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Autore: ffuumei    11/08/2016    0 recensioni
XiuChen
Dove Kim Jongdae è un cantante mentre Minseok è invisibile: non può far altro che osservarlo da lontano, in silenzio.
O almeno, così crede.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Xiumin, Xiumin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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침묵
        Silence.      
 
 
 
 
3.       
 
 
 
C'erano quelle volte in cui si perdeva ad osservare i deboli raggi del sole che filtravano dai buchini delle tapparelle e si infrangevano sulla superficie fredda del suo letto. Minseok passava intere ore a giocare con la coperta, si divertiva a lasciare che le piccole scie di luce si distorcessero sulle sue dita e sulle lenzuola, per poi lisciare il tessuto di cotone e tornare ad appoggiare la testa contro il muro alle sue spalle, lo sguardo perso in un punto indefinito.
Era passato un anno. Un intero anno gli era sfilato dinanzi senza che muovesse un dito per sfiorare quel lungo lasso di tempo e farne qualcosa. Un intero anno trascorso alternando la scuola e lo studio alla solitudine e al silenzio persistente di quella stanza buia. Minseok non aveva fatto altro in tutti quei mesi.
In momenti come quello, quando nemmeno i passi di suo padre in salotto riempivano un pochino il pesante silenzio della sua stanza, Minseok sentiva i secondi e le ore scorrergli accanto e abbandonarlo per sempre. Il tempo non lo avrebbe aspettato. Il tempo non si sarebbe mai fermato nell'attesa che lui si fosse alzato da quel letto e avesse mosso il primo passo verso il cambiamento in cui si era ritrovato a sperare da qualche giorno, o da qualche mese.
Un sospiro lasciò le sue labbra e si dissolse lentamente nella totale mancanza di suoni. Voleva fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non aveva idea di cosa. I pensieri gli affollavano la testa e si sentiva soffocare, trascinato nel vortice che era il suo subconscio. Voleva smettere di pensare. Voleva smettere di immergersi nelle sue fantasie e terminare il viaggio in un incubo. Voleva trovare una distrazione, qualcosa che lo strappasse a quei giorni senza colore, che lo spingesse in un mondo nuovo, che lo facesse sentire di nuovo vivo. Aveva iniziato ad odiare il silenzio da molto tempo, ma mai come ora aveva desiderato riempirlo così tanto da farlo esplodere di suoni. Quel silenzio che lo abbracciava in ogni momento come fosse la sua ombra, che gli si era aggrappato come fosse un parassita che si nutriva di lui. Doveva liberarsene se voleva riprendersi sè stesso.
 
§
 
Minseok cominciava a pensare che Jongdae non sarebbe mai più tornato da lui.
Si dava dello stupido per aver creduto che quel piccolo sogno potesse non avere una fine. Tutte le cose belle finiscono, prima o poi. Tutte le cose, in generale, finiscono, prima o poi. E la felicità non è che un soffio di vento. Impalpabile, labile, effimera. Nel momento in cui ci si rende conto di essere felici, in quello stesso istante la felicità muta in qualcos'altro, rivoluzionando nuovamente la nostra vita e lasciandone unicamente il ricordo. A volte, succede così. Fa tutto parte di un ciclo interminabile in cui gioia e sofferenza devono susseguirsi l'un l'altra per poter permettere l'esistenza di entrambi. Minseok rifletteva distrattamente lanciando piccoli sassolini nell'acqua torbida del lago di fronte a lui. La pietra, a contatto con l'acqua fresca, creava piccole onde concentriche che andavano allargandosi, per poi dissolversi lentamente mentre il sasso andava sempre più a fondo. Era rilassante, in qualche modo, ma lanciare pietre nel lago non era più un passatempo divertente. Niente era come prima ora che con lui non c'era Jongdae.
 
