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Autore: Milla Chan    09/08/2016    2 recensioni
Aveva maturato uno strano sentimento nei confronti degli umani. Non c’era più paura, ma non c’era nessuna rabbia, solo un misto di disgusto e indifferenza. Quella situazione, però, non gli pesava quanto i suoi genitori pensavano che avrebbe dovuto; o almeno così sembrava. Kenma passava gran parte delle sue giornate a giocare ai videogiochi, e quando sua madre gli chiedeva se avesse qualcosa da raccontarle, passandogli la mano tra i capelli scuri, lui la guardava con una sorta di senso di colpa negli occhi.
[KuroKen + altre coppie secondarie] [Tokyo Ghoul!AU, ma non è necessario seguire l'opera]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Sotto l’ali dormono i nidi, come occhi sotto le ciglia

Kuroo spalancò gli occhi quando sentì qualcosa muoversi sotto di lui.
-Cosa fai?- chiese sporgendosi giù e vedendo che Kenma non era più in pigiama.
-Vado a scuola.- rispose con calma mentre prendeva lo zainetto.
Sgranò gli occhi e balzò giù dal letto per seguirlo fino all’entrata. -Con gli umani?-
Mizuki aprì la porta e rivolse a Kuroo un grande sorriso. -Hiroshi è andato via un’oretta fa per andare a lavoro e io torno tra una ventina di minuti, ti affido casa!-
Kuroo inclinò la testa di lato e aggrottò le sopracciglia. -Ti fidi?- mormorò, sinceramente sorpreso.
La risata cristallina di Mizuki gli entrò nel cuore e Kuroo agitò appena la mano in aria per rispondere al silenzioso saluto di Kenma.
La porta si chiuse ed ebbe un momento di panico nel rendersi conto che era rimasto solo in quella casa. Nonostante il risveglio brusco, o forse proprio per quello, si sentiva pieno di adrenalina ed energia. Doveva tornare a casa e trovare Bokuto e tutti i suoi compagni. Stava già cercando di aprire la finestra della camera da letto di Kenma quando qualcosa lo bloccò.
Dopotutto, nessuno lo stava obbligando a restare, non era logico scappare in quel modo. Si sarebbe sentito vagamente in colpa ad andarsene così: avrebbe potuto aspettare che Mizuki, Hiroshi e Kenma tornassero e ringraziarli per tutto quello che aveva fatto prima di andare via. Sembrava essere il piano migliore, quindi decise di stendersi di nuovo su quel letto incredibilmente morbido e di aspettare. Sentì uno zampettio leggero e un attimo dopo un gatto saltò accanto a lui. Si sedette in tutta calma e lo guardò con sufficienza mentre si inumidiva una zampa.
Kuroo alzò le sopracciglia sorpreso e si girò su un lato. Avevano un gatto? Anche lui, a giudicare dalla stazza, sembrava passarsela piuttosto bene.
Allungò una mano e appoggiò le nocche contro la sua testolina, contento che non sembrasse infastidito e non avesse intenzione di soffiare o graffiarlo. Accarezzò il pelo morbido e chiuse gli occhi quando iniziò a sentire le sue fusa.
 
Kenma era piuttosto felice di non sentire il bisogno di raccontare a tutti ciò che gli era successo la sera precedente. A scuola non si parlava d’altro, tutti erano pieni di paura ma anche eccitazione, perché era stato catturato un grandissimo numero di ghoul, la maggior parte di essi ricercati, nomi conosciuti, a capo di gruppi tanto celebri quanto pericolosi. Si diceva che fosse stato inferto un duro colpo alle fondamenta di quella società -una comunità di mostri mangia uomini, niente di più, niente di meno, e Kenma si era sentito profondamente offeso da quelle parole.
-Riusciremo a farli estinguere, prima o poi!- diceva qualcuno durante la pausa, con gli occhi che brillavano di speranza. - Non riesco a credere che esistano creature del genere e che vivano in mezzo a noi, l’idea mi terrorizza!-
-Ci vorrebbero controlli rigidissimi, a mio parere!-
Kenma non si era mai sentito così tanto a disagio in vita sua. Sentiva le mani gelide e le dita tremare e voleva soltanto tornare a casa, o trovare un modo per non ascoltare nessuno. Ma ogni volta che qualcuno apriva bocca, non passavano molti secondi prima che iniziasse a parlare di quell’argomento.
