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Autore: Tem_93    12/08/2016    16 recensioni
Lexa Woods è la giovane CEO di una società di costruzioni, fredda come il ghiaccio e bella come la neve.
Clarke Griffin è un'artista mancata e una barista che ha appena perso il proprio lavoro. Ora come ora ha davvero bisogno di soldi ed è disposta a tutto per guadagnarli.
[AU Clexa]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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~Capitolo 17~


 

********** Giorno 131 **********

 

-Per favore Clarke. Possibile che tu abbia la stessa capacità di abbinare i colori di un daltonico?- domandò Octavia, strappandole i vestiti dalle mani e sbuffando.

-La verità è che tu sei impossibile. Tanto Abraham mica guarderà me – borbottò Clarke, guardando storta l'amica.

-Ovviamente, ma per una sera potresti accontentarmi?- chiese quella, alzando un sopracciglio. Clarke alzò gli occhi irritata, afferrando poi il vestito che le proponeva l'amica. -Magari fai colpo sulla sorella- scherzò la mora, accennando un sorriso.

-Certo. Due volte- soffiò l'amica, indossando l'abito nero.


 


 


 

-Lex, sei pronta? - domandò il ragazzo intrufolando la testa nella camera della sorella. Quella lo guardò sorpresa, mentre finiva di sistemare i capelli. Lincoln scoppiò a ridere, lasciando stranita la ragazza.

-Ti ha mai detto nessuno che hai problemi con i vestiti? - chiese lui, ridacchiando e avvicinandosi. Lexa abbassò gli occhi, pensando che sì, qualcuno glielo aveva detto. - E' una serata totalmente informale, e vorrei che non si facesse un'idea troppo rigida di te – disse lui, aprendo le ante dell'armadio per cercare qualcosa di più tranquillo del suo classico completo da lavoro.

-Ti deve proprio piacere eh- sorrise quella, sfilandosi i pantaloni in attesa di un consiglio del fratello.

Lui si girò sorridendo – Sì, è davvero fantastica- annuì, alzando poi due opzioni. Da una parte vi era un miniabito bianco e attillato, dall'altra una camicetta senza maniche e una gonna nera a ruota. Lexa storse il naso, quasi come se i vestiti non li avesse comprati lei, poi optò per la seconda.

-Posso almeno sapere il nome? - domandò la ragazza, togliendo gli abiti dalle grucce.

-Lo scoprirai stasera. Ah, ha detto che porta una cara amica! Magari ti divertirai – concluse, facendole l'occhiolino. Lexa alzò le sopracciglia e accennò uno sbieco sorriso.


 


 

Quando i fratelli giunsero davanti al ristorante le ragazze ancora non erano arrivate, nonostante il locale fosse davvero vicino alla loro abitazione. I due fermarono il tavolo, dopodiché le attesero davanti all'ingresso.

Quando Lincoln avvertì Lexa che erano arrivate lei aveva il capo chino e si controllava distrattamente le scarpe.

Ma quando alzò lo sguardo il suo cuore mancò un battito.


 


 

-Ti odio, mi hai fatta arrivare in ritardo- mugugnò Octavia scendendo dal taxi.

-Ma saranno dieci minuti, nulla di grave. E puoi dare la colpa a me!- esclamò l'altra, sorridendo prima di imitare l'amica.

-Eccoli!- mormorò Octavia. Clarke guardò nella stessa direzione della coinquilina e il sorriso svanì dalle sue labbra.

-Lexa- sussurrò, sentendo il petto scoppiarle. Come poteva? Dopo quattro mesi? Perché le faceva quell'effetto? Eppure era convinta di averla dimenticata. Non pensava più a lei ultimamente.

Circa.

-Co-cosa?- domandò Octavia, mentre le due si avvicinavano ai fratelli.

-Clarke!- esclamò Lincoln, sbarrando gli occhi, facendoli correre dalla bionda, alla sorella a Octavia che aveva la sua stessa espressione sconvolta.

-Lincoln.. Lexa- sussurrò lei, guardando il ragazzo. Solo dopo aver terminato il nome di lei trovò in qualche modo il coraggio di cercare i suoi occhi. E mai si sarebbe immaginata di vederli così espressivi. In quegli occhi vide tutto e niente, ma non ci capì nulla.

A parte due cose. Primo : Lexa era arrossita. Secondo : portava ancora i suoi orecchini rossi.

