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Autore: smarsties    10/08/2016    3 recensioni
Sequel de «La storia inversa: ovvero, come distruggersi in sette giorni»
Sei anni dopo gli eventi del prequel, mentre tutti sono impegnati a fare i conti col mondo degli adulti, Trent e Gwen decidono di compiere il grande passo, ma alcuni inviti vengono recapitati all'ultimo momento.
Ciò innescherà una folle corsa contro il tempo prima, e una serie di esilaranti imprevisti poi, fra regali di nozze, fedi smarrite e antichi sentimenti mai scomparsi, sino al finale più dolce che possa esistere.
• • •
Dal settimo capitolo:
Davanti a lei vi era Duncan, spettinato e senza maglia. Cercò di sorvolare su quell’ultimo dettaglio.
«Almeno, principessa, abbi la decenza di metterti qualcosa addosso la prossima volta» la derise sghignazzando. «Ti sembra il caso di venire ad aprire conciata così? C’è il rischio che ti salti addosso» aggiunse con un occhiolino, accennando al suo pigiama - che comprendeva un top e un pantaloncino entrambi grigi.
Con una vaga nota di imbarazzo, replicò acidamente: «Hai forse perso la maglietta? In tal caso, mi dispiace deluderti, ma non è qui».
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Nuovo Personaggio, Trent | Coppie: Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La storia inversa: quando tutto va come non dovrebbe'
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La storia inversa

«Fiori d’arancio e improbabili complicazioni»

 


 

 

Mercoledì«

 
Vancouver, Columbia Britannica, Canada.
16 luglio, ore nove e sedici del mattino.

