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Autore: BebaTaylor    16/08/2016    1 recensioni
Lindsay, Ryan e tutti gli altri tornano, dopo Straight Trough my heart. Ma scordatevi le atmosfere divertente della storia precedente.
Perché le persone crescono, i rapporti cambiano e si evolvono, perché c'è sempre chi non capisce, chi pensa al successo e lo vuole anche a costo di distruggere la felicità degli altri, ignorando le tante lacrime versate.
Risate, lacrime — tante — e dolore. I nostri saranno in grado di superare tutto quanto?
Attenzione: nella seconda parte del settimo capitolo ci sono vaghissimi accenni di lime slash.

«Ryan!» strilla Lindsay quando, del tutto casualmente, le tocco il sedere.
«Che c'è?» domando, «Non ho fatto niente.»
Lei mi fissa e sbuffa, «Lo sai cosa hai fatto.» dice, «Mi hai toccato il culo.» sibila.
Le sorrido, «Non l'ho fatto apposta.» dico. Lindsay sbuffa e si volta, dandomi le spalle e fissando la fila di persone davanti a noi. Stiamo andando a New York, ed è inutile dire che Liam è felice di passare del tempo con Svetlana, poi andremo in Europa, per la promozione dell'album. Prima tappa: Dublino. Credo che mi sfonderò di Guinness.

La presentazione fa schifo, scusate. Giuro che la storia è molto meglio!!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In a World Like this'
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We Start Over

Quattro
Take Care
*** I know that inside you're delicate ***



«Sai che giorno è oggi?» chiedo fissando Lindsay.
Lei mi guarda, sbadiglia e lega i capelli in una coda bassa. Dovrei dirglielo che la preferisco quando lascia i capelli sciolti? «Lunedì.» mi risponde.
«E poi?» chiedo.
«E poi cosa?» chiede lei sistemando l'orlo della maglia che indossa. «È l'undici.»
Incrocio le braccia e sbuffo. «Linds, non dirmi che non sai che giorno è oggi!» mi lamento. «Dai, è facile.» dico. Lei mi fissa, come se non capisse le mie parole. «E poi dite che siamo noi uomini che ci dimentichiamo gli anniversari.» borbotto.
«Guarda che mi ricordo, eh.» squittisce, «Lo so che oggi è un anno che ci siamo conosciuti.» dice, «Non sono idiota.» borbotta.
Sorrido e l'abbraccio, «Lo sapevo che non potevi essertene dimenticata.» esclamo e le bacio la testa.
«Dimenticarmi che mi hai svegliato e preso per il culo ancora prima di dirti il mio nome?» ribatte lei scostandosi da me, mi guarda e sbuffa. «Come avrei potuto?» soffia, «È lì che è iniziato tutto.» mormora e alza il viso, così la bacio, toccandole la schiena e i capelli.
«Ho una cosa per te.» dico e mi stacco da lei, apro il cassetto del comodino e prendo una bustina verde e bianca e gliela porgo.
«Un regalo?» trilla lei prendendola e si siede sul letto. «Di Carrollos?» domanda. «L'hai presa a Dublino?»
Annuisco.
Lindsay sorride ed è bellissima. Scarta il pacchetto, rivelando un sacchetto trasparente. «Oh...» commenta, «È bellissimo.» soffia prendendo il ciondolo con un cuore pieno di brillantini, con sopra un trifoglio — simbolo dell'Irlanda —, «Grazie.» dice e si butta su di me, abbracciandomi e baciandomi le guance. «Grazie.» ripete.
«Prego.» dico e le metto la collana al collo, agganciando il piccolo moschettone al cerchietto. Le bacio il retro del collo e la stringo a me, inspirando il suo profumo.
Le piace. Le piace! E pensare che Jake diceva che era una cosa ridicola, fare un regalo perché è un anno che ci conosciamo...
Idiota.
E poi Carl ci chiama, dobbiamo andare a fare un'intervista non so dove. Ma c'è Lindsay, è un anno che ci conosciamo e non potrei essere più felice di così.

