Capitolo III
Fra onirico e reale
Nonostante le nuvole, non stava piovendo, e con l'avvicinarsi della sera, mi aggiravo nei corridoi di casa, intenta a raggiungere la mia stanza e sedermi a riflettere. Una volta arrivata, vi trovai Stefan, sdraiato sul letto e visibilmente pensieroso. Volgendo il mio sguardo verso di lui, gli sorrisi debolmente, e sedendomi alla mia scrivania, preparai dei bianchi fogli su cui riversare le mie frustrazioni. “Cosa scrivi?” mi chiese poi, curioso. “Solo pensieri.” Risposi, conservando la segreta speranza di aver soddisfatto la sua curiosità. “Sfogarsi fa bene, sai?” osservò poi, regalandomi un luminoso sorriso. Tornando a concentrarmi, ripresi a scrivere. La penna che stavo usando era una delle poche biro in circolazione, e anche se l’inchiostro nero come il carbone mi macchiava saltuariamente le mani, la cosa non mi toccava. Subito dopo, lo vidi voltarsi e darmi le spalle. Non sembrava stanco, ma forse desiderava solo chiudere gli occhi per qualche minuto. Improvvisamente, un suono ci distrasse. “Hai sentito anche tu?” mi chiese Stefan, con una vena di preoccupazione nella voce. “Ma è Rachel!” risposi, scattando in piedi come una molla. Precedendomi, Stefan uscì dalla stanza, e fermandosi al centro del corridoio, non fece che aspettarmi. In pochissimo tempo lo raggiunsi, e attraversando il corridoio, raggiungemmo insieme la stanza incriminata. “Rachel! Cos'hai?” chiesi, avvicinandomi a lei con fare amorevole. “Dovete scusarmi, è tutta colpa dei miei ricordi. Vorrei scacciarli, ma non ci riesco.” Disse piangendo e tirando su col naso. “Va tutto bene, da brava, sfogati.” Risposi, stringendola in un delicato abbraccio e parlandole in modo gentile. “Parlarne ti aiuterà, te la senti?” proruppe Stefan, in tono calmo e composto. Quasi rinfrancata da quelle parole, Rachel lo guardò, e sorridendo debolmente, si limitò ad annuire. In quel preciso istante, mi sedetti sul letto accanto a lei, e da lì ebbe inizio il suo racconto. “In questi giorni c'è un sogno che continua a tormentarmi. Di notte resto sveglia a piangere in silenzio, ma nulla mi aiuta.” Esordì, tacendo al solo scopo di riprendere fiato e provare a calmarsi. “Cosa vedi esattamente?” si informò Stefan, mantenendo la stessa calma già mostrata in precedenza. In completo e perfetto silenzio, attese una risposta, ed evitando di interrompere, mi fermai a pensare. Suo padre era un dottore, e a quanto sembrava, Stefan gli stava lentamente rubando il mestiere con gli occhi. “Nulla, c'è solo buio, urla e una persona che chiama il mio nome.” Disse poi, trovando nuovamente il coraggio di parlare. “Sai per caso chi sia?” indagai, sperando di non turbarla né peggiorare la situazione. “No, ma credo che la mia mente cerchi di dirmi qualcosa.” Questa fu la sua risposta, che per un singolo attimo, ci lascio interdetti. “Va avanti.” La pregò Stefan, regalandole un sorrise al solo scopo di infonderle coraggio. “Si tratta...” La frase le morì in gola, poichè rifiutandosi di parlare, lei serrò le labbra. Guardandola, la incoraggiai a mia volta con un semplice gesto della mano, e in quel momento, qualcosa in lei cambiò radicalmente. “Di Lady Fatima.” Concluse, per poi iniziare a tremare e a piangere inconsciamente. Avvicinandomi, provai a consolarla, e dopo poco tempo, la vidi tornare in sè. “Forse... Forse è una pazzia, ma io voglio, anzi devo tornare ad Aveiron.” Dichiarò, decisa e convinta della sua idea. “Cosa? Sei matta? Il regno è in ginocchio, e ti uccideranno!” Gridò Stefan, perdendo improvvisamente la calma nel tentativo di riportare la ragazza alla ragione. “Sono pronta a questo sacrificio.” Continuò, facendo uso dello stesso tono di voce chiaro e solenne. “Perchè, Rachel, dicci solo perchè, e noi ti aiuteremo.” La pregai, provando istintivamente pena per lei. “Perchè io la amo, e nulla mi allontanerà da lei!” confessò, cambiando improvvisamente tono di voce e divenendo furiosa. Per sua pura sfortuna, la sua rabbia si trasformò in lacrime, che correndo sul suo viso, le rigarono le guance senza alcun ritegno. “Resto io con lei.” Dissi a Stefan, sperando che riuscisse a leggermi le labbra e comprendere il mio muto linguaggio. Non proferendo parola, non fece che annuire, e uscendo dalla stanza, mi lasciò da sola con Rachel. Passai quindi il resto della notte a consolarla e tentare di riportare un sorriso sul suo volto, salvo poi addormentarmi dopo aver trovato una vecchia coperta nell'armadio presente nella stanza. “Grazie ancora, Rain.” La sentii sussurrare, poco prima di addormentarmi e lasciarmi vincere dal sonno. Trascorrendo i miei ultimi momenti di coscienza a riflettere, mi decisi. Avrei aiutato Rachel, poichè in fondo, noi due eravamo simili. Le nostre vite, seppur in modi diversi, apparivano a volte sospese fra l'onirico e il reale.