Come Duncan aveva sospettato, quella era stata la nottata più lunga della sua vita.
John non si era dimostrato solo un coinquilino piuttosto insidioso, ma anche un insopportabile compagno di letto.
Poiché era tardissimo e se l’erano giocata in tutti i modi possibili ed immaginabili, non avevano avuto altra scelta che dormire assieme, con eterno orrore e disgusto di entrambi.
Era andata bene per circa dieci minuti; successivamente John aveva cominciato ad agitarsi e a riempire di calci il poverello che, per difendersi, rispondeva con colpi altrettanto forti, nella vana speranza di spostarlo o svegliarlo.
Siccome non riusciva ad addormentarsi, tra l’una e le due e mezza di notte non aveva fatto altro che alzarsi e sdraiarsi, una volta per andare in bagno, un’altra per prendere una boccata d’aria, un’altra ancora per bere un bicchiere d’acqua… e così via. Tutto questo non era sfuggito a Duncan che, per sua sfortuna, aveva avuto sempre un sonno piuttosto leggero.
Quando finalmente si era ambientato e calmato e quando Duncan aveva cominciato a sperare che forse avrebbe dormito, ecco che aveva sfoderato l’arma più fastidiosa e più letale di tutti: il russare.
Accompagnato da quell’insopportabile sottofondo, Duncan capì che avrebbe passato una notte insonne, poiché il suo amico non dava segni di volerla smetterla; dopo un tempo indefinito, però, quel rumore conciliò misteriosamente col suo sonno e cadde nelle accoglienti braccia di Morfeo.
Stava così bene, era così rilassato e profondamente addormentato… Eppure parve che fossero passati solo pochi minuti, quando fu svegliato da un continuo rimbalzare sul materasso.
Col senno di poi, si disse, avrebbe anche potuto sopportare quel rumore: dopo una nottata del genere quello era il minimo… peccato che circa cinque secondi dopo qualcuno spalancò le tende e i raggi del sole entrarono dalla finestra, illuminando perfettamente il suo volto.
Il cigolio delle molle e la luce solare lo costrinsero ad alzarsi, mentre il suo cervello riusciva a formulare solo bestemmie, una più creativa dell’altra.
«Finalmente ti sei alzato!» esclamò qualcuno ad un centimetro dal suo orecchio.
Ancora in uno stato di semi-coscienza, quella stessa persona lo inchiodò al letto, mettendosi a cavalcioni su di lui. Quando i suoi occhi si abituarono alla luce del sole, il viso di John era insopportabilmente vicino al suo e lo fissava con un’espressione troppo felice.
«Oggi è un giorno speciale, quindi alza il tuo sedere flaccido da questo materasso e vestiti» continuò, senza togliersi quel sorriso dalla faccia.
Duncan cercò di far funzionare gli ingranaggi arrugginiti del suo cervello, cercando di ricordarsi cosa potesse esserci di così importante quel giorno. Ma non gli veniva in mente nulla.
Notando l’espressione interrogativa, John si affrettò ad aggiungere: «Il 16 luglio non ti dice niente? Ebbene, ti darò un indizio: è il compleanno di una persona speciale».
«Mi spiace, ma per il mio compleanno manca ancora un po’» aggiunse con un pizzico di ironia e un grosso sbadiglio.
«Non parlavo di te, inutile egocentrico» rispose quello. «Si dà il caso che la persona in questione sia mille volte più importante, e che quella persona sia io» e si portò una mano al petto.
Tra il viaggio improvviso e il matrimonio imminente, si era completamente dimenticato del venticinquesimo compleanno di John. Okay, era fastidioso e con qualche rotella fuori posto, ma era comunque suo amico e si conoscevano da anni. Uno strano senso di colpa si impossessò per un poco di lui, ma poi ricordò: nemmeno John si era mai ricordato del suo compleanno.
In fondo non erano poi così diversi, se ci pensava: nessuno dei due dava importanza a eventi frivoli come quello. Riteneva, infatti, che i compleanni servissero a ricordare solo che stai invecchiando, che hai un anno in più rispetto al giorno precedente.
«Bene, auguri a te, dopo ti canto pure la canzoncina» scherzò, sdraiandosi nuovamente. «Ora voglio solo dormire fino a mezzogiorno, quando Courtney mi verrà a svegliare con qualche minaccia da due soldi».
Purtroppo, non andò come si sarebbe aspettato: non appena aveva poggiato la testa sul cuscino, John lo aveva afferrato per le gambe e aveva cominciato a spingerlo prima giù dal letto e poi sul pavimento gelido, fino al bagno, dove lo aveva scaricato e minacciato di picchiarlo, se non fosse stato pronto entro cinque minuti, lanciandogli dietro gli stessi vestiti che aveva lasciato per terra il giorno prima.
