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Autore: Madison Alyssa Johnson    14/08/2016    3 recensioni
La misteriosa mortre di Victor Cavendish, visconte di Vidal e figlio del duca di Devonshire, attira l'attenzione della regina Vittoria sulle misteriose morti che stanno devastando Dublino. Un nuovo Jack lo Squartatore, che i dublinesi chiamano Molly Mangiauomini, si aggira per le vie della città seminando morte e terrore. Tocca a Ciel e al suo fido Sebastian recarsi sul posto per risolvere il problema.
« Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c'è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone. Pare le abbiano anche dedicato una canzone, di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis, Shinigami, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Sebastian si chinò su Ciel e lo aiutò ad alzarsi per controllare che non fosse ferito.
« Sto bene. » gli assicurò il ragazzo. « La fata? » Si guardò intorno alla sua ricerca, ma la sua luce dorata era sparita: l’Ombra l’aveva rapita. Strinse i pugni e rivolse a Sebastian uno sguardo di fuoco, ma non poteva condannare del tutto il demone: sapeva bene che in caso di pericolo avrebbe scelto lui; anche sulla Campania aveva abbandonato lo scontro con Undertaker per correre a salvarlo. Quel pensiero gli diede una scossa al petto. « Per ora non possiamo fare niente. » disse. « Domattina decideremo il da farsi. »
Il maggiordomo annuì. « Vi accompagno in camera, signorino. È ora che andiate a dormire. »
Il Conte non protestò. Si lasciò condurre nella propria stanza e sedette sul letto mentre l’altro prendeva una camicia da notte dalla cassettiera. Si sentiva strano, ma si disse che era solo la stanchezza per quella giornata più lunga del normale; eppure il corpo non era stanco. Era un languore strisciante che gli faceva formicolare i muscoli e tutto il sistema nervoso.
Le mani delicate del suo servo gli sollevarono il viso per sciogliere il nodo della benda e il sangue colorò le gote del ragazzo.
Da quando quelle dita sottili erano così calde? Non lo sapeva. Ma perché stava pensando a una cosa così stupida? Era solo Sebastian, si disse, eppure il suo profumo così familiare gli faceva venire la pelle d’oca. Non era normale. Il cervello cercò di dirgli che doveva avere paura, ma il corpo non voleva saperne. Continuava a provare quella strana attrazione e nient’altro. Doveva dire qualcosa? E cosa?
Sebastian non dava cenno di aver notato niente, mentre gli sfilava la marsina e sbottonava la camicia.
Batté le palpebre. Si sentiva meglio, senza tutta quella stoffa addosso. Si alzò per farsi sfilare anche i pantaloncini e sollevò le braccia.
Il maggiordomo gli fece indossare la camicia da notte e gliela lisciò addosso. Era così vicino che il suo odore gli arrivava al cervello come un colpo di cannone ad ogni respiro. « Ora, signorino... » disse, ma Ciel non lo lasciò finire.
Lo prese per il colletto della camicia e lo tirò verso di sé finché le sue labbra sottili non incontrarono le sue, più piccole. Non aveva mai baciato nessuno, nemmeno Lizzie, eppure l’istinto lo guidava come se lo avesse fatto mille altre volte. Fu molto più ardito di quanto si sarebbe aspettato da se stesso, semmai avesse osato immaginare una cosa del genere. Leccò le labbra del demone e fece pressione in un muto ordine.
Il diavolo obbedì e permise a quella lingua non più infantile di esplorare i suoi denti appuntiti e superarli per cercare un contatto più profondo. Si appoggiò al letto con entrambe le mani e strinse le lenzuola con forza mentre la fame che coccolava da mesi ruggiva in fondo allo stomaco, o un po’ più a sud. Contrasse ogni muscolo e si chiese se quello fosse un test o la punizione più strana che avesse mai subito. Con quel ragazzo tutto era possibile. « Signorino... » ringhiò sulle sue labbra.
« Sta’ zitto, demone, e baciami. »
