Jinny
scese in taverna, nel
locale lavanderia. Dentro c’era Tom.
Era
già passata una settimana
e aveva imparato ogni giorno a canoscerli un po’ di
più. Ormai erano come
fratelli, anche se a volte si davano addosso.
Era
scesa per prendere la sua
roba lavata e pulita, ma vide che Tom guardava una sua maglietta.
«Ma
che stai facendo?» gli
chiese, andandogli a fianco.
Jinny
ebbe un colpo al cuore.
C’era la sua roba e la roba di Tom mescolata, in un unico
cesto ed era più o
meno tutto diventato rosa.
«Scusami
Jinny, non l’ho
fatto apposta!» disse Tom, cercando un suo perdono.
«Tom!»
gli prese il cesto
dalle mani e uscì dal locale, tornando nella sala dove
c’erano Bill e Georg a
giocare a biliardo e Gustav che faceva sollevamento pesi.
«Non
ci posso credere!» urlò
ancora lei, distraendo Bill e facendolo scivolare con la stecca sul
tavolo
verde.
Tutti
si girarono a
guardarla. Lei sbuffò sbattendo i piedi per terra e si mise
in ginocchio sul
divano, con il cesto in mano.
«Che
cos’è successo?» chiese
Bill, cercando di vedere dalla sua posizione. Tom scosse la testa e
raggiunse
Jinny sul divano.
«Dai
Jinny, non fare così… Ti
ho già chiesto scusa.»
«Ma
non mi servono le tue
scuse! Qui ci vuole solo un casino di candeggina!»
sollevò una sua maglietta
allora bianca, diventata completamente rosa.
Bill
rise sottovoce, capendo
ciò che era successo.
«Tom
in una settimana non hai
ancora capito che devi dividere i colori?! E perché poi hai
mescolato la tua
roba alla mia?!»
«Non
ci ho fatto nemmeno
caso! Ho visto della roba appoggiata lì e l’ho
buttata dentro! Cosa vuoi che ne
sappia io! Così la prossima volta impari a non lasciare le
cose in giro!»
Uffa.
Per una volta che
voleva fare qualcosa di carino per lei… (guardate in che
situazione ridicola si
è cacciato!) E magari anche dare una sbirciatina alla sua
biancheria… Beh, è
pur sempre un maschio, che volevate?
«Ma
sì, certo, adesso la
colpa sarebbe mia, vero?!»
«Non
ho detto questo!» Tom si
vide arrivare una sua maglietta in faccia, facendolo stare zitto.
«Guarda
poi! Anche la mia
roba è diventata rosa, che credi?! Mica solo la
tua!» urlò Tom, che iniziava a
perdere la pazienza.
«Ma
chissene frega della
tua!»
«Guarda
che l’ho pagata un
mucchio di soldi!»
Si
ritrovò con addosso tutta
la sua roba: magliette, jeans, boxer, che se erano scuri si erano
salvati, se
no erano diventati rosa.
Jinny
non aveva nessun
problema a raccattare la loro roba, compresa la biancheria intima,
quando
capitava. Non si sentiva affatto in imbarazzo, e questo aveva stupito
tutti
quanti.
Lei
prese il cesto,
contenente ormai solo e unicamente la sua roba, e si alzò
dal divano incazzata,
ritornando in lavanderia, per rimettere tutto a lavare con un bel
po’ di
candeggina.
Tom
era rimasto sul divano,
che ora sembrava più un appendi abiti. Guardò gli
amici che se la
sghignazzavano alle sue spalle, che ritornarono subito seri vedendo la
sua
faccia arrabbiata.
«Bene,
no? La giornata inizia
che è una meraviglia!» urlò Tom,
scrollandosi di dosso tutta la sua roba, che
prese e riportò in lavanderia, dove trovò Jinny
seduta su una lavatrice
inutilizzata, che parlava al cellulare.
Non
fece nemmeno caso a lui,
era troppo impegnata a fare la sdolcinata con Riky, il suo ragazzo.
«Ciao,
come stai? Io uno
schifo, sono già incazzata. Quand’è che
ci vediamo? Mi manchi tanto. Anch’io.
Ti amo, ciao a dopo.»
Scese
dalla lavatrice
sorridendo e schivando lo sguardo di Tom. Salì di corsa le
scale e sparì.
Tom
uscì dal locale
lavanderia e guardò il fratello con un espressione triste,
camminando a testa
bassa.
«Che
ti succede Tom?» gli
chiese subito lui.
