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Autore: NinfeSullaTerra    13/08/2016    1 recensioni
Cherly è una delle migliori studentesse della Collen. Finchè un'insegnante di diritto penale non si rivelerá essere molto più di questo. Cherly ed altri tre ragazzi verranno quindi selezionati per intraprendere un tirocinio da lei. Un'occasione da non perdere.
Alcuni moriranno, altri si faranno male, ma nessuno ne uscirà illeso; ma, per fortuna, ci sarà Mattero a rendere il giorni di Cherly più luminosi.
O forse no.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Arrivai in aula convinta di essere in ritardo. Non avevo nemmeno il coraggio di 
controllare l'ora sul cellulare. Mentre correvo l'aria pungente mi entrava nelle 
narici, glaciando il mio setto nasale. Avevo una sciarpa di lana rossa avvolta al 
collo, come un serpente che si attorciglia ad un ramo, e indossavo un cappotto nero di 
pelle lavorata, pesante, forse troppo. Mi accorsi di star sudando, ma continuavo
a correre più veloce che potevo.

Non potevo fermarmi, questa era l'unica cosa che in questo preciso momento non 
potevo permettermi. Stavo sfidando il tempo e, come un treno in corsa, evitavo ogni 
fermata, rendendo la mia corsa veloce e costante.
Non appena arrivai in cima alle vecchie e grandi scalinate che portavano 
all'ingresso dell'aula di diritto allungai il collo timorosa, per vedere se la lezione fosse 
già iniziata. Per fortuna vidi  ancora tutti in piedi e, con una mano sul petto per controllare i battiti veloci del mio cuore, un sospiro di sollievo mi uscì involontariamente.

 Appena varcai la soglia dell'aula però, la massa di studenti si affrettò a sedersi.

L'azione si svolse nello stesso momento e, come robot, tutti si curarono di tirare 
dietro di loro la sedia e sistemarsi meglio davanti al banco.
Erano appena le nove del mattino e la professoressa Collen, docente di diritto 
penale, entrò in aula. 

Era una donna elegante, così tanto che a volte questa sua caratteristica portava 
ad invecchiarla di qualche anno. Non credevo avesse più di una quarantina d'anni, 
però a giudicare dal suo modo di fare e dal suo abbigliamento, osavo darle 
almeno dieci anni in più. La testa alta e la postura perfettamente eretta le 
davano un'aria superiore. I tacchi rimbombavano nella classe, il ritmo era
costante, finché non raggiunse la cattedra. Il rumore delle scarpe che 
attraversavano l'aula era ipnotizzante, il ritmo dei suoi passi era come un rubinetto 
che sgocciolava, lento e angosciante, e le braccia che faceva dondolare lungo i fianchi 
trasmettevano forza e determinazione.
<< Seduti, ragazzi. >> Esclamò senza alzare gli occhi su di noi, appoggiando la sua borsa in pelle nera sulla cattedra. Infine ci scrutà con attenzione, uno ad uno, poi afferrò il gesso e voltandosi verso la lavagna iniziò a scrivere "test". Un borbottio si propagò fra gli studenti. 
<< Oggi faremo un test. Quelli che lo supereranno con i risultati migliori avranno l'opportunità di svolgere il loro tirocinio nel mio studio. Buona fortuna a tutti. >> 
Una ventata di caldo mi infiammò il volto, non avevo studiato nulla per quel test, d'altra parte non sapevo nemmeno di doverlo fare.

Un'ansia mi pervase il corpo e le parole della donna risuonavano come 
un'allarme: non sapevo se cel avrei fatta. 
Non volevo mostrami al primo impatto come una persona che non aveva aperto libro 
per questa occasione. Ma forse, da un lato, dovevo aspettarmelo. Era una donna 
imprevedibile, con tanto potere fra quelle secche dita e magre mani che 
cominciavano a essere segnate dall'età.
Ora dovevo sforzami, dovevo usare tutte le risorse che avevo per farcela. La Collen era 
uno degli avvocati più richiesti del paese, fare tirocinio da lei 
significava avere un lavoro assicurato; gli alunni, ormai laureati, che avevano
fatto tirocinio nel suo studio erano come un pezzo di carne per gli avvoltoi. 

Fino ad un mese fa avrei voluto mollare tutto. Molti ragazzi della mia età 
arrivati a questo punto della loro vita avevano già un lavoro fisso, una casa 
loro o una famiglia, mentre io rincorrevo ancora il sogno di diventare avvocato.
Dovevo cominciare ad aprire gli occhi e, con determinazione, cercare di 
prendere un posto nella società.

