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Autore: DeAnna     27/04/2009    14 recensioni
La storia è divisa in due momenti, affrontati da due punti di vista differenti, quello di Carlisle e quello Jasper.
Ciò che li accomuna è l’incapacità di Jasper di affrontare il ricordo e la memoria delle proprie azioni, nel bene (la battaglia contro i neonati in Eclipse) e nel male (un omicidio, commesso durante “l’adattamento alla dieta vegetariana dei Cullen”, senza l’aiuto di Carlisle.
Questa fic ha parteciapto al contest "Le nuvole" (Contest su Twilight sulle note di Fabrizio De Andrè) indetto su da Nikelaos87 su EFP Forum.
(QUESTA STORIA FA PARTE DELLA SERIE : JASPER & CARLISLE, MOMENTS BETWEEN FATHER AND SON)
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
- Questa storia fa parte della serie 'Jasper & Carlisle: moments between father and son.'
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NDA:
Questa fic ha parteciapto al contest "Le nuvole" (Contest su Twilight sulle note di Fabrizio De Andrè) indetto su da Nikelaos87 su EFP Forum.

Frase scelta: n°14 (“Dolore/paura”)  E la memoria è già dolore è già il rimpianto di un aprile giocato all’ombra di un cortile (Il pescatore)

Non ho scelto di non inserire la frase all’interno della fic, è semplicemente successo. Ho cercato di rappresentare al meglio ciò che mi ha trasmesso “Il pescatore”: il rimorso, il rimpianto, la paura, il dolore, ma anche l’accettazione ed il perdono. Per me l’assassino (“con due occhi grandi da bambino, due cocchi enormi di paura, ch’erano gli specchi di un’avventura”) è, in questo caso, chi agisce d’istinto, obbedendo alla propria natura, mentre il pescatore è chi è pronto ad aprire, metaforicamente, le braccia e a dividere il proprio pane con lui, senza giudicarlo. Spero di esserci riuscita.



FORGIVE YOURSELF

1953

CARLISLE P.O.V.

Era una notte buia, che uno spicchio di luna calante, nascosto dalle nuvole non bastava a rischiarare.
Io correvo più velocemente di quanto non avessi mai fatto prima.
Avevo rallentato solo un paio di volte per sentire il profumo di Jasper ed essere certo di non perdere le sue tracce.
La pioggia batteva forte contro di me, ma io la ignoravo; in quel momento avevo bisogno di me stesso: dovevo assolutamente restare lucido e concentrato, avrei avuto tutto il tempo, più tardi, di occuparmi di una cosa talmente futile come dei vestiti bagnati!
E mentre io correvo attraverso gli alberi,nel buio, i miei pensieri correvano, ancor più veloci, nella mia mente, senza che potessi fermarli.
Pensavo a Jasper, ovviamente.
Lui e Alice (minuta e bella come una fata dei boschi, ma con la forza di un tornado) erano arrivati da noi tre anni prima.
E se Alice si era inserita alla perfezione all’interno della famiglia, Jasper manteneva ancora un atteggiamento piuttosto distaccato, verso tutti noi; sebbene si stesse impegnando per riuscire ad adeguarsi al nostro stile di vita,  impediva a chiunque di  conoscerlo a fondo.

In nome del Cielo come avrei potuto sapere ciò di cui aveva bisogno se lui  rifiutava di comunicare con me?

Cercava di tenere per sé qualsiasi emozione provasse e questo, per una persona con un dono come il suo, capace di sentire e manipolare le emozioni, era quanto meno singolare!
Odiava essere toccato e quando qualcuno gli si avvicinava tendeva a chiudersi a riccio.
Tutte le volte che gli veniva chiesto “Hai bisogno di qualcosa?” o “Vuoi qualcosa?” o, ancora, “Come stai?” la risposta era sempre la stessa “Niente. Va tutto bene, grazie”.
Tutti i tentativi che avevo fatto per cambiare le cose erano stati  bloccati da un sorriso educato, ma freddo e da uno sbrigativo ringraziamento.