In un primo momento il suo cervello elaborò l’idea di chiudersi dentro e di utilizzare il tappeto come letto, anche se non era così comodo come sembrava. Purtroppo, la chiave l’aveva presa John, proprio per prevenire questo pericolo, e anche se fosse il ragazzo avrebbe potuto chiamare Courtney da un momento all’altro… e allora sì, sarebbero stati affari suoi. Perciò, siccome alla sua incolumità ci teneva, decise di prepararsi e di scendere dagli altri.
Quindici minuti più tardi si ritrovò a varcare l’enorme sala da pranzo e a servirsi la colazione su un vassoio di metallo. Fu facile trovare il tavolo, poiché una cinquantina di testa guardavano in quella direzione con fare disgustato: John stava ingurgitando voracemente il settimo cornetto, mentre Courtney, sentendosi tutti quegli occhi addosso, avrebbe voluto sprofondare, ma si limitò a fulminarlo con lo sguardo e a borbottargli contro svariati insulti e minacce.
«Eccoti, ce l’hai fatta!» esclamò gioviale il bruno, facendogli segno di sedersi accanto a lui; nel frattempo qualcuno si era voltato a guardarlo.
Il più velocemente possibile, fece scivolare il suo vassoio sul tavolo e si sedette, cercando di ignorare tutta quella gente.
«Buongiorno, principessa» esclamò, salutando la ragazza di fronte a lei con un ghigno.
«Buongiorno» rispose, leggermente a disagio. «Dormito bene?» aggiunse con un sorrisetto, accennando alle occhiaie profonde sotto i suoi occhi.
«Meravigliosamente» ironizzò, voltandosi verso la causa della sua insonnia. «Non ha fatto che girarsi e rigirarsi per tutta la notte».
Di tutta risposta, si limitò a mescolare per bene il suo cappuccino con un cucchiaino. Sembrava vagamente soddisfatta e divertita.
«Comunque,» aggiunse Duncan poco dopo, «il nostro amico qui presente sembra un poco eccitato per il suo compleanno».
«Ehi, venticinque anni non si compiono una volta sola!» disse quello, sentendosi chiamato in causa, con la bocca piena di pasta sfoglia e marmellata, cosa che suscitò il notevole disappunto della ragazza. Poi aggiunse: «Sappiate che mi aspetto una torta, possibilmente al cioccolato. E anche un regalo sarebbe gradito».
Di fatto, a John non interessava il compleanno di per sé, ma i privilegi che ne avrebbe ottenuto: anno dopo anno, aspettava quel giorno solo per i regali e per ingozzarsi come un maiale con torta e schifezze varie.
«Sì, poi ci pensiamo» lo liquidò Courtney con un gesto della mano. «Ora, quello che mi interessa è fare una bella sorpresa a Gwen. Non vedo l’ora!»
«Ti brillano gli occhi» non poté non notare Duncan, mentre lei sorseggiava il cappuccino lentamente.
Abbassò la tazza e si limitò a sorridere. Un po’ di schiuma le impregnava il labbro superiore.
Non avrebbe mai immaginato, dopo tutto quello che era successo in quel reality, di poter tornare ad essere amica di Gwen così in fretta. La disprezzava così tanto per pensare che fosse una situazione plausibile. E adesso, a distanza di sei anni, si ritrovava ad aver percorso più di duemila miglia solo per essere presente al suo matrimonio e vederla felice con l’uomo della sua vita. Era così fiera di lei.
Duncan invece stava pensando totalmente ad altro, ovvero a quanto fosse adorabile con quel labbro macchiato. E, quando lei stava per pulirselo, la precedette.
«Lascia, faccio io» dichiarò con nonchalance, prendendo il suo tovagliolo e sporgendosi verso di lei, con l’intento di tamponarle la macchia.
Mentre si muoveva in avanti, però, urtò violentemente il tavolo con il corpo e la tazza col cappuccino, pericolosamente vicina al bordo del tavolo, cadde a terra infrangendosi in mille pezzi; il liquido, invece, si riversò sulla maglia di Courtney.
«Bravo, complimenti! Hai idea di quanto mi sia costata?» urlò, scattando in piedi e guardandosi la macchia che lentamente si espandeva. «Non sai fare altro che combinare guai».
E si allontanò a grandi passi verso la hall, con aria offesa e al contempo infuriata.
Lui si limitò a commentare il tutto con un’imprecazione così sonora che strappò versi stizziti a qualcuno vicino. Successivamente, si dette mentalmente dello stupido circa un’infinità di volte.
John, che aveva assistito a tutta la scena, si limitò ad ammiccargli e ad alzare i pollici in sua direzione, profondamente ammirato.
«Amico, lasciatelo dire» annunciò, dandogli una sonora pacca sulla spalla. «Devi essere davvero disperato, per andare dietro alla stessa pollastrella da sei anni».
Duncan sfoderò il suo miglior ghigno: «Disperato, ma non senza speranza».(1)
 

