Fanfic su artisti musicali > EXO
Segui la storia  |       
Autore: ffuumei    15/08/2016    1 recensioni
XiuChen
Dove Kim Jongdae è un cantante mentre Minseok è invisibile: non può far altro che osservarlo da lontano, in silenzio.
O almeno, così crede.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Xiumin, Xiumin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 
침묵
      Silence.      
 
 
 
 
4.       
 
 
 
Suo padre si era fermato sullo stipite della sua porta, un giorno. Era l'estate successiva al diploma delle scuole superiori.
L'uomo era rimasto fermo ed in silenzio per un tempo che Minseok non seppe mai calcolare, troppo preso dalle corde della chitarra e dalla melodia che gli rimbombava nella mente e sulle pareti. Suonare era diventato il suo passatempo continuo, il suo modo di tenersi occupato, di eliminare il silenzio che aleggiava pesantemente nella sua stanza.
«Sei bravo» gli aveva detto suo padre. Erano forse le prima parole che gli sentiva pronunciare di sua spontanea volontà da quando aveva memoria di lui. «Però dovresti cercarti un appartamento. Un lavoro. Oppure andare all'università. Non puoi perdere tempo qui, chiuso nella tua stanza, a suonare quella».
Durante i primi tempi si era sentito come se un macigno gli si fosse piantato nel petto e non accennasse a spostarsi, troppo pesante, troppo duro, troppo intenso. Si era convinto che suo padre non lo volesse più, ora che era diventato maggiorenne e autosufficiente. E forse era davvero così, ma a Minseok, con il passare del tempo, fece piacere pensare che quell'uomo avesse finalmente trovato il coraggio di essere un padre.
Fu per questo che Minseok prese definitivamente in mano la propria vita e decise di farne qualcosa. Riuscì a trovare un piccolo appartamento in un palazzo in periferia. Era davvero minuscolo, ma il prezzo per l'affitto era il più basso che aveva trovato sul foglio degli annunci e si trattava di una vera e propria offerta. Si iscrisse al corso triennale di architettura all'università situata appena fuori città. Vi si recava utilizzando la metro. Il pomeriggio era interamente dedicato allo studio, salvo le poche e sporadiche ore che dedicava alla chitarra. La sera, invece, per contribuire alle spese dell'appartamento e del corso universitario -gran parte dei soldi venivano dal conto di suo padre, sorprendentemente- aveva trovato lavoro in un bar del centro. Servire ai tavoli era piuttosto snervante, ma non poteva permettersi di addossare tutte le spese sulle spalle di suo padre. Non c'era mai stato per lui, ma non per questo Minseok lo avrebbe sfruttato. Era comunque suo padre. L'unico famigliare rimasto accanto a lui, con un cuore pulsante e dei polmoni funzionanti.
Fu proprio al termine di uno dei suoi turni serali di lavoro che Minseok vide il parco. Era una macchia verde che si estendeva per un tratto della strada che percorreva per tornare a casa ogni sera quando c'era troppo traffico. C'erano panchine e c'erano scivoli e altalente per i bambini. Sembrava carino. Poi Minseok notò la collinetta che scendeva giù, al centro del parco, e si scoprì curioso di vedere cosa ci fosse nella piccola valle. Il giorno dopo, presa la chitarra e lasciati i libri sul tavolo della cucina, passò il suo primo pomeriggio a suonare seduto su una delle panchine situate al termine della collina, a ridosso del laghetto che ne occupava il fondo. Aveva scoperto che tutti i suoni di quel posto erano di gran lunga migliori del silenzio di casa propria. Era un bel luogo in cui trascorrere tranquillamente i pomeriggi.
Cominciò a portarsi i libri al parco, per studiare stando immerso in quella miriade di suoni che erano la natura e il dolce ridere dei bambini. Minseok era sempre solo, ma tutta quella vita che gli scorreva intorno lo faceva sentire un po' meno vuoto.
Al termine dell'università, aveva deciso di lasciare il lavoro da barista per cercare un impiego più inerente alla materia degli studi appena conclusi. Avrebbe voluto progettare infrastrutture, case, palazzi. Finì seduto davanti ad una scrivania in un ufficio immobiliare.
Inizialmente, la delusione e la frustrazione erano ad un livello talmente elevato da non permettergli nemmeno di chiudere occhio durante la notte. Pensava, pensava, pensava. A tutto. A tutte le cose che non aveva. A quel dannato silenzio che gli restava incollato da troppo tempo addosso, come se glielo avessero tatuato sulla pelle.
In una di quelle notti, decise di uscire di casa. Il giorno dopo non sarebbe nemmeno dovuto andare a lavorare, era domenica. Vagò per una buona mezz'ora senza una meta, osservava il cielo scuro e le insegne luminose dei locali. Una in particolare attirò la sua attenzione.
Si trattava di un pub. Lo stesso pub che, da quella notte, entrò a far parte della sua routine quotidiana, insieme al lavoro che non gli piaceva, al parco che faceva da sfondo alle sue canzoni, alle sue notti insonni. Alla sua persistente, fredda solitudine. Al suo silenzio.
 