«Niente
Bill, proprio
niente.» Tom si tuffò sul divano e si
lasciò andare, appoggiando la testa allo
schienale, chiudendo gli occhi e sbuffando.
Insomma,
che gli prendeva?
Aveva litigato con Jinny e allora? Capita, no? Invece no, non doveva
capitare,
non con lei. Si sentiva in colpa, ma non si riusciva a spiegare il
motivo. Era
tutto talmente confuso… In più c’era la
storia del suo ragazzo…
«Ragazzi,
io vado al lavoro,
ci vediamo dopo» li salutò lei con la mano,
sorridendo e risbucando sulle scale
per scendere in taverna.
«Ok, ciao»
risposero in coro Bill, Gustav e Georg.
Tom
non rispose, l’aveva solo
guardata, senza dire nulla. Lei lo guardò e
ritornò seria, il suo sorriso
sparì, come sparì dalle scale salendo di sopra.
***
Tom
guardò il fratello e poi
guardò di fronte a sé. Lesse il nome del negozio
sull’insegna sopra di lui,
togliendosi gli occhiali da sole scuri.
«Allora?
Che fai? Entri o
no?» gli chiese Bill, accanto a lui.
«Sì,
adesso vado.»
Tom
non poteva rimanere a
casa con le mani in mano, non si sentiva a posto. Doveva andare a
chiedere
assolutamente scusa a Jinny, che non gli aveva più rivolto
la parola da quella
mattina, come di solito faceva, quando li chiamava nella pausa per
sapere se
andava tutto bene a casa.
Entrò
nel negozio e andò
spedito alla cassa, guardandosi intorno in cerca di Jinny.
Guardò la commessa
dietro al bancone.
«Ciao,
come posso esserti
utile?» gli chiese, sorridendo.
Di
solito avrebbe iniziato a
parlare a non finire e a flirtare, ma aveva qualcun altro a cui
pensare.
«Cercavo
Jennifer… Jinny.»
«Jinny?
Guarda, è lì dietro,
che sta mettendo a posto degli scaffali.»
«Ok,
grazie.»
«Non
c’è di chè.»
Tom
si diresse verso il posto
che aveva indicato la ragazza e sorrise quando vide la sua Jinny su una
scaletta, che metteva a posto dei reggiseni su uno scaffale.
«Ehi,
ciao. Che posto strano
dove incontrarsi, ne?» disse Tom guardandola dal basso,
sorridendo.
«E
tu che ci fai qui?!»
chiese lei, lasciando i reggiseni e scendendo dalle scalette.
«Sono
venuto a chiederti
scusa.»
La
guardò: aveva una
maglietta nera, annodata su un fianco, con il nome del negozio sul
petto e un
cartoncino al collo.
«Scusa
per cosa?»
«Per…
i vestiti rosa.
Ricordi?»
«Ah,
sì.»
«Ecco.
Scusami, mi dispiace.
Io…»
«Ok,
Tom, fa niente. Ora devo
scappare.» Sorrise, ma non a lui, verso qualcun altro, che
era entrato proprio
ora nel negozio.
Lo
spostò e corse verso un
ragazzo, che abbracciò mettendogli le braccia al collo. Lo
baciò sulle labbra,
sorridendo.
Tom
non poteva credere ai
suoi occhi, sentì una fitta al petto, ma così
forte che dovette chiudere e
stringere gli occhi. Senza guardarli uscì fuori dal negozio,
passandoci pure
accanto, e raggiunse Bill, che guardava anche lui la coppietta felice.
***
Jinny
entrò in solaio
canticchiando, cosa che faceva solo quando era molto felice.
Saltellò sul letto
e ci si tuffò, guardando il soffitto con le travi di legno,
sorridendo e
raccogliendosi i capelli in una coda alta. Era in totale rilassamento,
ma un
rumore, il getto dell’acqua della doccia, la distrasse dal
relax. Si alzò corrugando
la fronte, chiedendosi chi fosse sotto la sua doccia, anche se
un’idea ce
l’aveva già.
Riconobbe
subito il tono
grave di Tom, che si lamentava sotto la doccia, per una ragazza
sembrava.
«Tom?
Ma che cazzo ci fai
nella mia doccia?!»
Tom
chiuse il getto
dell’acqua e sbucò fuori con la testa dalle tende
blu.
«Ah,
ciao Jinny, come va? Sei
qui da molto?», sembrava quasi preoccupato che avesse sentito
qualcosa.
