Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: MoonLilith    26/04/2009    2 recensioni
Lui mi sorride, un sorriso assolutamente da togliere il fiato, e mi fa un cenno con la testa.
Faccio per chiudere la porta, lentamente, ma quando è quasi chiusa, qualcosa la interrompe.
La riapro. C’è lui appoggiato allo stipite della porta, con una mano poggiata su di essa, a tenerla aperta.
« Voglio rivederti. » mi dice, serio in volto, guardandomi fisso.
Io? Io boccheggio.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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II.

Okay, dove eravamo rimasti? Ah, sì.
C’è Ben Barnes che mi sta trascinando fuori dalla Feltrinelli per sfuggire ad un’orda di ragazzine sue fans.
Tutto regolare.
« Ma ti vuoi fermare?! » esclamo in inglese, mentre lui mi trascina oltre l’ingresso del negozio e svolta subito in una stradina secondaria lì vicino.
Si appiattisce contro la parete, senza temere minimamente la possibilità di rovinare i suoi vestiti. Mi tiene ancora per il braccio, e standogli vicina sento il suo cuore che batte. Non so se per la corsa o per la paura. Le fans sfegatate fanno quest’effetto?
Sentiamo un vociare che man mano si avvicina, in effetti è abbastanza inquietante.
« E’ andato di là, sono sicura! »
«Ma l’hai visto?! »
« Sì sì, vieni! »
D’un tratto, vediamo passare uno stuolo di ragazzine in calore. Ah, cosa fanno gli ormoni adolescenziali. Nella stessa velocità con cui sono arrivate, si dileguano alla ricerca di un fantomatico Ben Barnes.
Ne approfitto per svincolarmi dalla sua presa, mentre lui tende ancora l’orecchio con la paura che possano tornare.
« Okay, ottima parte, complimenti. » dico a quel punto, allontanandomi di un passo da lui e guardandolo. « Cos’è, uno scherzo? Una Candid Camera? » continuo, iniziando a ispezionare i muri, il terreno, i dintorni insomma.
E mentre cerco la telecamera galeotta, lo sento ridere alle mie spalle. Mi volto, e lo trovo a pochi passi da me, le braccia incrociate, gli occhiali da sole sollevati, che mi osserva e ride. Beh io non lo trovo molto divertente.
« Ascolta, amico mio. » inizio a dire, avvicinandomi, e puntandogli contro un dito indice dall’aria molto accusatrice. « Non so chi tu diavolo sia e non so perché ti diverti a fare cose del genere, ma di certo non sei… Non sei… Lui. Ci siamo capiti, no? » dico io, non trovando la forza di dire il nome dell’attore. Perché, poi? « Ma cosa pensate, di prendermi in giro? Pensate che io sia una di quelle ragazzine che sono appesa passate, che abbocca davanti a un bel ragazzo che ricorda… vagamente… un attore? » beh, in effetti, non lo ricorda vagamente. È proprio spiccicato.
« Ma cosa stai dicendo? » dice lui, tra le risate. « Io sono Ben Barnes! »
« Sì, e io sono la Regina d’Inghilterra. » sbotto io, cercando di superarlo per tornare alla Feltrinelli e terminare ciò che avevo iniziato.
Gli passo accanto, e lui mi blocca di nuovo per il braccio. « Ma perché non ci credi? » mi chiede, tra stupore e ironia. « Ti sembra così assurdo? »
Mi giro, lo guardo qualche secondo, con le sopraciglia inarcate.
« Non mi sembra assurdo, ma più che altro assurdamente falso. » sbotto io, cercando di divincolarmi dalla presa. Il cuore, però, non ha smesso di battere. Solo a guardarlo, mi inizia a mancare il fiato. Quindi porto lo sguardo altrove, per non cadere nella sua trappola.
« Ma tu non eri con un’amica, mezz’ora fa circa? » chiede lui, da un momento all’altro, senza apparente motivo.
« Ah-a! Adesso ho capito! » esclamo io, indicandolo di nuovo minacciosamente. « Volevi adescare la mia amica?! Sappi che non ti dirò nulla, anche perché a stento so come si chiama visto che dopotutto mia amica non è. E comunque io non sono un’agenzia matrimoniale! » esclamo, e forse inizio a urlare un po’. Questa situazione mi sta scocciando non poco. « Comunque, ripeto, questi scherzi non mi piacciono, quindi sei pregato di lasciarmi stare! » aggiungo, ancora a voce alta.