Questa cosa mi stava facendo diventare pazzo!
Volevo aiutarlo! Sapevo che quel “Va tutto bene, grazie” era un’enorme bugia.
Ogni volta che vedevo sul suo viso l’espressione crucciata che avevo imparato a riconoscere fin troppo bene, volevo sapere.
Ogni volta che lo vedevo stringere i pugni, intrappolato nel proprio dolore, volevo sapere.
Ogni volta che, tornando a casa dal lavoro, trovavo la mia famiglia (la mia splendida, meravigliosa famiglia, la famiglia che adoravo) riunita, a ridere e scherzare, mentre lui era da solo, da qualche altra parte, volevo sapere.
Ogni volta avrei voluto gridare “Per favore: dimmi una buona volta di cosa hai bisogno! Dimmi cosa posso fare per te!”
Ed ogni volta, scioccamente, mi limitavo a chiedergli se avesse bisogno di qualcosa e lui rispondeva con la solita, abituale, enorme fandonia “No grazie signore”.
Ecco un’altra cosa che mi faceva sentire arrabbiato, ma anche impotente: mi chiamava sempre “signore” o “dottor Cullen”. Suonava così freddo, così impersonale: non riuscivo a sopportarlo!

Anche nelle occasioni in cui eravamo in pubblico avrei voluto dire “Lui è mio figlio Jasper”, ma mi trattenevo, per paura che si risentisse d’essere presentato così e mi limitavo a “Lui è Jasper”, nulla di più, così come lui diceva “Lui è il dottor Cullen”….senza aggiungere nient’altro, non “mio padre” o “il mio padre adottivo” o “il mio tutore”….niente di più che “il dottor Cullen”

Odiavo questa cosa! Volevo essergli vicino, così come lo ero agli altri miei figli; volevo sapere di cosa avesse bisogno, conoscere i suoi desideri, le sue paure….Ma lui aveva eretto un muro tra se stesso ed il resto del mondo.

“Va tutto bene signore” è sempre stato il massimo che sono riuscito ad ottenere. Una gigantesca bugia, a meno che il significato della parola “bene” non sia, per noi due, diametralmente opposto.
Vedevo ogni giorno la sofferenza nei suoi occhi e ciò che mi faceva stare peggio era il fatto che, non solo tacesse, ma facesse di tutto per nasconderlo!
In tre anni non ero riuscito a fare nessun passo avanti: Jasper Whitlock continua a rimanere un mistero per me, per tutti noi, ad eccezione, ovviamente, di Alice.
E così mentre, in una notte di pioggia, correvo per il bosco, cercando di trovarlo, non era solo la paura a muovermi, ma anche il senso di colpa.
Avevo la sensazione che il terrore ed il rimorso mi scorressero direttamente nelle vene.
Mi sentivo in colpa per non essere riuscito a scalfire la corazza che si era costruito, ad aiutarlo a superare il dolore che lo tormentava.
E avevo paura di non riuscire a trovarlo e a riportarlo a casa, paura di perdere lui e Alice.
Sebbene stessero con noi da poco immaginare la famiglia senza uno solo di loro era semplicemente impossibile.
Benché Jasper fosse sempre rimasto in disparte lo consideravo un figlio e il solo pensiero di perdere uno dei miei figli era intollerabile; non avrei saputo immaginare tortura psicologica peggiore!
E mentre simili, tremendi, pensieri continuavano ad attraversare la mia mente io continuavo a correre, badando a non perdere il suo profumo fino a quando l’ho visto.

Mi sono fermato un attimo ad osservarlo: seduto su una grosso sasso vicino al fiume, incurante della pioggia, i gomiti sulle ginocchia, il viso nascosto fra le mani e i riccioli biondi che grondavano acqua sul viso e sul collo, mi sembrava di sentire il dolore , la rabbia, il panico, la delusione, la paura e la disperazione che provava.

Ho rallentato i miei passi, fino ad arrivare vicino a lui.
“Jasper – ho detto – mi hai fatto prendere un terribile spavento!”
Lui si è mosso in maniera quasi impercettibile, solo un leggero tremito, dovuto, probabilmente, all’essere stato colto di sorpresa, poi si è alzato.
“Mi dispiace dottor Cullen, non succederà più” ha sussurrato, senza alzare gli occhi da terra.
“Andiamo a casa, sei fradicio”  ho risposto, guardando i suoi vestiti, bagnati e macchiati di sangue e i capelli che continuavano a gocciolare.
Lui ha scosso la testa, continuando a fissare il suolo.
“Sono venuto per riportarti a casa, ma se hai bisogno di un po’ di tempo, di schiarirti le idee o di andare a caccia.....…”
“No grazie signore. Va tutto bene”
“Sei sicuro di non volerne parlare? Potrebbe aiutarti….”
“Nossignore, grazie. Va tutto bene”
Ho fatto dei respiri profondi non certo per necessità, ma per non perdere la pazienza e mantenere il controllo, prima di ripetere “Andiamo a casa, su”, ma lui non si è mosso.
“Andiamo. Una doccia e dei vestiti asciutti  ti aiuteranno a sentirti meglio”
“Io…..magari lei può andare avanti…..” ha borbottato.
“Forse non sono stato abbastanza chiaro: io non vado da nessuna parte, senza di te!”  ho replicato.