• • •

 
Ore undici e trentatré.
Dopo avergli tenuto il broncio per circa un’ora e mezza, Courtney sembrava aver deciso che, quello del cappuccino, era stato solo un incidente madornale e aveva deciso di perdonare Duncan. Dopotutto, la macchia sarebbe andata via e aveva ben altro a cui pensare, come la sorpresa ormai imminente.
Aveva organizzato tutto nel minimo dettaglio: dopo che Gwen le aveva assicurato che quella settimana avrebbe lavorato soprattutto da casa, aveva cominciato a studiare tutti i tragitti degli autobus che si fermavano davanti al loro albergo, per vedere quale passasse il più vicino possibile alla via in cui abitava, e i rispettivi orari. Optò per il 164/ delle undici e dieci, che aveva una fermata giusto a seicento metri dall’abitazione di Gwen e Trent.
«Dobbiamo scendere alla prossima» annunciò Courtney, dopo circa venti minuti di viaggio, sporgendosi per prenotare la fermata.
«Interessante» commentò John, seduto sul lato opposto affianco ad un’anziana. «E adesso cosa si fa? Entriamo in casa dalla finestra, ci nascondiamo dietro qualcosa e, non appena passano, usciamo dai nostri nascondigli, urlando “sorpresa!” e sparando stelle filanti in aria?»
«O magari,» lo interruppe lei, mentre l’autobus si accingeva a fermarsi, «ci limitiamo a suonare al campanello e aspettiamo che qualcuno ci apra».
«Il mio piano era più di impatto» si giustificò con una scrollata di spalle.
«Certo, ora sbrighiamoci!» lo liquidò, cominciando a scendere dal mezzo di trasporto.
John, trovandosi affianco al finestrino, si voltò verso la vecchietta con l’intento di passare, ma non vi era sufficiente spazio.
«Mi scusi, signora» la chiamò, schiarendosi la voce. «Io sono arrivato. Potrebbe, cortesemente, spostarsi?»
«Sposarmi?» domandò confusa. «Non potrei mai tradire mio marito, anche se è morto da un po’ ormai».
«Non ha capito, io le ho chiesto se può farmi passare» sillabò per bene, alzando un po’ il tono per farsi sentire meglio.
«Oh sì, lo so cucinare il passato. Se vuoi, ti invito a casa mia, così potrai provarlo tu stesso».
«Non passato, ma passare!» esclamò, ormai sul punto di esplodere. «Si levi di mezzo e basta! Devo scendere!»
«Come ti permetti, piccolo impertinente? Io non sono scema!» gli urlò contro corrucciata, picchiandolo con la sua borsetta rossa.
Intanto, fermo sul ciglio della porta, Duncan osservava attentamente la scena, ridendo sommessamente.
«Ti diverti, cresta verde, non è vero?» gli chiese John, cercando di schivare i letali colpi di borsa.
«Non immagini quanto» ghignò, asciugandosi una lacrima.
«Bambini, volete muovervi?» la voce leggermente irata di Courtney arrivò chiara dal marciapiede, interrompendo la scenetta comica.
Allora il nostro prode John, avendo capito che le parole non servivano a nulla, passò ai fatti: si arrampicò sulla vecchietta, la superò, mentre lei borbottava frasi riguardo il comportamento maleducato dei giovani d’oggi, e scese con passo solenne dall’autobus, sotto l’occhiata attonita di tutti i passeggeri.
Non appena ebbe messo piede sul marciapiede, fu letteralmente trascinato per tutto il viale da Courtney, che procedeva svelta fra gli appartamenti a schiera di Thompson Boulevard.
I tre si fermarono davanti al numero 126, una casetta a due piani con i muri dipinti di rosso carminio, il tetto a punta e un piccolo giardinetto ben curato davanti. L’insieme era estremamente grazioso.
La ragazza, che guidava la fila, si infilò attraverso il cancelletto in legno, appena socchiuso, e percorse velocemente il sentiero ciottolato. Una volta davanti all’ingresso, fece saettare l’indice verso il campanello e lo fece squillare.
Qualche istante più tardi, la porta si aprì con uno scatto, rivelando la figura di Gwen. Non era cambiata granché negli anni, tranne che, ora, i suoi capelli erano di un unico colore, nero. Aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi e una matita dietro l’orecchio sinistro, il che lasciava presagire che aveva passato la notte in bianco a lavorare a qualche progetto. Sembrava anche leggermente sciupata, magari a causa dello stress lavorativo e pre-matrimoniale.
Prima che potesse dire qualunque cosa, Courtney si era già fiondata tra le braccia dell’amica, mormorandole un «Mi sei mancata tantissimo».