***

Sbadiglio e guardo Lindsay che getta il bicchiere del cappuccino nel cestino. Si muove piano, lentamente, come se fosse stanca. In realtà lo è. Siamo tutti stanchi. In questi venticinque giorni non siamo stati fermi un attimo! Adesso siamo all'aeroporto di Boston, in attesa del volo per Miami: ancora qualche ora e saremo finalmente a casa.
«Tutto bene?» domando.
Lindsay annuisce e sbadiglia, «Sono stanca.» soffia appoggiandosi a me e chiudendo gli occhi.
«Fra poco saremo a casa.» dico.
«E io andrò a farmi una dormita di dodici ore come minimo e chi mi sveglia è morto.» borbotta reprimendo uno sbadiglio. Sorride e le sfioro la gamba, così vicino alla mia.
Due minuti dopo annunciano l'imbarco per il nostro volo, così ci alziamo e qualche minuto dopo siamo in aereo. Lindsay, ovviamente, si piazza vicino al finestrino. Mi sa che dovrò rinunciare all'idea di sedermici io.
«Stai bene?» le domando quando l'aereo è in quota, Lindsay ha la faccia pallida e le guance rosse come pomodori. Le tocco la fronte, sentendola un po' calda.
«Sono stanca.» mormora lei chiudendo gli occhi.
«Sicura?» chiedo a bassa voce, «Sembri un po' calda.»
Lei sorride, «Non ho nulla.» dice, «Voglio dormire.» aggiunge chiudendo piano gli occhi. La guardo per un'istante, chiedendomi se stia bene sul serio, perché, al momento,  non mi sembra stare benissimo. E non è la stanchezza, perché siamo tutti stanchi, è qualcos'altro... inspiro a fondo e le sfioro la mano abbandonata sul braccialo. Non so perché ma ho il sospetto che si stia beccando qualcosa. Questa notte l'ho sentita tossire un paio di volte, anche se potrebbe non voler dire nulla.
Però...
Però è meglio se ti rilassi, Ryan, e non ci pensi. Almeno fino a quando non saremo a Miami.

