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Autore: nettie    09/08/2016    1 recensioni
«Non mi hanno accettata neanche questa volta.»
«Ah no? Immagini il perché?»
«Non sono abbastanza. Secondo te? Non accettano di pubblicare parole di bassa qualità.»
«Bassa qualità?»
«Sì. Schifo spalmato su fogli, hai presente?»
«Non è schifo spalmato su fogli, questo. Non è scrittura ordinaria, tutto qui.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Il mare era calmo, e come uno specchio rifletteva su di sé la Luna che troneggiava alta nel cielo puntellato di stelle. L’orizzonte veniva inghiottito dal buio pesto, e lei cercava di guardare oltre quel buio. Io avevo smesso di remare da tempo ormai, una mezz’ora buona, e me ne stavo seduto dall’altro lato della barca con un fascicolo di fogli in mano. I suoi capelli biondi erano in forte contrasto col buio nel quale erano immersi: venivano illuminati dalla Luna che li faceva sembrare fili argentei. Non spiccicò parola durante tutto il tragitto, si era limitata a starsene seduta lì, nel suo angolo, con la gonna raccolta e lo sguardo altrove, lontano, forse intento a creare figure in lontananza che s’animavano con l’immaginazione. Io la contemplavo in tutta la sua semplicità, e stringevo i suoi fogli fra le mani robuste. Ogni cosa che vi era impressa sopra era stata battuta a macchina dalle sue sapienti manine, creata dalla sua istrionica mente. Io non sapevo apprezzare fino in fondo ciò che scriveva: troppo sopraffine per la mia natura rozza e maschia, e più ci provavo e più non ci riuscivo. Erano versi, rime, strofe, prose - tutto ciò che fa di una persona uno scrittore. Io non ero nient’altro che un marinaio nell’arma, che ne potevo sapere io di tutte quelle cose? Il mio posto era la guerra, se potevo mi limitavo a scrivere di quella: della trincea, dei proiettili, delle notti al gelo dove potevamo chiudere solo uno dei due occhi. Lei scriveva di cose oltre la guerra, cose vere, cose che il mondo ancora non era pronto a leggere.

 

«Non mi hanno accettata neanche questa volta.»

 

Sospirò, e fu quella la prima frase della nostra serata. La sua voce era strozzata, c’era qualcosa che turbava il solito suono limpido e cristallino. Non osai chiedere cos’altro la turbasse tanto, mi limitai ad abbassare lo sguardo al pavimento della barca. Le travi di legno erano ben assestate le une alle altre, qualche chiodo stava per saltare, qualche trave era troppo umidiccia e molla per resistere ancora qualche giro in più: avrei dovuto dedicare a quella piccola barca una meritata manutenzione.

 

«Ah no? Immagini il perché?»

 

Mi limitai a chiederle, e subito la sentii sospirare ancora.

 

«Non sono abbastanza. Secondo te? Non accettano di pubblicare parole di bassa qualità.»

 

«Bassa qualità?»

 

«Sì. Schifo spalmato su fogli, hai presente?»

 

Sfociò in una risata che mi sembrò più che amara.

 

«Non è schifo spalmato su fogli, questo. Non è scrittura ordinaria, tutto qui.»

 

Insinuai, accigliandomi ed alzando appena la voce. Sapevo bene quanto tutto ciò che scrivesse non fosse ordinario, al contrario - sempre un passo un po’ più in là.

 

«Non è scrittura ordinaria perché non è abbastanza.»

 

Insistette lei, e si girò per guardarmi in volto. I suoi occhi verdi brillavano nel buio come due smeraldi, e i lineamenti fini del suo viso di porcellana venivano baciati dalla luce delle stelle. Ricambiai lo sguardo con più intensità, ma rimasi serio: non sorrisi né feci smorfie alcune.

 

«Non è assolutamente vero.»

 

Dissi severo, e divenni cupo in viso.

 

«Ma sì … ! Leggono perfino le tue, di parole.»

 

«Io sono un marinaio - sono un soldato. Io vivo la guerra, è necessario leggere di quella per non ripetere gli stessi errori.»