§
 
Jongdae era bellissimo.
Cioè, Jongdae era sempre bellissimo, si corresse mentalmente scuotendo leggermente il capo. Ma in quel momento lo era in modo particolare. Indossava un paio di jeans chiari e semplici, stretti, che gli fasciavano perfettamente le cosce magre e il bacino, con sopra un maglioncino nero dalla scollatura appena accennata che lasciava intravedere le clavicole sporgenti e la pelle nivea del collo. Ma non erano i vestiti a fare la differenza, quella sera. Lui non era mai appariscente, tantomeno in quel momento, nonostante si trovasse su un palco con un microfono tra le mani e l'attenzione di tutta la clientela del pub. Forse era stato quel luccichio nello sguardo intenso sovrastato dalla chioma scura divisa a metà sulla fronte che aveva fatto smuovere qualcosa nel petto di Minseok. Oppure era tutto merito del sorriso dolce con cui stava salutando il suo pubblico- almeno così credeva il biondo, prima di realizzare che quel sorriso e quello sguardo si erano incatenati unicamente a lui, non appena lo avevano notato tra la folla.
«Today is gonna be the day that they're gonna throw it back to you. By now you should've somehow realized what you gotta do. I don't believe that anybody feels the way I do about you now».
Inizialmente non riconobbe le parole, nonostante la melodia della canzone gli fosse nota. Decise di non darci troppo peso, la voce di Jongdae era così potente e dolce da lasciarlo senza fiato. Non avrebbe mai potuto descrivere seriamente a parole tutti i sentimenti che provava ogni volta che le labbra di lui si schiudevano davanti al microfono.
«Backbeat the word was on the street that the fire in your heart is out. I'm sure you've heard it all before but you never really had a doubt. I don't believe that anybody feels the way I do about you now».
Ora ricordava. Doveva averla sentita durante uno dei tanti giorni passati in ufficio a sistemare scartoffie nell'archivio. In quell'ala particolare, il datore aveva installato un altoparlante sintonizzato costantemente sui più disparati canali della radio.
Wonderwall. Gli era rimasta stranamente impressa nella memoria, nonostante non avesse mai provato a suonarla. Lo avrebbe fatto sicuramente, prima o poi.
«And all the roads we have to walk along are winding and all the lights that lead us there are blinding. There are many things that I would like to say to you but I don't know how».
Che importanza aveva pensare alla canzone che stava cantando? Jongdae sembrava intento a dare il meglio di sè in tutto, quella sera. La sua voce era sempre la stessa, l'atmosfera intorno a lui, il suo abbigliamento, la sua persona, era tutto identico alle altre innumerevoli volte in cui Minseok lo aveva osservato, negli ormai quasi sette mesi precedenti. Eppure, c'era qualcosa di diverso. Che si trattasse dell'intensità del suo sguardo, oppure del fatto che non lo avesse distolto nemmeno per un secondo da quello di Minseok, al biondo non importò più. Decise di smettere di pensare e lasciò che la voce di Jongdae riempisse ogni più piccola parte di lui, mentre continuava a perdersi nella profondità dei suoi occhi.
«Because maybe you're gonna be the one that saves me. And after all, you're my wonderwall».
Jongdae gli sorrise contro la superficie del microfono e Minseok arrossì leggermente, puntellando un gomito sul legno del bancone e posando il capo sul palmo della mano, lo sguardo ancora incatenato a quello del cantante. Era come se tutto il resto avesse smesso di esistere. In quel pub c'erano solo loro due. Jongdae e Minseok. La musica fungeva solo da sfondo all'incessante battere dei loro cuori.
 
