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Autore: the_scream_of_silence    15/08/2016    3 recensioni
Sono innumerevoli i cambiamenti che Talia deve affrontare negli ultimi tempi: la fuga d'amore della sorella Giulia, il fidanzamento del padre con un'altra donna dopo la scomparsa della mamma anni prima, il trasloco per vivere insieme a lei e suo figlio Alessandro e - quindi - l'abbandono della vecchia casa in cui Talia ha trascorso momenti fondamentali della propria infanzia. E poi, come se non bastasse, ritorna a casa Giulia in compagnia del fidanzato Jacopo, ospiti del suo fratellastro.
Talia non vuole più avere nulla a che fare con lei, la persona più importante della sua vita che l'ha abbandonata all'improvviso, tantomeno con il ragazzo, ideatore della fuga, che disprezza al punto tale da ritenerlo l'unico responsabile di ogni suo problema. Ma tutto cambia quando una sera, per puro caso, i due si incontrano in giardino, sul vecchio dondolo, sfidando le stelle...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 1

Luglio, 3 anni dopo

Ho sempre pensato che i cambiamenti, positivi o negativi che siano, abbiano l'unica conseguenza di distruggere tutto ciò per cui si è combattuto, sudato, vissuto. E non importa se il tempo sarà gentile con te e farà in modo che diventino "nuova realtà": l'anima ricorderà sempre quel che ha perso e immaginerà un futuro diverso in cui ogni cosa segua il corso di prima, come se non fosse accaduto nulla.

Ed io lo immaginavo. Sì, lo immaginavo, mentre ero seduta su quel divano a lasciarmi consumare dalla rabbia che ogni singola parola accendeva come miccia. Ma, cavolo, quale comune ragazza di diciotto anni si preoccuperebbe di questioni del genere? Non ne ha affatto bisogno: si diverte, va in giro per discoteche con i propri amici e magari ne approfitta per accendere la sua prima sigaretta o aspirare la sua prima riga di polvere magica. No, a pensarci bene non si tratta di una comune ragazza di diciotto anni: questo è il ritratto della tipica quindicenne disposta a bruciare le tappe pur di sembrare "adulta" agli occhi dei altri. Di certo non avevo intenzione di rimettermi al passo con le altre ragazze della mia generazione, ero troppo giudiziosa e forse anche troppo ingenua per farlo, eppure in quel momento, lo ammetto, mi sarebbe servito qualcosa di forte per digerire la situazione e gli sguardi di mio padre e della sua compagna, Claudia, mentre cercavano di spiegarmi tutto nella maniera più calma e ponderata possibile: -Non è un cambiamento così drastico, tesoro: saremo distanti da qui soltanto di pochi chilometri e tu potrai continuare a frequentare i tuoi amici, ad uscire in città, a vivere la tua vita come al solito. Dobbiamo farlo, altrimenti sarebbe impossibile gestire tutte le esigenze della nostra famiglia allargata-.

Prima cosa: odiavo il nomignolo "tesoro", che fortunatamente mio padre usava solo nei casi in cui occorreva addolcirmi con qualche parola affettuosa risalente ai tempi dell'asilo. L'avrei volentieri fulminato con un'occhiataccia, ma non mi sembrava il momento ideale per dare sfogo alle mie "esigenze di adulta".

Seconda cosa: famiglia allargata. Certo, come no. Erano una coppia da quasi due anni, ormai, e si definivano "famiglia allargata" solo adesso? Per una cerimonia formale che li riconosceva marito e moglie agli occhi dello Stato?

Non capivo. La nostra vecchia casa era abbastanza grande da accogliere altre persone, perché trasferirsi?

 

-Sei una ragazza molto intelligente, Talia. Saprai già che questa...- Claudia si guardò intorno con un'aria vagamente infastidita, alla ricerca della parola giusta. Mi trattenni dal gridarle che, fino a prova contraria, quella era ancora casa nostra. -...struttura, non va bene per tutti. Io non riuscirei a viverci neanche un giorno, ad essere sincera, e il mio vecchio appartamento è troppo piccolo per ospitare anche voi-.