«E voi che ci fate qui?» domandò Gwen non appena riuscì a liberarsi dalla stretta, con un’espressione sorpresa e allo stesso tempo raggiante. «Non vi aspettavo prima di venerdì».
Fece cenno loro di entrare in casa, scansandosi per farli passare.
«Era l’unico volo disponibile prima di domenica» spiegò prontamente la bruna, appendendo la sua borsa all’attaccapanni.
«Ehilà Gwen, chi non muore si rivede» la salutò amichevolmente Duncan, dandole una leggera pacca sulla schiena.
Non c’era alcun tipo d’imbarazzo tra di loro, sembrava che non fossero mai stati assieme: somigliavano, infatti, più ad amici di vecchia data, pronti a scherzare e fare battute.
«È sempre un piacere rivederti» ridacchiò, battendogli il pugno.
«Pensa un po’, è la stessa cosa che gli dico sempre io. Naturalmente nella mia voce c’è molto più sarcasmo» esclamò John, superando i due. «Ad ogni modo, ciao Gwen».
«Vedo che non hai abbandonato le vecchie abitudini» gli sorrise lei di rimando, per poi rivolgersi a tutti: «Volete del caffè? L’avevo appena preparato per me».
«Non si rifiuta mai del caffè» recitò solenne Duncan.
Il gruppo si spostò nella zona cucina, una piccola stanza dalle pareti color panna e una grande finestra che ridava sul giardinetto. Sul fondo era addossato un piano cottura, affiancato dal frigorifero strapieno di post-it, tutti che indicavano appuntamenti più o meno importanti. Al centro della stanza, un tavolo rotondo faceva la sua bella figura.
«Allora, dov’è il futuro sposo?» domandò Courtney con un sorriso mellifluo, sedendosi su una sedia.
«È sotto la doccia, immagino» rispose l’altra, armeggiando con delle tazzine. «Si è svegliato da poco, ieri sera ha lavorato fino a tardi».
Trent gestiva un locale della periferia di Vancouver insieme ad un caro amico, nonché suo testimone di nozze. E, essendo per metà proprietario, poteva liberamente esibirsi con la sua chitarra in qualche mini concerto, facendo così ciò che più amava.
«Rallenta un secondo» la fermò Duncan. «Trent è sotto la doccia e tu qui? Fossi in te l’avrei già raggiunto. Magari lo rendi anche felice».
Courtney gli sferrò da sotto il tavolo una potente gomitata in pieno stomaco, che lo fece rantolare per un po’.
«Oh, ma guardatevi» ridacchiò Gwen, che aveva osservato tutta la scena. Versò il caffè nelle tazzine e le mise su un vassoio di metallo, assieme ad una zuccheriera e tre cucchiaini, che poggiò al centro del tavolo. «Sembrate proprio una coppia di sposini. A proposito, come va la vostra “relazione”?» chiese, accennando per bene l’ultima parola.
Courtney per poco non si strozzò con il caffè.
«Cosa?» riuscì a balbettare, tra un colpo di tosse e un altro.
«Come, principessa, non gliel’hai ancora detto?» scherzò Duncan, cingendole le spalle con un braccio. «È la tua migliore amica, dovrebbe venire a conoscenza di questi dettagli».
La ragazza lo avrebbe deliberatamente ucciso a mani nude davanti a tutti, se solo John non fosse intervenuto.
«Quali dettagli?» domandò divertito. «Dopo sei anni di corteggiamento, è già tanto che tu sia riuscito ad avere un appuntamento».
«Oh, andiamo Court!» esclamò Gwen, appoggiandosi contro il piano cottura e sorseggiando il suo caffè fumante. «Cos’altro deve fare questo povero ragazzo per dimostrarti che è cotto di te?»
La diretta interessata, che nel frattempo aveva raggiunto una chiara sfumatura di rosso - non si sapeva se per la rabbia, oppure per l’imbarazzo -, si limitò a versare dello zucchero nella tazza e a mescolare per bene con il cucchiaino. Prima che potesse formulare una risposta adeguata, qualcuno entrò in cucina interrompendo il discorso.
«Chi è cotto di chi?»
A differenza della sua compagna, Trent aveva subito un mutamento più profondo. I suoi capelli erano più arruffati e più ribelli, aveva messo su un po’ di massa muscolare e sulle guance spuntava una deliziosa barbetta incolta. Sembrava molto più adulto, adesso.
«Ragazzi, che gradita sorpresa!» li salutò con un enorme sorriso.
«Ecco il nostro Elvis!» disse Duncan, ammiccando in sua direzione. «Mancavi solo tu».
Trent batté il cinque ai due maschi, diede un fugace bacio sulla guancia a Courtney e poi si diresse verso la sua futura moglie, afferrandola per la vita e tuffandosi sulle sue labbra.
