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Autore: Simo6060    10/08/2016    0 recensioni
Mackenzie Hill è una Figlia Delle Stelle e ha dei straordinari poteri. Si diceva che l’unione della luce di una stella e quella del sole fosse così potente da generare una creatura in grado di avere poteri collegati al cielo, alla terra, ai pianeti e all’universo. Scappando dal signore delle ombre, Amlach, Mackenzie si trasferisce dall'Alaska in Tennessee. Sua nonna le fa avere una collana con il potere di renderla irrintracciabile dal nemico che come ciondolo ha una pietra d'ambra.
Lei è solitaria e introversa, si sfoga disegnando paesaggi e luoghi esistenti nei suoi sogni. Degli occhi ambrati si insinuano nei suoi sogni e quando essi si convertono in realtà tutto cambia. Il suo modo di pensare, di agire e di amare.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si inginocchiò dove ero sdraiata a causa della caduta ed io aprii leggermente gli occhi trovando l’ambra dei suoi.
-“Sto bene, non si preoccupi”- mi alzai ma la testa mi girò violentemente e finii nuovamente con il culo a terra.
-“Non ti muovere, stai sanguinando”-
Strano, non me ne ero accorta per niente, l’unico calore che sentivo era quello della collana sul mio petto.
-“Non è niente è solo un graffio”- in realtà bruciava da morire.
Tra tutti i poteri che avevo, perché non quello della guarigione istantanea?
-“Tieniti a me”- più che un affermazione suonava come un ordine ma io insistetti.
-“Non c’è bisogno, davvero è tutto sotto con...”-
Il professore mi prese di peso, sorreggendomi dalla schiena e dalle gambe per potermi trasportare chissà dove. Forse aveva un laboratorio dove faceva esperimenti su quelli come noi e voleva analizzare i miei geni, le mie budella, il mio sangue...
O forse voleva semplicemente aiutarmi, disinfettando la ferita. Avevo sbattuto la testa troppo forte...
Mentre mi trasportava non sentivo un minimo segno di affanno per la sua impresa eroica e non si era stancato minimamente, come se fosse una cosa da niente per lui.
Pensai al libro che non ero riuscita nemmeno a prendere e, delusa, dovetti accettare l’idea che la mia “missione” per scoprire qualcosa era fallita. Così come si era polverizzata la mia dignità.
Entrammo in una stanza e sicuramente si trattava dell’infermeria, si capiva dal lettino, l’armadietto con tutti i medicinali e il bianco come colore dominante. Per non parlare della puzza di alcool. Oh, c’era anche scritto “Infermeria”.
Mi fece sedere sul lettino molto delicatamente e la testa mi girò di nuovo, inoltre, la parte della testa dolorante, pulsava come se avessi un altro cuore che batteva all’unisono con quello nel petto.
Con gli occhi socchiusi, vidi il professore che armeggiava dentro l’armadietto in cerca di qualcosa, forse del disinfettante. Toccai dove più mi bruciava e la mia mano si coprì di goccioline di sangue. Sicuramente quel rosso acceso risaltava parecchio sul nero dei miei capelli, appiccicati alla testa a causa della ferita.
Vidi avvicinare il mio “salvatore” con in mano del cotone bagnato con il medicinale e poggiarmelo in testa, causandomi altro bruciore.
-“Fa tanto male, immagino”-
-“Perspicace”- sussurrai.
-“Già. Mi sa che adesso siamo pari. Ieri hai distratto me facendomi cadere quel coso, oggi io ti ho fatta cadere, distraendoti. A quanto pare il destino vuole che entrambi ci facciamo male”- sorrise.
Non replicai, ero abbastanza imbarazzata e tenevo la testa bassa per non darlo a vedere. Il ciondolo pulsava e brillava ancora, inspiegabilmente.
-“Ma dimmi, che ci fai qui se le lezione sono già finite?”-
Eccola lì, la domanda a cui non volevo rispondere.
-“Amo i libri, volevo restare ancora un po’ a leggere dato che la libreria è così vasta.”-
-“Leggere libri d’astronomia?”- mi rifiutavo ad alzare la testa.
-“Mi piace la materia, volevo approfittare andando avanti con il programma cercando di non restare indietro”- il mio discorso era abbastanza credibile.