Il suo corpo approvò in una vampata di eccitazione che fece cadere la maschera del perfetto maggiordomo dal viso, mai tanto ferino. Gli era capitato che i suoi contraenti fossero attratti da lui, in passato, e non aveva mai esitato ad approfittarne, ma che lui fosse attratto da un umano in quel modo era un’esperienza del tutto nuova. Prese il ragazzo per i fianchi e lo baciò di nuovo. Lo depose al centro del letto, attento a non separarsi di nuovo da quelle labbra così dolci.
Ciel approvò l’idea e si aggrappò alla sua nuca, mentre la lingua calda dal suo servo esplorava la sua bocca e gli solleticava il palato. Rabbrividì e gli sfuggì un versetto acuto, ben poco virile, nel sentirsi stuzzicare dietro ai denti. Lo stomaco si contorse. Non era preparato a quelle sensazioni, ma ne voleva ancora. « Sebastian... » ansimò, ignaro dello stato in cui si stava mostrando. Aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi, seminascosti dalle palpebre.
« Cosa desiderate che faccia, signorino? » sussurrò il maggiordomo, roco come non lo aveva mai sentito prima.
« Io... » Non seppe cosa rispondere: essere consapevole dell’esistenza del sesso e del suo scopo era ben diverso dall’immaginare come funzionava. Arrossì e voltò il volto verso la spalla destra.
« Ma certo. » mormorò Sebastian. « Siete troppo piccolo per sapere queste cose. »
Il Conte si voltò verso di lui per fulminarlo con un’occhiata assassina. « Non osare trattarmi come un dannato marmocchio. » lo rimproverò, nonostante una parte di lui sapesse di esserlo, in fondo. Poteva anche essere cresciuto troppo in fretta, ma mai abbastanza.
Il diavolo sorrise. « Non preoccupatevi, signorino. » promise, a un soffio dal suo orecchio. « Vi insegnerò anche questo. » Mordicchiò il lobo e ci giocò con la lingua, prima di scendere su quel collo morbido e bianco che sembrava fatto apposta per essere morso. Non avrebbe potuto lasciargli segni in punti visibili, ma il corpo minuto del ragazzo gli lasciava ampia scelta, quanto ad alternative. Inspirò il suo profumo ad occhi chiusi. Era sempre delizioso, ma c’era una nota acidula che stonava. Si scostò per guardarlo in viso e si impose di andare oltre la maschera di lussuria che gli vedeva in volto.
« Sebastian, cosa...? » biascicò il ragazzo, infastidito da quella brusca interruzione.
« L’Ombra vi ha fatto qualcosa, signorino. » spiegò. Gli sedette accanto e si sfilò il guanto dalla sinistra, che stese sul corpo del ragazzo. Una magia diversa dalla sua pulsava nelle vene del ragazzo e gli toglieva i freni inibitori. « Sono dolente, signorino. Avrei dovuto accorgermene subito. » si scusò e premette il palmo sulla sua fronte. Chiuse gli occhi. Squarciò quella magia aliena come un velo di tulle e la divorò con la propria fino all’ultimo brandello. Lo disgustava che qualcuno di diverso da lui avesse osato toccare il padroncino, fosse anche a distanza. Avrebbe fatto pentire l’Ombra di esistere. « Come vi sentite, signorino? » chiese, come se nulla fosse successo.
Ciel gli avvampò. Non si fidava abbastanza della propria voce per provare a rispondere e guardarlo non era nemmeno un’opzione. Cosa aveva fatto? Doveva essere impazzito! Non poteva desiderare di baciare quel dannato demone. Lui aveva una fidanzata; se voleva baciare qualcuno, doveva essere lei, no? E allora perché quando la guardava vedeva solo sua cugina? Si coprì il viso con le mani. Aveva dato il suo primo bacio al suo maggiordomo, a un demone che avrebbe divorato la sua anima. No, decise. Non era stato lui. Era stato l’incantesimo. Alzò lo sguardo verso il diavolo, gelido e distante. « Tutto questo non è mai successo. » disse. « E non succederà in futuro. »
« Come desiderate, mio lord. » rispose Sebastian, con un lieve sorriso. « Domattina verrò a svegliarvi un’ora più tardi, ma non di più. » disse e, preso il lume, uscì dalla stanza. 