-Lincoln Woods, ecco svelata la tua segreta identità- affermò Octavia, cercando di rompere la tensione creata, sorridendo al ragazzo per poi guardarlo con affetto.

-Ebbene sì. Scusa se non te l'ho detto prima- disse lui mortificato, alludendo in un certo senso anche alla situazione in cui ora si trovavano. Lei scrollò le spalle, mantenendo un timido sorriso.

-Non l'ho mai vista così imbarazzata, la mia piccola O – scherzò Clarke, cercando di celare tutte le sue emozioni. Lexa aveva distolto lo sguardo per prima e lei era tornata a respirare normalmente, un piccolo traguardo insomma.

Octavia la guardò male mentre Lincoln rise.

-Lexa, ti presento Octavia Blake.. e Octavia, ti presento mia sorella Lexa – le introdusse poi, lasciando che si stringessero la mano cordialmente. Clarke vide la mano di Lexa passarle davanti e per un momento invidiò davvero tanto Octavia.

Lexa non disse quasi nulla, accennò un mezzo sorriso alla ragazza del fratello e strinse debolmente la sua mano, ma era come se fosse ancora in trance. Non ricordava che Clarke le avesse mai fatto quell'effetto, ed ora non sapeva come uscirne.

I quattro entrarono e Clarke finì ovviamente di fronte a Lexa. Non spiarla era impossibile. Lei invece sembrava far tutto il possibile per tenere lo sguardo altrove, per parlare il meno possibile o assentarsi per il bagno più del dovuto.

E Clarke non poteva che osservarla, guardare la sua pelle candida accarezzata da quei vestiti femminili, snodare l'intreccio dei suoi capelli e pensare che si stava comportando in quel modo solo per lei. Soltanto per lei. Ma quale sentimento la stava turbando tanto? Rimorso, vergogna, delusione o fastidio? A sua volta Clarke fu poco partecipe ai discorsi dei due, sicuramente meno di quanto era solita fare.

Lexa fece qualche domanda ad Octavia, giusto per non risultare troppo scortese, mentre la ragazza non ne ricambiò alcuna. Probabilmente sapeva già tutte le risposte, si disse mentalmente Lexa. Chissà se aveva mai sentito parlare di lei? Chissà in che modo? Chissà se la odiava per come aveva trattato la sua amica. Queste domande torturavano la giovane, ma mai quanto la persona che aveva davanti.

Sentiva i suoi occhi addosso, sentiva che la stava studiando. Eppure non riusciva ad alzare lo sguardo, non aveva la forza per cercare il cielo nelle sue iridi. Aveva paura sì. Paura di leggerci rabbia, di leggerci delusione. Ma forse, la cosa che più temeva, era leggerci indifferenza.

Ad un tratto Lincoln si alzò, sorrise e guardo le due ragazze in silenzio.

-Andiamo a dare un'occhiata ai dolci. Torniamo tra cinque minuti- riferì, mentre Octavia si alzava a sua volta. Clarke guardò l'amica con gli occhi sbarrati, come a chiederle di non farlo, ma lei fece finta di nulla. I due si allontanarono e le ragazze rimasero sole. Clarke abbassò lo sguardo, sistemando il tovagliolo che aveva stropicciato.

-Clarke- sussurrò inaspettatamente l'altra, catturando la sua attenzione. E per la prima volta a tavola, gli occhi di Lexa erano lì ad aspettarla. Fermi, decisi. -Possiamo parlare? - domandò a bassa voce, umidificandosi poi il labbro inferiore.

-Certo- assentì la bionda, con un tono più calmo di quello che avrebbe sperato.

-Ti va se facciamo un giro? - propose Lexa, accennando all'uscita. Clarke sentì le mani sudarle. Prese un grosso sospiro e annuì. Lexa le rivolse un mezzo sorriso. Poi prese una biro dalla borsa e scrisse due righe sulla tovaglietta del fratello, probabilmente per avvertirlo della loro assenza.

Le due si alzarono velocemente, senza guardarsi, e allo stesso modo lasciarono il locale. Iniziarono a camminare, fianco a fianco, senza però toccarsi o parlare. Finché Lexa nuovamente ruppe il silenzio.

-Come stai? - domandò, lanciandole uno sguardo e sorridendo appena. Clarke rispose al sorriso e scrollò le spalle.

-Bene, tu? - rispose, cercando di frenare tutti i pensieri che aveva accumulato in mesi.