-“Non potevi semplicemente chiedere a me?”- in quel momento dovetti alzare la testa, perché lui me la fece alzare, costringendomi così a doverlo guardare negli occhi.
Mi morsi le labbra dal bruciore che stavo sentendo all’altezza del petto, la collana stava bruciando maledettamente. Lui seguii quel gesto e mi sentii avvampare. Dio santissimo benedetto.
-“Non volevo emh...disturbarla.”-
-“Disturbarmi? L’astronomia è la mia materia, sarebbe stato un piacere”-
-“Beh la prossima volta chiederò allora...”-
-“Chiedi adesso. Quale argomento avevi preso in considerazione?”- non so perché ma sentivo che sapesse che stavo mentendo.
-“Ahia”- gemetti. La testa faceva ancora male e adesso si aggiungeva il ciondolo.
-“Scusa, adesso cambio cotone”- in effetti era ormai rosso di sangue.
Avevo qualche secondo per inventarmi un argomento.
-“I...i buchi neri, non li ho mai capiti in passato e ho visto che nel programma ci sono. Un ottima scusa per impararli finalmente...”-
-“Bastava che chiedessi a me, posso farti una lezione sui buchi neri e aggiungere anche le galassie, il cono di luce...”-
Sapevo tutto su questo, veramente tutto. L’unica cosa che veramente non sapevo era quella maledetta leggenda ma avevo paura a chiedere, paura che potesse capire.
Nel frattempo stava tamponando dell’altro cotone sulla ferita che bruciava di meno. Era troppo vicino e non potevo non notare quanto fosse bello, era più forte di me. Era primavera ma vedendo lui sembrava estate, con la maglietta a maniche corte attillata che metteva in mostra i muscoli...dai, sono una ragazza, come posso non notarlo? I capelli riccioluti un po’ attaccati alla fronte dal sudore, quegli occhi che ti trapassavano e ti leggevano dentro, le labbra che sembravano così morbide e...
Mi resi conto che lo stavo fissando quando vidi che lui mi fissava perché lo fissavo...che cosa complicata. Sorrise, come se sapesse che la sua bellezza fosse irresistibile e si stesse prendendo gioco di me.
-“Quindi Mackenzie?”-
-“Quindi che?”-
Si mise a ridere, santo cielo. Non parliamo della risata...
-“Che ride? Ho sbattuto la testa, si ricordi che in questo momento sono tra le nuvole”- non sembrava convinto.
-“Dicevo, quindi va bene se mi segui all’osservatorio della scuola e ti faccio questa lezione di cui avevi bisogno?”-
-“Adesso?”- la mia voce si alzò di un’ottava.
-“E’ un problema? Se avevi intenzione di passare il pomeriggio a leggere, non sarebbe meglio se lo passassi con me a studiare?”-
Avevo dimenticato una cosa: come cazzo ci ritornavo a casa?
-“Va bene...però sarà difficile prestare attenzione dato che con la caduta ho perso un bel po’ di neuroni”-
-“Sono sicuro che tu li abbia persi già tempo prima”- rise.
-“Che stronzo...cioè volevo dire, oh mio Dio mi scusi...”-
Cominciò a ridere di gusto, come se avessi detto la barzelletta più divertente del secolo. La verità è che per me era naturale dire ciò che pensavo.
-“Tranquilla, più o meno siamo coetanei. Non è un reato se mi dici stronzo.”-
Beh, coetanei se riteniamo il fatto che avevo diciotto anni ed avevamo 8 anni di differenza ma in pratica ne avevo 118 di anni.
-“Hai bisogno che ti porti io fino all’osservatorio o puoi farcela da sola?”-
Mi sentivo in un film, ma chi era, Spiderman?
-“Penso di farcela, grazie”-
Mi alzai lentamente e pregai tutti i santi di riuscirci davvero, sarebbe stato ancora più imbarazzante se mi avesse trasportato lui, di nuovo. Oscillai un po’ ma ci riuscii, ottimo.
-“Tieniti a me comunque, non vorrei che cadessi da un momento all’altro.”-
Mi mise un braccio intorno ai fianchi e mi fece mettere il mio attorno al suo collo per sorreggermi. Rabbrividii perché, avendo una maglietta leggera e non troppo lunga, mi sfiorava la pelle fredda con le mani calde e salde che aveva.