«Sì, tutto molto romantico» disse rapido John, rovinando tutto come solo lui sapeva fare. «Ma noi siamo ancora qui. Se volete un po’ di intimità, potete trasferirvi-».
Ma non seppero mai dove trasferirsi: un calcio al ginocchio, lo fece mugolare di dolore e non riuscì a continuare la frase.
I due si separarono all’istante, ridacchiando imbarazzati.
Poi Gwen poggiò la sua tazzina sul lavello e, avvicinandosi alla sua amica, la prese per un braccio.
«Vi dispiace se ve la rubo un istante?» chiese, aiutandola ad alzarsi. «Devo farle vedere una cosa».
E le due scomparvero al piano di sopra, parlottando sommessamente tra di loro.
Nella stanza calò così un silenzio imbarazzante. Sebbene non fossero completamente soli e avessero già chiarito i loro antichi dissapori, Trent continuava a non sentirsi del tutto a suo agio a parlare con Duncan. Dopotutto, lui e Gwen avevano avuto una relazione, per quanto breve fosse stata.
«Ehm, allora» cominciò, cercando di rompere il ghiaccio. «Quando siete arrivati?»
«Ieri sera» rispose evasivo Duncan.
«Capisco… cosa mi raccontate? È da una vita che non ci vediamo».
«Oggi è il mio compleanno, per esempio» si intromise John, bevendo un lungo sorso.
Trent sembrò sollevato che il bruno avesse aperto una conversazione.
«Fantastico, tanti auguri!» esclamò. «Se vuoi, questa sera possiamo comprare una torta e festeggiare nel mio locale. Cosa ne pensi?»
«Non saprei, non è il mio genere di serata ideale».
Nel frattempo Gwen aveva condotto l’amica nella sua camera e, dopo averla fatta sedere sul letto, aveva cominciato a frugare dentro all’armadio, in cerca di qualcosa.
«Dai, sbrigati, sono curiosa!» la incitò Courtney, avendo già intuito quale fosse la sorpresa.
«D’accordo, non ti agitare» disse lei, continuando a cercare dentro l’armadio. «Però, chiudi gli occhi».
L’altra obbedì e, quando li riaprì, non riuscì a fare a meno di sorridere.
Il pallido corpo di Gwen era fasciato da un lungo abito nero con delle maniche a sbuffo. Il velo si spandeva leggero lungo il pavimento e il vestito aveva dietro la schiena una piccola scollatura a U. Emanava luce propria nel complesso.
«Sei splendida» esclamò estasiata, dopo una breve analisi. «Ma, non fraintendermi, come mai nero?»
Non poteva di certo negare che l’amica sapeva indossare il nero con una grazia mai vista in nessun’altra, ma rimaneva comunque un’idea inusuale.
«Io e Trent abbiamo deciso di scambiare i colori. Io avrò un abito nero e lui uno smoking bianco. Volevamo fare qualcosa di diverso, di innovativo» rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo. «Che c’è, non ti piace?» aggiunse dopo un po’, vedendo l’espressione dubbiosa sul suo volto.
Courtney si alzò in piedi e prese a sistemarle meglio le maniche.
«Lo adoro» disse soltanto, e Gwen sorrise.
«Sono felice per te» dichiarò dopo un po’, guardandola negli occhi con le mani poggiate ancora sulle sue spalle. «Davvero, te lo meriti».
E poi si abbracciarono.
Non sapeva perché, ma le veniva naturale dimostrarle il suo affetto con dei piccoli gesti o delle parole carine. Di solito, era una persona fredda e incline a lasciarsi andare, ma con Gwen era diverso, era come se la conoscesse da una vita. Le voleva un mondo di bene.
Quel bellissimo momento fu interrotto dal rumore di un oggetto di vetro che si infrange contro il pavimento.
«Porco Duncan!» imprecò sonoramente John.
A quella frase, Courtney uscì di corsa dalla stanza, pronta a dirgliene quattro.
«Che cosa state facendo?» urlò da in cima alle scale.
«Oh nulla, John non sa tenere nemmeno una semplice tazzina in mano» rispose la voce di Duncan, chiaramente ironica, dalla cucina.
«Ci riuscirei, se una scimmia decerebrata come te non mi avesse tirato una manata in faccia» disse il fautore del danno, con ancora più ironia.
«Ma quale manata, mi stavo semplicemente stiracchiando!»
Inutile dire che si aprì un’accesa discussione e la ragazza decise saggiamente di lasciare perdere: era una cosa stupida, come al solito.
Prima che potesse tornare in camera da letto, vide materializzarsi Trent ai piedi della scalinata, con le mani sulle tempie come se la testa gli stesse per esplodere.
«La smetteranno mai?» chiese semplicemente, guardandola.
Lei scosse la testa, mentre un sorrisetto le nasceva in volto: «Mai».