Molte volte quasi non si ricordava di essere un ghoul in mezzo a centinaia di umani, ma giorni come quelli glielo facevano ricordare in modo spregevole, come se lo stessero sbattendo contro un muro.
Uscì da scuola dopo quella che sembrava un’eternità. Era sollevato di non dover avere più a che fare con nessun umano, quel giorno: ne aveva avuto abbastanza e la sua testa era piena delle loro parole.
-Oh, abbiamo la divisa della stessa scuola!- esclamò ad un certo punto una voce alle sue spalle, mentre camminava verso la fermata della metropolitana
Kenma chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per mantenere la calma. Si voltò e fu colpito dall’intenso color rame di una testolina scombinata.
-Piacere, io sono Hinata Shouyou, sono al quinto anno!- continuò con un veloce inchino e un grande sorriso.
-Kozume Kenma.- rispose l’altro, con molto meno trasporto. -Sesto anno.-
-Ooh, sei all’ultimo, che bello!-
Kenma stirò appena le labbra e tornò a scendere le scale.
-Vivo a Tokyo solo da qualche giorno, dove abitavo io andavo a scuola in bicicletta.-
-Bello.-
Arrivarono alla banchina giusto in tempo: il treno era appena arrivato e Kenma si affrettò a salire, seguito a ruota da Hinata.
Avrebbe preferito che smettesse di parlare, ma era evidente che non fosse nelle sue intenzioni. Raccontò della sua famiglia, di sua sorella, di com’era la sua vecchia casa, di com’era la sua nuova casa; Kenma aveva ascoltato tutto con insolita curiosità, nonostante l’iniziale diffidenza. Forse era il suo tono di voce, forse la luce che sembrava emanare e lo attirava naturalmente. Poi, ecco, l’argomento che sperava non arrivasse mai.
-Hai sentito cosa è successo ieri sera? Lo sai che io ero lì?-
Kenma lo guardò fulmineo con la coda dell’occhio.
-Anche io.- disse, come se non ci fosse niente di speciale. Si pentì immediatamente delle sue parole.
La bocca di Hinata si aprì per la sorpresa e sgranò gli occhi, incredulo.
-Davvero!? E dimmi, li hai visti quelli che combattevano sul tetto, eh? Li hai visti anche tu?-
Kenma si aggiustò i capelli dietro l’orecchio con un gesto nervoso e corrucciò le sopracciglia. -No, sono andato via subito. Non ho visto niente.-
-Beh, è comprensibile, era molto pericoloso restare! Anche io sono scappato via.- commentò Hinata, annuendo con veemenza.
-Com’è essere all’ultimo anno?-
Kenma aggrottò ancora di più le sopracciglia, confuso da quel repentino cambio di argomento. Davvero si era concluso lì? Non aveva odio da spalare su di loro? L’aveva colto di sorpresa, e ci mise qualche attimo in più per elaborare una risposta.
-Credo… normale. Non lo so, la scuola è appena iniziata.- azzardò. Non ci aveva mai pensato, e sinceramente non sapeva dove volesse andare a parare. Sospettava che stesse aspettando il momento giusto per dire qualcosa, invece Hinata continuò a parlare per tutto il viaggio, finché Kenma non dovette scendere. Lo salutò agitando la mano. Dopo quell’esperienza, Kenma si ritrovò a camminare verso casa spaesato, ma anche inaspettatamente sollevato e sereno. Hinata sembrava essere la prima persona simpatica che incontrava in vita sua.
 
-Kuroo?-
La voce delicata di Kenma lo fece lentamente riemergere dal torpore. Emise un verso basso e si girò verso di lui. Si era addormentato? Come? Dannati materassi troppo comodi.
-Dormi da un sacco di tempo, temevo fossi morto.-
Kuroo sbatté le palpebre un paio di volte. -Che ore sono?-
-Le cinque e mezza.-
Si alzò così velocemente che Kenma indietreggiò e rischiò di inciampare tra i peluche.