-“Ti gira la testa?”-
Si.
-“Un po’, non è grave”-
Non parve molto convinto.
-“Sappi che dovremo salire due rampe di scale, spero che tu non mi svenga addosso”-
“Lo spero anch’io”, pensai.
Prendendo una porta di servizio della scuola con scritto “Riservato ai professori”, trovammo le famose rampe di scale che portavano probabilmente all’osservatorio. Non sapevo nemmeno che le scuole ne possedessero uno, ma a quanto pare avevo sottovalutato quella di Clarksville. Salimmo lentamente le scale per non farmi disorientare, poteva sembrare una semplice botta alla testa ma in realtà causava davvero un senso di smarrimento oltre che un forte dolore. Arrivati alla seconda rampa, già avrei voluto stendermi sul mio letto, preferibilmente quello in Alaska, e dormire per almeno dieci ore buone.
 
Cominciai a pensare alla forte nostalgia che provavo nei confronti della mia città e dei miei amici che conoscevo fin dall’infanzia. In fondo, noi figli delle stelle che andavamo al centro scolastico e d’addestramento dell’Alaska, ci conoscevamo quasi tutti. Soprattutto mi mancavano Philip e Indil, “Giglio”, ribattezzata Lilli che aveva il dono dell’ubiquità, ovvero poteva trovarsi in due posti contemporaneamente.
Io e Lilli ci conoscevamo fin da bambine e condividevamo sempre tutto, prendevamo gli stessi voti e gli stessi punteggi durante l’addestramento, eravamo coinquiline nell’alloggio del centro e facevamo quasi tutto insieme. Era la solita ragazza molto timida inizialmente ma subito dopo molto estroversa e solare, con quei suoi capelli tinti di rosa e il suo abbigliamento molto primaverile. Non riuscii nemmeno a salutarla prima di arrivare in Tennessee, avvenne tutto così in fretta.
Anche per me, come per tutti i teenager, c’era qualcuno che trovavo antipatico e che rispondeva reciprocamente a questo sentimento. Si chiamava Morwen, “Nera fanciulla” o semplicemente Gwendolyn. Come diceva il suo nome originale, era veramente una ragazza oscura, maligna ed egoista. Il suo dono? Non aveva un dono. Uno dei suoi genitori, come anche quelli di molti altri figli delle stelle, era umano e per questo entrambi vennero uccisi essendo vietato avere relazioni con gli umani. Lei era una figlia delle stelle ma aveva preso dalla madre umana, quindi non aveva nessun dono. Per questo motivo lei si sentiva costantemente inferiore e disprezzava me per la mia “popolarità” e per tutti i poteri che possedevo, però cercava in tutti i modi di apparire la migliore tra tutti, la più talentosa, la più bella, la più agile. Persino con Philip voleva stare costantemente al centro dell’attenzione per il semplice fatto che lui fosse molto legato a me. Io e Philip...
-“Siamo arrivati”- interruppe i miei pensieri il professor Scott.
Avevamo superato anche l’ultima rampa di scale e ci trovavamo davanti ad una porta, che il professore aprì immediatamente, e dava su un enorme terrazzo coperto da una cupola semitrasparente con l’immagine di tutto l’universo, compresi tutti i minimi dettagli tra cui galassie, meteore, comete...
In questa cupola vi era un buco ideato per il telescopio esageratamente grande e moderno adatto per osservare il vero universo. Abbassando un po’ lo sguardo, potevo osservare una grande scrivania in legno scuro con sopra numerose mappe di costellazioni, vari documenti e fogli sparsi ovunque persino sul pavimento. Sul lato destro alla scrivania vi era una libreria dalle sembianze antiche con numerosi volumi, sia piccoli che veramente grandi. Dall’altro lato, più nascosto vi era un materasso abbellito a letto con ancora le lenzuola sfatte e alcuni vestiti sul copriletto.
-“Questo è il mio piccolo nascondiglio”- sorrise il professore, orgoglioso.
-“E’ straordinario”- sussurrai, quasi a non voler disturbare con la mia voce la meraviglia che c’era lì dentro.
Il prof. Scott sembrava compiaciuto e mi fece sedere sulla poltrona davanti la scrivania, sistemando rapidamente alcuni fogli dentro ad un cassetto che subito richiuse sottochiave.
