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Autore: callingonsatellites    13/08/2016    1 recensioni
L'aria fresca sulle braccia. Il sole che brucia negli occhi. Le gambe leggermente indolenzite, e una melodia sconosciuta che girava nella sua mente. Poi un forte dolore alla testa. E ora fissava quegli occhi color nocciola, e ogni domanda veniva annullata come se quei due pozzi scuri fossero l'unica cosa importante ed esistente, l'inizio e la fine di tutto.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aprì gli occhi.
Dejà vù.
Non riusciva ad alzarsi, aveva come la schiena bloccata.
 
‘Oh no. Qualunque cosa sia successo, fa che non mi si sia paralizzata’ fu il primo, terrorizzato pensiero che le attraversò la mente.
Provò ad alzare la testa. Si fissò per qualche secondo le punte dei piedi nascoste sotto le lenzuola bianche, chiedendosi per quale motivo fosse lì.
Poi, piano piano, vennero a galla immagini sfocate, come vecchie Polaroid che riemergono da un relitto affondato nell’oceano.
Una festa da sballo. Una notte stellata e una superficie fredda. Visi, visi … uh, sì. Già.
… musica.
Musica, una canzone. Una canzone di un gruppo punk prima che diventasse tutto nero …
 
-Boulevard Of Broken Dreams, dei Greenday!- buttò fuori tutto d’un fiato alzandosi di scatto.
Scena piuttosto buffa, davanti a sé aveva il viso da panda terrorizzato di un ragazzetto magro.
 
-Tutto … ok?- sussurrò Bill. Oh, bene, collegava i nomi. Buon segno.
 
-Uh, sì- sbuffò, ri-sprofondando nel cuscino.-è un esercizio che mi avevano insegnato tempo fa.
 
-Eh? Scusa ma non capisco- mormorò il ragazzo, sempre più confuso.
 
-Tempo fa … sì, cavolo, ecco! È già successo … sì, un … un anno fa. Ho battuto la testa- ricominciò ad elencare, tornando a sedere. -Ho avuto un’amnesia. Ho traslocato in un altro paese e non ho più pensato a … alla mia vita di prima. Giusto?- si voltò di scatto verso Bill, con gli occhi spalancati ad aspettare un’approvazione.
 
-Ehm … credo … credo di sì.
 
Kim si rilassò, e chiuse gli occhi. Poi li riaprì. –Uff. E stavolta cos’è successo?
 
Il vocalist fece una risatina. –Ci hai fatto l’abitudine, eh?
 
-Sì. Boh. Non so- assottigliò gli occhi. –Stavo … venendo da te. Stavo venendo a cercarti! Sì, per … oh, questo  non lo so.
 
Bill seguiva la scena, sempre più perplesso. Si disse di non intervenire, stava facendo tutto da sola.
 
-Tu non ne hai idea, vero?- si sentì domandare, dopo un po’.
 
-N…no- rispose, sentendosi un po’ inutile alla causa.
 
-Oh, vabbè. È più che sufficiente, per ora- dichiarò la ragazza, chiudendo gli occhi e accomodandosi sul materasso non troppo morbido.
 
Nella stanza calò il silenzio.
 
Bill era rimasto a bocca asciutta. Insomma, si aspettava di doverla rassicurare, di dover elencare cose come il suo nome, i nomi dei suoi familiari, cosa aveva fatto il giorno prima … invece aveva snocciolato tutto da sola. Certo, si era tolto una preoccupazione, ma ci era rimasto un po’ male. Come un Watson che rimane interrotto con l’indice alzato e le parole a mezz’aria da uno Sherlock che in quindici secondi ha già risolto il caso. Sì, Kim aveva la stessa aria trasognata e iperventilata di un detective nel suo palazzo mentale. Non poteva certo fargliene una colpa, in effetti. Si maledisse per aver anche solo potuto pensare di attribuirle un comportamento sgarbato.
 
-Bill- chiamò la ragazza dal letto, nel quale nel frattempo si era rivoltata un paio di volte.
 
-S…sì?- rispose lui, accigliandosi.
 
-Dove siamo?- borbottò lei con la faccia affondata nel cuscino.
 
Ah, ecco. Gli era sembrato fin troppo bello non dover rispondere a domande di questo genere. –A Magdeburgo, in Germania.
 
-Mh. Meno male.
 
‘Meno male?’ no, non era il genere di risposta che si aspettava.
 
-Avevo sentito i miei dire che … che saremmo tornati a Liverpool. Era solo un sogno- le parole uscivano timorose da sotto la massa di ciuffi blu sparpagliati a Medusa sul cuscino. Come se tentassero di rassicurarsi da sole. Ma la disperata domanda di approvazione e la totale mancanza di sicurezza si avvertivano fin troppo chiaramente nella falsa forza di quella voce.
 