Lui stende le labbra in un sorriso, molla la presa, solleva le mani in segno di resa. Rimane fermo a guardarmi mentre mi allontano. Davvero ha mollato così in fretta? Solitamente quei tipi sono capaci di seguirti fino a casa. Lo guardo un attimo, lui mi sta ancora guardando. Di nuovo, i miei occhi grigi si fondono con quelli onice di lui. Per un istante l’ho quasi creduto, in effetti… sembra davvero lui. Una perfetta imitazione. Poteva creare un sogno perfetto per una qualsiasi fan un po’ più credulona.
Ma io ho smesso di credere ai sogni già da un po’ di tempo.
Rientro nella Feltrinelli, le commesse mi guardano un po’ stranite. Mi sento molto in imbarazzo, mentre torno sul luogo del disastro. Raccolgo il più velocemente possibile i libri che mi son caduti, torno alla cassa, li pago e mi dileguo.
In autobus, in piedi per la troppa gente, guardo fisso a terra. Ho il suo viso stampato nella mente. Cerco di scacciarlo, di pensare ad altro, ma quegli occhi, quel sorriso, s’insinuano prepotenti nei miei pensieri.
Che fosse davvero lui?
Non essere sciocca, mi dico. Sbuffo, sollevo lo sguardo, il tragitto oggi sembra più lungo del solito. Non riesco a stare ferma. Mi sento agitata, iperattiva. Muovo i piedi, le gambe, picchetto i polpastrelli contro qualsiasi superficie contro cui mi aggrappo per reggermi in piedi dagli sballamenti provocati dall’autobus.
Entra un ragazzo coi capelli lunghi, non lo vedo bene in viso. Sussulto, mi manca il fiato. Lo guardo, mentre il viso diventa completamente rosso. Poi si volta, e osservandolo bene mi rendo conto che non è lui. Sono visibilmente delusa. Poi, mi stupisco di me stessa. Sto forse impazzendo? Mi sto lasciando abbindolare da un cretino che ha fatto tutta quella scena forse solo per chiedermi il numero di Laura? Poi, che senso ha spacciarsi per un attore? Assurdo.
Scendo alla mia fermata. Velocemente mi avvio verso casa, con la borsa che mi pesa per i troppi libri contenuti dentro. Velocemente entro nel condominio, salgo le scale, apro la porta di casa e me la chiudo dietro. Sono salva. Sono a casa, nel mio piccolo rifugio solitario, l’unico posto dove mi trovo bene. Beh, forse non è molto luminosa, anzi, il sole batte poco in casa mia. È un po’ fredda, e piccola, ma mi piace. Ormai mi ci sono abituata. Nell’ambiente unico che fa da cucina, sala da pranzo e salotto c’è un bel divano, un po’ vecchio, ma molto morbido e accogliente. Di quei divani di cui non riusciresti mai a liberarti. Sopra ci sono sparpagliate tre o quattro copertine di lana. Sono una tipa molto freddolosa, non ho il camino e il riscaldamento centralizzato non funziona sempre, d’inverno. Entro, spio, ho il vizio di controllare che sia tutto in ordine. O per lo meno, tutto come è stato lasciato.
Mi dirigo in camera. Anche questa non è molto illuminata, ma è accogliente. C’è sempre una sorta di luce soffusa calda, sull’arancione, dovuta alle tende di quel colore che ho messo alla finestra. Dei muri non c’è più un triangolo libero, sono tutti tappezzati di poster. Delle mie band preferite, di personaggi famosi, di locandine di film. E c’è anche lui, in un angolo. Un poster di Ben Barnes, accanto alla locandina de “Il Principe Caspian”. Lascio pesantemente la borsa sul letto, mi volto a guardarlo, lo osservo bene. Sembrano veramente identici, cavolo. Sospiro, ormai è fatta.
Porto le mani a coprirmi il volto, sbuffo, mi scosto i capelli e lo sguardo ricade di nuovo sul poster. Non scherziamo. Ma quale attore. Però è stato divertente… E’ stata una cosa diversa. Le mie giornate sono sempre tutte uguali…
Mi ritrovo involontariamente a sorridere. Appena me ne rendo conto, mi stupisco di me stessa. Non ridevo per una persona in carne ed ossa da quando… vabbè, non importa. Non ci voglio pensare, forse sarebbe meglio ripassare la lezione di Fisica di oggi.