-“Ma lei dorme lì?”- lui seguì il mio sguardo, diretto verso quello che doveva sembrare un vero e proprio letto.
-“Qualche volta. Quando c’è troppo lavoro o quando voglio stare tutta la notte ad osservare il cielo”- disse, senza guardare qualcosa in particolare.
Era davvero un professore appassionato alla sua disciplina, forse anche più di me ed era alquanto strano essendo lo studio del mio essere, l’astronomia.
-“Si vede che ama il suo lavoro”-
-“E’ un bene, miravo a qualcosa di più che ad un’insegnate in questo ambito ma in una città come Clarksville non c’è altra scelta”-
-“Non poteva semplicemente cambiare città?”- opinai.
-“Non è sempre così facile. Tu, invece. Come mai sei venuta qui dall’Alaska?”-
Sperai che non avesse notato il cambiamento d’espressione sul mio viso.
-“Qui c’è mia nonna, sta sola da troppo tempo”-
-“E i tuoi?”-
-“Morirono parecchi anni fa, non li conobbi neppure”- guardai le unghie tutte mangiucchiate che mi ritrovavo per evitare che nei miei occhi scorgesse quel vuoto che sentivo.
-“Posso capirti. Anche i miei, infatti fui adottato ma questo non riuscì a cambiare le cose per me”-
Per un minuto non parlammo, immersi entrambi in qualche ricordo del passato.
-“Ti senti un po’ meglio?”- ruppe lui il silenzio.
-“Più o meno si, la ringrazio”- cercai di nascondere il rossore alle guance.
Mi sorrise e spostò lo sguardo verso la libreria.
-“Te la senti di iniziare?”-
Annuii leggermente, per evitare che mi girasse la testa ancora di più anche se già mi sentivo meglio.
Non mi ero accorta che si era poggiato sulla scrivania fin quando non si alzò e si diresse verso la libreria per prendere due volumi di taglia media e posizionarli sopra la scrivania.
-“Bene, possiamo cominciare con questi due”-
Senza perdere altro tempo, iniziò a spiegarmi la lezione sui buchi neri in maniera semplicissima probabilmente perché gli avevo detto che non li avevo mai capiti prima. Passò ai coni di luce, alle eclissi, nubi di gas e via dicendo. Molte volte mi interpellava, sicuramente aveva capito che ero abbastanza brava in materia. Rispondevo ad alcune domande che mi poneva e non riuscivo proprio a perdere la concentrazione poiché le sue parole mi coinvolgevano totalmente soprattutto perché si trattava di argomenti molto importanti per me.
Continuò le spiegazioni fin quando non mi guardò e mi chiese:
-“Esattamente fin quando puoi restare? Sono già le sei”-
-“Dice davvero? E’ tardissimo”- mi allarmai.
I miei piani erano quelli di restare dopo la scuola per qualche oretta semplicemente per cercare quel libro e andarmene ma non per restare tutto il pomeriggio. Improvvisamente mi chiesi quanto nonna Rose fosse preoccupata per me.
Mi alzai, non troppo di scatto ricordandomi il dolore alla testa che era diventato tenue, per dirigermi in biblioteca dove avevo lasciato lo zaino e il resto delle mie cose.
-“In effetti abbiamo perso la cognizione del tempo, ti piace molto l’astronomia”- intuì il professore.
-“Si, da morire, ora potrebbe accompagnarmi in biblioteca? Avrei un po’ di fretta”-
Ridendo, aprì la porta e insieme scendemmo le due rampe di scale, stavolta normalmente e non sembravano così tanto lunghe come in precedenza quando avevo perso completamente il senno.
Raggiungemmo la biblioteca e nel punto in cui avevo lasciato lo zaino vidi che il libro che avevo cercato di prendere era caduto insieme a me. Lo presi e lo misi velocemente dentro lo zaino e uscii, soddisfatta che la mia “missione” non fosse fallita.
-“Sa se passano autobus a quest’ora?”- chiesi al professore che mi aspettava nel corridoio ormai deserto.
-“Non sei venuta con la macchina? Dimmi dove vai che ti accompagno io, con la botta che hai preso non è raccomandabile prendere l’autobus”-
-“Oh no, si figuri, ha già fatto troppo per me oggi. Mi sento già meglio”- mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
-“Vorrà dire che mi devi un favore”- disse, facendomi l’occhiolino.
