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Autore: Word_shaker    12/08/2016    2 recensioni
Storia scritta a quattro mani con una cara amica nella quale si ipotizza il pairing "Jane Foster/Tony Stark".
"Aveva paura di perdere il controllo, di comunicare quello che non poteva dire... Ma probabilmente lui era abituato ai deliri da Tequila. Magari non avrebbe fatto caso al suo piccolo amore scemo che si era accorta di provare da un giorno. E poi, che cosa poteva farci? Quale colpa aveva?
Amava e basta."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Svegliarsi in casa Stark fu meraviglioso: Jane, che di solito riacquistava il contatto con il mondo esterno in modo quasi violento al momento del risveglio, quella mattina aprì gli occhi molto lentamente.
Non ci volle molto per capire che quella era la camera di Tony: il suo cellulare era rimasto lì, insieme ad uno smoking verde ripiegato su una sedia di fronte a lei. Chissà in quale occasione l'aveva indossato? ...Per non parlare di un poster gigante a due colori di se stesso. 
Alzarsi a sedere su quel letto fu molto difficile: era così morbido e comodo che non le sarebbe dispiaciuto rimanere in quella posizione per sempre.
Con tutta la calma del mondo, si stropicciò gli occhi, si stiracchiò e, con un grande sorriso stampato sul volto, cercò le sue amate sneakers.
Soltanto allora arrivò alla conclusione: qualcuno l'aveva portata lì. Si era addormentata nel laboratorio, questo lo ricordava... Ma poi?
Se F.R.I.D.A.Y. poteva riordinare le camere, forse poteva anche sollevare le persone addormentate. 
Un altro interrogativo balenò nel suo cervello: se lei aveva dormito lì, lui dove aveva dormito?
Istintivamente, come se quella fosse casa sua, domandò: «F.R.I.D.A.Y., dov'è Tony?».
  «Buongiorno, Signorina Foster. Il Signor Stark sta dormendo su un divano al piano di sotto. Ha dormito bene?»  
  «Benissimo. Chi mi ha portata qui stanotte?»  continuò intanto che apriva la porta per correre da Tony.
  «Il Signor Stark si è accorto che si era addormentata sulla sedia girevole presente nel laboratorio alle cinque e cinquantotto di questa mattina e l'ha posata sul suo letto alle sei e due; dopodiché si è coricato su uno dei divani che troverà nel corridoio di destra. Si è addormentato verso le sei e quaranta»  recitò la rossa. L'astrofisica immaginò che fosse stata progettata per avere un fare saccente, altrimenti non si sarebbe spiegato il perché di tutte quelle informazioni precise.
  «Che ore sono?»  
  «Sono le dodici e trentatré, Signorina Foster»  
Lo spettacolo che le si presentò davanti dopo aver seguito le indicazioni della segretaria non fu dei migliori: si ritrovò davanti ad un uomo sudato che si contorceva dal dolore. Aveva gli occhi chiusi, l'espressione sofferta di chi lotta contro un demone e i denti digrignati.
  «Non lo meriti! Tu non lo meriti!»  gridò il magnate con tutta la forza che aveva in corpo.
Il suo respiro si era tramutato in uno strano, affannoso latrato.
Come presa da un misericordioso senso del dovere, Jane gli si avvicinò e si chinò accanto a lui.
Poiché non poteva soffrire quella visione, pensò bene di scuoterlo e di gridare: «Tony! Tony! Tony, svegliati!».
Dopo l'ennesimo scossone, finalmente l'uomo aprì gli occhi.
Ebbe bisogno di qualche secondo prima di realizzare che cosa fosse accaduto nella sua testa e al di fuori di lui. 
«Ma che dolce risveglio! Buongiorno, mia cara Jane» mormorò prima di abbracciarla.
Un po' impacciata e ancora turbata, la donna ricambiò  l'abbraccio.
  «Hai dormito bene?»  le domandò gustandosi il suo delicato e inebriante profumo.
  «Sì. Il tuo letto è davvero comodo!»  osservò con ingenuità.
  «Per questo non mi dispiace condividerlo... Anche se sono abituato a farlo in un modo diverso» ammiccò stringendola. Dov'era stata per tutto questo tempo?
  «Tu, invece? Sei tutto sudato... Ti ho sentito gridare, ti giravi e rigiravi, così ho pensato di svegliarti» affermò cercando di godersi quella stretta dolce e disperata. Il suo odore era acre per via del sudore, ma conservava qualcosa di buono che non riusciva a individuare.
  «Hai fatto bene. Ti ringrazio»  mormorò guardando il vuoto, per poi chiederle: «Aspetta, hai detto che gridavo?».
  «Sì, hai urlato qualcosa come: "Tu non lo meriti!". Hai avuto un incubo molto brutto, si direbbe» commentò cercando di capirci qualcosa.
  «Sì, e per fortuna era solo un incubo» disse accarezzandole la schiena, più per rassicurare se stesso che per rassicurare lei.  
In realtà Tony aveva avuto il solito, avvilente incubo: la battaglia nella quale aveva cercato di vendicare la morte di sua madre. Ricordava il rumore delle lamiere dell'armatura penetrate dal disco in vibranio e la rabbia irradiata da Captain America come se stesse rivivendo quella scena in quel momento.
Ma adesso c'era Jane e, stranamente, il cuore batteva meno in fretta e il passato sembrava un po' più lontano.
Allentò la presa quanto gli bastò per riuscire a guardarla negli occhi.
  «Mi prometti una cosa?».
La sua voce assomigliava a quella di un bambino impaurito.
  «Sì» sostenne a suo rischio e pericolo.
  «Svegliami ogni volta che mi senti gridare» affermò lui senza battere ciglio.
  «Lo farò. Promesso».  
In quel momento, fra i due nacque un patto segreto che comunicarono soltanto con uno sguardo: d'ora in poi si sarebbero protetti l'un l'altra dalle piccole cose che uccidono.
  