***

Casa dolce casa!
Entriamo nella casa di Linds e potrei baciare il pavimento da tanto sono felice. Ma non lo faccio perché risulterei ridicolo.
«Lindsay, tesoro, stai bene?» domanda la signora Mars.
«No, mamma.» dice lei, «Sono stanca.» soffia e si trascina al piano di sopra, portando con sé solo il bagaglio a mano.
Saluto e porto le valigie nella stanza di Lindsay, «Tutto bene?» le chiedo.
Lei si siede sul letto, sbadiglia — sbadiglio che si interrompe a metà, perché interrotto da un colpo di tosse —, «No.» dice. Si toglie le scarpe e si sdraia sul letto, «Voglio dormire.» piagnucola.
Mi avvicino a lei, le scosto i capelli dal viso e le bacio la fronte, «Hai la febbre.» dico, «Sei troppo calda.»
Lei geme, «Mi togli le scarpe, per favore?» pigola e io la fisso, «Dai, quella sera te le ho tolte.» borbotta e tossisce.
«Va bene.» sospiro capendo cosa intende: a quel giorno in cui siamo andati in prigione da mio padre e io mi sono ubriacato, le ho chiesto di togliermi le scarpe e poi di restare con me finché non mi sarei addormentato e lei... lei lo ha fatto; mi chino e le tolgo le scarpe e le calze. «Cambiati e riposati.» mormoro e le bacio la fronte.
«Dove vai?» chiede lei, «Ryan.» mi chiama, dicendo il mio nome come se fosse una cantilena. «Ryan...»
«Vado a portare le mia valigie di là.» rispondo.
«Torni?» mormora lei, le guance rosse mentre toglie i jeans e li lascia cadere sul pavimento.
«Sempre.» rispondo e torno al piano di sotto e dico a sua madre che Lindsay ha la febbre.
Torno da lei dopo una mezz'ora, dopo aver buttato le robe sporche in lavatrice ed essermi fatto una doccia. Anche Lindsay si è fatta la doccia ed ora è sotto le coperte, gli occhi socchiusi. Dorme. Potrei farlo anche io... mi avvicino silenziosamente alla porta finestra e la apro piano.
«Ryan?»
Mi blocco e Lindsay mi chiama ancora. «Sì?» faccio.
«Dove vai?» domanda, «Non resti qui con me?» chiede, «Resta qui con me, Ryan.»
Un qualcosa mi dice di chiudere la finestra e sedermi accanto a lei. Subito. Così lo faccio. «Come ti senti?» le chiedo sedendomi accanto a lei.
«Male.» sospira lei e posa la testa sul mio petto e si avvinghia a me. Anche se a separarci c'è il lenzuolo e un piumino leggero, la sento calda, bollente. Un calorifero, in pratica.
«Uh, povera la mia piccola Linds.» dico e le bacio la testa, che profuma di frutta. Le prendo la mano e la stringo, anche se è troppo calda, le sfioro il dorso con il pollice.
«Linds? Tesorino bello?» la chiamo dopo qualche minuto, «Puoi spostarti, per favore? Mi si sta addormentando il braccio.» dico ma lei tace. «Linds? Lindsay?» chiamo ma lei non risponde, visto che dorme. Così la sposto piano, muovo il braccio sinistro e mi metto seduto, accorgendomi di avere fame. Prima la signora Mars — giuro che prima o poi la chiamerò per nome — mi ha detto che ci sono dei tramezzini tonno e salmone. Magari potrei mangiarmene giusto un paio, per riempire lo stomaco in attesa della cena.
Lentamente esco dalla camera, scendo le scale e mi fiondo in cucina.
«Lindsay?» mi chiede la signora Mars.
«Dorme.» rispondo, «I tramezzini?» domando. Lei sorride, apre il frigo e me ne dà due, dopo averli posati su un piattino bianco. Mi domanda cosa voglia da bere e rispondo Coca-Cola, così mi ritrovo il bicchiere pieno davanti.
Torno da Lindsay un quarto d'ora dopo. «Ryan! Ryan!» mi chiama lei quando apro la porta, «Ryan!»
«Sono qui.» dico, «Stai bene?» le chiedo, preoccupato.
«Dov'eri?» chiede lei, «Dov'eri?»
La fisso, sembra sconvolta. «Linds... che hai?» chiedo, «Ero in cucina a far merenda.» rispondo sedendomi accanto a lei.
Lindsay mi stringe e sento la sua fronte calda contro il mio collo. «Mi sono svegliata e non c'eri più.» pigola.
Le accarezzo la schiena, «Ehi, Linds, è tutto okay.» dico, «Sono qui.» le bacio la testa, «Va tutto bene.» soffio, «Dormi.» dico. Lei annuisce e si sdraia, restando sempre vicino a me. Rimaniamo per qualche secondo in silenzio, mentre io le sfioro i capelli, finché il mio cellulare non emette il “bip” che mi avverte che la batteria è arrivata al quindici per cento di carica.
«Dove vai?» chiede Lindsay quando mi alzo in piedi.
«A prendere il cavo.» rispondo.
«Torni?» pigola.
«Sì.» rispondo, «Ovvio.»
Mentre attraverso il terrazzo mi chiedo perché Lindsay faccia così. È solo per la febbre? So che il dottore viene domani mattina. Oppure... Lindsay sembra veramente sconvolta nel svegliarsi e non ritrovarmi lì accanto a lei.
Ritorno da lei dopo mezzo minuto e la ritrovo sdraiata sul letto, gli occhi fissi sulla porta finestra. Quando mi vede sorride. Collego l'Iphone al cavo e lo lascio sulla scrivania, tolgo le ciabatte e mi sdraio accanto a Lindsay, che mi si avvinghia contro.
Prevedo che sarà un lungo pomeriggio, una lunga serata e un'ancora più lunga nottata.