Forse quella è un'occasione vera e propria.

Probabilmente avevo lo sguardo perso nel vuoto per le mie riflessioni perché, senza 
accorgermene, mi ritrovai davanti il foglio con le domande.
Uno stupido foglio di carta, macchiato d'inchiostro, che in questo preciso 
istante sembrava avere in mano tutto, compresa la mia sicurezza.
La paura cercava di farsi spazio tra le mille emozioni che si affollano dentro 
di me ma cercai, con buoni risultati, di lasciarla nel profondo della mia anima.
Feci un respiro e chiusi per un secondo gli occhi che penetravano nel buio 
grazie alle palpebre che, come un muro, mi isolavano dalla realtà.
Li riaprì e misi a fuoco ogni singola lettera stampata su questa superficie 
bianca.
Iniziai subito a leggerle.
D'un tratto tutto svanì, l'ansia e la paura si trasformarono in 
determinazione. Se inizio a temere di non farcela è proprio così che andrà a 
finire.

Era una sequenza di sette casi, molto lunghi, circa otto pagine l'uno. Erano
molto contorti da risolvere. Mi accorsi subito che non erano domande per le 
quali sarebbero serviti mesi di studio. La professoressa voleva solo testare fin 
dove la nostra mente poteva spingersi. 
Furba.
Quando arrivai al quarto caso erano già passate due ore e mezza, ma la curiosità 
mi fece proseguire senza fermarmi. La mano mi duoleva per il troppo scrivere, ma la concentrazione era così alta che mi sentivo isolata da tutto e da tutti, pure dal dolore fisico e mentale.
Alcuni alunni uscirono per fare una breve pausa di cinque minuti, ma io no. 
Rimasi concentrata per finire tutto per risolvere i casi come meglio credevo. Mi lasciai guidare dal mio istinto e ormai non facevo più caso a ciò che mi circondava.
Ero in una bolla, dentro alla quale c'ero solo io, il foglio e la penna. E la mia determinazione.

Quando finalmente finì anche il settimo caso, erano già passate cinque ore. 
Le lancette si muovevano molto lentamente e mi indicavano effettivamente il tempo 
che era stato come un mio rivale, ma adesso avevo vinto io. L'ho battuto. Buffo battere il tempo eh? 
Sembrava che qualcuno mi avesse messo il cervello nel frullatore. Alzai lo 
sguardo, che era stato fisso sui fogli per ore. La mia vista era annebbiata, come se mi fossi appena svegliata da un sogno, ma poco dopo si ristabilì, mettendo a fuoco il volto della Collen. 

Per sbaglio, incrociai il suo sguardo, che abbassai subito, facendo finta di nulla.

Adesso eccolo, il mio test era finito. Non ero certa di aver dato il massimo, ma 
neanche di aver fatto così schifo. Avrei potuto fare meglio se solo avessi avuto la 
possibilità di fare con più calma.
Afferrai la mia borsa con le mani tremanti, a causa del continuo scrivere, e mi 
diressi verso la cattedra, scesi i gradoni e consegnai il test. La professoressa 
mi osserva, mi fece un sorrisetto compiaciuto con le sue labbra sottili e rosse
come ciliegie, ma evitai di darle corda ed uscì dall'aula. 

La professoressa Collen era una donna che non conosceva paura, lo si vedeva dal suo 
sguardo, non riuscivi mai a capirla attraverso quei suoi piccoli occhi azzurri 
come il ghiaccio. Sono impenetrabili, ma nello stesso tempo avresti potuto rimanerci 
intrappolato, come nelle sabbie mobili: più cercavi di uscirne, più queste ti 
trascinano verso il fondo, fino a soffocarti. Diceva sempre che a noi avvocati 
non serviva sapere se il nostro cliente era colpevole o meno, a noi bastava
avere un alibi di ferro, demolendo le prove che avrebbero potuto farci perdere le 
cause.

Astuto no? 