Sapevo cosa aveva intenzione di fare e non potevo, non volevo permettere che accadesse; avrei usato ogni mezzo a mia disposizione per impedirlo.

“Pensa al dolore che daresti ad Alice….”
Era un colpo basso, lo sapevo, ma non m’importava; ero fermamente deciso  a giocare tutte le carte di cui disponevo, pur di riportarlo a casa con me.
“Se la caverà. Alice è molto più forte di quanto non sembri” ha risposto, continuando a nascondere il suo volto, coma se ciò nascondesse anche la paura ed il dolore.
“Forse, ma non sarà la stessa cosa – ho insistito - E poi credi davvero che ti lascerei qui solo?  Non capisci quanto mi dispiaccia vederti così  e non potere, non riuscire a fare nulla per aiutarti? Quanto mi spaventi l’idea che tu voglia abbandonarci? Come puoi dire che va tutto bene?”
“Mi dispiace signore” ha ribadito, sottovoce.
“Non voglio le tue scuse! Voglio solo sapere che stia bene e torni a casa con me!”
Lui annuiva, ma rifiutava, ostinatamente, di incontrare il mio sguardo poi ha mormorato “Sto bene!”.

Io cercavo di mantenere sotto controllo i miei sentimenti, sapendo che Jasper poteva percepirli perfettamente e che odiava essere compatito.

“Allora perché ho la sensazione che non sia vero?” gli ho domandato, gentilmente.
Nessuna risposta.
“Jasper, per favore, dimmi solo di cosa hai bisogno, fammi capire come posso aiutarti - ho pregato, facendo ,involontariamente, un passo avanti – È chiaro che non vuoi tornare a casa; ok, non dobbiamo farlo per forza….Ma non posso sapere ciò di cui hai bisogno se tu non me lo dici…non riesco ad indovinare….”
“Non ho bisogno di nulla” La sua voce era poco più di un sussurro, difficile da sentire persino per me, sotto la pioggia che continuava a scrosciare e col vento che sibilava tra gli alberi.
Mentre lo guardavo sentivo il suo dolore e, dentro di me, pregavo Dio perchè mi aiutasse a trovare il modo di trattare con lui…
Conoscevo il resto della mia famiglia, sapevo come confortarli, anche in situazioni terribili come questa, perché loro parlavano con me, ma con Jasper tutto era più difficile….non sapevo come aiutarlo, come rendergli la vita più semplice, come rendergli le cose sopportabili….

Dovevo lasciarlo andare per la sua strada, da solo, come aveva fatto prima di unirsi a noi?

Apparentemente era ciò che voleva, ma a me non sembrava assolutamente in grado di farcela…
Così ho deciso di seguire il mio istinto e di fare ciò che mi dettavano i sentimenti, non la ragione e ho fatto un passo avanti, mentre parlavo.
“Sai è difficile, per me, crederti, considerando il fatto che sei qui bagnato e chiaramente infelice, anziché essere a casa dove potresti essere felice e…asciutto!”
Lui ha stretto i pugni ed ha ripetuto, per l’ennesima volta, “Sto bene”.
Poi ha aggiunto:
 “Voglio…devo…..devo solo andar via, da qualche altra parte…in un posto cui non posso…non posso…deludere Alice, farle del male. Io…io non merito di stare qui…….Come posso stare qui, con voi, quando non riesco nemmeno ad uscire di casa da solo senza commettere un omicidio?!” e la sua voce era solo un bisbiglio.
“Jasper….” Ho iniziato, ma lui mi ha interrotto
Perché siete venuto qui?”
Io mi sono voltato verso di lui, una volta ancora, ma non riuscivo a vedere l’espressione dei suoi occhi, nascosti dai capelli bagnati.
“Non abbiamo già chiarito questa cosa? – la confusione nella mia voce era quasi palpabile – ti ho già spiegato che sono qui per riportarti indietro”.
Lui mi ha guardato un po’, incontrando il mio sguardo per un milionesimo di secondo, prima di tirarsi di nuovo indietro.
“Perché Jasper? Tu sai perché: non voglio lasciarti” ho ammesso, semplicemente.
“Perché?  - ha insistito, caparbio – che le importa?”
E quelle parole hanno fatto scattare qualcosa in me.
“Davvero non capisci perché lo faccio?” gli ho chiesto.
Lui mi ha guardato con l’espressione braccata di un animale in trappola. “Mi dispiace – ha detto, timidamente – no. Non capisco proprio perché voglia che io torni indietro, come faccia a non essere furioso con me……….mi dispiace”
“Jasper – ho iniziato, cercando il contatto con i suoi occhi – Non voglio le tue scuse”
“Perché? Ho rovinato tutto… Ho complicato le cose per tutti…Ora dovrete andar via, ricominciare daccapo….”
“Pensi davvero che qualcosa di banale e poco importante come cambiare città possa farmi andare in collera con te?”
“È stato più forte di me…io…”
“Lo so, credimi, ti capisco. Eri a caccia; anche i più forti, tra di noi, possono perdere il controllo quando sono a caccia”
“Ho ucciso una persona! Come fa a non essere deluso? ”
“Purtroppo è una parte di ciò che siamo, come ti ho già detto. Non è la migliore, anzi, probabilmente è la peggiore, ma è così; possiamo e dobbiamo fare del nostro meglio, ma tutti commettiamo degli errori. L’importante non è non cadere mai, ma riuscire a rialzarsi.
“Ho ucciso qualcuno” ha ripetuto, con voce atona.
Tutto ciò che sono riuscito a fare è stato annuire lentamente prima di rispondere “Si, lo so”

