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Autore: Lady Snape    26/04/2009    2 recensioni
Salve a tutti! E' da molto tempo che non scrivo una fanfiction a capitoli. Ho deciso di cimentarmi nuovamente in questa impresa. Argomento di questa mia nuova storia è la ricerca di Zelgadis di un incantesimo che possa riportarlo alla sua forma reale. Ho elaborato il personaggio seguendo i miei ricordi: probabilmente avrò fatto qualche errore, ma l'anime l'ho visto 10 anni fa, quindi vi prego di essere indulgenti! Una storia in 5 atti, accompagnati da una canzone che fa da sfondo e riferimento e che da il titolo a ogni capitolo. Buona lettura!
Genere: Romantico, Fantasy, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Personaggio originale, Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! E' da molto tempo che non scrivo una fanfiction a capitoli. Ho deciso di cimentarmi nuovamente in questa impresa. Argomento di questa mia nuova storia è la ricerca di Zelgadis di un incantesimo che possa riportarlo alla sua forma reale. Ho elaborato il personaggio seguendo i miei ricordi: probabilmente avrò fatto qualche errore, ma l'anime l'ho visto 10 anni fa, quindi vi prego di essere indulgenti! Una storia in 5 atti, accompagnati da una canzone che fa da sfondo e riferimento e che da il titolo a ogni capitolo. Buona lettura!

 

 

Anche se mi sento stanco

Non so riposare

Nelle mie bugie

Svegliavamo il cuore

Per smarrire il senso

Sulle quattro rive

Seminare un fiore

 

(“Stella briciola di campo”, Radiodervish)

 

 

 

Era una città particolarmente chiassosa. Non gli piaceva affatto, ma non aveva altra scelta. Le indicazioni che aveva trovato in quel vetusto librone lo conducevano fin lì. Il villaggio di Grandrace era stato costruito in una piccola valle, circondato da un fiume, sua difesa. Quattro ponti conducevano alle quattro porte della città, poste ai punti cardinali. Era una planimetria molto comune in quella zona, legata probabilmente ad antiche superstizioni.

Comunque fosse quella città non gli piaceva. Non gli piacevano i suoi abitanti sempre sorridenti e anche impiccioni: ormai ogni strada che imboccava gli riservava un’accoglienza amichevole senza che fosse necessario. A lui piaceva starsene tranquillo, senza che alcuno disturbasse i suoi pensieri e il suo orientamento. Cosa non semplice dato che la mappa che aveva trovato non indicava le strade di quel paese, ma solo alcuni luoghi di particolare importanza. Tutto era particolarmente labirintico e si era ritrovato un paio di volte a ripercorrere gli stessi tratti. Quando per la terza volta sbucò davanti alla taverna del “Nano Cornuto” decise che era ora di entrare e bere qualcosa, un po’ per schiarirsi le idee, un po’ perché si stava davvero stancando nella ricerca.

L’interno della taverna era, se possibile, più caotica della strada. Niente ubriachi tristi negli angoli, ma un nugolo di fulgidi simpaticoni, un po’ alticci per la bevuta, che ridevano continuamente esibendosi in grasse risate, gente che giocava a carte e altri che suonavano in un angolo. Si diresse verso il bancone e decise di comprare una bottiglia di buon vino rosso. Era molto più semplice così: quei luoghi non conoscevano la magia da troppo tempo e il trovarsi faccia a faccia con creature dalle sembianze non proprio umane poteva essere estremamente spiacevole. Bere qualcosa lì tra la gente era davvero un suicidio. Non ne poteva più di dover nascondere la sua faccia deforme, ma non poteva farne a meno, così con cappuccio e una maschera poteva girare in modo tranquillo. Era davvero stanco di questa situazione. Si voltò a guardare il gruppo di uomini che si trovava dall’altra parte della stanza e, per quanto non avesse dubbi che si trattasse di gente semplice e magari davvero zotica, invidiò fortemente la loro semplicità e la loro normalità. Sì, specialmente quella. Magari erano lì con gli amici a passare il tempo dopo aver lavorato nei campi o aver battuto il ferro su un’incudine, avevano una famiglia, una moglie o una fidanzata, magari dei figli, una casetta con un orto alle spalle. Avrebbe volentieri barattato la sua esistenza scombinata con una vita del genere. Noiosa? No, normale. Normale, dannazione!