Stava
parlando proprio di
Jinny e Ricky, di quanto gli dava sui nervi vederli assieme come una
vera
coppietta felice.
«No,
sono appena arrivata.
Adesso mi dici che ci fai nella mia doccia sì o
no?!»
La
sua risposta sollevò Tom:
Jinny non aveva sentito niente.
«Ma
niente… tu hai il bagno
più grande, perciò lo sfrutto.»
«Nessuno
ti ha dato il
permesso.»
«E
dai Jinny, quante storie.
Ho fatto solo la doccia, nulla di
così…»
«Mi
dà fastidio comunque.»
«Uffa…
Allora non lo farò
più, giuro.»
Quando
ci si mette è davvero una rompi coglioni.
Si
rimise sotto la doccia e
finì, mentre lei ritornava nella camera da letto per
scegliersi i vestiti per uscire
quella sera.
«Tom,
dammi un consiglio:
meglio il bianco o il nero?»
«Che
cosa?»
«Tu
dimmi se è meglio il
bianco o il nero.»
«Bianco.»
«Ok,
grazie mille. Hai
finito?»
«Sì,
sì, ho finito, rompina.»
Tom
uscì dal bagno con un
asciugamano in vita e uno appoggiato intorno al collo. Lei rimase un
attimo a
guardarlo, completamente rapita, poi scosse la testa e andò
in bagno.
«Grazie
per avermi prestato
il bagno» disse Tom, scendendo le scale per raggiungere la
sua camera.
Jinny
rimase in solaio fino a
sera. Cosa aveva fatto in tutto quel tempo? Si era fatta la doccia, si
era
vestita, truccata, fatta i capelli… eccetera. Quella sera
era speciale, tutto
doveva essere perfetto e così pure lei doveva essere
perfetta.
«Dove
andiamo così carine?»
chiese Bill, sorridendo a Jinny, che scendeva come una diva dalle
scale,
facendo rumore con i tacchi. Bill le prese la mano e le fece scendere
gli
ultimi scalini.
«Esco
con Riky.»
Tom
era sdraiato sul divano,
che guardavala la tv, e per poco non si strozzò con
Bill
gli corse affianco e lo
prese ancora a pacche sulla schiena. «Tom! Quante volte ti ho
detto che devi
fare una cosa per volta?! O bevi o parli, non puoi fare tutte e due le
cose!»
gli disse Bill, mentre Tom riprendeva aria.
Tom
si girò e guardò Jinny
alla fine delle scale, poco lontana da dov’era lui. Era
stupenda: indossava una
canottiera bianca a spalle fini, lunga, con una scritta e dei
brillantini, poi
una minigonna in jeans e in mano aveva una giacchetta, sempre in jeans.
Nell’altra mano, invece, teneva una piccola borsa,
anch’essa bianca. Un vero
angelo sceso dal cielo, con i capelli perfettamente lisci che le
cadevano
leggeri sulle spalle e le arrivavano in fondo alla schiena, al polso un
braccialetto e al collo una collana con un cuore.
Tom
era da un po’ che la
guardava, senza fiato, senza riuscire a dire niente.
«Tom,
forza, dì qualcosa» lo
incitò Bill, punzecchiandogli il braccio.
«Carina»
disse, girandosi sul
divano a braccia incrociate.
«Scusalo,
è geloso» disse
Bill, coprendosi la bocca di lato.
«Non
sono affatto geloso!»
«Ok,
sì Tom, hai ragione tu.
Dove andate di bello?»
Tom
ringraziò il cielo perché
Bill le avesse fatto quella domanda. Almeno lui doveva fargli scoprire
un po’
di più sulla sua serata.
«Andiamo…
Sai che non me l’ha
detto? Sarà una sopresa delle sue.»
«Ah.
E quando torni?»
«Ehi,
questo non lo so…
Vedremo… Ma non mi aspettate svegli, farò
tardi… mooolto tardi!» disse,
arrossendo un po’ e ridacchiando.
Sentirono
un clacson. Lei
sorrise e salutò i gemelli, raccomandandogli di salurtare
per lei pure Gustav e
Georg, e di fare i bravi in sua assenza.
«Si,
mammina…»
scherzò Bill. «Divertiti.»
«Puoi
scommeterci» disse lei,
salendo i due scalini prima di uscire.
Salì
sulla macchina di Ricky
e sparì dalla vista di Tom, che era corso alla porta per
vederla andar via.