Apro la borsa, estraggo i libri comprati alla Feltrinelli, e mi metto a cercare alla ricerca di quello di Fisica. Non c’è. Mi blocco. Sono sicura di averlo portato. Me lo ricordo, ce l’avevo al Politecnico questa mattina. Poi man mano ricordo, e realizzo. Vuoi vedere che…
« No! Mi è caduto nella Feltrinelli! » esclamo ad alta voce, lasciando la borsa sul letto. « Cazzo cazzo cazzo! » inizio a ripetere freneticamente, riprendendo la borsa e svuotandola del tutto sul letto. « Non posso essere così idiota! Quel libro costa un patrimonio, accidenti a me! » continuo a rimproverarmi, mi alzo in piedi, mi guardo intorno agitata, forse sperando che il libro appaia da un momento all’altro, per magia, in un angolo della mia scrivania. Mi metto le mani nei capelli, nella disperazione più totale.
Lì dentro c’era la foto di mamma e papà.
Mi risiedo sul letto, sbuffando. Mi lascio andare e mi stendo di fianco, pensandoci.
« Sono proprio un’idiota. » ormai era tardi, se la Feltrinelli a quell’ora fosse stata ancora aperta, non avrei di certo più ritrovato il libro. Mi metto una mano a coprirmi la faccia, ecco che inizia il mal di testa. Mi viene sempre una forte emicrania quando mi innervosisco.
Continuo a ripetermi insulti, a dirmi quanto sono stupida, ma l’immagine del viso del ragazzo non se ne va mai dalla mia mente. È sempre lì, e questo m’innervosisce ancora di più.

***

« Jolene, ma si può sapere che fine hai fatto l’altro giorno? » eccola, è tornata. La voce più snervante del mondo poò appartenere solo a lei. « Ti sei dileguata e mi hai lasciata sola al bar, ma ti sembra modo?! »
Non basta che l’ho accompagnata, rompe pure di sopra. Che zecca.
« Te l’avevo detto che avevo da fare. » rispondo, senza un particolare timbro della voce.
Sono passati già due giorni. Del libro neanche l’ombra. Dentro c’erano il mio nome e il mio cognome, un’anima buona si sarebbe pure potuta degnare di fare una ricerca e farmelo avere. E invece niente, la mia solita fortuna.
« Veramente mi avevi detto un’altra cosa! Jo, ma perché mi eviti?! Io voglio solo esserti amica, o per lo meno andare d’accordo! » esclama lei, con un’odiosissima cadenza lagnosa nella voce.
« Mi piace stare da sola, Laura. Tutto qui. » le rispondo io, mentre controllo l’orologio. Non risponde più, forse l’ha capita. Guardo fuori dalle finestre, e osservo le minacciose nuvole nel cielo. Ieri sembrava estate, oggi torna il classico tempo di Milano. Grigio, sole malato, ogni tanto un po’ di pioggia. Quasi sembra di stare a Londra.
Automaticamente, pensando a Londra, mi viene in mente la faccia di quel ragazzo che diceva di essere Ben Barnes. È comparso molteplici volte nei miei pensieri, in questi giorni. Sospiro, mi dirigo verso l’aula del corso di Informatica. Laura mi segue, lo fa con me. È silenziosa, e questo mi incuriosisce. Ma poi mi volto e noto che sta solo scrivendo alla velocità della luce un sms.
« Ti si staccherà il pollice se continui a quella velocità, un giorno. » sbotto io, guardandola.
Lei? Lei si volta a guardarmi e mi sorride allegramente. È veramente il mio opposto, questa ragazza.
Seguiamo la lezione di Informatica, poi andiamo a mangiare in mensa (o meglio, io ci vado e lei mi segue docilmente) e seguiamo l’ultima lezione di Inglese della giornata.
All’uscita dal Politecnico, le nuvole si erano scurite, e sembravano dense e cariche di pioggia.
« Bene. » ho commentato, prima di salutare con un gesto della mano Laura e iniziare a correre sotto le prime gocce, cercando di coprirmi il più possibile con la giacca.
Raggiungo la fermata, e ovviamente quando io sono a pochi metri lontana vedo partire l’autobus. Il numero che devo prendere io, è giusto.
« Ma porc… » inizio a dire, mentre rassegnata aspetto l’altro autobus sotto le prime timide gocce di pioggia, che per fortuna non tendono ad infittirsi finchè io non salgo sull’autobus. Mi faccio la mia bella mezz’ora in piedi, con gli abiti umidi e il freddo che mi inizia a penetrare nelle ossa.
All’uscita dall’autobus mi attende un bell’acquazzone, ma per fortuna correndo raggiungo velocemente casa. Giusto il tempo di bagnarmi completamente dalla testa ai piedi, niente di che.