 

«Di cos’altro è necessario leggere?»

 

«Di nuove idee.»

 

«Io non ho queste nuove idee, allora.»

 

Tornò a sguardo basso: anche lei si fece cupa in viso. Sentii il cuore stringersi in una morsa fatta di freddo e dolore: avrei voluto avvicinarmi, ma non potevo prevedere la sua reazione. Era uno spirito libero, lei: avrebbe potuto respingermi così come accogliermi fra le sue braccia.

 

«Ti sbagli: tu sei quelle nuove idee. La gente non è ancora pronta per accoglierti, però.»

 

Provai a rassicurarla, ma non feci in tempo a dire altro che subito lei tagliò corto.

 

«Se non è ancora pronta, allora, la prossima volta che parti voglio venire con te.»

 

Impallidii davanti tutta quell’audacia.

 

«Partire? Con me? Sei per caso matta?»

 

«Sì.»

 

Affermò, aveva le labbra piegate in un sorriso sornione e divertito. Scossi la testa in segno di disapprovazione.

 

«Non è possibile. Non puoi: è qui il tuo posto. Non devi far altro che aspettarmi.»

 

«Ah, quindi oltre ad aspettare che la gente sia pronta, devo aspettare anche te?»

 

S’imbronciò come si può imbronciare una bambina di appena cinque anni, e mi venne spontaneo sorridere.

 

«Non mi dovrai aspettare molto, almeno.»

 

«E che farò durante la tua ennesima assenza?»

 

«Non ti va di più di scrivere?»

 

Inarcai un sopracciglio, e lei mi guardò tenendo il broncio. Incrociò le braccia, e sospirò prima di accigliarsi e corrucciare il viso in un’espressione contrariata.

 

«Non ho detto questo … ma di cosa scriverò? Io qui non faccio niente: la vita è sempre la stessa!»

 

«Perché, pensi che la guerra cambi?»

 

«Ma la guerra interessa alla gente.«

 

«La guerra non è cosa tua, mettitelo in testa.»

 

Le risposi un po’ bruscamente, è vero, e lei si indispettì. Si allungò verso di me per darmi una scherzosa spallata, e io risposi a quel gesto dandole un pizzicotto sul braccio. Fece un verso di disapprovazione, ma finì per ridacchiare divertita da quella situazione. Continuai poi a parlare.

 

«La barca te la lascio. Puoi venire qui senza di me, e puoi scrivere di noi.»

 

«E’ una buona idea, ma cosa dirò su di noi?»

 

«Ah? Non hai niente da dire sul nostro rapporto?»

 

Le sorrisi fulminandola con lo sguardo, e lei arrossì. Non la vedevo perché la Luna non ci illuminava a sufficienza, ma la conoscevo abbastanza bene da poter immaginare le sue gote piene dipingersi di rosso e le sue labbra piegarsi in un sorriso colmo d’imbarazzo. Forse si sarà anche stretta nelle sue stesse spalle stringendo le gambe, come era solita fare. Cambiò discorso subito dopo.

 

«Va bene, non verrò con te. Ma quando tornerai?»

 

«Quando tornerò sarò pronto a leggere tutto ciò che avrai scritto.»

 

«Ma io non voglio che sia solo tu a leggerlo…»

 

La sua voce si fece fievole fievole, allora io presi la palla al balzo e m’avvicinai un po’ di più a lei. Non venni respinto: s’avvicinò anche lei in tutta risposta, mentre la barca tremava sotto i nostri movimenti.

 

«Troveremo il modo di farlo leggere al resto del mondo.»

 

«A quel tempo sarà pronto?»

 

«Io spero di sì.»