-Di pomeriggio? Perché nessuno mi ha svegliato?-
Kenma alzò le spalle. -Mamma mi ha scritto un messaggio dicendomi che dopo avermi portato a scuola è tornata a casa e ha visto che dormivi, allora ti ha lasciato dormire ed è andata a lavoro. Io sono tornato adesso e mi sembrava strano che fossi ancora addormentato. Ti ha chiamato “Tetsu-chan” e ci ho messo un attimo a capire che parlava di te.-
Kuroo lo guardò agitato, e parecchio imbarazzato per il nomignolo, ma decise di glissare. -Sei tornato adesso? Ma quanto dura la scuola?-
-Un po’…-
-Dev’essere palloso.- commentò aprendo la finestra sotto lo sguardo confuso di Kenma.
-Cosa fai?- chiese, vagamente allarmato nel vederlo salire in piedi sul davanzale.
-Ascolta.- disse con un sospiro. -Ho già perso un sacco di tempo, molto più di quanto avrei voluto. Grazie mille per la vostra ospitalità. Siete stati davvero gentili, ma ora devo cercare la mia famiglia.-
Kuroo stava per saltare quando Kenma gli afferrò il bordo della felpa e lo guardò come se fosse pazzo.
-Ti vuoi buttare da qui? Siamo al terzo piano, esiste una porta!-
-Ho saltato da più in alto.- rispose con un sorriso storto che per qualche motivo lasciò un attimo Kenma senza parole.
-L’ultima volta non è andata molto bene.-
Kuroo si accovacciò per riuscire a guardarlo in faccia e sporse leggermente il labbro inferiore. -L’ultima volta non sono saltato, sono caduto.-
-Comunque ripeto, c’è la porta, non capisco perché dovresti…-
-Da qui è più divertente!- lo interruppe Kuroo, come se fosse una cosa ovvia, e gli afferrò l’avambraccio per tirarlo verso di sé. Kenma strabuzzò gli occhi vedendo il vuoto sotto di sé. -Ti va di venire con me? Posso farti conoscere Bokuto e gli altri, e poi ti riportiamo qui.-
-No, io… Non penso che mia mamma mi lascerebbe.- mormorò flebilmente, il cuore che batteva all’impazzata. -E poi non l’ho mai fatto, sembra piuttosto pericoloso.-
Kuroo lo guardò sconcertato e un po’ incredulo. -…Kenma, è ovvio che tu ci riesca.-
Allungò un braccio per indicare un lampione qualche metro sotto di loro e chiuse un occhio, come se stesse prendendo la mira. -Ora saltiamo lì sopra. Questa è una via secondaria, quindi non c’è il rischio che qualcuno di veda, non preoccuparti. Attento a non farti male alle gambe però.-
Il più piccolo si aggrappò al muro, ma inutilmente, perché un attimo dopo Kuroo l’aveva afferrato saldamente per la vita ed era saltato nel vuoto senza preavviso, portandoselo dietro.
Kenma era sicuro di aver sentito l’anima uscirgli dal corpo in quel secondo in cui volò nel vuoto. La voce l’aveva completamente abbandonato, non riuscì proprio ad urlare. Ricominciò a respirare solo quando Kuroo atterrò sul lampione con un rumore metallico, e si accorse di stargli piantando le unghie nelle spalle.
Prima lo guardò come se fosse appena stato rapito da un pazzo, ipotesi che tra l’altro non si sentiva neanche di escludere del tutto, poi spostò lo sguardo verso l’alto per vedere la finestra aperta di camera sua. Era stato strano, l’aveva visto fare solo nei film, ma sembrava… abbastanza divertente.
-Kenma, forse ho capito perché sembri così smorto.- disse Kuroo ridendo e cercando di afferrarlo meglio, perché stava iniziando a scivolargli dalle braccia.
Kenma si sentiva come se stesse per esplodere, una sensazione prepotente, ma esternata solo dalla fronte leggermente corrugata.
-Davvero non hai mai fatto niente del genere? Mai mai mai?-
Kenma scrollò la testa con fare nervoso e si aggiustò i capelli leggermente troppo lunghi dietro l’orecchio.
-Ho capito come farti passare il pomeriggio allora.- rispose Kuroo saltando verso un condominio relativamente basso. Voltò il viso verso di lui per quell’attimo in cui si trovarono per aria e fu piacevolmente stupito di vedere i suoi occhi spalancati e attenti.