 

Anthea sedeva rigida nella poltroncina di velluto. Anche se il maggiordomo le aveva detto che il conte l’avrebbe raggiunta presto, ogni secondo passato a sorseggiare tè le sembrava sprecato. Si impose di mandare giù almeno una tortina alle more, perché non poteva restare a digiuno fino all’ora di pranzo.
La porta si aprì mentre finiva di mangiare e il padrone di casa entrò nella stanza, seguito dal suo fedele maggiordomo. Aveva un accenno di occhiaie, ma per il resto sembrava lo stesso ragazzo che aveva conosciuto il giorno prima. Come la sera prima, non indossava la benda e il sigillo spiccava sull’iride azzurra. « Signorina, devo darvi una brutta notizia. » disse, sedendo sul divano davanti a lei.
« Tallulah è stata rapita dall’Ombra. » lo anticipò lei. « Lo so già. »
Ciel corrugò le sopracciglia.
« L’ho vista in sogno. » spiegò la ragazza. « Mi ha spiegato cos’è successo e mi ha detto dove si trova: l’ha capito subito, perché tutte le fate conoscono l’albero di Blodwedd. Mi ha mostrato il percorso che hanno fatto, però... » Si torse le mani. « Era una visione dall’alto e non sono sicura... »
« Non preoccupatevi, signorina. » le disse Ciel. « Qualunque informazione ci darete sarà preziosa. »
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore. « Beh, ecco, hanno superato il bosco dietro casa vostra e hanno tirato dritto tutta la notte, finché sono arrivati in una zona collinare e piena di boschi. Sono scesi verso una macchia molto fitta, su una di queste colline. Ha detto che non lontano c’è un borgo che si chiama Devil’s Bridge... e ha riso. »
« Beh, è davvero un’ironica coincidenza. » ammise il Conte, ma tenne per sé il proprio ghigno e scoccò un’occhiata al demone.
« Per me è sufficiente, signorino. Cominceremo raggiungendo il paesino e poi dovremo solo battere la foresta. »
Ciel annuì. « Non preoccupatevi, signorina, » disse « risolveremo questa cosa prima che possiate avere nostalgia di casa. » Si alzò. « Vi chiedo solo di non uscire dalla villa, se non è indispensabile. »
La ragazza annuì. « E... i miei genitori naturali? »
« Non siete costretta a stare con loro, se non volete. »
Anthea abbassò lo sguardo. Si sentiva in colpa a rifiutarli in quel modo, ma loro non erano la sua famiglia. Non erano stati loro a crescerla e non avrebbe saputo cosa dire per confortarli, perché non aveva osato chiedere a Susan cosa avesse scritto nella lettera per loro.
« Per qualunque necessità, la servitù è a vostra disposizione. » Le fece un inchino con il capo lasciò la stanza. « Fai venire i marchesi nel mio studio e prendi i biglietti per il prossimo treno per Birmingham. » ordinò, mentre si dirigeva verso la stanza che meno amava nella grande villa. La giornata era appena cominciata e già il suo umore era sceso sotto le suole delle scarpe.
« Sì, signorino. »

 

I signori Beresford lo raggiunsero dieci minuti dopo, confusi e per nulla felici di quella convocazione. La marchesa aveva profonde occhiaie che nemmeno la cipria riusciva a nascondere e il marchese non era riuscito a combattere il vizio di mangiarsi le unghie fino alla carne viva.
« Spero vorrete darci una spiegazione, conte. » esordì l’uomo. « Siamo stanchi di questi giochetti. » Gli mostrò la lettera di Susan, spiegazzata per essere passata di mano in mano e segnata da diverse lacrime. « Prima nostra figlia viene rapita nel cuore della notte sotto la vostra tutela dalle fate e ora viene fuori che quella non è nostra figlia? A che gioco state giocando, ragazzino? »
Ciel lo fulminò con un’occhiata gelida. « Non sto giocando a nessun gioco, marchese. » rispose. « Sta a voi decidere se vostra figlia è quella sotto questo tetto o quella che avete cresciuto e amato per dodici anni. »
La donna represse un singhiozzo con la sinistra e si appoggiò al marito con la mano libera.
Il ragazzo la guardò. « Vi riporterò vostra figlia, Lady Waterford. » le disse, non per confortarla, ma come un semplice dato di fatto.
« Mi ridarete la mia Sue? » mormorò la signora Beresford, che nel suo cuore doveva aver già fatto la propria scelta, che lo ammettesse o meno.
Il conte annuì. « Quando avrò eliminato ciò che la perseguita, la riabbraccerete. » le assicurò. « Ed è di questo che devo parlarvi. » Congiunse le mani sulla scrivania e li guardò non come un adolescente, ma come l’adulto che dentro di sé era ormai da troppo tempo. « È ora che torniate in Irlanda. Questa casa è troppo pericolosa per voi, in mia assenza. »
« Ma... » tentò di protestare il marchese, interrotto da un gesto della mano del ragazzo.
« I miei domestici sono addestrati a difendere la proprietà ad ogni costo, ma purtroppo non hanno il minimo senso della misura e non è escluso che potreste restare feriti in un eventuale scontro. Per questo vi chiedo di prendere il primo traghetto per Dublino, entro stasera. Riporterò io stesso Susan da voi al più presto. »
« E... e Anthea? » domandò la marchesa. « Verrà con noi? »
« Forse, se glielo chiederete nel modo giusto. »
I due adulti si guardarono.
« Se non mi riporterete la mia bambina sana e salva, vi considererò personalmente responsabile, conte. » lo minacciò Lord Waterford.
« Avete la mia parola di gentiluomo che sarà come se non se ne fosse mai andata. »