Che Dio mi perdonasse e avesse pietà di me e della mia anima, sempre che ne avessi ancora una!
Sapevo quello che Jasper aveva fatto e non m’importava che avesse ucciso qualcuno. Il bisogno, egoista ed istintivo, di riportare mio figlio a casa, di saperlo al sicuro, era più forte di qualsiasi altro sentimento.

Silenzio poi un sussurro, appena udibile “ Quell’uomo aveva una vita, probabilmente una moglie, una famiglia……e io…..io…..”
La voce rotta, l’espressione angosciata e le gocce di pioggia come surrogato delle lacrime che avrebbero rigato le sue guance se fosse stato ancora capace di piangere, lo facevano apparire insolitamente giovane e vulnerabile.
“Dimmi…..dimmi….cosa vuoi che faccia”  ho ripetuto.
Lui ha scosso la testa “Nulla. Sto bene”
Ed io sono esploso, incapace di trattenermi:
“Non dirmi che sati bene quando sappiamo benissimo tutt’e due che non è vero! Sono stanco di sentirtelo ripetere! Per una volta, una sola volta voglio la verità! Non voglio sentire “non ho bisogno di nulla” quando, chiaramente, non è vero. Per Dio: dimmi solo ciò di cui hai bisogno!”
Jasper era chiaramente stupito dal mio comportamento, ma per la prima volta ha sollevato i suoi occhi fino ad incontrare i miei e ha detto “Puniscimi – la sua voce, solitamente tranquilla, rotta dall’emozione - picchiami, non permettermi di mangiare, di andare a caccia per i prossimi due mesi…Fai qualcosa!!!”
Ed improvvisamente ho capito!

Come ho potuto essere tanto stupido?
 