 
Ci andò quasi un’ora perché Kuroo trovasse la sua casa. Si guardava intorno e più sentiva di avvicinarsi, più una leggera ansia gli stringeva lo stomaco. Avevano iniziato a camminare per strada, tra gli umani, sperando di confondersi e di non incontrare altri ghoul. Kenma si stava rendendo conto di quanto fosse pericoloso girare per Tokyo da soli nella loro condizione e stava sinceramente rimpiangendo di averlo seguito.
-Ci siamo quasi!- disse Kuroo con un ampio sorriso. Svoltò in un viottolo secondario, poi in un altro, e un altro ancora, ma il passo accelerato e l’entusiasmo andarono scemando. Kenma lo seguiva e aveva come l’impressione di star capendo quello che gli passava nella testa. Non percepiva la presenza di nessuno.
Arrivarono davanti a una porta di metallo arrugginito. Kuroo vide che era socchiusa e il suo sorriso si spense definitivamente. Sentì il cuore stringersi in una morsa mentre appoggiava su di essa il palmo della mano e spingeva per aprirla.
-Aspetta qui.- mormorò con la gola secca.
Mosse un paio di passi nella stanza buia e distolse velocemente lo sguardo dalle macchie di sangue che ricoprivano il pavimento di cemento, fingendo di non vederle. Corse ad aprire un’altra porta e scese velocemente le scale, implorando che ci fosse qualcuno, chiunque, anche solo il vecchio.
I suoi passi rimbombarono nello scantinato vuoto. Guardò le coperte buttate alla rinfusa per terra e le crepe sui muri insanguinati. Una ventola dell’impianto di aerazione girava incessantemente. Il vecchio c’era. Morto. Anche altri, ma non ebbe il coraggio di guardarli in faccia.
Appoggiò una spalla contro il muro e strinse i denti, la vista offuscata dalle lacrime.
 
Kenma indietreggiò di un paio di passi quando lo sentì tornare. Gli passò davanti a testa bassa, ma riuscì a vedere i suoi occhi arrossati.
-Bokuto dev’essere qui da qualche parte.- mormorò Kuroo dopo qualche attimo di esitazione. Kenma provò a non dar peso a quella voce flebile e spezzata mentre cercava di stare dietro al suo passo svelto. Lo seguì in silenzio, comprensivo della sua angoscia, finché non si ritrovarono nell’esatto punto in cui Kuroo era caduto, la sera prima.
-Dev’essere scappato.-, diceva Kuroo, guardandosi attorno, gli occhi bene aperti, tanto che Kenma non sapeva se fosse per il panico o perché voleva essere più attento che poteva. Camminarono in tondo per minuti lunghissimi, ma c’erano solo cassonetti accartocciati, polizia che isolava la zona, un sacco di persone impegnate a ripulire le strade dalle macerie, e sangue che ormai era diventato marrone.
-Dev’essere andato da qualche altra parte.-
-Da chi?-
Kenma si pentì quasi subito di aver posto quella domanda. Kuroo aprì e chiuse la bocca più volte, le braccia che cercavano di indicare una direzione. Non avrebbe voluto vedere la speranza spegnersi in quel modo, gli occhi svuotarsi e farsi lucidi mentre alzava lo sguardo sul maxischermo di un palazzo lì vicino, su cui stavano passando le immagini della notte precedente, e di tutta la devastazione. Sembrava tutto molto più reale. Kenma riuscì a leggere velocemente un titolo che diceva qualcosa riguardo a una carneficina, e non vedeva l’ora di poter tornare a casa per sentire di più riguardo alla notizia: non doveva essere stato un attacco comune.
-Mi dispiace.- mormorò Kenma, sinceramente addolorato, fissando la sua schiena.
Kuroo non mosse un muscolo mentre Kenma gli si avvicinava e gli appoggiava incerto una mano sulla spalla.
-Puoi… tornare a casa con noi.- aggiunse, dopo un tempo che parve infinito.
L’altro annuì e si sfregò gli occhi con i polsini della felpa. Si incamminarono con lentezza verso la metropolitana, e Kenma quasi sobbalzò quando sentì le dita di Kuroo stringersi attorno al suo palmo. Alzò gli occhi per guardarlo in faccia, ma non riuscì a incrociare i suoi occhi, fissi sull’asfalto sotto i loro piedi. Non riuscì a dire niente e continuò a camminare.

Mizuki si diresse a passo di carica verso la porta non appena la sentì aprirsi.