Uscì dall'Università e mi diressi verso il mio appartamento, che si trovava
abbastanza vicino. Debora ed io avevamo deciso di affittarlo insieme, così da 
poter dividere le spese; le abitazioni vicino alle università sono sempre  state molto 
costose. 
Agguantai il mio mazzo di chiavi ed entrai. Sentì Debora parlare al telefono, 
sembrava euforica. Mi soffermai affianco a lei per notare il suo nuovo colore di 
capelli, era un nero corvino, ma grazie alla luce del sole che entrava dalla 
finestra e la illuminava, riuscivo a notare qualche riflesso blu. Dopo quale minuto 
riattaccò. Mi notò, rivolgendomi un gran sorriso, segno che aveva qualche notizia 
entusiasmante da dire.
<< Io e te. Domani. Andiamo ad una festa >> disse puntandomi il dito contro.
<< Bello il nuovo colore >> esclamai forse troppo vivacemente, cercando di sviare il discorso, facendo finta di non aver udito la frase precedente.
<< Ti piace?! Grazie! Ma non cambiare discorso. Domani alla festa ci vieni! 
Punto. Fine del discorso. >> 
Si distrasse per un attimo, e prima che potesse sentirmi sollevata, riattaccò.
<< Mhh, non so, dovrei studiare sai... >> Cercai di convincerla, per quanto mi fosse possibile.
<< Questo indirizzo di scienze sociali è davvero tosto. Dai non puoi non 
venire. >> disse, in tono di supplica. I suoi grandi occhi si addolcirono e mi scrutano, in attesa di una risposta e al tempo stesso cercando di corrompermi. Sapevo che non si sarebbe arresa facilmente, si accontenterebbe di sentirmi dire di sì per sfinimento.

Scienze sociali, a te e a tutti gli altri ho detto così ma in realtà sto per 
diventare un avvocato.

La professoressa all'inizio del corso, dopo il test d'ingresso, mi aveva detto 
che era preferibile se avessi mantenuto l'anonimato perché mi avrebbe tenuto 
d'occhio e, se gli fossi piaciuta, mi avrebbe fatta entrare nella sua squadra, il 
che era molto entusiasmante... Quindi avevo accettato. Che mi fregava di tutti gli 
altri? Una piccola bugia non avrebbe fatto male a nessuno, no? Infondo, nessuno 
sapeva che avevo fatto il test, ne avevo fatti molti in realtà, come quello di 
psicologia a cui non ero riuscita ad entrare, o a medicina, che era stato un 
fiasco.
Avevo sempre temuto che la Collen avesse ritoccato il mio test d'ingresso, l'ho 
sempre ipotizzato. Non ero molto colta, non ero un piccolo genio; ero soltanto 
astuta, intelligente. Riuscivo a vedere cose che altri non vedevano come i particolari e le piccole sfaccettature, è una dote che ho sempre avuto e tutti lo hanno sempre saputo. 

Come quella volta a scuola, quando la nostra professoressa di italiano aveva deciso che per attirare la nostra attenzione era meglio farci leggere dei brani gialli. Il nostro compito era quello di scoprire l'assassino, e l'unica che riusciva sempre a risolverli ero io.

 Per me erano facili, lo ammetto, ma non perché sapessi cose in più degli altri, ma perché guardavo le cose con occhi diversi, con occhi che nessuno aveva mai capito. Da quel giorno tutti mi hanno etichettata come "secchiona" anche se io ,della secchiona, non avevo proprio nulla.

Col tempo io e la professoressa Lovati delle superiori ci eravamo avvicinate 
molto, anche riguardo ai miei problemi a casa. Mi ci confidavo spesso e credo sia 
stata proprio lei a raccomandarmi alla Collen, ma se fosse davvero così, allora 
non mi meritavo nulla. Non mi piaceva pensarla in questo modo, quindi restavo zitta, 
forse per paura di scoprire la verità, ovvero che da sola non so fare nulla.
<< Cherly! Pronto? Ci sei? >> 
Notai che mi stava fissando e attendeva, impaziente, una mia risposta.
<< Si si, okay forse vengo. >> cercai di concludere il discorso in modo 
sbrigativo. Sapendo di non poter sfuggire da lei.
<< Senza forse. >> aggiunse lei decisa.
Era difficile dire di no a Debora. Lei adottava il proverbio: se non è 
Maometto che va dalla montagna, la montagna andrà da Maometto. Non mi sarei 
affatto stupita se avesse trasferito quella festa qui da noi solo per farmi un 
dispetto.
Anche questa volta lei era riuscita a convincermi e io avevo di nuovo ceduto. 
Le cose dovevano cambiare viste da questa prospettiva...

*

Il giorno dopo vennero appesi in bacheca i risultati dei test. Quei maledetti 
e semplici numeri ci indicavano se eravamo passati o meno e con quale votazione. 
 

Troppo potere per essere solo cifre. 