***

«Linds, forse è meglio se vado a dormire di là.» dico più tardi, dopo la cena.
«No!» squittisce lei, «Resta qui!» dice, «Ryan...» pigola, fissandomi con gli occhioni sgranati, messi ancora più in risalto dal viso pallido e le guance rosse.
Deglutisco e sospiro, «Va bene.» acconsento, «Vado a prendere un cambio.» dico.
In queste ore Linds è stata particolarmente... appiccicosa, ecco. Non potevo allontanarmi senza dirglielo, altrimenti iniziava a chiamarmi, ripetendo il mio nome finché non ritornavo da lei. Mi chiedo perché faccia così. In un attimo torno da lei, trovandola come l'ho lasciata: seduta sul letto, le coperte buttate sulle gambe, lo sguardo fisso sulla porta finestra.
«Vado in bagno.» le dico e le bacio la fronte.
Quando torno lei si è sdraiata, la testa affondata in un mare di cuscini, il telecomando stretto in mano, «Ryan...» soffia guardandomi, «Mi porti del succo, per favore?» chiede.
«Va bene.» rispondo, «Hai preso la tachipirina?» chiedo. Lei scuote la testa, «Prendila.»
«No.» ribatte Lindsay, «È grossa.»
«È una pastiglia normale.» sospiro, «Linds, devi prenderla.» dico afferrando la scatoletta. Spingo la pastiglia sul mio palmo e gliela porgo.
«È grossa.» dice lei, «È troppo grande.» ripete.
Inspiro, espiro e mi impongo di mantenere la calma. «Lindsay, è una pastiglia normale.» dico, «Non è grande.»
«Lo è.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«Sono malata.» mormora e mi fissa, le labbra piegate in un broncio.
«Okay,» sospiro «la divido.» dico.
«In bagno c'è un cosino azzurro, è nell'armadietto in basso, dietro a tutto...» dice lei, fra un colpo di tosse e l'altro, «Usalo per dividerla, che è grossa e io sono malata.»
Vado in bagno, trovo quel coso e tolgo il tappo. C'è una “v” rovesciata e, nel coperchio, una piccola lama. Incastro la pillola nella “v” e abbasso il coperchio, controllo che la pillola sia divisa in due e torno da Linds, «Prendi.» dico porgendole mezza pasticca e il bicchiere d'acqua, aspetto che la mandi giù e le porgo l'altra, ma lei rimane lì, ferma, la bocca aperta. «Devo imboccarti?» domando e Linds annuisce. Le infilo la pasticca fra le labbra e aspetto che finisca di bere.
«Il mio succo?» mormora lei passandomi il bicchiere mezzo vuoto.
«Vado subito.» sospiro. Sono appena le nove e sono già stanco. Un po' è per il volo, un po' per Lindsay che continua a chiedere succo, acqua, fazzoletti, e questo e quello.
Quando è malata è davvero insopportabile, ma è meglio non dirglielo, non adesso, almeno. Prima che mi costringa ad imboccarla anche quando mangia.
Prendo un bicchiere e lo riempio di succo ace, una bottiglia di birra per me e un pacco di biscotti al cioccolato, sempre per me, ovviamente.
Quando rientro nella sua stanza Lindsay sta tossendo, «Tutto bene, tesorino?» chiedo.
«Sono malata.» mi risponde. Le passo il succo e la fisso mentre beve, poso il bicchiere sul comodino e faccio un respiro profondo.
«Lo so, amore.» le sorrido mentre lei si affloscia sui cuscini e io mi siedo sulla poltroncina della scrivania.
«Non vieni a dormire?»
La voce di Lindsay è attutita dal bozzolo fatto di lenzuola e coperte, «Un attimo, tesorino.» dico, «Dieci minuti.» aggiungo, «Dormi.» dico e apro la confezione di biscotti e stappo la birra, allungo i piedi sul letto e faccio un po' di zapping, godendomi questi minuti di pausa.