-Dove siete…- iniziò irosa, per poi fermarsi e rimanere senza parole per una manciata di secondi. La sua espressione si addolcì e riuscì a finire la frase. -…stati?-
Kenma abbassò il capo con aria colpevole e lasciò che Kuroo slacciasse finalmente le loro mani per dirigersi silenziosamente nella cameretta.
Mizuki guardò Kenma portandosi le mani sui fianchi. Era visibilmente confusa ed era chiaro che esigesse delle risposte.
-Non c’è più nessuno.- disse Kenma a bassa voce, e la madre capì.
 
Raramente Kenma aveva sentito i suoi genitori parlare in modo così fitto, così concentrato, seduti al tavolo della cucina con una tazza di caffè davanti a loro. Origliava da dietro il muro, ma dentro di sé credeva di sapere già quale sarebbe stato l’esito.
Non potevano fare altro che tenerlo, come se fosse un cucciolo trovato per strada. Con che coraggio lo si abbandona di nuovo? Lo si dà in adozione a qualcuno, magari?
Kenma aveva ragione: non era stato uno scontro come tanti. Tutti i telegiornali parlavano di quell’episodio come la “Notte di Sangue”. Era stato un attacco su larga scala da parte degli agenti della CCG, si era creato il panico e moltissimi ghoul avevano approfittato della confusione generale per attaccare altri ghoul, bande rivali, roccaforti scomode. Era stata una reazione a catena, un vero e proprio campo di battaglia. Colombe, ghoul, civili: il numero dei morti lo aveva fatto rabbrividire e Kuroo aveva ascoltato la televisione completamente rapito. Aveva sgranato gli occhi sentendo come era stata rinominata la notte e Kenma intuì che non sapesse leggere, visto che era scritto nei titoli, ed era apparso anche quel pomeriggio sul maxischermo.
Smise di perdersi tra i suoi pensieri quando il suo gatto si fermò davanti a lui ed emise un debole miagolio per reclamare la sua attenzione.
-Niku, non ora.- lo richiamò sottovoce con un indice davanti alla bocca, prima di sollevarlo da terra, nonostante fosse un po’ sovrappeso. Accarezzò lentamente il pelo bianco e grigio e tornò ad ascoltare i suoi genitori, ma non passarono trenta secondi che Niku miagolò di nuovo. Ciò costrinse Kenma ad allontanarsi dalla sua postazione con grande disappunto.
Entrò nella sua stanza e lasciò il gatto sul suo letto. -Hai già mangiato, Niku, basta miagolare.- gli ricordò con fare serio prima di sedersi accanto all’animale.
-Si chiama Niku, eh?- disse la voce divertita di Kuroo.
Kenma alzò la testa sulle doghe sopra di sé. -Sì, rispecchia bene i gusti di tutta la famiglia.-
Ascoltò la sua risata fiacca con le orecchie tese, per cercare di recepire ogni minimo movimento.
-Stamattina si è lasciato accarezzare nonostante non l’avessi mai visto. Siete tutti così buoni in questa casa.-
C’era qualcosa di strano in quella affermazione, ma Kenma non riuscì a capire se quella sbavatura nell’intonazione fosse dispiacere o paura.
-Credo che i miei siano indecisi sul da farsi perché non sanno se tu vuoi restare qui o no.-
I capelli neri di Kuroo sbucarono dall’alto, e poco dopo anche i suoi occhi e il suo naso. -Davvero credi che sia così?-
Kenma annuì, continuando ad accarezzare il gatto spalmato sulla coperta.
-Non avrei motivi per rifiutare, anzi, a dir la verità, non saprei davvero come sdebitarmi.-
Kenma non vedeva la bocca di Kuroo, ma era sicuro che si fosse appena increspata in una smorfia, a giudicare dalle rughe che gli apparvero sulla fronte.
-Non ho nessun posto in cui andare.-
Kenma smise di coccolare Niku e questi alzò con pigrizia la testa per capire cosa avesse interrotto la sua sessione di massaggi.
-Credo che dovresti dire queste cose a loro.-
Il ragazzino fissò Kuroo dritto degli occhi e non poteva neanche lontanamente immaginare quanto la sua vita sarebbe cambiata dopo quel suggerimento spassionato.