-Anche. Tuo padre? - continuò la mora, fingendosi all'oscuro. In realtà sapeva bene come stava. Si era tenuta informata sulle sue condizioni ogni giorno sino all'operazione, gioendo quando aveva saputo che era andata molto bene.

-Sta finalmente bene. Ha fatto l'operazione ed è andata alla grande. Sembra rinato – disse la ragazza, omettendo il fatto di non aver usato nemmeno un centesimo dei suoi soldi per farlo curare. Ma Lexa sapeva anche questo, dato che l'assegno di Clarke non era mai stato incassato.

-Ne sono felice- mormorò, portando lo sguardo dritto davanti a sé. Tra le due tornò a regnare il silenzio, tanto che ormai il suono dei tacchetti sull'asfalto sembrava quasi più assordante del traffico di New York.

-Sai, Lincoln non mi aveva detto il nome della ragazza con cui usciva e... chi avrebbe mai detto che ..- disse la mora, lasciando poi morire la frase, sospirando.

-Lexa- la chiamò Clarke.

-Io, non immaginavo..- continuò l'altra, mordendosi il labbro inferiore, senza guardare la ragazza al suo fianco.

-Lexa? - ripeté la bionda, ottenendo ora la sua attenzione.

-Sì? - disse lei, osservando l'espressione dura di Clarke.

-Ho bisogno di sapere una cosa – affermò, rallentando il passo quasi volesse fermarsi, ma Lexa continuò a camminare. Si voltò verso di lei e annuì, come a darle il permesso di chiedere quello che voleva.

-Tutto quello che chiedo è.. perché non ti sei più fatta sentire? -. Era riuscita a dirlo, ma non era stato affatto facile. Era come alzare un grosso macigno per buttarlo nel lago. Chissà quanto sarebbe stato grande il tonfo.

Lexa si fermò, corrugando le sopracciglia.

-Io..- balbettò quasi – io potrei farti la stessa domanda- disse, un po' fredda. Clarke incrociò le braccia e assunse una strana smorfia.

-Scusa? Chi delle due ha firmato un contratto in cui assicurava che non avrebbe provato a contattare mai più, in alcun modo, la Signorina Woods? - ringhiò quasi Clarke. Lexa sbatté le ciglia più volte.

-Veramente credevi che ti sarebbe successo qualcosa? - le chiese, con un misto di sorpresa e confusione.

-Non lo so, ma perché Indra avrebbe dovuto sottolinearlo tanto l'ultimo giorno in cui ci siamo viste, se era tutto falso!?- continuò la ragazza, scaldandosi. Gli occhi di Lexa si ingrandirono dallo stupore.

-I-Indra cosa?- domandò, grattandosi nervosamente il collo. Clarke gesticolò con le mani, quasi fosse ovvio.

-Mi ha chiamato domenica pomeriggio dicendomi di evitare qualsiasi tipo di contatto nei tuoi confronti in futuro, a meno che non volessi certe conseguenze. - spiegò la giovane, tornado ad un tono un po' più tranquillo, notando che Lexa sembrava visibilmente sorpresa di tutto ciò. La mora abbassò lo sguardo, riflettendo.

-Non lo sapevo- mormorò – probabilmente le avevo dato tale compito all'inizio, per poi dimenticarmi addirittura di averle chiesto di farlo- spiegò a giustificazione. Sollevo poi gli occhi dispiaciuti per cercare quelli della ragazza. Clarke guardò altrove.

-In ogni caso non avevo né il tuo numero, né la tua mail, né il tuo recapito – aggiunse, riprendendo poi a camminare. Lexa annuì, seguendola e sentendosi ancora più colpevole per quello che era successo.

-Ho cercato di farmi sentire più di una volta. Ti ho scritto tanti messaggi, mai inviati, e sono venuta al tuo appartamento più volte. Ti avevo anche comprato dei fiori per il compleanno- ammise Lexa tutto d'un fiato dopo qualche minuto, evitando con cura il viso dell'altra. Clarke rimase si stucco alla rivelazione della ragazza. In un attimo le balenò il ricordo di una limousine che le correva davanti, il giorno del proprio compleanno.

-E perché ti sei fermata? - chiese, con un tono forse troppo disperato. Lexa la guardò dispiaciuta, per poi riportare lo sguardo davanti a sé.