“No” ho mormorato, semplicemente, facendo un passo verso di lui, per posare una mano sulla sua spalla, un gesto che,normalmente, avrebbe confortato un qualsiasi membro della mia famiglia.
Jasper ha sussultato , ma non ha fatto nessun tentativo di evitarmi ed, improvvisamente, ho realizzato che avrebbe potuto pensare che stessi per colpirlo ed ho ritratto mano, facendo un passo indietro.
“Jasper – ho iniziato lentamente – io non sono Maria
Lui ha guardato, di nuovo, verso il basso, sembrava deluso ed  imbarazzato ed io ho continuato:
 “Non conosco perfettamente il tuo passato, ogni tortura che ti è stata inflitta, i castighi che hai dovuto sopportare…ma qui non è mai successo e non succederà mai! Da ciò che Alice mi ha raccontato ho capito che io e…Maria….abbiamo idee diametralmente opposte sul modo di gestire una famiglia. Ecco…mi dispiace per ciò che sei stato costretto a sopportare, per ciò che hai vissuto; mi dispiace che tu abbia pensato che quello fosse il solo modo di vivere la nostra vita, perché non è assolutamente così.”
Ho fatto un piccolissimo passo verso di lui, prima di proseguire.
“Ora per favore, dammi un’altra possibilità. Fallo per me, se non per te, permettimi di dimostrarti che qui le cose sono diverse, che non devi avere paura di me perchè sono diverso da lei…”
Lui non si muoveva, sempre lì, fermo, con lo sguardo basso, incurante del diluvio.
“Dottor Cullen…” ha iniziato, ma io non gli ho dato la possibilità di continuare.
“No! Vedi? Perché fai così? “ gli ho chiesto e lui mi ha guardato con occhi grandi, in cui il dolore si mescolava alla confusione.
“Ho più confidenza con alcuni dei miei pazienti che con te. Hai idea di quanto questo faccia male? Io vorrei capirti, aiutarti, ma tu continui a respingermi…È sempre “dottor Cullen” o “signor Cullen”…Ti faccio davvero così  paura, ti metto talmente a disagio da non potermi nemmeno chiamare per nome?
Jasper ha infilato una mano tra i capelli fradici, prima di borbottare, per l’ennesima volta “Mi dispiace”
“No – l’ho interrotto – A me dispiace. Mi dispiace per tutto ciò che sei stato costretto a sopportare. Mi dispiace che sia cresciuto tra le battaglie, che qualcuno ti abbia indicato solo la strada sbagliata. Mi dispiace che la tua vita sia stata per troppo tempo tra le mani di qualcuno a cui non importava….Ma io non sono lei. Ma non ti permetterò di andartene: fai parte di una famiglia, ora, e le famiglie non cacciano via le persone che commettono degli errori”
“Ma io non merito di stare qui!
“Questo è ridicolo! Perché non puoi, semplicemente, perdonare te stesso come abbiamo fatto noi e tornare a casa con me?”
Lui non si è mosso.
“Se è preoccupato di ciò che potrebbe accadermi…bhè…sono in grado di prendermi cura di me stesso” ha dichiarato, cercando di mantenere un tono di voce fermo e deciso.
“Jasper, scusami, ma non ne sono affatto convinto. So che credi di potercela fare, perché hai trascorso praticamente tutta la tua vita in guerra, ma non è così  - mi è sfuggito un sorriso, prima di continuare – Il fatto è che non sei così adulto e maturo come pensi di essere. Sei poco più di un adolescente. Quanti anni avevi quando sei stato cambiato? Diciannove? Venti? Dio! Non puoi capire quanto mi dispiace per tutto ciò che hai dovuto sopportare! Sono esperienze che nessuno dovrebbe mai fare, nemmeno nei propri incubi peggiori! Tu pensi che ti abbiano fatto maturare, ma non è così. Il fatto che tu abbia fatto a meno per tanto tempo di alcune cose, non significa che non ne abbia bisogno”
Lui mi guardava, ed era chiaro che non capiva completamente ciò che dicevo.
“Hai bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che ti guardi le spalle, che ti protegga….Qualcuno che ti impedisca di fare una cosa tanto stupida come lasciare le persone che ti amano……Per Dio: hai bisogno di un padre!
Le ultime parole mi erano uscite di bocca prima che potessi riflettere, ma pronunciarle mi faceva sentire fiero e sollevato.

Volevo essere suo padre, lo volevo per lui e lo volevo per me.

Jasper mi guardava, stupito, incapace di parlare.

Ora -  ho detto severamente, indicando la casa con la mano – noi torniamo a casa. Tu farai una doccia, indosserai vestiti decenti e poi noi due ci metteremo seduti tranquilli e faremo una lunga chiacchierate. Tra le altre cose voglio essere certo che tu capisca quanto sia  stupida l’idea di andartene. Sono stato chiaro?”
Silenzio.
“Sono stato chiaro, figliolo?” ho ripetuto,fermamente.
Scosso dal proprio intorpidimento Jasper ha mormorato  in un sussurro.
“Va bene, Carlisle”.




BATTAGLIA CONTRO I NEONATI (ECLIPSE).

JASPER P.O.V.