Kuroo non aveva guadagnato solo un tetto sopra le testa e un letto in cui dormire. Hiroshi e Mizuki si impegnavano al massimo per farlo sentire parte della loro famiglia. Era passato da ospite a membro effettivo del nucleo: non solo avevano cercato di farlo sentire a proprio agio in quella casa, ma gli insegnavano tutto il possibile, lo riprendevano quando sbagliava, lo lodavano quando faceva il suo dovere. Erano giusti ed equi, con lui così come con Kenma, tanto che a volte si sentiva come se fosse loro figlio.
Kuroo faceva spesso incubi. Molti, e chiamava sempre Bokuto, con borbottii sommessi e agitati. Kenma a volte lo sentiva soffocare i singhiozzi contro il cuscino e provava una sorta di senso di colpa che non riusciva a individuare chiaramente. Non lo disse mai né a lui né ai suoi genitori, e fu come se, nello stare in silenzio, lasciasse a Kuroo il suo spazio privato.
All’inizio era stato molto difficile tenerlo fermo: Kuroo non poteva entrare e uscire di casa come voleva ed era evidente quanto soffrisse per ciò, abituato com’era a passare le giornate in strada. A volte spariva per qualche ora, e puntualmente al suo ritorno lo aspettava un’accorata ramanzina. Kenma lo sapeva che cercava Bokuto. Aveva paura che qualche giorno non sarebbe più tornato, ma non poteva dirgli di smetterla, perché avrebbe avuto lo stesso significato di dirgli di abbandonare ogni speranza, e non voleva che succedesse, anche se dentro di sé credeva che non lo avrebbe mai incontrato davvero, quel famoso Bokuto, e avrebbe continuato a vivere soltanto nei racconti del suo amico.
A Kuroo ci era voluto tempo per capire che, uscendo di casa senza dire nulla a nessuno e nei momenti più disparati, creava possibili minacce non solo per se stesso, ma anche per l’intera famiglia: voleva trovare Bokuto a tutti i costi, ma non poteva mettere a rischio tutto quello che gli avevano offerto, anche se era doloroso farsene una ragione.
Non volevano attirare troppa attenzione o destare curiosità, e l’improvvisa apparizione di un ragazzino che entrava e usciva così spesso dall’appartamento non era proprio il modo migliore per tenere un profilo basso. Hiroshi e Mizuki non capivano quanto fosse profondo quel disagio: era chiaro che non fosse abituato a stare in casa tutto il giorno, si annoiava, si agitava e di certo non gli faceva bene, perciò decisero che ogni giorno dopo cena avrebbero fatto una bella passeggiata tutti e quattro insieme. Kuroo aveva apprezzato quel gesto premuroso e si godeva quella mezz’oretta come meglio poteva. Kenma invece non era stato particolarmente entusiasta di quella nuova abitudine e spesso diceva di non stare molto bene o fingeva di essersi già addormentato per poter stare a casa e giocare ancora un po’ ai videogiochi. Quando poi tornavano a casa, Kuroo gli tirava amichevolmente i capelli. “Lo so che fai finta” gli sussurrava con una vaghissima nota di dispiacere, mentre saliva nel suo letto.
Kuroo aveva sviluppato un naturale affetto nei confronti di Kenma, non solo perché ormai era l’unico ragazzo della sua età con cui aveva dei contatti, ma anche perché sapeva che lui lo sentiva davvero, quanto fosse inquieto, e sapeva che se si svegliava a notte fonda con il cuore in gola, magari con un piccolo grido, anche Kenma si svegliava e restava con le orecchie tese finché non era sicuro che si fosse riaddormentato.
Anche se a volte si comportava in modo strano, non era male stare in sua compagnia, anzi, spesso riusciva a trovarlo piacevole. Era un ragazzino tranquillo ma perspicace; all’inizio i suoi soventi silenzi lo avevano esasperato, ma era riuscito a capire che aveva le sue ragioni che un giorno, forse, avrebbe compreso appieno.