 

Le avvolsi le spalle piccole con un braccio, e la strinsi a me. Lei si fece scappare una risata d’imbarazzo, ma non si ribellò alla mia presa - si fece piccola piccola fra le mie braccia. Io stringevo ancora i fogli in una mano, e presi a guardare l’orizzonte buio di fronte a noi mentre il suo buon profumo m’entrava nei polmoni. Ci fu un lungo silenzio in cui parlammo con sguardi fugaci e sospiri profondi, cullati dal mare e carezzati dal leggero vento che soffiava su di noi. Alzammo entrambi lo sguardo al cielo: era terso e costellato di stelle. Beccai qualche costellazione, poi mi soffermai a contemplare la Luna piena. Era tonda tonda, e se ne stava lì, sospesa in tutta tranquillità. Era sempre la stessa: sia in alto mare, sia sulla terra ferma, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, ma quella sera sembrava appena diversa - come se mi parlasse, come se volesse cercare di dirmi qualcosa che non afferrai mai veramente. L’aspirante scrittrice, intanto, aveva poggiato la testa sulla mia spalla e s’era fermata anche lei ad osservare il cielo tanto immenso. Intorno a noi c’era talmente tanto silenzio che per un momento mi parve di sentire i battiti accelerati e palpitanti del suo cuore.

 

«Quindi … secondo te, quello che scrivo non è ordinario?»

 

Chiese tutto d’un tratto, spezzando la quiete della notte. Lo chiese con voce talmente timida che mi fece tenerezza.

 

«Assolutamente no. Ha quella marcia in più che mi fa vivere le parole.»

 

Quello che le dissi venne sputato direttamente fuori dal mio cuore, lo dissi spontaneamente, quasi senza pensarci.

 

«Quello che scrivi è straordinario. Tutto ciò che fai lo è.»

 

La strinsi a me con più forza. Lei taceva ed ascoltava le mie parole.

 

«Tutto ciò che t’accoglie diventa straordinario. Anche la mia vita con te dentro è diventata straordinaria. Il mondo deve solo prepararsi a qualcosa di straordinario.»

 

Nel mentre iniziai a sfogliare tutti i fogli che tenevo in mano, glieli mostrai uno ad uno nonostante al buio non si potesse leggere assolutamente niente di ciò che era scritto sopra.

 

«Questo è straordinario: qui sopra c’è un altro mondo - o meglio, è sempre lo stesso, ma è narrato in tutt’altro modo. E’ narrato in modo straordinario perché visto da occhi straordinari.»

 

Lei alzò lo sguardo verso di me, e i nostri occhi s’incatenarono gli uni agli altri. Fece scivolare la sua piccola manina nella mia, e le nostre dita s’intrecciarono. Potevo notare la luce nei suoi occhi verdi tremare appena, forse d’emozione o esitazione.

 

«Lo pensi davvero?»

 

«Altrimenti non lo avrei mai detto. Fra qualche giorno partirò, tu devi solo pensare a continuare ciò che stai creando. Arriverà anche il tuo momento.»

 

Proprio così: tutto quello che le stavo dicendo veniva dal profondo del mio cuore. Non per fare i soliti smielati romantici senza speranza, ma era realmente così. Forse sarà stato il sentimento, forse semplicemente l’atmosfera, ma il mio cuore aveva iniziato a palpitare in modo insolitamente veloce. Non feci in tempo a continuare il mio piccolo discorso, che venni interrotto nel modo più impensabile. Sentii un sapore dolce sulle labbra, un sapore a metà fra la ciliegia e la fragola, e quel sapore era il suo. Aveva affondato le manine piccole fra i miei ricci scuri, e ora mi stava baciando con un’intensità che da lei non mi sarei certo mai aspettato. Quante altre volte m’ero ritrovato a baciarla, e quante altre volte m’era sembrato come fosse la prima volta? Assecondai il suo gesto e mi persi in quello che non era nient’altro che un bacio, il più dolce, nel bel mezzo del largo mare sotto la Luna. Ecco ciò che voleva dirmi.

 

Quando ci separammo, ebbe anche la sfacciataggine - o il coraggio ? - di guardarmi negli occhi, audace e bellissima come forse non l’avevo mai notata prima. Mi sentivo un fuoco: le guance mi bruciavano neanche fossi stato arso vivo. Lei mi sorrise: era un sorriso grande e dolce, luminoso in mezzo al buio.

 

«Ora hai un motivo in più per tornare.»

 

«E tu hai un motivo in più per scrivere qualcosa di straordinario.»

 
   
 
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