Non poteva fare a meno di quei due.


• • •

 
Ore ventitré e quindici di sera.

La cosa sorprendente fu che John accettò la proposta di Trent di festeggiare il suo venticinquesimo compleanno nel suo locale, quando aveva già progettato tutto da un po’: due pizze extra large e la prima stagione del suo telefilm preferito. Dopotutto, era una serata speciale.
E la cosa ancora più sorprendente fu che Courtney acconsentì quasi subito di passare l’intera serata in quel locale di periferia, con tanto di alcol e la musica a palla, dopo che Gwen la pregò per cinque minuti interi. E se ne pentì amaramente.
Certo, doveva ammettere che era stato piuttosto divertente vedere Duncan affondare la testa di John nella torta di compleanno, con seguenti imprecazioni di quest’ultimo. E non poteva negare che l’immagine esilarante di John che ballava il Gangnam Style sul bancone, dopo nemmeno tre bicchierini di brandy, le aveva strappato una risatina. E sicuramente si era sciolta un pochino quando Trent aveva dedicato quella sdolcinata canzone d’amore a Gwen, mentre Duncan commentò il tutto con un verso disgustato, beccandosi la seconda gomitata nello stomaco della giornata da parte sua.
Ma tutto era finito: Gwen era in prima fila sotto il palchetto e ammirava il suo futuro sposo con occhi sognanti, John chiacchierava del più e del meno con Adam - il ragazzo con cui Trent gestiva il locale, nonché suo testimone di nozze -, e Duncan era sparito da qualche parte in mezzo alla folla.
E lei era rimasta completamente sola, seduta su un divanetto in fondo al locale con un milk-shake in mano.
Proprio mentre rifletteva su quanto erano squallidi pub, discoteche
et similia, le si avvicinò un tipo sulla trentina, avendola vista spaesata ed isolata: era enorme, con dei capelli bruni scompigliati e i denti un po’ ingialliti, e portava dei vestiti sciatti.
«Vorresti concedermi un ballo, zuccherino?» chiese beffardo, sedendosi accanto a lei e gettandole un braccio attorno alle spalle.
La sua voce era strascicata e puzzava di fumo.
«Zuccherino un corno» sbottò acida. «E ti consiglierei di levare le tue sudicie manacce da me, se non vuoi marcire in galera. Sai, sono avvocato».
Sottolineare per bene il suo mestiere ebbe l’effetto desiderato, poiché quello roteò gli occhi e andò via. Courtney poté giurare di averlo sentire dire: «Non è abbastanza sbronza».
Quell’avance sessuale fu la goccia che fece traboccare il vaso. Se prima non sopportava quei posti, adesso li detestava e non voleva passarci un secondo di più.
Poggiò il drink sul tavolino di fronte e si alzò di scatto, facendosi spazio tra la folla per raggiungere Gwen.
«Voglio andarmene» scandì vicino al suo orecchio, in modo tale che la sentisse.
«Di già? Ma è prestissimo» si lamentò lei delusa. «Non puoi aspettare cinque minuti? Trent suona una nuova canzone, devi sentirla assolutamente
».
«Gwen, lo sai che ti voglio bene, ma comincia a scoppiarmi la testa e quello che con tutta probabilità era un barbone ci ha provato con me. Voglio andarmene adesso» spiegò, con un tono che non ammetteva repliche.
«Vi riaccompagno in macchina» sospirò dopo un attimo di esitazione, consapevole di aver perso. «Gli autobus non passano più a quest’ora».
«Perfetto» disse l’altra con l’aria vittoriosa di chi aveva appena vinto un processo. «Io vado a recuperare Duncan».
Ma non dovette cercarlo a lungo. Non appena riuscì a liberarsi da quella bolgia di persone, lo ritrovò appoggiato alla parete dinnanzi, avvinghiato ad una ragazza bionda dal fondoschiena bello pieno. I due erano impegnati a scambiarsi animatamente la saliva con una foga, come se il mondo dovesse finire da un momento all’altro, e niente e nessuno avrebbe potuto distrarli.
Quella scena fu un colpo al cuore. Ovviamente sapeva che in quei sei anni Duncan aveva avuto numerose donne, ma un conto era solo saperlo e l’altro ritrovarlo a limonarsene una davanti a lei. Faceva terribilmente male.
Doveva mettere subito quanta più distanza possibile tra lei e loro, prima che potesse urlare, strozzare quell’ochetta con le sue stesse mani o prendere a schiaffi il ragazzo. Sentiva fastidio alla gola. Pensò bene, quindi, di tornare da Gwen.
«Ripensandoci, è ancora presto» si giustificò Courtney, dopo averla trovata seduta al bancone con John e Adam, che a quanto pare avevano scoperto di amare la stessa serie tv e ne parlavano animatamente di fronte ad un drink fresco. Modulò per bene la voce, tentando di non farla tremolare. «E ho davvero voglia di sentire la canzone di Trent».
«Ottimo» si intromise John, alzando il bicchiere in loro direzione. «Perché il mio amico qui è un grande estimatore di telefilm e videogiochi. Non ci penso proprio ad andarmene!»
«Sei sicura?» la chiese invece l’amica, un tantino preoccupata per il cambio repentino d’umore. «Se vuoi andar via, non c’è nessun problema, non preoccuparti».