***
«Tomi,
vieni a dormire, è
tardi.»
Tom
era ancora davanti alla
televisione, in sala. Era quasi mezzanotte e mezza e di Jinny ancora
niente,
nulla. Era la decima volta che Bill lo chiamava per farlo andare a
letto, ma lui
non voleva sentire ragioni.
«Bill,
vai a dormire tu. Io
non ho sonno.»
«Se,
come no. Tu non vieni
perché aspetti che torni Jinny, altro che non hai sonno.
Smettila va’.»
Bill
sembrava anche un po’
incazzato, sta storia di Jinny ormai era diventata una specie di
ossessione per
Tom.
«Non
è vero. Quando ho sonno
dormo, ok? E poi che te ne frega? Non posso aspettarla?»
«Sì,
sì, ok, fai come vuoi…»
Bill
salì le scale arreso,
andando in camera sua.
Passarono
i minuti, passarono
le ore, passò la notte e il sole era ormai già
alto nel cielo quando Bill scese
giù dalle scale e vide il fratello addormentato sul divano,
con una mano per
terra, il telecomando sul petto e la televisione ancora accesa. Se Tom
era ancora
lì voleva dire che probabilmente Jinny non era tornata
quella notte.
Corse
dal fratello, un po’
preoccupato, e lo scosse, cercando di svegliarlo. Tom
sobbalzò e si trovò per
terra, sdraiato a pancia in su sul tappeto, di fianco al tavolino di
vetro.
«Che
c’è Bill?» mugugnò,
stropicciandosi gli occhi.
«Tom,
Jinny?»
Tom
si alzò subito in piedi e
si guardò attorno, poi guardò il fratello,
seriamente preoccupato in volto. Si
passò le mani sulla faccia.
«Cazzo,
Jinny… Mi sono
addormentato Bill!»
«Questo
l’ho visto. Dici che
non è ancora tornata?»
Si
guardarono preoccupati e
si precipitarono in solaio, salendo le scale di corsa. Guardarono in
stanza, ma
il letto di Jinny non era disfatto, non ci aveva dormito nessuno.
Sentirono
la porta di sotto
aprirsi, poi chiudersi. Scesero di nuovo di corsa le scale, facendo un
casino
infernale. Videro Jinny attraversare la sala a testa bassa, togliendosi
i
tacchi, passare in mezzo a loro due e salire le scale, senza guardarli
in
faccia.
Tom
la raggiunse: «Jinny.
Jinny, dove sei stata tutta la notte? Ci hai fatti
preoccupare.» Si piazzò
davanti a lei, prendendole un braccio.
Lei
non accennava a guardarlo
in faccia e nemmeno a dargli una risposta. Le prese il mento fra le
dita e le
fece guardare i suoi occhi. Vide il trucco sbavato, gli occhi lucidi,
gonfi da
quanto avevano pianto.
Lei
si scostò da lui con un
movimento del capo e, dopo essersi liberata dalla sua dolce stretta sul
braccio, salì le scale, in perfetto silenzio.
Tom
si girò e la guardò
allontanarsi, mentre si toglieva la giacca tenendo le scarpe in una
mano.
Tom
e Bill si guardarono, con
una sensazione di disagio e la tristezza nel cuore per una Jinny che
non
avevano mai visto così.
Tom
salì in fretta le scale e
vide che la porta del solaio era chiusa. Provò ad aprirla,
ma era chiusa a
chiave. Non l’aveva mai chiusa a chiave prima
d’allora, voleva dire che era
successo qualcosa di veramente grave. Bussò alla porta un
paio di volte.
«Jinny…
Jinny ti prego apri,
sono io.»
Nessuna
risposta. Provò ancora
per due volte, ma la risposta di Jinny era sempre la stessa: silenzio.
Silenzio
assoluto.
Tom
scese le scale
demoralizzato, incontrando alla fine il fratello.
«Che
cos’ha?»
«Si
è chiusa in camera e non
mi vuole parlare, non risponde neppure.»
Jinny
si tuffò sotto una
doccia gelata, poi si mise nel suo letto, sotto le coperte, in
silenzio, non
vedendo e non sentendo niente, il nulla. Nascose la faccia dentro al
cuscino,
strinse forte i pugni e lasciò scivolare le lacrime, ancora,
per l’ennesima
volta, come quella notte insonne passata a casa della sua amica
Camilla.