Mentre l’oste cercava la bottiglia nelle cantine, Zelgadis aprì nuovamente la mappa che aveva portato con sé. Non era molto dettagliata in effetti, ma era l’unica indicazione che aveva trovato dopo molti mesi riguardo una biblioteca fornita di materiale di origine antica e magica. Pareva infatti che nei tempi andati qualche famiglia importante avesse lasciato le terre originarie entro i confini magici per ragioni sconosciute e avesse portato con sé tutto il materiale di cui disponeva. I nomi della famiglie erano stati cancellati dall’enciclopedia storica che aveva consultato, forse per cancellarne la memoria perché traditori, quindi non poteva nemmeno chiedere in giro se conoscessero esponenti di quelle casate. Doveva tentare di ricordare ciò che aveva imparato durante la sua infanzia, dato che la sua famiglia, sua madre in particolare, aveva provveduto a fargli conoscere la storia della propria stirpe, i Greywords, e quella delle famiglie dello stesso ceto sociale, anche se alcune peggiorate o scomparse nello svolgersi dei secoli. La sua era stata una famiglia decaduta per molto tempo, tanto che le ricchezze che aveva posseduto erano andate disperse. Rezo aveva riportato quella distrutta casata a uno splendore accettabile, almeno per quanto si trattava di magia e saggezza. Fatto sta che doveva rifarsi a queste reminescenze di istruzione infantile. L’araldica gli era piaciuta da bambino, quindi sperava di riconoscere qualche stemma su palazzi o archi.

Durante il tempo in cui era immerso in questi pensieri, l’oste, un uomo panciuto e con il grembiule sporco di unto, tornò con la sua bottiglia. Zelgadis si accorse di lui solo quando questi la posò sul tavolo sonoramente. Alzò lo sguardo.

< Serve aiuto? > chiese il ciccione sorprendendolo. Che un oste potesse aiutarlo? Forse si, alla fine conosceva molta più gente di qualsiasi altro, quindi magari poteva dirgli qualcosa, sempre che sapesse cosa fosse una biblioteca.

< Mmm > fu la sua prima risposta. Con una mano andò a grattarsi la barba ispida e nera < qualcosa del genere c’è, ma non è di facile accesso. > si chinò sul balcone, andando a pochi centimetri dal viso di Zelgadis, sussurrando quasi < puoi provare, però. Prendi quella strada che costeggia la muraglia ed esci dalla porta a nord. Vai verso il  bosco; lì c’è un sentiero. Porta a un vecchio castello. Non ci va nessuno laggiù, perché i proprietari sono mezzi matti. Mio nonno raccontava cose da far accapponare la pelle. Credo torturassero chi osasse aggirarsi da quelle parti. Urla tutto il tempo, insomma. Ma pare che lì si recassero degli studenti un tempo, così si diceva almeno, quindi credo ci sia una biblioteca. > concluse soddisfatto per essere stato d’aiuto.

Dopo aver pagato e ringraziato, Zelgadis seguì le indicazioni fornitegli. Riuscì ad uscire da quel dedalo di case, vicoli, strade e incroci abbastanza agevolmente, mantenendosi attaccato alla muraglia che circondava tutto il villaggio. Alcune sentinelle armate passeggiavano nella parte alta, attente ai confini oltre il fiume. Appena varcò l’arco della porta nord un fulmine squarciò l’aria e un tuono rombò subito dopo. Il vento cominciò a sollevarsi a far sbatacchiare i rami degli alberi e a scuoterli così forte che le foglie riempirono l’aria di un suono di battito d’ali interminabile. Il mago alzò lo sguardo verso i nuvoloni neri che coprivano il cielo che al mattino era stato limpido. Il tempo vicino alle montagne cambiava molto in fretta e lo constatò sulla sua pelle di golem. Una pioggia scrosciante lo investì con tutta la sua violenza e il suo mantello gli offrì un ben magro riparo, ma decise di non tornare indietro e di procedere verso la sua meta.