Minseok si guardò intorno. Quel posto era così pieno di ricordi che pensarci gli faceva venire un nodo alla gola e l'improvvisa voglia di piangere. Ma non lo fece. Continuò ad osservare gli alberi, l'erba, la panchina, il prato, l'acqua increspata da un lieve soffio del vento, le foglie scostate dallo stesso, il cielo terso macchiato di bianco di tanto in tanto. Strinse le labbra in una linea sottile e prese in mano la chitarra. Ne osservò i contorni, la cassa, ne saggiò il legno con i polpastrelli ed infine li premette lungo le corde per creare una melodia. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica che, come al solito, nasceva naturalmente dalle sue dita e correva, libera, nella placida quiete del parco, rotta soltanto dal cinguettio degli uccellini e dalle risate di alcuni bambini in lontananza.
Interruppe quasi subito qualunque cosa avesse iniziato a strimpellare con la sua chitarra. Non seppe quando di preciso e nemmeno perchè, ma i suoi occhi si erano improvvisamente fatti lucidi e calde lacrime gli rigavano le guance piene. Minseok si passò le dita tra i capelli biondi e poi le mani su tutto il viso, portandosi le ginocchia al petto e circondandosele con le braccia, la chitarra abbandonata accanto a lui.
Sono stato stupido. Mi ha solo preso in giro. Lo scorso fine settimana non era nemmeno al pub.
Pianse in silenzio, senza emettere il minimo rumore. Non era scosso nemmeno dai singhiozzi, come gli succedeva solitamente in quei rari momenti. Semplicemente, si rinchiuse in sè stesso e attese che le lacrime terminassero di rigargli il viso.
 
Non seppe con certezza quanto tempo passò in quella posizione. Ore, minuti, secondi. Non riusciva a percepirlo. Fu una voce ad interrompere le sue lacrime e a destare i suoi sensi intorpiditi.
 
«Hey!»
Gli ci volle qualche secondo per collegare quella voce familiare e squillante al volto altrettanto familiare che popolava costantemente i suoi pensieri. Altri secondi vennero spesi per rendersi conto della mano che si era posata sulla sua spalla, la stessa che stava cercando invano di fargli alzare il capo. Ma Minseok era testardo. Non volle assecondarla.
«Minseok...» aveva sussurrato Jongdae alle sue spalle abbassando il tono di qualche ottava, allentando la presa fino a farla scomparire. Per un attimo, il biondo pensò che l'altro se ne sarebbe andato vedendo che non gli rivolgeva nè lo sguardo, nè una parola. Avrebbe dovuto sapere, però, quanto la propria ostinazione somigliasse a quella di Jongdae.
«Stai piangendo?»
Minseok continuava a tenere il capo affondato tra le ginocchia e non accennava a muoversi, nè tantomeno a rispondere.
«Minseok, guardami» continuava a scuoterlo leggermente e con una punta di nervosismo, quasi come se non volesse mettere pressione, ma allo stesso tempo ne avesse lui stesso la necessità.
Stette in silenzio per qualche minuto e Minseok pensò che si fosse arreso, finalmente. Che avesse capito che avrebbe dovuto solo lasciarlo stare e andarsene. Che poi tutto ciò non coincidesse con ciò che realmente Minseok desiderava che Jongdae facesse, quella era un'altra storia.
«Minseok...» non fu nulla più che un sussurro seguito da mani calde che gli cingevano i fianchi e stringevano le dita sulla stoffa della sua maglietta. «Ti prego, parlami».
Jongdae aveva un profumo ipnotico. Il calore del corpo di Jongdae immediatamente dietro al suo era ipnotico. Il suo respiro così vicino era ipnotico. La sua voce resa più bassa dai sussurri era ipnotica. Minseok si sentiva terribilmente attratto da tutto questo. Talmente attratto che parve dimenticarsi di tutto: del suo dolore, delle lacrime, dell'assenza, della mancanza, dell’amara delusione. In quel momento era tutto sparito. C'era solo lui e c'era Jongdae, che lo stava abbracciando da dietro e gli stringeva i fianchi con dita quasi tremanti, come se avesse paura di procurargli ulteriore sofferenza.
Minseok si fece coraggio e decise di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano, per poi alzare il capo dalle ginocchia.
Pensavo che non saresti più tornato. Questo avrebbe voluto dirgli. E forse avrebbe anche potuto farlo. Doveva smettere di tenersi dentro tutte quelle cose.
«Pensavo...» cominciò, incerto. Jongdae, intanto, si era accoccolato meglio contro la sua schiena e aveva appoggiato il viso contro la sua spalla. Minseok poteva sentire i suoi capelli scuri solleticargli il collo scoperto e il suo respiro ustionargli la pelle persino sopra lo strato della maglietta. «Pensavo che non saresti più tornato».
Lo sentì irrigidirsi contro di sè. Per un attimo pensò che avrebbe fatto meglio a stare zitto come sempre, che tutte quelle parole avrebbe fatto meglio se se le fosse tenute per sè, che aveva fatto un casino e rovinato tutto e-
«Mi dispiace davvero tanto, Minseok» Jongdae aveva sospirato, facendogli tremare tutto il corpo in un brivido così piacevole. «Ho... avuto degli imprevisti. Se avessi potuto ti avrei detto tutto per telefono, ma in questi giorni non abbiamo mai pensato di scambiarci i numeri e così non l'ho potuto fare».
Ridacchiò alla fine della frase e il suono della sua voce rimbombò nella cassa toracica di Minseok. Gli era mancata così tanto la sua risata. Gli era mancato così tanto lui.
«Potremmo scambiarceli ora» si ritrovò a dire senza nemmeno accorgersi di aver aperto la bocca. «Se vuoi» aggiunse subito dopo, arrossendo un pochino.
«Certo!» Jongdae sorrise contro la pelle delicata del collo di Minseok passandogli meglio le braccia intorno all'addome, stringendoselo più vicino, contro il suo petto.
Fu come se il tempo non fosse mai passato. Come se quelle due settimane di assenza non fossero mai esistite.
 