Mi svegliai senza fatica e in realtà quella notte avevo dormito serenamente. Nonostante tutto non avevo molte preoccupazioni perché probabilmente non riuscivo ancora a metabolizzare la cosa: oggi avrei letto il mio risultato e da quello avrei capito o meno se sarei passata al tirocinio con la professoressa. 

Salii in macchina dirigendomi verso l'università. Il traffico invadeva già le strade che, man mano che il tempo scorreva, si affollavano di persone dirette ognuna verso il proprio scopo mattutino.

Con passo accelerato andai a controllare il mio punteggio. Le gambe mi 
tremavano un pochino, forse per l'agitazione e il mio respiro non era granché 
regolare a causa della mia camminata piuttosto frettolosa compiuta poco prima. 
Una massa di studenti era accalcata davanti al tabellone, come dei bambini di 
fronte al negozio di caramelle. 

Mi feci spazio per passare, a fatica. Cercavo di rendermi piccola piccola per passare tra un corpo e l'altro, dando varie spallate. Si alternavano i miei "scusa" ai "ma sta' un po' attenta!". Dopo qualche sforzo riuscii ad arrivare davanti al famoso e tanto atteso tabellone. Sospirai, ricomponendomi, poi scorsi col dito per cercare il mio nome. Lo trovai: Cherly Padovani = 98%.

Il mondo si fermò, il tempo si fermò, il mio respiro si fermò, i miei battiti 
si fermarono. L'unica parte del corpo che si muoveva erano le mie palpebre: su 
e giù, su e giù, per lo stupore. Com'è possibile?
Ero davvero io? Quello era il mio nome? Quello era il mio risultato?
Ricontrollai per sicurezza almeno due volte per assicurarmi di non aver 
sbagliato riga: il cuore batteva all'impazzata. Rimasi qualche secondo a 
fissare il mio punteggio. Non avevo sbagliato a leggere. 
Sentivo gli occhi degli altri fissi su di me, ma mi sembrava di essere da 
sola. Li, al centro del corridoio, nella totale solitudine. Tutti i suoni erano 
attutiti, tutte le frasi di stupore non arrivavano dritte al mio senso 
uditivo. C'ero solo io e nessun altro.

Quando entrai in aula, per iniziare la lezione, ero ancora sconcertata ed incredula. 
Comunque sia, credo che non sia stato merito della professoressa Lovati. La 
Collen era lì seduta alla cattedra, il ché era molto strano visto che nessuno 
l'aveva mai vista seduta. Un giorno sentii delle ragazze dietro di me che 
spettegolavano su di lei, secondo loro non si sedeva mai per evitare che la sua 
gonna attillatissima si strappasse. Colpa del suo protuberante fondo schiena? 
Probabilmente si. In quell'istante mi immaginai tutta la scena. Se fosse 
successo veramente, sarebbe stata sulle pagine di tutti i giornali. 
"Avvocato di grande fama rimane in mutande dopo essersi seduta su una sedia ". 
Risi per la battuta dentro di me, ma ero troppo presa da altre emozioni 
sovrastanti che la risatina era del tutto inesistente e repressa nell'angolo 
più remoto del mio cervello.
Dopo che tutti ebbero preso posto, l'unico suono che riuscii a udire fu il 
ronzio di una mosca, fino a quando la Collen non iniziò a parlare.
<< I quattro allievi che hanno avuto un punteggio sopra la media restino. Gli 
altri possono uscire e tornare per la prossima lezione. >> sentenziò risoluta,
con l'espressione seria e inespressiva.
Il cuore perse il suo ritmo irregolare per lasciarsi ai battiti accelerati, come un cavallo che parte al galoppo, e appoggiai una mano sul petto cercando di calmarlo.
Alcuni sbuffarono, altri si alzarono senza dire una parola. Pian piano l'aula 
si svuotò e rimanemmo solo in quattro. Gli altri tre ragazzi che rimasero li 
vedevo sempre studiare nel cortile dell'università, ma non avevo mai avuto occasione di parlarci.