Non si sentiva per nulla di dirle che non era un sogno. Aveva paura che potesse andare in panico.
Ma perché, poi, doveva esserci proprio lui, lì? Perché era corso immediatamente in ospedale non appena gli era arrivata la chiamata dall’operatore medico che aveva trovato il suo cellulare? Che poi che idiota anche quel tizio, chiama sua madre, non chiamare il primo sconosciuto che appare in rubrica. Perché aveva insistito a rimanere lì lui, mentre Karen (aveva ancora impressa nella mente la voce totalmente presa dal panico della madre, che blaterava di essere uscita per fare una commissione e di essere rimasta imbottigliata nel traffico, che si malediceva per non essere lì immediatamente, per averle detto in quel modo che sarebbero ripartiti, senza un minimo di tatto, e che sputava i peggio epiteti al corpo medico che non l’aveva chiamata immediatamente) arrivava? Che poi, erano passate già un paio d’ore, dove diavolo era finita quella donna? Possibile che le strade tedesche fossero così trafficate? O forse avevano deciso di lasciarla fuori. Chissà. Non spettava a lui farsi certi problemi, si stava dando un sacco di paranoie.
 
-Già … certo.
 
Non suonava per niente sicuro di sé. Non ci avrebbe creduto nemmeno un bambino.
 
-Bill?
 
-Sì?
 
-Non era un sogno, vero?- chiese Kim, rassegnata. Ecco, come non detto. Non era stato per nulla convincente.
 
-Ehm …
 
-Tranquillo, non è colpa tua. Non importa, davvero. Lo sapevo che qualcosa non andava.
 
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse pensando che sarebbe stato meglio non dire proprio niente. Ne avrebbero riparlato … magari fuori di lì. Che poi, perché doveva pretendere di riparlarne? Chi era lui, per dover sapere di queste cose? Non era suo fratello, né suo padre, né il suo ragazzo. Uh?
Con questo pensiero il suo viso già pallido scalò di altri dieci toni verso il bianco lenzuolo. Che le fosse mai venuta in mente una cose del genere? O era solo lui a perderci le notti? …
 
-Hey- fece di nuovo Kim.
 
-Sì?- certo che suonava proprio deficiente, a ripetere ‘Sì’ come un bambino quando quella che aveva appena preso una qualche sorta di trauma cranico era lì che gli diceva di ‘stare tranquillo’.
 
-Dimmi qualcosa di bello.
 
-Qual…cosa di b-bello?
 
-Sì! Dai, oltre alle tue paranoie da adolescente emo avrai qualcosa di bello da dire, spero. Ovvio, le paranoie da emo sono molto più interessanti. Chissà cosa penserebbero tutti i vostri fan se all’improvviso iniziaste a fare canzoni su com’è giallo il sole la mattina, o come sono buone le brioches a merenda con il caffè. Credo che non incrementerebbe le vostre vendite, eh?- la ragazza ridacchiò da sola. Forse era diventata matta. Meglio stare al gioco.
 
-Beh … in effetti sì. Hai ragione. Non sono per niente allenato a comporre pensieri felici. Uhm … vediamo … direi che … che Tom è molto bravo a suonare l’ukulele. E che ho appena detto una bugia grande come una casa.
 
-Perché, tuo fratello non sa suonare l’ukulele? Pensavo che fosse come suonare una chitarra.
 
-Infatti è come suonare una chitarra, ma più piccola. E Tom è impedito a fare le cose in piccolo. Non sai che disastro quando ha provato a dipingere. Tutto bene finché doveva spennellare il cielo d’azzurro. Ma con gli alberi in lontananza ha fatto un disastro. Gli tremava la mano in una maniera incredibile. Non oso immaginare cosa succederebbe se provasse a fare un tatuaggio a qualcuno.
 
-Non vorrei essere quel qualcuno.
 
-Direi di no.
 
Altro silenzio. Ognuno guardava nel vuoto davanti a sé.
 
-Basta?
 
-Basta cosa?
 
-Cose allegre. Sei davvero scarso- rise lei.
 
Bill divenne rosso. No, forse non era proprio allenato ad essere felice.
-Perché, tu sei davvero così brava ad essere felice?- chiese, tentando di sembrare ironico.
 
-Non lo so. Non me lo ricordo!- rispose stridula lei, alzando le spalle facendo la finta faccia dispiaciuta.
 