Entro finalmente nel mio rifugio accogliente. Che però è freddissimo, ma vabbè, mi riscalderò in qualche modo. Mi cambio velocemente i vestiti, metto le scarpe fuori ad asciugare sul balcone e indosso una maglia a maniche corte maschile, enorme, che uso come pigiama estivo perché mi va a mo di vestitino. Le babbucce a forma di orsetto ai piedi, e subito inizio a dedicarmi ai capelli, che tendono al crespo in una maniera incredibile.
Mentre, ancora bagnati, li pettino cercando di districare i nodi, vengo interrotta dal suono improvviso del campanello. Mi blocco, mi volto in direzione della porta, inarcando un sopraciglio. Non è un po’ presto per l’affitto?
Vado ad aprire la porta. La spalanco velocemente. E resto di sasso.
Appoggiato allo stipite della porta di casa, c’era Ben Barnes. O comunque quella sorta di sosia che ho conosciuto (o meglio, che mi ha rapita per circa cinque minuti) due giorni fa.
Dire che è bello, è estremamente limitativo. Alto, con i capelli castani, appena mossi, un po’ scompigliati forse a causa della pioggia, che cadono morbidamente a incorniciare quel volto che è da mozzare il fiato. Il sorriso è particolare, dolce, ironico e malizioso nello stesso tempo, gli occhi sono due diamanti nero corvino, e mi osservano con ilarità, brillanti.
Indossa una camicia nera sotto ad una giacca avana, jeans scuri, un po’ scoloriti, rovinati dall’usura, e ai piedi Vans Slip-on nere.
La prima cosa che mi viene da pensare? Non ho mai visto una camicia stare così bene sul corpo di qualcuno.
La prima cosa che faccio? Gli chiudo la porta in faccia.
Dopo un attimo in cui il cuore si è praticamente fermato, ha ricominciato a battere così forte che sembrava il galoppo di un cavallo. Sembrava che volesse squarciarmi il petto. E continua così tutt’ora, mentre passano silenziosi i secondi, e io sono nel pallone. Ho il respiro un po’ affannato. Sto tremando. Dio, Dio, se quello oltre la mia porta non è Ben Barnes, è il suo gemello separato alla nascita.
Tendo di nuovo la mano alla porta, dopo un minuto abbondante di attesa. La riapro, veloce, con uno scatto.
Il cuore si ferma per la seconda volta. Secondo infarto nell’arco di due minuti, un record.
È ancora lì, la stessa espressione, lo stesso sorriso che c’è da mangiarselo, lo stesso sguardo in cui c’è da perdersi. Con la spalla sinistra poggiata contro il muro (la mia porta si trova alla fine di un corridoio pieno di appartamenti), continua a fissarmi, enigmatico.
Apro la bocca, faccio per dire qualcosa. Non esce nulla, nessun suono.
« E’ così che fai con tutti quelli che vengono a trovarti? » mi chiede lui, spezzando il silenzio, a bassa voce. Bassa e terribilmente sensuale.
Io, dal canto mio, continuo a rimanere immobile, con la bocca spalancata, come un pesce lesso.
Poi mi riprendo un attimo. « No, non faccio così, perché non viene a trovarmi mai nessuno. » mormoro un po’ incespicante. Ma c’è qualcosa che non mi torna. « Ma… che diavolo ci fai tu qui? Vuoi ancora importunarmi con questa storia che sei Ben Barnes? »
Gli chiedo, insicura. Lui, dal canto suo, si limita a guardarmi eloquente, sempre con le labbra arricciate in un sorriso.
Forse… Forse è davvero lui.
« Beh, che facciamo, mi fai entrare? » prende l’iniziativa, sollevando poi un oggetto che non avevo notato.
« Il mio libro di Fisica! » esclamo tendendo infantilmente le braccia verso di esso.
Ben me lo cede tranquillamente, e approfitta del momento per farsi gli onori di casa da solo ed oltrepassare la soglia.
« Permesso… » dice ironicamente, ma è già ben oltre l’ingresso, e si dirige verso il salotto-cucina-saladapranzo incurante.
Lo fisso un attimo, con la mano a mezz’aria che regge il libro, finchè lui non si ferma, si volta forse a vedere cosa sto facendo, e mi sorride.
Con quel sorriso, quello sguardo che s’incontra col mio, ora non ho più dubbi.
Perdo per un attimo la presa del libro, sta per cadermi a terra. Sento un calore avvamparmi in viso, espandersi per tutto il corpo. Il cuore ricomincia ad accelerare.
È davvero lui.


//

Finito anche il secondo, attendo commenti! :)
   
 
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