-Inizialmente volevo lasciarti tempo per risolvere le cose con tuo padre. Sai, non volevo essere un peso – disse, sistemandosi i capelli prima di prendere un lungo respiro -Poi ho iniziato a pensare che ormai non ti interessasse più risentirmi. Che eri felice lo stesso – affermò, lanciando una veloce occhiata all'altra. Clarke strinse le labbra, cercando di reprimere un pianto che ormai era difficile da trattenere.

-E non hai mai avuto voglia di rivedermi? - domandò, lasciando che le lacrime le rigassero il volto, sperando che il buio l'aiutasse a coprirle. Lexa però si bloccò , guardandola intensamente.

-Certo. Ogni giorno Clarke- rivelò lei, lasciando cadere ogni singolo muro, rendendo visibile ogni singola emozione sul suo volto. Sentì un groppo in gola quando vide la donna al suo fianco in quello stato.

-E perché allora hai esitato tanto? - chiese quella con rabbia, ormai noncurante del proprio pianto.

-Io non lo so. Volevo solo che tu fossi felice. Credevo lo fossi anche senza di me- disse solo, chinando il capo, dispiaciuta. -Scusami, non volevo ferirti. Era l'ultima cosa che volevo- mormorò con un filo di voce.

Clarke annuì. Alzò gli occhi al cielo e prese un lungo respiro. Poi asciugò le lacrime e cercò di riprendersi, accorgendosi solo in quel momento che erano giunte davanti al suo appartamento.

-Tra una settimana partirò per l'Europa- rivelò la bionda, sistemando i capelli e il vestito. Lexa socchiuse la bocca, non sapendo cosa dire. Era un'informazione troppo inaspettata e amara in quel momento. - Frequenterò un corso d'arte in Italia. - continuò la ragazza prendendo poi le chiavi dalla borsetta. Non sapeva cos'altro dirle e non voleva passare altro tempo con lei. Era troppo doloroso.

-B-Bene. Spero tu possa ritrovare la felicità là- farfugliò l'altra, senza nemmeno avere il coraggio di guardarla. Clarke annuì, serrando la mascella, troppo arrabbiata da quelle parole che sentiva così vuote e ipocrite, non riconoscendo la donna che aveva davanti.

-Addio Lexa. Non te l'avevo ancora detto- sentenziò velocemente, prima di dirigersi alla porta senza aspettare una risposta.

Lexa la vide salire i pochi grandini quasi di corsa. Solo in quel momento ricordò tutti i discorsi mentali che si era fatta, le sue conclusioni sull'amore e tutti i soliloqui spropositati che avevano albergato nel suo cervello più del dovuto.

Clarke non era Costia.

Clarke era ancora lì e perderla sarebbe stata solo colpa sua e di nessun altro. Quel dolore che ora sentiva appesantirle il cuore era colpa sua, ed era lei che doveva cambiare le cose, se voleva.

-E' perché sono innamorata di te – le urlò, poco prima che entrasse dalla porta. Clarke si bloccò, girandosi verso la ragazza. Lexa avanzò, a passi sicuri, fermi.

-E' per quello che non mi sono fatta sentire. Perché avevo paura che tu non lo fossi di me- ammise col cuore in mano, fermandosi prima della gradinata, guardando dal basso la bionda. Clarke arrossì visibilmente, mantenendo però un'espressione dura, non senza difficoltà. Fece come per dire qualcosa più volte, senza riuscirci. Sbuffò.

-Ma chi ti ha dato la laurea ad Harvard!? - borbottò poco dopo, confondendo Lexa. -Sei un'idiota Lexa Woods. Una super mega idiota- affermò con grinta. Lexa non disse nulla, non capendo del tutto cosa volesse dire la ragazza. Quella scosse il capo, scendendo il primo gradino.

-E sai una cosa? - chiese retoricamente, scendendo anche il secondo – io forse lo sono ancora di più. Perché, dico, come si fa ad innamorarsi di una super mega idiota?- concluse, arrivando di fronte alla ragazza.

Sul viso di Lexa si formò lentamente un sorriso, mentre le sue iridi s'ingrandivano. Credette di non riuscire più a smettere di sorridere. Clarke era di fronte a lei e ancora non si erano nemmeno sfiorate quella sera. Il viso della bionda si fece più dolce e anche le sue labbra si piegarono amabilmente all'insù. Rimasero così per qualche secondo, senza dire nulla, solo a guardarsi negli occhi, come se ci fossero tutte le risposte.