Il bosco era tetro e quella pioggia non aiutava di certo a migliorarne l’aspetto. La visibilità era scarsa e più di una volta Zelgadis rischiò di andare a sbattere contro un albero o di scivolare in qualche pozzanghera piuttosto profonda. Mentre camminava sorseggiava direttamente dalla bottiglia il vino che aveva comprato. Si sentiva un mero ubriacone, ma non se ne preoccupò più del necessario.

Aveva deciso di intraprendere quel viaggio da solo. Gli tornarono in mente le parole dei suoi compagni di avventure, stupiti per questa scelta: in fin dei conti poteva continuare a viaggiare  con loro e contemporaneamente riuscire a proseguire le sue ricerche, ma lui era stato irremovibile questa volta. Viaggiare con loro significava essere trascinato in qualche situazione bizzarra, in qualche trappola, trovarsi a combattere senza trovare il tempo necessario a una consultazione di nessun genere. Amelia era stata tra i suoi amici ad essere più delusa da questa sua scelta, ma non poteva farci nulla: erano stati insieme per qualche tempo, ma le cose non erano andate come sperava. Dopo essersi fermati per molto tempo a Sailoon e aver vissuto tutti insieme nel palazzo molte cose erano cambiate, anche il rapporto che avevano costruito nel tempo; nonostante l’affetto, le loro diversità si erano rese insopportabili e tutto si era avviato verso la rottura. Zelgadis sapeva che la ragazza aveva ancora una cotta stratosferica per lui, lo sapevano tutti, ma non riusciva a vederla più come una ragazza da amare, per lui era ormai una sorta di sorellina minore, da proteggere, da rimproverare all’occorrenza, ma niente di più. Le voleva bene, come voleva bene a quegli altri due scalmanati di Lina e Gourry, e lasciarli tutti era comunque doloroso, ma doveva trovare un rimedio per quell’incantesimo che gli aveva distrutto l’esistenza. Amelia aveva tutto il tempo per crescere e per capire che lui l’amava come un fratello e che questo non sarebbe cambiato. Per lui la principessina sarebbe stata sempre la sorella che non aveva mai avuto, lei avrebbe rappresentato una parte allegra e spensierata della sua esistenza sempre oberata di preoccupazioni. Purtroppo, per lei, non poteva essere altro. La mente di Zelgadis doveva prima risolvere altri problemi.

Non riusciva a calcolare da quanto tempo camminasse in quel bosco. Il cielo era ancora in tumulto e non riuscì a rendersi conto se il tramonto fosse già in atto oppure no. Ciò che notò è che il percorso si stava facendo accidentato e in salita. Con la pioggia era tutto scivoloso, ma rallentando l’andatura riuscì a raggiungere l’apice.

Appena superò l’ultimo albero vide davanti a sé un fossato profondo, ormai senz’acqua, e un pontile di pietra che conduceva ad un portone di quercia massiccia, probabilmente rinforzato in ferro. Percorse quel sentiero roccioso e notò una catena, presumibilmente una sorta di campanello per richiamare l’attenzione dei castellani. Tirò, ma non ebbe alcuna risposta. Guardò verso l’alto e gli parve che quei luoghi fossero disabitati. Ciuffi di erbacce spuntavano qui e là tra i massi delle mura merlate e in alcuni punti pareva fossero crollate delle torri di vedetta. Quel viaggio era stato un buco nell’acqua molto probabilmente. Stava per andarsene quando una voce gli fece cambiare idea.

< Chi siete? > disse la voce di un uomo piuttosto rauca e pesante.                                                      

< Mi chiamo Zelgadis Greywords e sono venuto qui perché mi hanno detto che in questo luogo si trova una biblioteca. Vorrei consultarne i libri. > rispose. C’era qualcosa che non lo convinceva. Una piccola finestrella si aprì sul portone e un occhio lo squadrò ben bene.