E all'improvviso mi fu chiaro il motivo del trasloco: Claudia. Come avevo fatto a non pensarci? Era sempre lei a cambiare le carte in tavola, stravolgendoci la vita che avremmo potuto trascorrere serenamente anche senza tutti quei fronzoli.

O, almeno, era quello che credevo io.

E non sarei mai riuscita a capire in che modo mio padre, modesto impiegato presso una piccola azienda di Firenze, gentile e onesto come pochi uomini, avesse perso la testa per lei, un'imprenditrice senza scrupoli che sembrava aver venduto la sensibilità e le emozioni umane in uno dei suoi famosissimi affari, ambiziosa al punto da utilizzare qualsiasi mezzo, anche il più meschino, per raggiungere i propri obiettivi. Okay, poteva sembrare che io la giudicassi una cattiva persona ma, fidatevi, non era così. Al contrario: sin da subito avevo pensato che fosse una donna elegante e con carattere, dotata di un fascino che la rendeva il bersaglio di tutti gli sguardi in un ristorante o in un qualsiasi altro posto di vita mondana. Insomma, una che ispirava rispetto. Ed era proprio questo il problema: cosa ci faceva con mio padre? Non che fossero del tutto incompatibili, ma... Quasi.

E supponevo che la cosa valesse anche per me e lei perché, se quella era una coppia destinata a non resistere alla convivenza per più di qualche mese, io non avevo neanche la minima possibilità di uscirne indenne.

Immaginavo già i suoi occhi grigi, costantemente pieni di biasimo, seguire ogni mio gesto a tavola senza mollarmi un solo istante; inquietante, no? Mi chiedevo se anche mio padre ne fosse terrorizzato.

No, certo che no: probabilmente era così innamorato da considerarli pagliuzze di mare incastonate in un volto angelico.

Bleah.

-Che ne pensi, tesoro?- cercò lui di richiamare la mia attenzione, con un'espressione che non avrei saputo dire se di speranza o timore.

Quel "tesoro" mi fece ritornare immediatamente alla realtà e per poco non persi la pazienza che avevo preservato con grande fatica.

Almeno fino ad ora.

Che ne penso?

Non potevo crederci: me l'aveva chiesto sul serio. Eppure ero abbastanza sicura che sulla mia fronte lampeggiasse una parola non proprio carina che riassumeva molto bene quello che pensavo.

Fissai entrambi con una certa indifferenza. Si aspettavano che io dicessi qualcosa, era chiaro. Qualsiasi cosa. Che sbraitassi. Che urlassi. Che mi dimenassi a terra e piangessi come una disperata. Continuai a fissarli, e dai muscoli del viso che si distendevano pian piano, rilassati, capii che si stavano convincendo di poter ottenere una risposta positiva.

Lo pensavano davvero?

Bene.

Al diavolo tutti.

Non li degnai di una singola parola mentre mi alzavo dal divano e raggiungevo la rampa di scale del primo piano, verso la mia stanza.

Mi sembrò quasi di sentire il rumore delle aspettative che andavano in frantumi.

-Talia!- sentii gridare mio padre, seguito da un verso stridulo di Claudia che doveva essere il mio nome.

Non appena entrata, mi lasciai richiudere la porta alle spalle.

Quella casa, che poteva disgustare Claudia e, forse, apparire anche cadente e mal ridotta dal corso del tempo, era il luogo in cui avevo trascorso i momenti migliori della mia infanzia. E non mi importava delle fottute "esigenze della nostra famiglia allargata": io volevo rimanere lì. Avrei dovuto rinunciare ai miei ricordi solo perché non possedevano alcun valore agli occhi degli altri?

Se lo potevano scordare.