Continuai ad insistere ma alla fine gli dissi di lasciarmi esattamente alla fermata dove l’autobus mi aveva lasciato giorni prima per poi proseguire a piedi.
-“Beh ormai credo che sia giusto fare insieme tutti gli altri argomenti presenti nel programma. Sei molto brava e perspicace, mi piace come lavori”-
-“La ringrazio ma non vorrei rubarle altro tempo, davvero”-
Anzi sarebbe stato meglio passare minor tempo possibile con lui, avevo una brutta sensazione...come se lui sapesse.
-“Insisto. Tu non preoccuparti, decideremo quando e ti porterai avanti con il programma in men che non si dica”- pronunciò un secondo prima di fermarsi nel punto in cui dovevo scendere.
-“Ancora grazie professore, a presto”- e così dicendo, scesi dalla macchina e affrettai il passo per il cottage di nonna.
Cercai di rallentare i battiti del cuore inspiegabilmente accelerati e mi resi conto nel frattempo che la collana aveva smesso di brillare ed emanare calore una volta allontanatami. Come caspita era possibile?
Suonai al campanello ed immediatamente la nonna mi aprì, tranquilla, sorridente e per niente preoccupata.
-“Oh Mackenzie”-
-“Scusa nonna, mi sono trattenuta a scuola a studiare”- dissi mentre prendevo il libro dallo zaino. Avrei capito di più in merito alla leggenda della stella Luthien, dovevo sapere.
-“E adesso ritorni a studiare?”- mi guardò accigliata.
-“Qualcosa del genere, devo fare una ricerca”- dissi indicandole il libro, in modo però da non farle leggere il titolo.
Mentre salivo le scale a chiocciola, potevo udire nonna Rose canticchiare e mi sorprese che fosse di così buon’umore. Aveva visto qualcosa di positivo?
Mi sedetti sul letto e cominciai a sfogliare l’indice del libro in modo tale da leggere ogni argomento. Vi erano leggende sulle galassie, meteore, comete, stelle sì ma non quella Luthien. Possibile che la sapesse soltanto il professore?
Continuai la lettura del libro fin quando, verso le nove e mezza di sera mi squillò il telefono.
-“Sì?”- risposi.
-“Mack, vero? Mia mamma si è fatta dare il tuo numero da tua nonna”- mi disse Alice.
-“Oh Alice, si si è giusto. Qualcosa non va?”- chiesi, incuriosita dalla telefonata improvvisa.
-“No no, tutto ok. Ti disturbo per caso?”-
Guardai il libro che ancora non avevo finito di leggere e lo chiusi, alzandomi dal letto.
-“No, non stavo facendo nulla”-
-“E’ un bene. Alex doveva venire qui a casa mia ma l’ha chiamato quella Marina e sono usciti chissà dove”- immaginai la sua faccia corrucciata.
-“E questo ti infastidisce?”- forse Alex avrebbe conquistato l’attenzione di Alice in questo modo.
-“Assolutamente no. Però io sono la sua migliore amica e mi ha dato buca per la prima che passa”- alzò la voce, un po’ alterata
-“Beh forse le piace questa Marina, non è un bene?”-
-“Non lo so, non ne sono più tanto sicura. Ti va di venire tu? Mi avevi promesso un film horror o sbaglio?”-
Avrei voluto continuare a cercare la leggenda su quel libro ma Alice era abbastanza rammaricata per ricevere un altro rifiuto.
-“Mi faccio dire da nonna dove abiti e prendo l’autobus, tu aspettami”- le dissi, prima di riattaccare.
Scesi in cucina e trovai nonna Rose intenta a guardare un telegiornale attraverso la televisione anni sessanta ancora perfettamente funzionante.
-“Vai da qualche parte?”- mi accolse con un sorriso.
-“Alice mi ha chiesto di andare da lei”-
La nonna mi disse a qualche fermata dell’autobus scendere per arrivare vicino casa di Alice e aspettai che il mezzo di trasporto raggiungesse la fermata dove mi trovavo io.