-Mi sbaglio o devi sdebitarti di qualcosa? - chiese ad un tratto Clarke, mordendosi il labbro inferiore. Lexa scoppiò a ridere e arrossì.

Poi si allungò e rubò un veloce bacio a stampo a Clarke, un bacio in cui entrambe sorrisero prima di ridere assieme. Poi Lexa tirò a sé la ragazza, stringendola forte, infilando il capo nei suoi capelli mentre il suo profumo l'avvolgeva, caldo e familiare. Si lasciarono poco dopo. Clarke cercò la foresta in Lexa, quest'ultima il cielo in Clarke. Poi Lexa posò delicatamente una mano sulla guancia della ragazza ed eliminò la distanza tra le loro labbra.

Poteva sentire le gote bollenti della giovane sotto le sue dita, ma quando le labbra di Clarke incontrarono le sue non le importò di null'altro. Erano umidi e soffici, e sapevano di Clarke; bastò solo questo per mandarle in tilt il cervello. Clarke si staccò leggermente, aprendo gli occhi, come per accertarsi che fosse tutto vero, che non era uno dei suoi sogni ricorrenti, che Lexa era ancora lì tra le sue braccia. Rise quando lo constatò, tornando a cercare le labbra carnose della giovane, mordendo appena il suo labbro inferiore, prima di approfondire il bacio inizialmente timido, che ben presto divenne irruente, giocoso, accaldato.

Lexa si allontanò un poco, per riprendere fiato. Appoggiò la sua fronte a quella di Clarke con un sorriso costante che probabilmente non se ne sarebbe andato per mesi.

-Potremmo entrare. Sai, non vorrei dare spettacolo- propose Clarke, alludendo ai passanti che affollavano le vie. Lexa rise annuendo. Clarke le prese la mano e la tirò dietro a sé. Lexa amò quel gesto che ritrovò così abitudinario anche dopo tanto tempo. Si sarebbe lasciata trascinare ovunque da quella ragazza.

Entrarono nell'appartamento e la mora cercò di guardarsi attorno, ma Clarke la condusse velocemente nella sua stanza.

-Wow- sussurrò lei appena entrò. Ad ogni muro della camera erano appesi quadri, disegni, tele, fotografie o direttamente le pareti erano state sfruttate come base. Ogni centimetro di quella camera trasudava di Clarke, poiché l'arte non poteva che riflettere l'artista. Lexa non avrebbe cambiato nulla di quel posto, nemmeno il disordine che regnava ovunque, nemmeno quello strambo letto circolare.

Clarke la lasciò vagare curiosa per la camera e Lexa osservava attentamente tutto quello che vedeva, soffermandosi su ogni opera con interesse. Per ultimo la mora si concentrò sulle foto. Clarke sorrise, si avvicinò e spostò una tela ancora incompiuta . Dietro vi era la foto di due ragazze, timidamente abbracciate, davanti ad enormi cascate illuminate.

Lexa alzò gli occhi stupita, cercando quelli di Clarke. Lei sorrise.

-Sai, ero venuta bene. Mi dispiaceva non stamp..-scherzò la giovane, prima di essere interrotta dalle labbra di Lexa.

E dalle sue mani.

E dal suo corpo, schiacciato contro il proprio.

Quando Lexa la fece adagiare sul letto non riuscì fare altro che sorridere come un'ebete. Poi prese il controllo della situazione, invertendo le posizioni per portarsi sopra alla mora. Le sorrise ancora, prima di baciarle l'orecchio, scendere per la mandibola e poi passare per il collo, mentre le sue dita erano impegnate a sbottonarle la leggera camicetta.

Quando gliela tolse e vide il reggiseno in pizzo, decisamente provocante, probabilmente fece una faccia buffissima, perché Lexa scoppiò a ridere, facendole però poi cadere gli spallini del vestito. La bionda si alzò, lasciando scivolare l'abito a terra, ricordandosi solo in quel momento del completo a fantasia di orsetti di gomma che la fece arrossire oltremodo. Lexa la tirò a sé, sopra di sé, reclamando un altro bacio, facendo poi scorrere lentamente le mani sul corpo morbido della ragazza.