Ci avvicinammo alla cattedra il più silenziosamente possibile. La 
professoressa si appoggiò alla sedia ed iniziò a parlare.
<< Voglio subito mettere le cose in chiaro: vi ho sempre tenuti d'occhio voi 
quattro e voglio che lo sappiate: insieme sarete una squadra invincibile, per 
il semplice fatto che vi compensate l'uno con l'altro. Se accettate di diventare miei assistenti, non avrete vita facile. Dovrete fare cose che magari non vi piaceranno, magari anche illegali, e se pensate di non riuscire a farcela... È meglio dirlo subito. >> disse guardandoci dritto 
negli occhi uno a uno. Dovrei infrangere la legge? Dovrei fare cose che 
potrebbero non piacermi? A quale scopo?
<< E noi cosa ci guadagniamo? >> chiesi io. Lo sguardo di tutti si fissò su di 
me. 
<< Oltre che un attestato in più alla fine dell'anno, la mia assistente 
verserà su ognuno dei vostri conti 15.000 euro ogni mese. Ma questo solo se sarete 
proficui. >> 
Tacqui, per la sorpresa.
Erano tantissimi soldi, che avrei potuto mettere da parte per fare 
tantissime cose. Da un lato mi sentivo privilegiata, ma dall'altro sapevo di 
correre un grosso rischio, sarei anche potuta finire in carcere. Ma forse lo 
aveva detto solo per preparaci al peggio, nel caso fosse successo.
<< Bene, io ci sto. >> disse il ragazzo dal ciuffo rosso ribelle. Era un tipo 
abbastanza magro, la sua t-shirt scolpiva bene i muscoli delle braccia. Era 
immobile, lo sguardo quasi assente, ma sapevo a cosa stava pensando; d'altra 
parte, ero nella sua stessa situazione. La professoressa guardò la ragazza 
affianco a me, che era ancora sospettosa.
<< Cosa devo fare per convincerla signorina Accurso? Se vuole ci sono altri 
cento studenti a cui posso chiedere per sostituirla. >> continuò l'insegnante. 
I suoi capelli erano così lisci, lucidi e neri, così ben curati che nessun 
ciuffo si azzardava a ribellarsi. Il suo eyeliner era perfettamente disegnato e 
il suo rossetto rosso le illuminava il volto. La osservai nella sua perfezione 
e nel suo ordine. Sembrava avere tutto sotto controllo, a differenza mia. Aveva 
indosso una gonna di colore viola che mi piaceva particolarmente. Abbassai lo 
sguardo per controllare se anch'io ero in ordine. Indossavo una felpa larga e 
dei jeans con le All Stars. In confronto a lei sembravo una scappata di casa .
<< Accetto, sono con voi. >> rispose interrompendo i miei pensieri. Adesso era 
il mio turno. 
<< Anch'io. >> il ragazzotto robusto che era rimasto abbastanza indietro 
fece un passo avanti per dare anche lui la sua conferma. Ora è fatta, sono 
nella tana del lupo.
Incrociai per qualche istante lo sguardo della Collen: i suoi occhi erano 
pieni, non avevano timore come i miei, che a differenza 
sua erano insicuri e pieni di paure. I suoi erano dei ghiacciai che non si 
scioglievano mai, ed io in quei ghiacciai trovai la mappa della strada che 
avrei dovuto percorrere. Sarebbe stata la cosa migliore, o la cosa peggiore, 
nessuna via di mezzo.

*

Tornai a casa ricordandomi che quella sera avevo detto a Debby che sarei 
uscita con lei, anche se in realtà aveva fatto tutto da sola.
<< Sei tornata finalmente! Mangiamo un boccone e prepariamoci. >> Mi accolse 
entusiasta. Io lo ero un po' meno, ma le sorrisi comunque. Preparai della pasta mentre lei si provava dei vestiti.
<< Tu cosa metti? >> mi chiese lei.
<< Non lo so pensavo a qualcosa di semplice. >> risposi vaga, con un alzata di spalle. Non ci avevo ancora pensato, sinceramente era l'ultima delle mie preoccupazioni.
Mi lanciò un vestito nero e dei tacchi vertiginosi.
<< Proprio no! >> le dissi io categorica.
<< Non fare storie. >> continuò lei, con fare sempre più dittatoriale. Quando diventerò avvocato e 
inizierò ad andare in aula per i processi, non potrò andarci con le tennis. 
Decisi quindi di mettere il vestito e le scarpe che mi aveva dato Debora, per 
iniziare ad abituarmi.
Uscimmo chiudendo la porta, salimmo sulla sua macchina e percorremmo qualche 
isolato per poi arrivare a destinazione.
Fuori dalla casa vi erano dei ragazzi che stavano bevendo. La musica mi 
trapanava le orecchie e mi veniva già voglia di andarmene, non amavo questo 
genere di feste. Non amavo le feste in generale, ma Debora si. 
Entrammo in casa e Debora rintracciò subito delle sue amiche: erano tre 
ragazze molto belle, i soliti tipi che erano all'università solo per costruirsi 
una solida vita amorosa con qualche avvocato di successo. Si vedeva da 
chilometri di distanza che erano delle oche. 
<< Ti spiace se andiamo a farci una birra? Torno subito >> mi chiese Debby.
Risposi di sì con un cenno del capo. 