Non c’erano passeggeri a quell’ora quindi mi sedetti negli ultimi posti in attesa che passassero quei quindici minuti previsti. Fuori dal finestrino si poteva vedere come superavamo la parte campagnola per inoltrarci al centro della città, passando dal ponte che attraversava il fiume e trovando tutto gli edifici e le villette illuminate. Ovviamente il centro era molto meglio, c’era molta vita per le strade e i locali erano strapieni di gente che sarebbe rimasta fino a tardi sicuramente. La temperatura si era abbassata, infatti avevo dovuto indossare un maglioncino di cotone per ripararmi dal venticello primaverile di Marzo. L’autobus fece un rumore brusco quando frenò per fermarsi alla fermata che distava qualche minuto da casa di Alice. Scesi, ringraziando il conducente, e mi feci scompigliare i capelli dal quel famoso venticello. Mi strinsi al maglioncino e cercai il numero 28 che corrispondeva alla mia destinazione. Una volta trovato, suonai al campanello di quella grande villetta e mi aprì un uomo alto e dai capelli scuri, leggermente in carne e con uno sguardo curioso.
-“Emh, sicuramente ho sbagliato”- balbettai prima di girare i tacchi ma l’uomo rise.
-“Cerchi Alice?”- sorrise.
Annuii, leggermente confusa. L’uomo mi fece entrare, mostrandomi l’interno. Dall’esterno si poteva osservare che la villa era rivestita in pietra il che la rendeva maestosa ma allo stesso tempo fine. Tutto intorno vi era un grande giardino curato, con molta piantagione e persino degli alberelli da frutto. All’interno, invece, sembrava proprio un cottage. Dal parquet, al caminetto in pietra e ai mobili in legno intarsiato che rendevano tutto più accogliente e caloroso. La porta d’ingresso dava al salone, con tre divani disposti di fronte al caminetto e al televisore a schermo piatto, a sinistra si poteva osservare l’isola della cucina anch’essa in legno però più chiaro rispetto al resto e a destra vi era una lunga scala da dove stava scendendo velocemente Alice.
Alle pareti vi erano numerose mensole dove poggiavano parecchi volumi di varie grandezze, in altre vi erano souvenir da ogni parte d’America e altri persino dall’Europa per non parlare oltre che diversi quadri, vi erano parecchie foto di Annie insieme a sua figlia e altre persino con quest’uomo.
Ignoravo che Alice avesse un padre.
-“Mackenzie, sali su che andiamo nella mia stanza”- mi chiamò lei, un po’ a disagio.
-“Arrivederci”- salutai l’uomo che ricambiò con un movimento della mano.
Salite le scale, per niente scricchiolanti com’ero abituata a casa di nonna Rose, mi portò verso il corridoio di destra tinteggiato di un colore bianco sporco e mi fece entrare dentro a quella che doveva essere la sua stanza. Vi era un profumo forte, come di varie fragranze mescolate e ci volle un po’ per abituarmi. La sua stanza aveva le pareti dipinte di verde chiaro con attaccati diversi poster di film o varie foto soprattutto insieme ad Alex. Vi erano numerose decorazione abbinate al colore della stanza, persino il letto a due piazze avevo un copriletto verde chiaro con sopra numerosi peluche come adorno. Accanto al grande armadio, vi era la scrivania in pieno disordine con libri e fogli sparsi ovunque.
-“Lo so, sono un po’ disordinata”- si scusò Alice, seguendo il mio sguardo.
-“E’ tutto verde”- risi.
-“Sì, se c’è qualcosa non abbinato mi vengono le crisi. Sono un po’ maniaca del controllo”-
Mi sedetti sul letto e le chiesi:
-“Ma...è tuo padre?”-
Vidi il cambiamento d’espressione e capii che dietro c’era dell’altro.
-“No, è il compagno di mia madre”-
-“Lui sa di...”- non c’era bisogno che completassi la frase.
-“Ovviamente no, non possiamo correre tale rischio. Mia madre vorrebbe dirglielo ma sarebbe troppo pericoloso”- disse, mentre guardava un punto fisso in basso.
-“Non è complicato per voi?”-
-“Un po’ ma se mia madre è felice...Inoltre è un brav’uomo. Lavora all’ospedale, a mia madre affascina il fatto che salvi le vite”- tentò un leggero sorriso.