 

Sebastian bussò piano, prima di aprire la porta. « Ho prenotato i biglietti, fatto i bagagli e istruito la servitù. » riferì. « Inoltre, i signori Beresford si sono fatti accompagnare a Londra da Tanaka pochi minuti fa e la signorina Anthea ha deciso di andare con loro. Ha detto di volerlo fare per proteggerli e perché era curiosa di vedere l’Irlanda. Mi ha chiesto di riferirvelo. »
Ciel annuì, senza staccare gli occhi dall’ultimo verbale della Funtom.
Il maggiordomo sorrise. « Credo abbia una cotta per voi. » aggiunse, ma la pacatezza del tono non raggiungeva gli occhi, che invece mandavano lampi.
Il ragazzo trasalì. « Ho già una fidanzata. » gli ricordò, brusco. Che accidenti si era messo in testa quello stupido demone? Solo perché lo aveva baciato, non voleva dire che fosse attratto da lui o cosa, anche perché non era in sé, in quel momento.
Il diavolo si chinò sulla scrivania e gli prese il mento tra le dita. « Forse avete dimenticato, signorino, che voi appartenete a me. » mormorò, a un soffio dalle sue labbra – vicino, ma non abbastanza.
« Solo la mia anima. » ribatté il conte. « E solo quando avrai assolto alla tua parte del contratto. »
Sebastian sorrise e mordicchiò quelle labbra piccole, pallide, rese ancora più dolci dalla colpa che si agitava in fondo all’anima del padroncino.
« S-Sebastian...! Cosa stai...? »
« Dovreste finire il vostro lavoro, signorino. » mormorò il maggiordomo, mellifluo. « Appena Tanaka rientrerà con la carrozza, ci accompagnerà alla stazione di Paddington. » Si inchinò e lasciò la stanza come se nulla fosse successo.
Ciel digrignò i denti e strinse i pugni. Aveva un insano desiderio di urlare o picchiare quell’irriverente maggiordomo – o, perché no, tutte e due le cose – fino a togliersi quei maledetti pensieri dalla testa, ma non poteva farlo. Tornò a fissare i fogli che aveva davanti. Le lettere si confondevano davanti ai suoi occhi, appannate dall’errata distanza del foglio. Batté le palpebre per metterle a fuoco e riprese a leggere, ma le parole si rifiutavano di significare qualcosa di più di un’accozzaglia di sillabe a caso. Quello era troppo, si disse. Che diamine gli prendeva? Possibile che anche il suo cervello gli facesse strani scherzi? Non doveva importargli cosa pensava quel demone, o se si era convinto di un mucchio di idiozie. Nemmeno sapeva quando la sua vendetta sarebbe stata compiuta; poteva essere di lì a un mese, come a dieci anni. Poteva anche avere tutto il tempo di sposare Lizzie e avere dei figli a cui tramandare il suo cognome. Oppure no. Si schiaffeggiò le guance. Doveva smettere di perdere tempo con quelle sciocchezze. Aveva un lavoro da finire, maledizione! Questa te la faccio pagare, demone. si promise. E con gli interessi. Maledì il suo servo un’altra dozzina di volte e immaginò le più tremende punizioni per tutte le libertà che si era preso in quelle dodici ore. Gli avrebbe fatto rimpiangere i tempi in cui gli versava il tè bollente sulle mani.


 

Bene, bene, bene. E anche questo capitolo è online. Dato lo stato semi-vegetativo in cui mi trovo (ho bisogno di una vcacanza per riprendermi da questa vacanza! xD), stiamo sfiornado il miracolo, per cui... festeggiamo! *Passa lo champagne a tutti.* Brindiamo, anche perché Ciel e Sebastian si sono finalmente baciati e il nostro bel maggiordomo ha finalmente detto quello che pensiamo tutti: Ciel è suo e di nessun altro. ù_ù
Parlando di cose serie, mancano pochi capitoli alla fine, poi mi prenderò una pausa dalle fanfiction per dedicarmi a un progetto originale, poi non so. Magari, quando avrò elaborato il luto per The Cursed Child forse scriverò qualcosa che renda giustizia al Potterverse, oppure mi dedicherò al seguito di Tetragrammaton. Non so ancora. Vedremo. Ora vado, ma mi raccomando: fatemi sapere cosa ne pensate della storia! Ci sentiamo nelle recensioni.  

 
   
 
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