L'esibizione del cantante era terminata da appena una ventina di minuti -Minseok si era scoperto particolarmente interessato allo schermo del suo cellulare da quando Jongdae era sceso dal palco- quando percepì una presenza accanto a sè, lo spostamento dello sgabello alla sua sinistra e l'inconfondibile sensazione di sentirsi osservato.
«Allora? Com'era la mia esibizione?»
Minseok alzò lo sguardo dallo schermo nero del telefonino, acquistando sicurezza dal tremolio quasi impercettibile che attraversava le parole dell'altro. Voltandosi nella sua direzione, notò che teneva lo sguardo basso, fisso in un punto impreciso che potevano essere le sue mani intrecciate, oppure le punte delle scarpe, oppure il pavimento del locale.
«Bella» disse Minseok, continuando a guardarlo e sperando che anche lui facesse lo stesso, per poi domandarsi come avrebbe fatto a reggere quegli occhi in quella situazione. «È stata molto bella» ripetè il concetto come per marcarlo ulteriormente. «La migliore».
Tuttavia, nella testa si era formato un pensiero diverso che premeva per essere tramutato in parole.
Al diavolo l'esibizione, eri tu ad essere bello. Così dannatamente bello. Come la prima volta che ti ho visto e tutte quelle a seguire.
Jongdae alzò immediatamente lo sguardo e Minseok reagì d'istinto abbassando il proprio. Era come se stessero giocando a nascondino con gli occhi. Minseok sperò che Jongdae non vi avesse letto dentro, nell'unico momento in cui si erano stanati.
«Sono contento che ti sia piaciuta».
Minseok gli sorrise timidamente, senza guardarlo.
«Vuoi qualcosa da bere?»
«Ti ringrazio, sono a posto così».
«Guarda che dicevo sul serio, per messaggio» Jongdae ridacchiava e Minseok si sorprese ad osservarlo, come se fosse la prima volta.
Aveva un piccolo neo sulla clavicola, lasciata scoperta dalla scollatura del maglioncino nero. Quando rideva le sue spalle si alzavano e si abbassavano seguendo un ritmo tutto loro e mentre deglutiva il pomo d'Adamo diventava ancora più evidente.
«Anche io sono serio. Non voglio nulla, davvero, non c’è bisogno».
Ed era la verità. Sentiva la gola tremendamente secca, ma non aveva affatto sete. Era come se la vista di Jongdae lo avesse privato dei bisogni primari, riempiendogli la testa con la sua sola immagine. E con la consapevolezza dell'enorme attrazione che provava nei suoi confronti, ma questo... questo avrebbe dovuto ammetterlo almeno a sè stesso, prima o poi.
«Oh. Va bene, allora. Niente cose da bere».
Jongdae parve deluso dalla situazione, nonostante cercasse palesemente di non darlo a vedere. Era teso e il suo nervosismo malcelato era ben visibile allo sguardo attento del biondo. Forse fu per questo, per la consapevolezza di stare in qualche modo rovinando i piani che si era prefissato e di star contribuendo a renderlo insicuro, che Minseok se ne uscì con quella proposta che assomigliava più ad un ordine.
«Andiamo fuori».
«Fuori?»
«Sì».
Il moro lo guardò con un'espressione confusa, ma il suo viso si distese subito non appena Minseok si alzò dallo sgabello, si aggiustò la felpa e gli sorrise, incontrando i suoi occhi senza riserva.
 