Lei
lo sapeva, lo aveva
sempre saputo, ma non per questo si era tirata indietro. Aveva
rischiato, aveva
giocato correttamente le sue carte, ma qualcun altro aveva vinto,
rompendole il
cuore in mille minuscoli pezzi.
Ora
era lì, a piangere per un
ragazzo che non meritava nemmeno le sue lacrime, che la stava facendo
morire
dentro, pian piano, corrodendo la poca forza rimasta in lei.
E
così, a rimuginare su
quella storia finita male, su quel ragazzo che aveva amato alla follia,
che
credeva fosse l’unico e per sempre, una bellissima favola,
passarono le ore, e
di scendere, e di dare un segno di vita ai ragazzi che erano
preoccupati di
sotto, non ne voleva sapere. Stava nel letto, ferma immobile, nel suo
dolore,
senza più forze ormai. Pure quando Bill, Tom, Gustav e Georg
si misero a
suonare “rumorosamente”, come diceva lei, nella
stanza proprio sotto alla sua,
non battè ciglio, non si mosse di un millimetro. Di solito
quando suonavano
mentre lei riposava si incazzava e scendeva di corsa le scale, urlando
contro
Tom, soprattutto, perché non ne poteva più di
“sentirlo strimpellare ad ogni
ora del giorno e della notte” (quando Bill aveva qualche
ispirazione erano
capaci di suonare nel cuore della notte). Ma questa volta non fece
niente, non
la sentirono scendere le scale e urlargli contro, non la videro
diventare rossa
dallo sforzo che faceva con la sua voce troppo flebile forse.
Bill
smise di cantare e si
tolse le grandi cuffie, tenendole fra le mani, chiuse gli occhi e
sospirò.
«Ragazzi
non ce la faccio,
non ce la faccio a cantare e a non vedere Jinny che ci urla contro. Ma
che è
successo? Vorrei solo avere
La
mano di Tom strinse la
spalla del fratello, incoraggiandolo.
«Adesso
ci provo io, voglio
vedere che fa.»
Bill
uscì dalla specie di
studio che avevano creato per suonare e salì le scale per
raggiungere il
solaio. Bussò alla porta.
«Jinny,
ciao, sono io, Bill.
Mi apri, per favore?»
Rimase
un po’ in silenzio,
davanti alla porta chiusa, ad aspettare una sua risposta, ma fu tutto
inutile,
la voce di Jinny non raggiunse le sue orecchie.
«Jinny,
ti prego… ma che
cos’hai? Che cos’è successo? Lo sai che
a noi puoi dire tutto. Possiamo
aiutarti in qualche modo? Parla, ti prego…»
Nessuna risposta pure sta volta.
Bill
si girò sconfitto, a
testa bassa, e scese le scale, ritornò dai ragazzi.
«Allora?
Ha detto qualcosa?»
chiese subito Tom, togliendosi la chitarra dal collo.
«No,
nulla.»
Tom,
Gustav e Georg si
guardarono e poi guardarono il viso triste di Bill, si intristirono
pure loro.
In quello stato non potevano più continuare a suonare.
Scesero giù in cucina e
con enorme sorpresa videro Jinny, appoggiata al lavello, con una tazza
in mano.
«Jinny!»
disse subito Tom,
andandole accanto, accarezzandole il braccio vicino alla spalla e
guardandola
in faccia. «Cos’è successo? Eravamo
tutti in pensiero…»
Jinny
continava a non
rispondere, a schivare lo sguardo di Tom, guardando in basso, tenendo
tra le
mani quella tazza calda, come se volesse riscaldarle, anche se era
piena
estate.
«Jinny
non posso vederti
così, non possiamo tutti. Parla, sfogati con noi»
disse ancora Tom, prendendole
il mento tra le dita.
Lei
continuò a guardare
dall’altra parte, di lato, senza aprire bocca.
«Ok.
Ragazzi…» Tom si girò
verso Bill, Gustav e Georg e continuò: «Potete
lasciarci soli un momento?»
Bill
annuì e andò in sala,
sedendosi sul divano. Gustav esitò, ma poi seguì
il frontman, e così fece
Georg, lasciando soli Jinny e Tom in cucina.
Tom
guardò Jinny negli occhi,
per la prima volta anche lei lo stava facendo.
«Riky
mi ha lasciata»
sussurrò lei, sull’orlo del pianto, gli occhi
pieni di lacrime, di dolore, di
rabbia.
«Perché?»
le chiese Tom,
quasi duro.