E mentre percorrevo a grandi falcate il perimetro della stanza, cercando di placare con respiri profondi la fitta di rabbia mista ad impotenza che mi aveva colpito il petto e lo stomaco, il mio sguardo cadde sulla porzione di giardino che si intravedeva dalla finestra, delimitato ai margini da una staccionata che aveva ormai perso il bianco acceso di un tempo, e per un istante mi sembrò di vedere una bambina mingherlina dalla chioma arancione che giocava a nascondino con i figli dei vicini, gridava di eccitazione ed euforia sul seggiolino dell'altalena al primo volo in alto e si riparava nello sgabuzzino degli attrezzi per sfuggire all'ira funesta del papà che, nonostante le minacce, non avrebbe osato nemmeno torcerle uno dei suoi lunghi capelli.

Sul viso prese forma un sorriso amaro.

E, a questo punto, la domanda che continuava a martellarmi nella testa era: chi avrebbe acquistato il mio passato? A che prezzo, poi? Quale bambino (o bambina) avrebbe rigurgitato il pranzo sulla parete della cucina o segnato la propria altezza sullo stipite della porta d'ingresso? Quale uomo di famiglia si sarebbe appropriato del garage e avrebbe allestito lì un posto dove evadere dalla routine quotidiana? Ma soprattutto, chiunque fosse la nuova famiglia, avrebbe amato quella casa come l'avevano amata i miei genitori, anche se era l'unica che potessero permettersi con il misero budget di partenza? Come l'avevo amata, e continuavo ad amarla, io?

Mi accasciai sconsolata contro le ante chiuse dell'armadio in legno e affondai la testa tra le ginocchia.

Respira, Talia.

Perdere la calma non cambierà le cose.

A meno che...

-Talia!- Mio padre continuava a bussare con insistenza alla porta. -Apri la porta, ti prego-.

Iniziai a frugare tra le mie cose, alla ricerca della scatola a motivi floreali in cui avevo riposto tutti i soldi che le mie vecchie zie mi avevano regalato per varie occasioni: compleanno, Natale, Epifania, Pasqua.

Ero sicura di aver racimolato un bel gruzzolo.

Quando lo trovai, sollevai il coperchio ed iniziai a contare le banconote sul letto.

Siamo ringraziate tutte le vecchie zie del mondo.

-Esci, per favore-.

E se avessi vissuto in quella casa per conto mio? Se nei primi tempi avessi badato a me stessa grazie al denaro del budget di partenza che avevo a disposizione e poi avessi trovato un qualsiasi lavoro estivo, da sostituire con qualcosa di più serio nell'arco del prossimo, nonché ultimo, anno scolastico?

Se fossi stata completamente indipendente e... felice? Ormai avevo diciotto anni, non ero più una bambina. Potevo cavarmela.

Sì, ce l'avrei fatta.

Quell'idea mi provocò una scarica di adrenalina e di eccitazione che mi fece tremare le gambe e le mani.

C'era ancora un misero barlume di speranza, in fondo. Ed io mi stavo aggrappando ad esso con tutta me stessa.

-Possiamo parlarne!-

Rimasi di ghiaccio.

Possiamo parlarne.

Sapevo che non l'aveva detto di proposito, probabilmente non ricordava nemmeno in quale occasione avesse usato quelle due parole, ma io sì. Era questo il problema.

E, come sempre, mi sentivo colpevole.

Diedi un'occhiata al letto dove le banconote, soggette al venticello estivo che rinfrescava la stanza attraverso la finestra aperta, si muovevano a malapena.

Per poco non ebbi la tentazione di sbattere la testa contro il muro.

Ma cosa stavo facendo?

Avevo davvero pensato a tutto quello, come se... volessi scappare.

Sono uguale a lei.

No, era impossibile.

Lei ed io eravamo diverse.

Lo dicevano tutti.

O no?

Non riuscivo neanche a sopportare quel pensiero e così, per dimostrare agli altri ma soprattutto a me stessa che era una grande menzogna, feci la più grande stronzata della storia che, ne ero sicura, avrei ricordato per tutta la vita con grande rimpianto.

Maledetto orgoglio.

Uscii dalla stanza, lo sguardo fisso sui piedi.

Mio padre sorrise per il sollievo.

E dopo nemmeno un paio di settimane mi ritrovai su un camion traslochi, diretta alla zona di campagna fuori Firenze.

 

  
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