Il ricordo era ancora vivido.
«Ne sono certa» rispose, cercando di convincere più se stessa che Gwen, strattonandola per un braccio e trascinandola verso la pista. «Su, andiamo».
Doveva distrarsi, sfogarsi, non pensare in alcun modo a ciò che accadeva a pochi metri da lei. Ma l’immagine continuava a ripetersi insistentemente nella sua testa, rischiando di farla impazzire di rabbia e gelosia.

Le bruciava lo stomaco e le pizzicavano gli occhi.
E un angolino remoto della sua mente desiderò ardentemente di essere al posto della bionda, a baciare le labbra di Duncan.

 

 

 
Note:
(1)
Riprendendo il primo verso di Murder City, canzone dei Green Day

 

 

 

 

 

 
 

Angolo dell’autrice
Non posso credere di aver aggiornato.
Nutrivo un sacco di dubbi su questa storia, dubbi alimentati anche dal mio periodo di blocco, e avevo pensato di sospenderla più volte. La storia non riusciva più a prendermi come prima e trovavo questo capitolo piatto.
E, invece, alla fine l’ho fatto, l’ho pubblicato. Sì, non è un capitolo molto dinamico e non mi entusiasma, fin ora è il peggiore; ma, anche il prequel aveva i suoi momenti statici che non mi facevano impazzire, quindi…
Finalmente abbiamo rincontrato Gwen e Trent, più innamorati che mai. Ho voluto trattare per bene l’amicizia tra lei e Courtney, che personalmente adoro. Spero di non essere caduta troppo nell’OOC.
E poi ci sono Duncan e John, che si amano ed odiano sempre di più. Loro sono una gioia sempre e comunque.
Non so da dove mi sia venuta l’idea del compleanno di John, l’ho scritta e basta. Anche se ho sempre pensato che il suo compleanno fosse lo stesso giorno del mio, come J.K. Rowling e Harry Potter - insomma, tale madre e tale figlio -, oppure in inverno inoltrato.
E infine abbiamo anche qualche sprizzo Duncney. Si ricominciano ad avvicinare, finalmente.
Spero che il capitolo non risulti troppo pesante e di ricevere anche solo una recensione, dato che non aggiorno da fine dicembre. Conto di concludere la fan fiction entro settembre, ma non prometto nulla.
Inoltre, stavo pensando ad una crossover. Il primo capitolo è quasi concluso e, se mi soddisferà, voglio davvero pubblicarlo.
Quindi, ci vediamo presto.
Un abbraccio,

Hayle xx

  
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