Quel pomeriggio, mentre i due stavano lavorando, qualcuno suonò il campanello di casa Stark: una pila di giornali alta circa un metro albergava sullo zerbino della porta principale.
Davanti a quella visione, Tony roteò gli occhi, annoiato.
  «Tipico. F.R.I.D.A.Y., portali su».
Nessuno di quei giornali fu letto attentamente - per non dire che nessuno di essi fu guardato. 
Una volta portate quelle scartoffie in laboratorio, Jane provò ad avvicinarcisi, ma il magnate la fermò sollevando una mano.
  «Vuoi sapere che cosa c'è scritto? Sicuramente avranno parlato del tuo vestito, dei nostri sguardi e avranno dubitato della tua intelligenza, per poi affermare che ti ho assunta perché noi due andiamo a letto insieme. Non fraintendermi: se dovesse accadere, la cosa non mi dispiacerebbe, ma non c'è un solo giornale che dica qualcosa di vero. Peccato, perché la stampa è un ottimo mezzo di comunicazione»  spiegò con l'aria di saperla lunga. 
  «Solitamente non leggo il giornale, ma sai, stavolta c'è la mia faccia sopra...»  provò ad affermare mordendosi il labbro. La sua espressione assomigliava a quella una bambina in cerca della scatola di cioccolatini che la mamma le ha nascosto.
Tony rispose a quell'affermazione con un sospiro di sollievo. Ciò significava che l'astrofisica si era persa un bel po' di cose che anche lui avrebbe preferito dimenticare.
Non aveva paura di essere giudicato in base a ciò che non era: primo, perché gli era capitato altre volte e ormai ci aveva fatto l'abitudine; secondo, perché se lei aveva promesso di svegliarlo ogni volta che lo sentiva gridare, forse era davvero diversa dalle altre.
  «Non ti facevo così vanitosa!»  scherzò mentre Jane prendeva un giornale a caso nel mucchio.
  «Non sono vanitosa! Quello sei tu»  rispose osservando una fotografia di lei che avvicinava il viso a quello di Tony per sussurrargli un timido «Grazie». Sembrava che stesse per dargli un bacio. Era un'immagine molto tenera.
Aveva rinfacciato qualcosa a Tony Stark per la prima volta e non se n'era neanche accorta. Certo che era sbadata!
  «Questa è bella. Me la tengo» commentò, per poi strappare in malo modo la pagina del giornale.  
Fu un lavoro d'istinto, perché non fece caso al peso che poteva avere quel gesto.
  «Perché dici che sono vanitoso?»  la stuzzicò inarcando un sopracciglio.
  «Hai un poster gigante che ti raffigura in camera tua, ed è più grande di te. Credo che basti sapere questo per darti del vanitoso» disse con naturalezza.
Il magnate ridacchiò scuotendo la testa.
  «Touché».    

Le ore di lavoro si moltiplicarono, così come le ore di tempo libero da passare insieme. 
Jane tornava a casa sempre meno frequentemente.
Fra un esperimento e l'altro, stava imparando a conoscerlo, e svegliarlo dopo un brutto incubo non le dispiaceva affatto. 
Aveva scelto di dormire nella camera per gli ospiti più vicina a quella di Tony di modo che potesse sentire le sue urla e correre in suo soccorso.
Quegli abbracci, quelle domande, quei respiri soffocati nel pigiama diventarono un rito.
  «Che cosa sogni?»  gli chiedeva sempre.
  «Meglio che tu non lo sappia»  le rispondeva sempre.
Un giorno, però, riuscì a ricavare qualcosa in più.
Con la morte nel cuore, dopo una crisi più violenta del solito, l'uomo affermò: «Qualcosa che è già successo».  
Quello che lui non riusciva a vedere era il masochismo della donna che aveva di fronte: Jane non vedeva l'ora di convivere con i suoi demoni.

 

   
 
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