-Ha ha. Ti fa comodo, eh? Anche io voglio un trauma cranico allora. Scusa Tom, non mi ricordo dove ho nascosto i tuoi vestiti, dovrai girare per casa in mutande- recitò lui imitando il suo tono di voce.
 
-Davvero nascondi i vestiti a tuo fratello?
 
-Certo, chi non lo fa. Anche Georg non è da meno! Devo ammettere che è molto più bravo di me a trovare nascondigli impossibili. Ovunque: negli armadietti, nella custodia di qualche trombone abbandonato nei backstage … è un’arte.
 
-E nel frattempo Tom gira per il backstage in mutande?- Kim scoppiò a ridere, immaginando la scena.
 
-Precisamente. Adesso mi viene in mente quella volta che era sotto la doccia, e non aveva niente a parte l’asciugamano. Ge gli ha fregato pure quello, e lui è rimasto con solo la tendina di plastica, a urlare insulti a destra e manca, minacciando che se non gli avessimo riportato la sua roba si sarebbe impegnato per il resto della sua esistenza a renderci la vita un inferno. Ovviamente noi siamo rimasti fuori a sghignazzare come iene, e quando dopo un po’ si è messo a supplicare abbiamo deciso che sarebbe stato meglio ridargli l’asciugamano.
 
-E il resto?
 
-Il resto se l’è dovuto cercare da solo, e per poco una truccatrice non sveniva a vedere quel coso bagnato girare per il posto mezzo nudo.
 
-Certo che siete proprio perfidi.
 
-Sai com’è, sono così triste che non posso fare a meno di comportarmi male con mio fratello- si scusò Bill, facendo la faccia da cucciolo bastonato.
 
Kim stava per dire qualcosa, quando vennero interrotti dall’aprirsi della porta. Entrò un uomo in camice bianco, con gli occhiali bassi sul naso e una cartella in mano.
-Oh, piacere di vederti ben sveglia, Kim. Tua madre vorrebbe parlare con te.
 
Spostò lo sguardo su Bill, seduto su una sedia a un paio di metri dal letto. –Preferirebbe che foste sole- aggiunse, accigliato.
 
-Oh. Certo. Tolgo il disturbo- il vocalist uscì, e il medico richiuse la porta dietro di lui. L’ “aspetta” di Kim rimase a mezz’aria.
 
#
 
Karen scostò appena la porta. –Tesoro?
 
-Mamma?
 
Entrò piano nella stanza, richiudendosi dietro la porta. –Oh, tesoro- sussurrò, prima di fiondarsi –delicatamente- addosso alla figlia. –Oh, tesoro. Scusa, scusa se non sono arrivata subito.
 
-Mh … mamma … non importa. Sto bene.
 
Si scostò guardandola negli occhi. –Sei sicura? … non ti fa male la testa?
 
-E’ ovvio che mi fa male la testa … ma sto bene. Ti giuro.
 
Tornò a stritolare la ragazza come se non ci fosse un domani. –Oh mio Dio, meno male che stai bene.
 
-Uhm … sì, mamma. Puoi anche stare tranquilla. Non credo di essermi fatta niente.
 
-Beh, questo non saprei. Dovremo attendere qualche esame.
 
-Uhm. Già. Ma io sto bene.
 
Karen sorrise. Abbassò lo sguardo, e il suo sorriso si spense in una smorfia pensierosa.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito e si spalmò in faccia il sorriso più convincente che riuscisse a venirle.
 
-Beh, allora …
 
-Mamma- la interruppe Kim.
 
-Sì?
 
Prese fiato. Ma quando alzò lo sguardo, decise che era meglio di no. Anzi, si può dire che davanti agli occhi supplichevoli della madre decise che era meglio risparmiarle almeno questa, per il momento.
-Dov’è papà?
 
Il viso contorto dalla preoccupazione di Karen sembrò perdere dieci anni. – Oh, sta arrivando.
 
 
Ciao brave persone che stanno ancora leggendo. Credo di poter dire che questi saranno gli ultimi capitoli. Sì, dai, non manca molto.
(?)
E allora, come ve la state passando l’estate? … io ad ascoltare musica a caso. Tipo, la mattina mi alzo e decido che ho voglia di punk. La mattina dopo ho voglia di sentirmi hipster. Insomma, sono molto decisa sul mio stile. Yea.
… ok, ho capito, giusto. Non vi disturbo più. u_u
Buon ferragosto, felici camicie da boscaiolo e una car radio a tutti -e scusate per il capitolo un po' così, e per il titolo abbastanza senza senso, vi prometto ch per il gran finale farò di meglio-!! :D               Lisa^^
   
 
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