Lungo la strada per tornare al suo appartamento, si chiese se non si fosse appena sognato tutto. Sarebbe stato il massimo, si rispose da solo, e poi, ancora non soffriva di allucinazioni o cose del genere, per cui doveva essere tutto vero. Minseok sorrise tra sè e sè portandosi le mani sulle guance come per lenire il rossore che le stava imporporando e saltellò fino a casa come un bambino in un negozio di caramelle. Era così felice. Soltanto felice. Si sentiva libero. Stupidamente libero.
 
Mancavano una decina di passi al portone del suo appartamento. Minseok aveva appena preso le chiavi dalla tasca, quando sentì la vibrazione poco familiare del suo cellulare. Non era affatto abituato a ricevere messaggi. Non era mai stato un ragazzo molto socievole e pieno di amici. Si sorprese non poco quando sentì addirittura una seconda vibrazione e poi una terza, infilandosi le chiavi tra i denti e sfilando l'oggetto dalla tasca posteriore dei jeans con un gesto fluido. Sbloccò lo schermo e quando lesse il nome del mittente ed i seguenti messaggi tutti dallo stesso, per poco non gli caddero per terra le chiavi che stava tenendo tra le labbra.
 
[Sabato, 19:37] Kim Jongdae
Uhm, ecco- mi domandavo se per caso ti andasse di venire al pub dove canto, questa sera.
 
[Sabato, 19:38] Kim Jongdae
Mi esibisco e vorrei tanto che ci fossi anche tu ad ascoltarmi.
 
[Sabato, 19:38] Kim Jongdae
Solo te ti va, ovviamente.
 
Stava rileggendo tutto quanto per la terza volta consecutiva quando gli arrivò un quarto messaggio.
 
[Sabato, 19:40] Kim Jongdae
Qualunque cosa tu voglia prendere al bar, offrirò io!
 
[Sabato, 19:41] Kim Jongdae
A meno che non ordini mezzo bancone, in quel caso farei fatica-
 
Rise di fronte allo schermo, incapace di fare altro.
 
[Sabato, 19:42] Kim Jongdae
Ma non importa, ti offrirei comunque tutto io! Almeno mi farei perdonare seriamente per le settimane in cui non mi sono fatto vedere. E…  per tutto il resto.
 
Non devi farti perdonare, pensò. Ti ho già perdonato. Non potrei mai arrabbiarmi con te.
 
[Sabato, 19:44] Kim Jongdae
Insomma, dico davvero, non sentirti obbligato, è solo che mi renderebbe felice sapere che ci sei anche tu ad ascoltarmi, stasera. E dopo vorrei offrirti davvero qualcosa. Se vuoi.
 