Debora quando era con le sue amiche si trasformava in un'altra persona, con me 
era sincera e non fingeva di essere come quelle oche. Era una ragazza molto 
bella ed attirava molti ragazzi. Non sapevo perché andasse con tutti loro, 
probabilmente perché lo facevano anche le altre. Per questo motivo la ritenevo 
una mia cara amica, però nulla di più, per certi versi era meglio tenerla 
all'oscuro di tutto, nel caso le fosse saltato in mente di parlarne con una di 
quelle là. 
Ero in un angolo del salotto, non sapevo di chi fosse quella casa e non ero 
abituata così, a infilarmi in casa di persone che non conoscevo. Iniziai ad innervosirmi, lo capivo dall'eccessiva sudorazione nella parte sotto il naso, 
appena sopra le labbra, era il primo punto in cui sudavo.
Iniziai a percorrere il lungo corridoio che affiancava il salotto e la cucina, cercando qualcosa da fare.
C'erano dei ragazzi che si baciavano ovunque, ne riconobbi alcuni visti 
all'università, quella sì che era un'intensa notte di studio. Riconobbi alcuni 
della facoltà di legge, nel mentre mi avvicinai al tavolino su cui erano appoggiate 
bevande e stuzzichini, così presi una birra. Mi soffermai ed iniziai a 
guardarmi attorno. Il degrado era davanti ai miei occhi: ragazzi che fumavano e 
si facevano di anfetamina, e alcuni erano già completamente fatti, altri invece 
sembrava che si stessero per accoppiare, quasi fossero animali. 
Non passerò la serata da sola in questo bordello. Mi stavo già infuriando, ed 
avevo voglia di andarmene. La calma iniziava a svanire, così iniziai a 
girovagare per la casa come un'anima in pena. Cercai il bagno, avevo bevuto 
troppa birra, quindi mi scappava tantissimo. Quando arrivai al piano di sopra non c'era 
quasi nessuno. Avvertii solo qualche gemito provenire dalle due porte alla mia 
destra, per fortuna erano chiuse!
<< Cosa fai? >> sentii una voce roca e calda: maschile. Mi voltai di scatto 
perché proveniva dalle mie spalle.
<< Cerco il bagno>> risposi imbarazzata. I suoi occhi mi intrappolarono: 
grigi come il cielo prima della tempesta e verdastri come le foglie secche che, 
finito l'autunno, cadono dagli alberi. La sua piccola fronte accoglieva dei 
ciuffi cadenti di colore marrone scuro, quasi nero. Le sue labbra, piccole ma 
carnose, stavano per sospirare qualche parola che molto probabilmente non avrei 
capito. Avevo ancora molto da scrutare.
<< Sempre dritto poi a destra.>> Ritornai alla realtà grazie al suono della sua voce, il che era un poco imbarazzante.
<< Okay, grazie. >> risposi io, incamminandomi verso il bagno e dandogli le 
spalle. 
<< Non ti ho mai vista da queste parti, sei un'universitaria? >> mi chiese il 
ragazzo.
Okay, vuole continuare a parlare. Mi fermati, voltandomi leggermente giusto per rispondergli.
<< Si, però non esco molto >> risposi sbrigativa.
<< Comprensibile. Che indirizzo frequenti? >> continuò curioso. Continuai a 
camminare mentre lui si affiancò a me: era arrivata l'ora della fatidica 
domanda.
<< Scienze sociali, tu? Vai all'Università? >> chiesi a mia volta.
Cavolo! E se lui frequenta scienze sociali? 
<< Io faccio filosofia, ma gioco anche a football americano in serie B. >> 
rispose con aria superiore. Annuii col capo. Nel frattempo ero arrivata davanti alla porta del bagno. 
<< Comunque piacere io sono Matteo. >> disse, porgendomi la mano.
<< Cherly. >> Strinsi la sua mano. << Beh, io adesso entrerei.. >> cercai di 
congedarmi nel modo più cortese possibile, sorridendo, sperando di risultare educata.
<< Da sola? >> chiese guardandomi con sguardo malizioso. No con la nazionale 
al seguito, che ha in mente questo?
<< Ovviamente. >> risposi seccata.
<< Peccato. >> Vuole un bel pugno? Però mi anticipò, e con un sorrisetto da 
pervertito se ne andò.
Uscii dal bagno. Dopo aver chiuso la porta mi voltai trovandomi davanti la 
ragazza anche lei selezionata dalla Collen: quella con la coda di cavallo ben 
fatta. Però nella scorsa occasione aveva i capelli sciolti, ma ciò nonostante 
era sempre molto in ordine, quasi dovesse andare ad un matrimonio.
Eravamo l'una davanti all'altra, ma nessuna delle due si azzardò a salutare 
per prima. Poi una voce che proveniva dalle scale la chiamò. 
<< Rachele scendiamo di sotto? >> lei rispose con un cenno e se ne andò con 
l'altra ragazza, scendendo la scalinata, diretta al piano inferiore.