«Ryan?»
«Sono qui.» mormoro scostando le coperte, «Dormi, tesorino.» soffio, le bacio la fronte tiepida e sudata e mi dico che Linds deve proprio essere malata, se non mi insulta perché la chiamo tesorino.
Sono appena le dieci e mezzo ma ho un sonno pauroso. Sbadiglio e mi sdraio, immediatamente Lindsay mi si avvinghia addosso, ficcando i suoi piedi bollenti fra i miei.
«Hai i piedi freddi.» biascica lei.
«Tu sei calda.» mormoro.
«Io sono malata.» borbotta lei, «Molto malata.»
Credo che la stia facendo più tragica di quello che sia in realtà, in fondo è solo un po' di influenza, almeno credo. Spero.
«Lo so, tesorino.» le dico a occhi chiusi, spengo la luce e sospiro, «Buona notte, Lindsay.» soffio. Speriamo di riuscire a dormire.

***

Apro gli occhi e fisso la sveglia, sono le quattro del mattino, i numeri fosforescenti brillano così tanto come se fossero vicinissimi ai miei occhi. In effetti è così: sono su un fianco, praticamente a filo con il materasso. Lindsay è dietro di me e mi abbraccia, i suoi piedi caldi fra i miei. Mi alzo piano e mi metto seduto, sposto un po' in là Lindsay, che continua a dormire.
«Ryan.» chiama Linds, «Ryan.»
«Mi sto lavando le mani.» rispondo dal bagno, «Arrivo subito.» dico, un attimo dopo sono da lei. «Come ti senti?» le chiedo, anche se so già la risposta.
«Sono malata.»
Ecco, come immaginavo. Le tocco la fronte, le misuro la febbre: trentotto e mezzo. «Prendi.» le porgo mezza pastiglia di tachipirina e il bicchiere d'acqua, l'altra mezza pastiglia e aspetto che si sdrai, fortunatamente al centro del letto. Mi sistemo accanto a lei e la copro, «Dormi, piccola.» le dico baciandole la fronte e scostandole i capelli sudati.
Lindsay borbotta qualcosa di incomprensibile, si gira e posa la testa sul mio petto, accoccolandosi accanto a me.
Ho un caldo atroce, forse perché è Giugno, o forse perché Lindsay è una stufetta umana. Dormi Ryan, dormi cazzo. Dormi che sarà una lunga giornata.

***

Quando mi sveglio, alle nove meno dieci, Lindsay non è al mio fianco, sento lo sciacquone del bagno entrare in funzione e capisco che è in bagno. Insomma, lei è “malata, molto malata”, quindi non andrebbe da nessuna parte. Credo.
Stiracchiandomi mi alzo e apro la porta del bagno, «Come va?» chiedo, «E non dirmi che sei malata che lo so.» sorrido avvicinandomi a Linds che si sta lavando le mani, «Ti senti meglio?» chiedo.
«No.» risponde, la voce bassa. «Sono malata.»
«Lo so.» dico e le prendo il viso fra le mani, sentendolo fresco. «Vuoi fare colazione?» chiedo e le bacio la fronte, per poi stringerla forte. Lindsay si aggrappa alla mia maglia, sospira e posa la fronte contro la mia spalla.
«Ho fame.» dice.