Ero sdraiato sul divano del salotto, tentando, con scarso successo, di leggere un libro e d’ignorare Emmett che cercava di coinvolgermi in una partita con la psp.
Evidentemente la battaglia gli aveva messo in corpo talmente tanta adrenalina che nemmeno la notte con Rose era stata sufficiente e a scaricarla.
“E dai Jazz, siamo nel ventunesimo secolo! Lascia perdere quel libro e vieni qui! È più divertente se si gioca in due!!!”
“Ti ho già detto che non mi va!” ho risposto
“Facciamo una gara,una partita, una lotta, braccio di ferro….qualcosa, qualsiasi cosa ! Dai no costringermi a stare fermo….Non ci riesco….” ha ribattuto lui.
“Ragazzi qualsiasi cosa abbiate in programma di fare vi suggerisco caldamente di farla fuori da questa casa se non volete finire nei guai!”
Era la voce di Esme che, dalla cucina, aveva sentito la nostra conversazione.
“Uffa! Non preoccuparti: Jazz è talmente noioso! Vado a cercare Rosie…….troveremo sicuramente  un modo per passare il tempo….” ha risposto Emm, ridacchiando e sparendo velocemente su per le scale.
Ho scosso la testa, cercando di riportare la mia attenzione al libro.
“Jasper, tesoro, stai bene?” mi ha chiesto Esme, comparendo in quel momento con in mano un vaso colmo di pallide rose tee.
“Si, sto bene…” ho risposto , automaticamente, prima di accorgermi che il suo sguardo si era posato sulla mia mano destra con  cui, inconsciamente, avevo cominciato a massaggiare l’avambraccio sinistro.
“Avvisami, se hai bisogno di qualcosa”  ha detto, sospirando leggermente, prima di lasciare la stanza, dopo aver posato il vaso sul tavolo.
Avevo appena ripreso a leggere, senza riuscire, in realtà, a concentrarmi perché i pensieri che affollavano la mia mente e che cercavo, disperatamente, di ricacciare indietro me lo impedivano quando ho sentito l’auto di Carlisle e, poco dopo, lui ed Esme che parlavano.

“Come sta?”
“Bene, tutto sommato. Non sono molto pratico così gli ho dato, forse, più antidolorifico di quanto avrei dovuto. Guarisce anche troppo in fretta, così ho dovuto intervenire su alcune fratture che si stavano saldando in maniera sbagliata… Ora c’è suo padre con lui.”

Ok, si riferivano a Jacob Black, il licantropo, l’amico di Bella.

“Edward?”
“È andato da Bella. Povera cara, non deve sentirsi troppo bene, in questo momento…”
“Già. Quella ragazza ne ha passate troppe, ultimamente: Edward, i Volturi, ora questo….E Jasper?”
“In soggiorno, con un libro”

Allarme rosso: parlavano di me….

“Come sta?”
Sospiro.

Guai?

“Sai com’è fatto. Non parla, cerca di nascondere il dolore….l’ho sorpreso a massaggiarsi il braccio, ma quando gli ho chiesto come stava mi ha detto “bene”, come al solito.

Ok, ero ufficialmente spacciato: avrei dovuto fare i conti con Alice, Esme e Carlisle….Anche se, conoscendo Alice, il fatto che non fosse ancora intervenuta, significava solo che sapeva già come sarebbe andata a finire tutta questa storia ed era certa che la situazione si sarebbe sistemata benissimo anche senza la sua partecipazione.
Guai: decisamente c’erano guai in vista!!!!

Ho pensato di uscire, senza dare nell’occhio, ma prima ancora che potessi muovermi Carlisle era in salotto, con la borsa ancora in mano e l’aria stravolta.
Non si era fermato nemmeno un attimo da quando avevamo progettato la battaglia.
“Puoi venire un attimo nel mio studio?” mi ha chiesto e, senza aspettare risposta, mi ha preceduto così che non ho avuto altra scelta se non quella di alzarmi e seguirlo.
Una volta dentro mi ha fatto cenno di sedermi e ha cominciato a sistemare alcune cose che a me, tra l’altro, sembravano perfettamente in ordine, , sulla sua enorme scrivania di mogano.
“È andato tutto bene, vero? Voglio dire, la battaglia, i Volturi….a parte Jacob, ma anche lui si rimetterà…..”
Io stavo in silenzio…sentivo le sue emozioni, ma non riuscivo a capire cosa volesse dirmi.
“Tu stai bene?” mi ha chiesto, alla fine.
“Si, perché?” ho risposto, leggermente a disagio perché non mi piace essere al centro dell’attenzione.
“Come va il braccio?” ha insistito.
Sentivo che la sua preoccupazione era sincera, ma non ce la facevo.
“Va tutto bene. Non è la prima volta che mi capita…..”
Carlisle ha sospirato, poi si è seduto sulla scrivania, di fronte a me.
“Posso vederlo?” ha chiesto, tendendo una mano verso di me.
Mi dispiaceva davvero deluderlo, ma ero convinto che non ce l’avrei fatta.
“Non ne vale nemmeno la pena, sai? Tu sembri molto stanco e….il mio braccio sta benissimo, credimi, non fa quasi nemmeno male…”
Ho mentito in maniera convincente, ma lui è un osso duro.
“Sono stanco, lo siamo tutti ,no? Ma mai troppo per i miei figli. Ok, non fa male. Meglio. Voglio solo dare un’occhiata. Ci vorrà un attimo” ha insistito.
Sul suo viso c’era un sorriso, ma la sua voce non riusciva a nascondere un po’ d’impazienza.
Rassegnato ho allungato il braccio verso di lui che, con estrema delicatezza, ha sollevato la manica della camicia, sino a scoprire il morso.
L’ha toccato leggermente, con prudenza, e mi è sembrato che le sue dita fossero un branco di scorpioni sulla mia pelle. Ho faticato parecchio a trattenere un gemito (o un’imprecazione!?) mentre sentivo crescere la sua preoccupazione.