*

Decisi di cercare Debora. Volevo andarmene, dopo la giornata intensa ero 
estremamente stanca, però non riuscivo a vederla da nessuna parte. Così iniziai 
a bere della coca cola sedendomi sui primi gradini delle scale.
La mia mente continua a tormentarmi, proprio non ci riuscivo a non pensare al 
mio futuro. Chi diventerò? Un'assassina? Fin dove sono disposta ad arrivare 
pur di raggiungere la vetta più alta? A volte vorrei essere come i ragazzi: 
loro non pensano alle conseguenze delle loro azioni, perché vivono nel "qui ed
ora"... Quel che succederà dopo adesso non conta, conterà solo quando ormai 
sarà il presente.
Molti vivono sotto questo punto di vista vivendo in quel bizzarro mondo, che 
in fondo non era tanto diverso dal mio.
Individuai Debora mentre parlava con un ragazzo biondo. Mi diressi verso di 
lei per farmi vedere e speravo di farle capire che me ne volevo andare. Però 
mentre mi stavo per avvicinare, qualcuno mi bloccò il braccio. 
<< Fatto pipì? >> Mi voltai di scatto incrociando lo sguardo di Matteo.
<< Ti piace apparire dal nulla? >> chiesi scocciata, liberandomi dalla sua presa.
<< Sei sempre rimasta da sola. Pensavo volessi compagnia >> rispose, 
infilandosi le mani nelle tasche.
<< In realtà sono venuta con una mia amica. >> risposi. Lanciai uno sguardo 
verso Debora, la quale stava ancora parlando col ragazzo.
<< Allora? Vuoi stare qua a brontolarle o vuoi venire con me? >> chiese 
continuando a tenermi per il polso.
Che intenzioni ha? È un maniaco? Per fortuna non dimentico mai di uscire senza 
il coltellino che mi ha regalato nonno quando avevo cinque anni. Lo so, sembra 
una cosa da pazzi, ma si può rivelare un oggetto davvero importante in certe 
occasioni.
<< Dove vorresti andare? >> gli chiesi e lui fece un sorrisetto compiaciuto.
<< Dai, seguimi, non ho intenzioni strane. >> rispose esortandomi a seguirlo. Si 
fece largo tra la folla mentre io rimasi dietro di lui. Presa dalla curiosità lo seguii, ed uscimmo in giardino 
passando vicino alla piscina.
<< We bello! Com'è? >> gli chiese un ragazzo battendogli un pugno sulla 
spalla.
<< Tutto bene, ci si vede dopo. >> rispose per poi lanciarmi un occhiata per 
controllare se c'ero ancora. Poi si voltò e continuò a camminare in silenzio. Quando 
finimmo di attraversare il giardino, ci sedemmo su una panchina. 
<< Questa è casa tua? >> gli chiesi ad un certo punto.
<< Cosa te lo fa pensare? >> chiese lui a sua volta.
<< Dicevo per dire. >> risposi alzando le spalle in gesto di innocenza.
<< No, è la casa del mio migliore amico, il bel biondone che stava parlando 
con la tua amichetta. >> rispose guardandomi e sorridendomi. Quindi era questa 
la sua intenzione? Lasciare il suo amico solo con Debora? 
<< Ah okay, ora io dovrei andare a casa, domani ho un esame. >> mentii.
<< Dai, resta ancora. >> mi pregò, avvicinandosi pericolosamente.
<< No, vado. >> insistetti.
<< Lo so che è una scusa. Guarda che non voglio andare a letto con te. Voglio 
dire, sei molto bella, ma le mie intenzioni sono altre. >> sostenne lui alzando 
le mani.
<< Ah si? E quali sarebbero le tue intenzioni? >> chiesi, alzando un 
sopracciglio poco convinta.
<< Voglio conquistarti, quindi preparati perché sarai mia! >> mi stava guardando dritto 
negli occhi, evidentemente sicuro di se. Ma è scemo? Ma io mi chiedo se a volte 
la gente ha un cervello e un po' di buon senso!
<< Non mi conosci neanche, credo che tu abbia bevuto troppo. >> conclusi,
trattenendo a stento una risata.
<< Voglio conoscerti. >> insistette lui.
<< Non prendere decisioni affrettate. >> dissi scuotendo la testa in segno di 
disaccordo.
<< Esiste una cosa chiamata "colpo di fulmine", sai? >> continuò lui.
<< Sì okay, ciao, il tuo colpo di fulmine se ne va. >> mi affrettai a finire 
quella conversazione.
Con uno scatto mi voltai e me ne andai velocemente, per non farmi seguire e raggiunsi Debora che 
era seduta a bordo piscina, insieme al ragazzo di prima. 
<< Devo andarmene. >> esordì io, frettolosa.
<< Okay, dammi un minuto. >> feci un cenno di approvazione con la testa e mi 
diressi verso la macchina.
Dopo pochi minuti Debora mi raggiunse.
<< Perché quella faccia? >> mi chiese,nel tragitto verso casa. Le raccontai 
cos'era successo. 
<< Conosco Matteo, ci prova con tutte. >> Sostenne Debby.<< Cerca solo 
qualcuna da portarsi a letto. >>
Ecco, come immaginavo...
Arrivammo a casa. La prima cosa che feci fu togliermi quei tacchi 
scomodissimi, poi indossai il pigiama e mi misi a letto, esausta. Non ci volle 
molto prima che il sonno prese il sopravvento.