Kuroo aveva anche cercato di capire più a fondo le dinamiche del loro stile di vita, soprattutto come facessero a convivere a contatto così stretto con gli umani. Non aveva mai pensato a loro come qualcos’altro oltre che cibo, e sapeva che per la maggior parte dei ghoul era così. Provava disprezzo e ripugnanza nei loro confronti, nei confronti della CCG e del loro sistema che si ostinava a raffigurarli come bestie senza sentimenti. Forse alcuni lo erano, e di certo erano i più spietati e pericolosi, ma anche tra gli uomini era sicuro che si nascondessero persone del genere. Kenma aveva ascoltato il suo punto di vista con interesse, con le ginocchia strette al petto, e non aveva espresso il suo finché Kuroo non gliel’aveva esplicitamente chiesto. Era rimasto piuttosto sorpreso nel sentirsi dire che non aveva una vera e propria opinione in merito ed era perlopiù indifferente nei confronti degli umani, e che quando era più piccolo il sentimento predominante era la paura. Kuroo aveva pensato che per Kenma fosse così perché non aveva mai patito la fame. Ecco, quella era un’altra cosa strana, ma di certo non in negativo: non arrivava più a livelli di fame in cui credeva che avrebbe perso il controllo del suo corpo. Il cibo in casa c’era sempre, nel congelatore. A volte se lo procuravano con le loro mani, a volte lo portavano a casa da chissà dove. Kuroo pensava che lo comprassero, e non aveva la minima idea che ci fosse un business per la carne umana.
I ghoul non mangiano con la stessa frequenza degli umani. Un buon pasto poteva bastare per un paio di settimane, e mangiare due o tre volte alla settimana era uno sfizio che si potevano permettere solo due categorie di persone: gli sconsiderati voraci e gli amanti della cucina raffinata. I genitori di Kenma appartenevano sicuramente alla seconda categoria, visto che erano anche assidui frequentatori di ristoranti.

Un’altra questione che aveva attirato la sua attenzione era quella famigerata scuola. I primi tempi, forse anche per colpa della descrizione poco attraente di Kenma, l’aveva giudicata in modo perlopiù negativo.
Eppure, passare i pomeriggi a guardare Kenma chino su libri che lui non riusciva a leggere aveva iniziato ad irritarlo, fino a farlo sentire una macchietta inadeguata in un bell’appartamento pulito.
Un giorno gli chiese di insegnarli, e Kenma  lo guardò con uno stupore candido e sincero, quasi tenero. Gli diede un foglio e una matita e fu così che tutta la famiglia Kozume scoprì quanto fosse grande il potenziale di Kuroo.
Si esercitava spesso, si sforzava moltissimo e, anche se non era facile, sembrava piacergli. Iniziò a studiare sui vecchi libri di Kenma e a volte gli chiedeva di spiegargli qualcosa che proprio non riusciva a capire. Imparava in fretta, recepiva, elaborava e assimilava velocemente le informazioni. Imparò a leggere in modo più che soddisfacente in poco tempo, e imparò quasi senza sforzo un notevole numero di kanji. Era affascinato dalla quantità di nozioni che si potevano conoscere. Aveva cominciato a provare una flebile invidia nei confronti di Kenma e l’idea di frequentare una scuola, anche se circondato da umani, in qualche modo era diventata un’aspirazione.
Era sicuramente già emerso in molte altre situazioni quanto fosse brillante, ma Mizuki e Hiroshi si sentirono in qualche modo profondamente dispiaciuti nel pensare che Kuroo fosse un possibile talento accademico sprecato: ne avevano parlato con il diretto interessato ed erano giunti alla conclusione che, una volta che sarebbe riuscito a mettersi in pari, avrebbero potuto iscriverlo a scuola.
Recuperare sei anni di scuola non sarebbe di certo stato semplice, ma Kuroo promise di impegnarsi più che poteva.


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Note e chiarimenti
Il titolo di questo capitolo è formato dagli ultimi due versi della seconda strofa della poesia Il gelsomino notturno di Pascoli: sotto le ali degli uccelli dormono i loro uccellini, come gli occhi sotto le palpebre chiuse. Con questa scelta ho voluto sottolineare il calore, l'affetto e la tranquillità che Kuroo finalmente riesce a trovare nella famiglia Kozume, e spero di essere riuscita a trasmetterne l'intimità.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e vorrei mostrarvi due disegni bellissimi fatti dalla mia beta nonché, da questo momento, mia illustratrice ufficiale: uno è questo e l'altro questo qui. Seguitela sul suo tumblr!
Teoricamente aggiornerò questa fic ogni due o tre settimane. Spero che continuiate a seguirla!
   
 
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