Fantastico: ci mancava solo questa! Ero certo che Alice avesse già visto tutto e che, in quel momento, stesse sorridendo da qualche parte.
Eh sì! Io e la mia adorabile streghetta avevamo decisamente un conto in sospeso……

“Perché non mi hai detto che stavi male?” mi ha chiesto Carlisle.
“Come?” ho fatto finta di non capire; ero quasi tentato di modificare le sue emozioni ma non avevo il coraggio di farlo, immaginando che se ne sarebbe accorto e si sarebbe arrabbiato….
“Andiamo Jasper! Questo non è un graffio! Sono un medico e un vampiro da quasi trecento anni! E comunque chiunque si accorgerebbe che è una brutta ferita; non puoi farmi credere che non ti faccia male! – ha detto rivolgendo verso di me uno sguardo comprensivo, ma severo – Mi sembrava che avessimo già chiarito questa cosa, no? È inutile e stupido fingere che vada tutto bene quando non è così!”
“Scusami – ho borbottato – non volevo farti arrabbiare….è solo…..bhè….non volevo spaventarvi e  preoccupare Esme…”
“Non sono arrabbiato Jasper. So bene che lo sai.” ha detto, recuperandola calma.
“Ma sei insoddisfatto e….scoraggiato….” ho insistito.
“È vero, ma non per te. Sono deluso da me stesso  - ha dichiarato Carlisle, lasciando andare il mio braccio ed iniziando ad armeggiare con la sua borsa da lavoro – per non essermi accorto che stavi male ed essermi accontentato del tuo “sto bene”. Ormai avrei dovuto imparare che è sempre una bugia! Ho deciso che finirò per non credere più a questa frase, sai?”
La sua tristezza, ancor più dell’amarezza di quelle parole, mi facevano sentire davvero in colpa.
Mentre parlava Carlisle ha tirato fuori dalla borsa del disinfettante, garza e un rotolo di cerotto e ha cominciato a prendersi cura della mia ferita.
“Come stai?” mi ha chiesto, di nuovo.
“Non mi fa impazzire, ma credo che sopravviverò” ho risposto.
“Jasper! – mi ha rimproverato – sai benissimo che non mi riferisco al tuo braccio!”
“Bene” ho ripetuto, con finta noncuranza.
“Mi sembrava di averti già detto che non credo più a questa risposta, no?”
Vedendo che non rispondevo ha continuato.
“Se non ti va di parlarne non sei obbligato, ma voglio che tu sappia che ho capito che c’è qualcosa che non va perchè te lo leggo negli occhi e  che se hai bisogno io sono sempre pronto ad ascoltare”
Ho abbassato lo sguardo, lasciando che lavorasse in silenzio.
Ogni volta che rifiutavo di lasciare andare i miei sentimenti sentivo la sua frustrazione, la tristezza e la rabbia che cercava di contenere.
Mi sono schiarito la gola una volta, due, tre….poi
“È….È che….la battaglia….ha riportato a galla dei ricordi che preferirei dimenticare” ho borbottato, controvoglia.
Carlisle è rimasto in silenzio mentre continuava a bendare il mio braccio ed io ho fatto lo stesso.
Quando ha finito mi ha guardato e, dopo essersi passato una mano tra i capelli, ha detto “Credimi non trovo le parole per dirti quanto mi rincresce che ti abbia dovuto rivivere momenti terribili del tuo passato”

Io ho sospirato, perché non riuscivo a fare nient’altro: parlare mi faceva male e stare in silenzio mi faceva soffrire per lui….
 
“Scusa – sono riuscito a dire, alla fine – non volevo lamentarmi….”
“Smettila Jasper, così non mi aiuti! Non è colpa tua, non comportarti come se lo fosse! Ti va….vuoi parlarne?” ha ribattuto

Ci ho pensato un attimo.

Morte. Omicidio. Morsi. Dolore. Brutalità. Occhi rossi, fuori dalle orbite. Dolore. Fuoco. Violenza. Rottura. Dolore. Disperazione. Stanchezza. Rabbia. Paura. Ripugnanza. Rimorso. Frustrazione. Preoccupazione. Dolore. Ombre. Fumo. Buio. Ferocia. Urla. Dolore. Furia. Odio. Rancore. Dolore…..