Minseok finse di ignorare come il suo cuore avesse iniziato a battere forte, rimbombando quasi dolorosamente nella gabbia toracica. Per quanto facesse male, però, era un tipo diverso di dolore. Si irradiava come un brivido lungo tutto il corpo e gli annebbiava la ragione lasciandolo lì, in mezzo alla strada, mentre sorrideva come uno scemo allo schermo del cellulare fattosi nero per mancanza di attività da parte sua.
Sarebbe andato comunque al pub, anche quel sabato sera. Faceva parte della sua routine giornaliera, frequentare quel posto nel fine settimana. Ma ora era diverso. Il fatto che Jongdae glielo avesse chiesto, cambiava tutto.
Senza pensarci ulteriormente -non che ci avesse seriamente pensato- sbloccò nuovamente la schermata e si affrettò a digitare la propria risposta.
 
[Sabato, 19:58] Kim Minseok
Okay.
 
Quasi un quarto d'ora soltanto per scrivere un misero okay. Minseok si diede dell'idiota. E forse lo era davvero.
 
§
 
La chitarra era coperta da uno spesso strato di polvere quando Minseok decise di trascinarla allo scoperto. L'aveva portata con sè quando si era dovuto trasferire da suo padre, ma l'aveva sempre lasciata sotto al letto, senza trovare il coraggio di tirarla fuori. Il risultato fu una grossa ragnatela nella cassa dello strumento, oltre alla polvere. Gli ci volle più di un'ora per ripulirla tutta, ma alla fine del lavoro si sentì profondamente soddisfatto. Sembrava ancora nuova, come se il tempo e la polvere avessero stipulato un tacito accordo per lasciarla intoccata. Minseok restò a guardarla per una quantità indefinita di minuti come se si trattasse dei resti di un animale preistorico e ne dovesse analizzare le componenti chimiche. Alla fine, però, si riscosse dallo stato di trance e prese lo strumento con le mani leggermente tremanti. Se lo mise in grembo, lo strinse al petto con le proprie braccia non più tanto esili, e strimpellò qualche accordo.
Posò la chitarra in fondo al letto poco dopo, con il fantasma della propria musica confusa e senza senso che aleggiava ancora nel rinnovato silenzio. Per la prima volta in quell'anno, Minseok si portò le mani al viso e pianse tutte le lacrime che possedeva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hello!
*Schiva sedie, pomodori e quant'altro* MI DISPIACE- sono in terribile ritardo con la pubblicazione del capitolo e se volete insultarmi, prendermi a padellate, uccidermi (?) fate pure, ne avete il diritto. A mia discolpa, posso solo dirvi che, davvero, ci ho provato. La mia vacanza si è prolungata a mia insaputa e nonostante mi avessero promesso che avrei potuto usare un computer, nessuno ha mai mantenuto la parola. Non è stata colpa mia, ma mi sento comunque una persona orribile. Chiedo perdono ç.ç
Anyway, eccomi qua con il terzo capitolo. Sono praticamente appena tornata da un viaggio di sette ore e spero di non aver fatto casini con l'HTML e cose del genere- oh dio, mi sento leggermente rintronata--
Parlando di questo capitolo, non vedevo l'ora di pubblicarlo, davvero. Non è il mio preferito -quello è il prossimo, insieme a quello successivo- ma comunque è uno dei punti della mia storia che più mi sono a cuore, a cui ho pensato fin dall'inizio e che ho cercato di mettere per iscritto il prima possibile. Sia la parte del passato di Xiumin, che quella del presente, in cui finalmente si ha una svolta nella relazione tra lui e Chen, Xiumin inizia a "sbloccarsi" un pochino e sì insomma io *scoppia a piangere per i troppi feels che sente solo lei*
Per farmi perdonare del ritardo, se volete, invece di farvi aspettare una settimana per il quarto capitolo, potrei pubblicarlo nei prossimi giorni ;-;
In ogni caso, spero che vi stia piacendo e, come al solito, spero di aver fatto un buon lavoro. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va :3
Goodbyee ♪
  
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