-“Beh adesso si spiega perché non vai al centro d’addestramento e vivete tra gli umani”-
-“Esatto ma è meglio così. E’ dura, certo, ma ormai ci sono abituata”-
-“Come fai con Alex?”-
-“Muoio dalla voglia di raccontargli tutto ma...meglio di no”-
Calò il silenzio per un minuto ma subito si riprese.
-“Chissà dove sono andati quei due”- stava alludendo al suo migliore amico e la presunta fidanzata.
-“Mi sembri un po’ gelosa”- le sorrisi con malizia.
-“Non nel mondo in cui pensi tu, stupida”- ridemmo
-“Ma appunto è il mio migliore amico, sono gelosa come tale”- continuò.
Ovviamente sapevo che non voleva ammetterlo a se stessa, ma prima o poi se ne sarebbe resa conto.
Dopo aver parlato per un altro po’, Alice prese il DVD di un film horror sugli zombi, un classico, e passammo due ore e mezza a ridere della violenza che essi causavano anche se a volte metteva un po’ paura. Stranamente mi divertii molto, ridendo e scherzando ma anche parlando seriamente sul nostro mondo e su ciò che facevo al centro d’addestramento.
-“Era come una scuola normale per quanto riguarda le materie scolastiche, i professori e tutto il resto, almeno fino al pranzo perché il pomeriggio si passava alla parte fisica. Ci allenavamo sul combattimento, anche con i poteri sia mentali che pratici, con varie armi tra cui lance, spade, coltelli...
E poi dormivamo lì, c’erano gli alloggi degli studenti, professori e addestratori. Io dividevo il mio con la mia amica Lilli, era simpaticissima. Cioè è simpaticissima...non so nulla di lei da quando me ne sono andata”-
Alice ascoltava con molto interesse tutto ciò che le raccontavo, a volte con qualche domanda come chiarimento.
-“Non c’è un modo per comunicare con loro? Non hanno un dannato telefono?”-
Scossi la testa.
-“Mack, sono sicura che non è successo nulla a nessuno di loro. Credo che lo sapresti, lo sentiresti dentro di te. Presto verrai a sapere ogni cosa, devi cercare di stare tranquilla fino ad allora”- cercò di sollevarmi il morale.
Apprezzavo molto il sostegno di Alice, non era da chiunque soprattutto perché ci conoscevamo da così poco tempo.
-“Il tuo allenatore, Philip, hai detto che con lui avevi un rapporto speciale. In che senso?”-
Aprii la bocca per rispondere quando la porta si spalancò.
-“Mackenzie, cara, ho parlato con tua nonna e mi chiedevo se resteresti a dormire qui da noi, con Alice. Ormai è già tardi”- entrò Annie, con un sorriso smagliante.
-“Si dai, per favore”- mi chiese la mia amica, esultando.
-“Si, certo, per me è un piacere”-
-“Perfetto! Però andate a dormire, domani dovete andare a scuola ed è tardissimo”- ci raccomandò sua madre.
In effetti da lei ero arrivata verso le dieci di sera ma guardando il film e parlando per molto tempo erano quasi le due di notte.
Una volta che Annie uscì dalla stanza augurandoci la buonanotte, Alice mi prestò un suo pigiama e mi fece spazio nel suo enorme letto in grado di contenere, a mio avviso, un'altra persona oltre a noi due. Scherzammo facendoci alcuni scherzi sotto le coperte ma, una volta spenta la luce, crollammo entrambe nelle temebre.
 
-“Dammi la mano”- mi stava sussurrando il ragazzo dagli occhi ambrati, con uno sguardo di incoraggiamento che riusciva a farmi battere il cuore all’impazzata.
Il mio ciondolo avente lo stesso colore delle sue iridi, ardeva sul mio petto in cerca della mia attenzione.
Gli presi la mano e a quel contatto l’ambra cominciò a bruciare, ma un bruciore piacevole quasi come mi invitasse per sempre all’interno del suo sole. Era lui il sole.
Correvamo insieme tra le stelle, brillando intensamente, quando ad un certo punto notai che dal suo collo pendeva una collana con un ciondolo di zaffiro, anch’esso brillava insieme all’ambra.
Allungai la mano per toccarlo ma ormai la sua figura era lontana anni luce dalla mia vista. L’ambra smise di brillare e cominciai a sentire freddo.
  
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