Costante dolore.

Ho scosso la testa. Non volevo che fosse costretto ad ascoltare “No, sto bene”
Sentivo i suoi occhi su di me e li evitavo, vigliaccamente perché non volevo affrontarlo.

“Edward e Emmett hanno detto che eri dappertutto e che sei stato grande. Il tuo piano era perfetto…” ha affermato Carlisle.
“Esagerano, come sempre” ho risposto imbarazzato.
Lui ha sorriso, in maniera un po’ forzata “Si, di solito si, ma stavolta sono d’accordo sai?  Ci sai fare” ha ribadito.

Ci sai fare?

È questa, dunque, la mia capacità? Essere in grado di compiere una strage?

Solo pensarci mi dava il voltastomaco ed ancor più pensare che tutti mi avessero visto in azione.

“Mi spiace. Non avrei voluto che foste costretti a vedermi….uccidere.” ho mormorato, vergognandomi di me stesso.

Carlisle si è voltato e, dopo avermi messo le mani sulle spalle, facendo attenzione a non danneggiare il braccio ferito, ha detto
“Jasper guardami”
Ha aspettato, prima di continuare, che i miei occhi incontrassero i suoi.
“Io ho visto che lottavi per proteggere le persone che ami e so che tutti hanno visto la stessa cosa. Sono fiero di te”
Ho sbattuto le palpebre.

Ero assolutamente certo di aver ucciso, da solo, per lo meno un terzo dei neonati presenti, forse anche la metà e lui diceva che era orgoglioso di me?

Carlisle si accorse che non capivo e provò a spiegare “Sono certo che pochi avrebbero rischiato come hai fatto tu stanotte, sapendo a cosa andavi incontro e che pochissimi sarebbero stati in grado di affrontare un simile dolore ”

Sorrideva, stavolta sinceramente.

Per un attimo il pensiero che fosse impazzito ha attraversato la mia mente senza che io potessi bloccarlo.

“Non hai ancora imparato, eh? Eppure ci siamo già passati più di una volta in tutti questi anni…Le persone sbagliano, ma non per questo vengono considerate dei mostri. Non puoi punirti a vita per dei peccati di cui non hai colpa! ”

L’ho guardato un attimo, senza parlare, poi ho abbassato lo sguardo e ho tirato le gambe al petto, stringendole a me.
La mia posizione ha fatto nascere in lui un’ondata di preoccupazione che ho sentito immediatamente.
Volevo provare a chiarire le cose…. “Mi dispiace che abbiate dovuto assistere. Maria….bhè, lei era un’altra cosa…..era parte di quel mondo….Ma non avrei mai e poi mai voluto che tu, Alice, Esme e gli altri mi abbiate visto così….”

Carlisle ha posato una mano sulla mia testa, allontanandomi i capelli dagli occhi, in un gesto affettuoso.
“Se avessi saputo…se avessi capito quanto sarebbe stato difficile per te non ti avrei mai permesso di partecipare alla battaglia” ha dichiarato.
“Non essere ridicolo! Sono quello con più esperienza….senza di me….non voglio essere presuntuoso…..ma sarebbe stato ancora più pericoloso….” Ho ribattuto, terrorizzato all’idea della mia meravigliosa, piccola, preziosissima Alice nell’occhio del ciclone, senza di me.
“Si, hai ragione, ma io non posso non sentirmi colpevole. Avrei dovuto capire. Sono stato un pessimo padre”  ha insistito.
“Non va così male, davvero, passerà…”
“Si, lo dici sempre. Anche prima mi hai detto che la ferita era una cosa da nulla…”
“Non è stata diversa da tante altre battaglie…..Te lo assicuro…” ho ribadito, cercando di essere convincente.

Solo che questa volta c’era la mia famiglia e non m’importava assolutamente nulla di me, ma di voi: Edward e Bella, Emmett e Rosalie, tu e Esme, e Alice naturalmente……


“Farai tardi al lavoro” ho aggiunto, poi.
“Non cambiare discorso. Il mio lavoro può aspettare. Adesso mio figlio ha bisogno di me - ha risposto, e mentre parlava si è seduto sul divano, alle mie spalle – vieni qui: noi due dobbiamo fare una lunga chiacchierata. Tra le altre cose voglio che tu capisca quanto possano essere stupide alcune idee…”
Mi sono alzato e sono andato a sedermi al suo fianco.
“Va bene papà

  
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