< Capisco. Non sembrate di queste parti. > disse ancora il vocione < Comunque sia dovete consegnarmi la vostra spada prima di entrare. > aggiunse con decisione e un cassetto metallico si aprì alla destra di Zelgadis.

Non era un problema consegnare la spada e se questo faceva sentire più sicuro il guardiano tanto meglio. In caso di necessità sapeva bene come difendersi. Posata la spada in quello strano cassetto, questo venne subito ritirato.

< Esattamente da dove venite? > la voce chiese ancora informazioni su di lui, mentre, lo sentiva dai rumori, il personaggio dietro la porta stava esaminando la sua arma. Narrare i viaggi e le origini pareva troppo esagerato, così disse solo che la tappa precedente a quella era stato il regno di Rathanas, un luogo a un centinaio di chilometri da lì.

< Vi apro il portone. > fu la dichiarazione finale. Finalmente si sarebbe tolto da quel diluvio universale.

Quando Zelgadis entrò si trovò davanti una figura piuttosto minuta, decisamente più bassa di lui di tutta la testa, avvolta in un mantello nero con cappuccio che ne nascondeva il volto. Beh, per avere tutta quella voce era strano. Aveva immaginato si trattasse di un omone di due metri, piuttosto robusto, con due baffoni a manubrio e magari un’ascia in mano. La stana figura lo condusse senza fiatare lungo il cortile per farlo entrare in un ambiente laterale che scoprì essere la cucina. Un luogo caldo, piacevolmente caldo. Il fuoco scoppiettava in un grande caminetto e su di esso c’era un coniglio a rosolare. Un tavolo e due sedie arredavano un angolo e tutte le stoviglie e il tino erano in ordine perfetto, quasi maniacale. C’erano anche dei fiori sul tavolo.

La strana piccola figura calò il suo cappuccio e si slacciò il mantello. Era una donna con una lunga treccia di capelli castani che le correva lungo tutta la schiena.

< Mi dispiace per l’attesa là fuori e tutta quella sceneggiata, ma sono costretta a farlo. > disse appendendo il suo mantello a sgocciolare su un attaccapanni. Si voltò e guardò Zelgadis che era particolarmente allibito. Non gli pareva vero.

< Mi sfugge una cosa. > decise di chiederglielo < A cosa serve fare tutto questo se apri ad uno sconosciuto che, giunto all’interno, potrebbe ucciderti? >

La ragazza soppesò la risposta, poi alzò le spalle.

< Di solito il vocione basta a far fuggire chiunque, raramente arrivo a conoscere i nomi degli avventori e tantomeno a chiedere loro le armi. Sono piuttosto codarde le persone da queste parti. Poi tu hai fatto una richiesta specifica ed è una richiesta che non avevo mai sentito. > disse infine sorridendogli. Aveva delle labbra rosee e dei grandi occhi verdi. Le due cose erano in contrasto tra loro: le labbra erano pronte al sorriso continuamente, mentre lo sguardo era particolarmente malinconico. < Puoi togliere il mantello e puoi asciugarti qui al fuoco. Ti porto un asciugamano. > e sparì in una porta laterale.

Zelgadis pensava di aver visto di tutto nella sua vita, ma i pazzi furiosi non avevano fine nel mondo. Era quello che la ragazza gli sembrava: in fin dei conti aveva aperto ad uno sconosciuto, l’aveva fatto entrare, l’aveva lasciato solo e aveva mostrato il fianco innumerevoli volte: se lui non fosse stato interessato solo ai libri avrebbe potuto colpirla e minacciarla in ogni momento. Forse però quella ragazza viveva sola in quel castello e un po’ di compagnia le aveva fatto piacere. La sua tesi era avvallata dal coniglio sul fuoco che non poteva che essere diviso in due parti, un pranzo e una cena, e per quel luogo che non mostrava segni distintivi di nessun’altro abitante. Si avvicinò al fuoco e si riscaldò le mani diventate gelide per tutta l’acqua presa nella foresta. Poi pensò: togliersi il mantello. Una richiesta assurda. La ragazza tornò con un asciugamano azzurro tra le mani e lo guardò per un momento.