Clarke sentì brividi scuoterla da capo a piedi e non riuscì ad impedire che la pelle d'oca risaltasse sotto i polpastrelli della giovane. Lexa si alzò un poco, giusto i necessario per riuscire a baciare il collo di Clarke, poi la clavicola, scendendo infine nel petto prosperoso della giovane. Con calma, prendendosi tutto il tempo necessario, e gentilmente. Quella la lasciò fare, socchiudendo gli occhi e infilando le mani nel capo della ragazza, stringendo più o meno forte all'occorrenza. Sentì il gancetto del reggiseno aprirsi, prima di sfilare l'indumento. Soffocò un gemito, ma aprì gli occhi quando sentì i denti e la lingua di Lexa stuzzicarla in certi punti.

A quel punto la spinse a sdraiarsi sul letto, fermandosi un momento per ammirare il suo volto colmo di desiderio nei proprio confronti. Dopodiché riprese da dove era rimasta. Le torturò il collo, scendendo poi in mezzo al seno, continuando lungo la pancia piatta, mentre indietreggiava col corpo. Arrivò all'elastico della gonna, che con delicatezza sfilò. S'infilò tra le gambe della ragazza, iniziando a baciare dolcemente il ginocchio destro, per poi scendere, poco a poco, bacio dopo bacio, lasciando una scia bollente dietro di sé, fino ad arrivare all'interno coscia, mentre con la mano solleticava l'altra gamba, designando cerchietti con le punta delle dita .

Alzò gli occhi per cercare quelli di Lexa, trovandoli strani, molto meno verdi di quanto ricordasse.

Sorrise ancora.

Probabilmente sorrise tutto il tempo perché davvero riteneva incredibile avere Lexa lì con sé, per sé. Sua come mai era stata prima. Lexa doveva provare lo stesso, perché anche gli estremi delle sue labbra erano sempre rivolti verso l'alto e le sue gote erano arrossate, un po' per l'emozione, un po' per l'affanno. Ed era bellissima, anche di più di quando l'aveva vista in quel vestito rosso, ora che non indossava altro che gli orecchini che lei stessa le aveva regalato. Quella notte si appartennero completamente, dolcemente, senza fretta perché tanto non esisteva altro che loro due.


 



 

Clarke tirò a sé il corpo caldo della mora, incrociando le gambe e facendo sbucare la testolina sopra la spalla, mentre con la mano le accarezzava debolmente il fianco.

-Octavia mi ucciderà- sussurrò ridendo piano.

-Perchè?- chiese Lexa, tenendo gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dall'altra.

-Abbiamo delle regole in casa. Non si possono portare ragazzi o ragazze a dormire – la informò, continuando a fare avanti indietro con le dita sulla sua gamba.

Lexa si voltò per poterla guardare meglio, appoggiando il capo su una mano.

-Bè sono la sorella del suo ragazzo, non può dirmi nulla!- affermò, facendole l'occhiolino. Clarke rise, allungandosi per baciarla.

-Hai ragione- confermò, guardandola ora negli occhi.

-Così partirai la settimana prossima ? -domandò a quel punto la mora, assumendo un'espressione più seria. Clarke si sistemò i capelli e annuì.

-Già..io ormai..- iniziò a dire, ma Lexa scosse il capo.

-Hey, non voglio interferire nella tua scelta. Però mi piacerebbe sapere quando tornerai – disse, dolcemente, sistemandole una ciocca che le era tornata davanti al volto.

-Tra sei mesi, circa – comunicò Clarke, stringendo poi le labbra in attesa di una reazione. Lexa non disse però nulla, annuì solo. -Mi aspetterai? - chiese Clarke, leggermente preoccupata. Lexa soffocò un risolino, cercando ancora una volta le labbra della giovane.

-Certo, idiota – confermò, mordendosi poi il labbro inferiore. Clarke sbarrò gli occhi, dandole una leggera spinta.

-Hey, l'idiota sei tu qui!- disse la giovane falsamente offesa. Lexa la guardò con un'espressione di sfida.

-Ah ah – la scimmiottò, scoppiando poi a ridere. Clarke chiuse gli occhi a fessura prima di avventarsi sulla ragazza e cercare vendetta, mentre la loro risata gioiosa riempiva la camera.


 


 


 


 


 

Salve! Siamo praticamente alla fine mi sa! Non ho nulla di particolare da dirvi su questo capitolo, spero però di avervi dato qualche gioia!

Grazie a chi recensirà e chi leggerà, al solito scusate gli errori!

A presto,

Tem_93

  
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