Avevano camminato per un po' lungo il marciapiede, parlando del più e del meno, conversando di tutto e di niente. Con Jongdae era così facile parlare, gli veniva naturale. Il tempo scorreva e così anche la strada che percorrevano proseguiva, fino ad interrompersi in prossimità dell'appartamento di Minseok.
«Oh, io abito qui» disse con noncuranza indicando il proprio palazzo. Non mi ero accorto che avessimo imboccato quella strada.
Ci fu un attimo di silenzio. Un solo, breve attimo di nulla più assoluto.
L'aria era fredda, ma le mani di Jongdae sui suoi fianchi bruciavano. Il portone alle sue spalle era gelido, ma il volto di Jongdae era tiepido a contatto con le sue dita tremanti.
Minseok non aveva idea di come potesse essere accaduto tutto ciò, ma non aveva rimpianti. Si era reso conto di desiderare quel momento da troppo tempo per poter resistere ancora.
Le mani di Jongdae gli carezzavano i fianchi e lo stringevano, diminuendo gradualmente la distanza tra i loro corpi. Quelle di Minseok, invece, vagavano senza sosta lungo le spalle dell'uomo e poi il collo, le guance, i capelli. I loro respiri erano uno solo, si confondevano l'un l'altro. Jongdae schiuse le labbra e lo guardò intensamente. Minseok si morse le sue e ricambiò lo sguardo. Non c'era tempo per parlare, per pensare. Minseok si sentì stringere forte forte e poi Jongdae posò dolcemente le proprie labbra sulle sue, in un caldo bacio che si concluse troppo in fretta.
Il moro si ritrasse un pochino per lanciargli nuovamente uno sguardo. I suoi occhi erano piombo fuso, un oceano nero come la pece, liquido nel quale Minseok rischiava di restare intrappolato. Mai come ora si era ritrovato ad apprezzare la gabbia di cui era prigioniero.
«Minseok…» La voce di Jongdae non era altro che un sussurro improvvisamente agitato contro le sue labbra umide. «Minseok, io-»
«Va bene» il biondo gli passò le dita tra i capelli scuri, scendendo lentamente fino a posare i palmi sulle sue guance calde dall'imbarazzo. «Va tutto bene».
Questa volta fu Minseok ad azzerare la distanza tra le loro labbra. Il bacio che seguì fu intenso, bollente, nulla a che vedere con il primo, fugace contatto che avevano consumato poco prima. Il loro secondo bacio aveva il sapore di tutta l'attesa, di tutto quel tempo che avevano trascorso a guardarsi da lontano, restando in silenzio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hello!
Come avevo detto nello scorso capitolo, eccomi qui. Leggermente in ritardo ma hey, almeno non di mezza settimana! *schiva una porta volante*
Per fortuna che in questo capitolo finalmente succede qualcosa, lol
Abbiamo la fine del passato di Xiumin e quindi ora un quadro generale completo del suo personaggio, inoltre ne vediamo lo sviluppo nella trama centrale e finalmente -credetemi se vi dico che anche io, quando ho scritto tutto ciò, non vedevo l’ora di arrivare a questo punto- Chen e Xiumin si baciano bghkgcfgcfx *sclera in solitudine*
Sinceramente non ho molto da dire se non che anche quella canzone citata nel testo io me la immagino cantata da Chen e niente, darei un rene, i due polmoni e la vita (?) per essere al posto di Xiumin in quel momento e in quello dopo.
Mi rattrista tantissimo pensare che sono già praticamente alla fine della fic. Il prossimo capitolo è l’ultimo e conterrà tutte le risposte alle domande che vi sarete fatti, oh voi anime silenziose che leggete la mia fic :’D
Spero tanto di non deludervi, di aver fatto un buon lavoro anche con questo capitolo e che la storia vi stia piacendo! Ci terrei davvero tanto a ricevere un parere da parte di chi legge, anche solo due righe, sarebbe bellissimo sapere cosa ne pensate di quello che ho scritto ;-;
Goodbyee ♪
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > EXO / Vai alla pagina dell'autore: ffuumei