Annuisco e le bacio la testa, «Okay.» soffio, «Dammi due minuti poi mangiamo, va bene?»
Lei annuisce, si asciuga le mani ed esce dal bagno.
«Andiamo?» chiedo qualche minuto più tardi. Linds è di nuovo a letto, seduta, con la schiena appoggiata ai cuscini, le gambe piegate e coperte.
«Dove?»
«Giù, a fare colazione.»
«Sono malata, portamela qua.» pigola lei, alzando gli occhi rossi su di me, le labbra screpolate piegate in un broncio...
«Sì, giusto.» sospiro, «Cosa vuoi?» chiedo.
«Latte caldo con miele, un bicchiere di succo e la brioche.» elenca lei, «Comunque c'è mamma, chiedi a lei.»
Annuisco e vado di sotto. È una piccola despota, ecco cos'è. Lindsay è una piccola tiranna, quando è malata.
In cucina c'è la signora Mars, le dico che Linds vuole la colazione e che la vuole — pretende — in camera.
Lei annuisce e ridacchia, la cosa mi fa pensare che faccia sempre così. «La vuoi anche tu?» chiede.
«Sì.» dico, «Ma con il caffè macchiato,» preciso «grazie.» le sorrido, poi scaldo le brioche — quattro, di sfoglia, ripiene di crema alla gianduia — nel microonde, mentre lei scalda il latte, versa il succo in due bicchieri e sistema il tutto su un vassoio. Dio, dovrò portalo su quelle scale? Ma farò cadere tutto quanto!
«Il vassoio lo porto io.» dice la signora Mars, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Ah,» commento, «Sei sicura?» chiedo.
Lei annuisce, «Porta il piatto con le brioche e qualche tovagliolo.» dice. Afferro una manciata di tovaglioli, prendo il piatto con le brioche e la seguo, prima fuori dalla cucina, poi nel salotto e infine sulle scale. 
Entriamo nella stanza di Lindsay e sua madre posa il vassoio sulla scrivania. «Il tavolino?» pigola Lindsay  nella versione “Lindsay Ho Bisogno di Tante Coccole Perché Sono Tanto Malata”.
«Adesso.» dice sua madre, esce dalla camera per tornare subito dopo con uno di quei tavolini-vassoi, tipo quelli da ospedale, quelli con cui puoi mangiare anche a letto. Lo apre, si assicura che sia bloccato e lo sistema vicino a Lindsay, poi ci mette sopra la tazza di latte e miele e il bicchiere di succo.
«E la brioche?»
«È qui.» dico, prendo due brioche per me e le sistemo sul vassoio, sopra a un tovagliolo, accanto al mio caffè macchiato e poso il piattino davanti a Linds. «Ecco.»
«Grazie.» pigola lei. Sua madre le bacia la testa e poi esce dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle. «Non vieni qui con me?» mi chiede Lindsay quando mi siedo davanti alla scrivania.
«Quel coso è piccolo.» dico, «Non ci sta su tutto.» le sorrido.
Lei mi fissa, guarda quel tavolino-vassoio, mi guarda di nuovo, sospira. «Hai ragione.» dice.
Mi limito a sorriderle mentre do un morso alla brioche.

