ehi
ma quella parola so che
vuol dire!» rispose Bill.
«Tantomeglio,
così non devo
tradurre! Ma se non vuoi sentire vattene! C’è la
casa
di… quanti piani sono?
Cinque piani circa! Hai un sacco di spazio, vattene no?!»
Bill
si
girò dall’altra parte
e si mise a braccia incrociate. Lei lo guardò male.
«Altro
che bambina io, sei tu
il moccioso viziato qui dentro.» Si alzò da
tavola,
spostando la sedia
rumorosamente e andò via, lasciando i quattro a bocca
aperta.
«Che
caratterino…» disse
Gustav, prima di bere dal suo bicchiere.
Jinny
si
tuffò sul suo divano
e spense tutte le luci del solaio. Accese la tv e si mise lì
a
guardarla, tanto
per sbollire la rabbia.
Dieci
minuti dopo sentì
bussare alla porta. Decise di ignorarlo, si girò e si mise
con
la mano sotto ad
un cuscino del divano, alzò un po’ il volume della
tv.
«Jinny?
Posso?» Era Bill. Lei
si girò e guardò per un attimo Bill, la sua
testa, che
sbucava dalla porta.
«Sto
dormendo, che cosa
vuoi?» gli chiese, rimettendosi comoda sul divano, ad occhi
chiusi.
«Volevo
solo chiederti scusa.
Dai, facciamo pace?»
«Dipende.»
«Da
cosa?»
«Se
mi lasci parlare di ciò
che voglio con Tom, ogni volta che voglio.»
«Uhm…
Non mi lasci scelta…
Ok, va bene.»
«Allora
siamo d’accordo.» Si
strinsero la mano e poi Jinny lo abbracciò sorridendo.
Scesero
entrambi di sotto, a
braccetto. Tom, Gustav e Georg erano sul divano e quando li videro
sulle scale
sorrisero.
«Avete
fatto pace?»
«Sì,
certo…» rispose lei,
guardando di sfuggita Bill.
Alle
mie
condizioni, certo…
Scavalcò
il divano e si mise
seduta accanto a Tom. Bill in mezzo a Gustav e Georg.
«Domani
che fai?» le chiese
Tom.
«Domani?
Mmh… ah si. La
mattina ho il turno in negozio. Mi devo alzare anche presto,
uffa…»
«Scusa,
ma perché lavori?
Scommetto che con tutti i soldi che hai potresti vivere comodamente
senza
alzare un dito.»
«Che
cosa?! Ma stai
scherzando?! Io non ho un soldo! Credi che se vengo qui per un
po’ sia ricca
sfondata? È mio padre quello che ha i soldi… e
non mi da
mai niente… “Devi
guadagnarteli, signorina”.»
«Allora
è vero che
l’apparenza inganna…» disse Bill.
«Ma
allora tuo padre che
lavoro fa?»
«In
pratica è uno dei capi della
Universal, lavora in America soprattutto.»
«Non
ci credo! Allora è lui
quello di cui parla sempre il nostro management! Il Grande Capo, come
lo chiama
lui. Giuro che non l’avrei mai detto» disse Tom,
mentre
metteva il braccio
dietro le spalle di lei, sullo schienale del divano.
Bill
si
accorse subito di
quel suo gesto e guardò gli amici al suo fianco con un
sorrisetto come per
dire: “L’avete visto?!!”. Anche Gustav e
Georg
sorrisero, annuendo mentalmente.
Lei
tirò le gambe al petto,
ascoltandolo mentre parlava. Bill, Gustav e Georg non lo seguivano
neppure,
erano concetrati sul cogliere ogni suo movimento che facesse capire che
Jinny
gli piacesse.
Tom
sorrise, anche Jinny
sorrise. Sorridevano guardandosi negli occhi, qui ci sarebbe scappato
il bacio secondo
Bill.
«Io
vado a prendere da mangiare,
ho fame» disse Bill, alzandosi dal divano facendo uno sguardo
complice a Georg
e Gustav.
«Ma
te l’ho mai detto che sei
una fogna?» disse Jinny.
Bill sorrise e rispose: «No, ma non mi offendo.»
Bill
andò in cucina, seguito da Gustav
e Georg, per
lasciarli da soli e vedere che succedeva. Infatti si misero a spiarli
da lì.
Jinny
ora aveva il potere
in mano, il telecomando, e
ciò
che stava guardando non piaceva affatto a Tom, lo trovava estremamente noioso e nauseante.
«Jinnyyyyy…
cambiaaaaaa…»
«Nooooooo…
Mi interessa Tom,
lasciami guardare. La casa è mia e perciò guardo
quello
che mi pare.»
«E
ricomincia con sta storia…
Uffa. Dammi il telecomando e basta, che tra noi due il più
grande sono io.»
«E
allora? Io non te lo do il
telecomando.»
«Dai
Jinny! Ma sta roba fa
schifo!»
«Non
è vero! È bello!»
«Ma
vai via va’… Dammi.» Tom
cercò di prendere il telecomando dalle mani di Jinny, ma lei
glielo levò dalla
traiettoria, stendendo il braccio dalla parte opposta.
«Per
favore Jinny!»
«Ti
ho detto di no.»
«Anche tu però non scherzi con la testardaggine, ne?»
Tom
allungò il braccio per
prendere il telecomando,
ma Jinny era sempre più veloce di lui. Ad un certo punto Tom
le
cadde addosso,
facendola stendere sul divano, ma non l’aveva fatto apposta.
Bill,
Gustav e Georg
cercarono di vedere dopo lo schienale del divano, ma da lì
non
riuscivano a
vedere proprio niente.
Jinny
e
Tom erano l’uno sopra
l’altra, con gli occhi ad una distanza da far venire i
brividi e
le labbra che
si sfioravano. Rimasero a guardarsi negli occhi per
un’eternità di secondi,
ascoltando solo il loro respiro, sentendo il calore dei loro corpi
vicini.
Jinny
si
schiarì la voce: «Mi
stai schiacciando, ti vuoi levare?»
«Cosa?»
«Non
pesi proprio come una
piuma.»
«Ah,
scusa» le disse,
diventando improvvisamente rosso.
Bill,
Georg e Gustav non
potevano vedere quel suo rossore e nemmeno Jinny, perché era
buio, ma Tom si
sentiva la faccia bruciare, sapeva bene di essere arrossito e non se ne
riusciva
a spiegare il motivo.
«Fa
niente» gli rispose lei,
mettendosi di nuovo seduta bene, ma dall’altra parte del
divano,
il più lontano
possibile da Tom.
«Allora Bill, hai trovato da mangiare?!» chiese ancora lei, guardando verso la cucina.
Bill
e
gli altri
fecero finta di niente e rientrarono a razzo in cucina, non facendosi
beccare.
«Ehm…
si!» rispose Bill,
incerto. «Ma… ora che ci penso… mi
è passata
la fame…»
«E
allora muoviti e torna
qua.»
«Si,
arrivo.»