Jinny
lo abbracciò
all’improvviso, stringendo i pugni sulla sua schiena,
nascondendo la faccia nel
suo petto, incominciando di nuovo a piangere e a singhiozzare.
Bill
si girò un attimo e vide
la scena, con accanto gli amici. Tom e Jinny erano come cane e gatto a
volte,
si azzuffavano, una volta si stavano persino per picchiare, ma
c’era un legame
fortissimo fra i due. Per questo in quel momento Jinny aveva voluto
dire tutto
solo a Tom. Era l’unico che potesse confortarla in una
situazione come quella.
Tom
le accarezzò i capelli,
stringendola a sé.
«Jinny,
non piangere ti
prego… non credi di aver pianto abbastanza?»
Singhiozzi,
solo singhiozzi e
lacrime da parte di Jinny.
«Dimenticatelo,
gira pagina.»
«Credi
che sia tutto così
semplice? Come posso dimenticare un intero anno della mia vita? Come
posso?
Stavamo insieme da un anno… e lui… mi ha
tradita… mi ha lasciata per un’altra…
Mi ha lasciata il giorno del nostro anniversario… Ti rendi
conto, Tom? Tom…»
«Mi
dispiace Jinny, mi
dispiace tanto.»
Ovvio
che non era vero, cioè
sì… insomma, da una parte era contento che la sua
storia con Riky fosse finita,
dall’altra, però, era triste perché ora
Jinny stava male, e tanto.
La
rivide poco dopo, in
spiaggia. La raggiunse e si mise seduto accanto a lei, sulla sabbia.
Lei stava
passando la cera sulla sua tavola da surf, tenendola sulle gambe.
Guardò Tom
per un attimo, poi continuò il suo lavoro.
Il
sole stava per tramontare,
era di quel bell’arancione e tra poco avrebbe dato il cambio
alla luna. Tom
guardava il mare, i riflessi del sole sull’acqua, le onde
infrangersi sulla
sabbia, per poi tornare indietro e ricominciare tutto da capo.
«L’amore
è come un’onda»
disse Tom, rimanendo a fissare quel ciclo continuo.
Jinny
lasciò la cera e la
tavola e lo guardò, mettendosi seduta
meglio sulla sabbia.
«Pian
piano nasce, cresce,
sembra stupenda, alta, forte, indistruttibile, ma prima o poi si rompe,
ma non
per questo si arrende. Ricomincia, senza guardarsi indietro»
disse muovendo la
mano come per indicare il percorso dell’onda, guardando il
mare.
Tom
la guardò e le fece un
mezzo sorriso, con gli occhi lucidi, per cosa non si sapeva, lei non
l’avrebbe
mai saputo.
Lui,
proprio lui, era a
consolarla a causa di un altro. Strana la vita.
Jinny
si sistemò una ciocca
dietro l’orecchio, guardò il mare, anche lei con
gli occhi lucidi. Era solo in
costume, con dei pantaloncini corti.
«Jinny,
stai tremando.»
Tom
la prese tra le sue gambe
e la fece appoggiare con la testa al suo petto, di lato. La strinse tra
le sue
braccia, donandole il calore del suo corpo, facendola stare meglio.
Jinny
chiuse gli occhi e si lasciò andare all’abbraccio
di Tom.
«E
sai qual è la prima cosa
che devi fare? Toglierti quell’anello. È il primo
passo per dimenticare» disse
ancora Tom, guardando la mano di Jinny.
Anche
lei la guardò e guardò
l’anello che le aveva regalato Riky: argento, con dei piccoli
diamanti
incastonati in mezzo. Nascose la mano alla sua vista, abbracciando Tom,
mettendogli
le mani sulla schiena.
«Grazie
Tom.»
«Prego
piccola. Non mi piace
vederti triste, lo sai, no? E non mi piace vederti sconfitta, come se
la vita
fosse finita qui. La vita va avanti, con o senza Riky. Non puoi
abbatterti per
uno così, pensa a quello che ti ha fatto… ti ha
tradita… è da codardi. E non
vorrai mica buttarti giù così per un codardo,
vero?»
Lei
scosse la testa sul petto
di Tom.
«Bene.
E ora, me lo fai un
sorriso?» chiese Tom, guardandola in faccia, piegando la
testa di lato.
Jinny
sorrise e gli mise le
braccia intorno al collo, abbracciandolo affettuosamente, mettendosi in
ginocchio di fronte a lui.
«Grazie
Tom… ti voglio bene.»
«Anch’io.»
Non
sai quanto…