Il suono della sveglia mi trapanò il cervello. Mi cambiai in fretta per andare 
a fare colazione insieme a Debora, ma la mia testa era ancora in modalità stand-
by... Avevo dormito di sasso ed avevo ancora lo sguardo annebbiato, ma appena 
uscii dal bagno senti delle voci provenire dal soggiorno. Il mio cervello si 
riattivò all'istante, i miei occhi misero a fuoco.
Vidi Debora parlare con l'amico di Matteo.

<< Hey Cherly io vado a mangiare qualcosa con lui e poi a lezione. Ci vediamo più 
tardi!. >> mi salutò la mia coinquilina. Scaricata un'altra volta. Aveva un 
meraviglioso sorriso stampato sul volto.
<< Comunque piacere, io sono Andrea. >> Il biondino decise di presentarsi,
porgendomi la mano da stringere.
<< Ciao. >> risposi seccata, lasciando che restasse lì con la mano rivolta 
verso di me.
<< Ho detto a Matteo che venivo a rubarti Debby quindi lui ha detto che 
sarebbe venuto qui a tenerti compagnia. >> aggiunse sorridendomi ed abbassando 
la mano tesa.
Ma cosa... ?
Questa me la paghi biondino.
<< Non ce n'è bisogno. >> dissi io secca e dritta al punto. Non ho bisogno di 
qualcuno che mi tenga compagnia!
<< Credo sia già qui. >> concluse lui con fare divertito.
Mi affacciai alla finestra. Intravidi un' ombra scendere da un'auto nera 
sportiva e, con la sua giacca di pelle e la sua camminata fiera, attraversò la 
strada per poi suonare il campanello di casa mia. Riuscii a darmi una rapida 
occhiata, accorgendomi di avere ancora i capelli arruffati e la faccia come 
quella di una tossica.
Sentii bussare ma non andai ad aprire, aspettai che fossero loro a farlo. 
Non devo abboccare, non devo cedere alle sue lusinghe, no. Non se ne parla.
Lo osservai mentre varcava la porta di casa salutando il suo amico. Poi 
sollevò lo sguardo e puntò verso di me.
<< Ciao bellissima, andiamo a fare colazione? >> chiese avvicinandosi a me. 
Potei ammirare di nuovo i suoi bellissimi occhi che mi intrappolarono ancora 
una volta. Tuttavia non avevo ancora ben capito il colore esatto. Nonostante 
ciò quei bellissimi occhi non mi lasciarono altra scelta. Non potei che 
acconsentire. La coerenza non era il mio forte.
<< Okay >> risposi annuendo.

 

 

 

 

   
 
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