< Beh? Vuoi restare con il mantello addosso? E’ tutto bagnato, ti prenderai un malanno. > e si avvicinò a lui pericolosamente, decisa a slacciargli l’indumento. Zelgadis le bloccò la mano con decisione e forza, ma non fece in tempo a fare altro movimento, perché uno stiletto era puntato sul suo collo. La ragazza si era difesa prontamente contro ogni aspettativa.

< Di un po’, che ti prende? > disse lei stringendo lo sguardo.

Zelgadis lasciò la presa.

< Non credo sia una buona idea. Tutto qui. > tagliò corto.

< Qualunque cosa ci sia sotto quel mantello non mi formalizzo. Sei un ricercato? Hai un occhio solo? Sei sfigurato? Che importanza ha! > pareva sicura di sé stessa. Il mago, anche se con diffidenza, decise di sciogliere il laccio del suo mantello, tolse cappuccio e maschera e fissò la sua ospite.

< Forte! > disse lei, aprendo lo sguardo con meraviglia < Che cosa sei? Cioè, insomma….non sei umano. E’ evidente. >

Non si aspettava quella reazione. Era più per un “Aaaaaah! Aiuto un mostro!”, invece aveva detto “Forte!”. Era matta davvero. Le rispose che era un umano mezzo golem e mezzo demone.

< Wow! > continuavano le esclamazioni assurde. < Fantastico! Quindi in origine eri umano? Oppure sei nato da un mezzo demone e un golem? No, dai i golem non ce li vedo a far bambini. E nemmeno un mezzo demone a innamorarsi di un golem. I demoni non li conosco bene, quindi non saprei se sarebbero capaci di essere attratti da un golem. Non che li abbia mai visti, nemmeno i demoni…. > e via via così. Quella ragazza era a secco di dialogo con un altro essere vivente da un pezzo e pareva avesse scelto lui per rimediare a mesi di silenzi. Era davvero sfortunato.

< …insomma ho sentito di demoni e di umani, ma umano e golem mi sembra difficile… >

< Niente di tutto ciò! > il mago era sull’orlo di una crisi di nervi. < Sono stato colpito da una maledizione, niente di speciale. >

Lo sguardo della ragazza si fece se possibile ancora più meravigliato.

< Sei un mago? > chiese infine, con lo stesso sguardo che avrebbe un bambino mentre scarta i regali di Natale.

< Si, sono un mago e sono stato maledetto, per cui ora cerco un modo per riprendere le mie sembianze naturali. Fine della storia. > e sospirò.

< Capisco. Beh, allora buona fortuna e immagino che la biblioteca ti serva a questo. >

Zelgadis annuì.

< Beh, se ne parlerà domani mattina. E’ ora di cena e in quella stanza senza il sole non si vede un accidente. E’ troppo ampia e mi servirebbero troppe candele per illuminarla di sera. Ah, il mio nome è Dalìda Redkoral. >

 

Stella briciola di campo

Tu disegni il tempo

Lungo notti che

Hanno tracciato punti

Di riferimento

D’un deserto dentro

Fermo nell’incanto

 

Stella che mi bruci accanto

La tua luce chiara

Acqua diverrà

Imparavo danze

Di un accampamento

Un deserto dentro

Fermo nell’incanto

 

Mi perderò su sentieri che

Le stelle già riflettono

Bagliori che non confondono

E giorni che cambiano

 

Anche se mi sento stanco

Non so riposare

Nelle mie bugie

Svegliavamo il cuore

Per smarrire il senso

Sulle quattro rive

Seminare un fiore

 

 

Mi perderò su sentieri che

Le stelle già riflettono

Bagliori che non confondono

E giorni che cambiano

 

Mi perderò su sentieri che

Le stelle già riflettono

E rivedrò cieli antichi in me

E giorni che incantano

   
 
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