«Dove vai?»
«Porto giù la roba.» dico sistemando tutto quanto sul vassoio.
«Torni?» chiede Lindsay e scoppia in un attacco di tosse. Corro da lei, le batto piano la mano sulla schiena — o si fa quando una cosa va di traverso? — e le porgo il bicchiere d'acqua. Lei beve, piano, tenendo il bicchiere con entrambe le mani.
«Tutto bene?» chiedo.
«Sto male.» dice lei.
«Il dottore arriva fra una mezz'ora.» esclamo, «Torno subito.» dico, le do un bacio sulla testa e porto tutto di sotto.

Rimbocco le coperte a Lindsay ed esco silenziosamente dalla camera. Ho bisogno di una pausa.
Scendo in cucina, e la madre di Lindsay è in cucina, che sfoglia un libro di ricette.
«Come sta?» chiede.
«Meglio.» rispondo, «Credo. Adesso dorme.» dico. Ormai sono le tre del pomeriggio. Afferro una pacchetto di barrette al caramello e cioccolato e lo scarto. «Posso chiederti una cosa?» domando.
Ho bisogno di sapere. Ho bisogno di capire perché Lindsay, una persona così indipendente da essere andata a studiare così lontano di casa quando aveva diciotto anni, adesso sia così... bisognosa di cure e attenzioni e mi vuole sempre — sempre! — accanto a lei. Okay che è malata, ma così esagera!
«Certo.»
Prendo un bel respiro e faccio la mia domanda: «Perché Lindsay fa così? Perché se le dico che scendo, che vado in bagno, che esco un attimo in terrazza mi chiede sempre se torno?»
Lei sospira e allontana da sé il libro, aperto sulla pagina della ricetta della trota ripiena. «Vedi, quando Lindsay aveva nove anni è stata male, una semplice influenza intestinale, niente di che.» dice, «Noi eravamo al lavoro e lei era a casa, con la baby sitter. Greg, che aveva quattordici anni, è tornato da scuola e ha sentito Lindsay gridare, così è andato nella sua stanza e l'ha trovata sul letto, in lacrime, sporca di vomito.» 
Oh, mio Dio. È terribile. «E la baby sitter?» chiedo. Dov'era? Come mai non si è accorta di niente?
Lei sospira, «Era in giardino, a prendere il sole.»
«Merda.»
«Già.» commenta la madre di Lindsay, «Greg ha aiutato Lindsay: l'ha cambiata, ha cambiato le lenzuola, l'ha consolata e ci ha chiamato.» dice, «Poi ha rigato l'auto di Jane con un cacciavite.»
Riderei, se la cosa non fosse tragica. Riderei perché anche Lindsay ha rigato l'auto del suo ex con un cacciavite.
«Bhe, Jane ha minacciata di denunciare Greg perché, oltre a rigarle l'auto voleva sbatterla in piscina... ma quando ha sentito “denuncia per abbandono di minore”... bhe, ha cambiato idea e ci ha supplicato di non denunciarla. Ovviamente l'abbiamo fatto. Anche perché c'erano i giardinieri nella casa accanto che hanno detto di averla sempre vista fuori, sdraiata o seduta a fare orribili maglioni ai ferri.»
«Ho capito.» dico e annuisco. Povera Lindsay... povero il mio tesorino bello. «Ma cosa... maglioni ai ferri?» chiedo, «Quanti anni aveva?»
«Cinquanta.»
«Oh.» dico. Mi sarei aspettata un comportamento del genere da una ragazzina, non da una donna. «Torno da Lindsay.» dico, prendo un'altra confezione del dolcetto ed esco dalla cucina.
Adesso capisco perché vuole che rimanga con lei. E lo farò. Rimarrò con lei finché non sarà guarita. Perché non mi costa nulla, restare accanto a lei. Perché l'amo.

***

Vediamo che giochi ha Lindsay sul pc. Magari ha qualcosa di meglio di quelli che ci sono sul portatile. Ignoro i vari “Solitario, Spider, Freecell, Heartes” e cerco altro. Uh, c'è Slenderman. Devo prendere otto fogli prima che Slenderman mi trovi. Pfh, facilissimo! Cosa ci vuole?
Uh, ne ho già preso uno. Dopo pochi secondi ne trovo un altro, attaccato al muro di una costruzione bassa. E sono due. Scommetto che Linds ne ha preso solo uno!
Faccio il giro della casupola e la musica cambia, diventando più... angosciante.
«Ryan?»
Ommiodio. È qui vicino, lo so.
«Ryan?»
Cavolo, cavolo, mi ha trovato.
«Ryan?»
Giro l'angolo e la brutta faccia di quel coso mi si para davanti e qualcuno mi posa la mano sulla spalla. Mi ha trovato.
«Ryan?»
Urlo e mi scosto da pc, saltando in piedi e spingendo via la sedia con le gambe.
«Ryan, stai bene?»
Guardo Lindsay, in ginocchio sul letto. «Cosa?» chiedo ansimando.
«Stai bene?» domanda lei, «Hai urlato.»
«Io... sì.» dico e capisco che è stata lei a toccarmi. «Giocavo a Slenderman.» spiego, «Ho preso due fogli!» gongolo.
«Ah, bravo.» dice e ritorna a sdraiarsi. «Io sono arrivata a sei...»
Ecco come sgonfiare il mio ego in cinque parole.
«Ah.» commento. «Hai bisogno di qualcosa?» chiedo.
«Succo.» risponde lei.
Annuisco, «Vado subito.» dico e mi alzo in piedi.
«Ryan... non dirmi che Slenderman ti ha spaventato?» mi chiede Lindsay quando sono a due passi dalla porta.
«Ma cosa... no.» rispondo. «Assolutamente no.» dico ed esco dalla camera.
No, non è vero: c'è mancato poco e mi sarei cagato sotto. Un po' per la musica, un po' per la brutta faccia di quello, un po' perché Linds mi ha toccato nell'esatto istante in cui è apparso Slenderman... sì, ho avuto paura.
Ma non diciamoglielo, altrimenti lo racconterebbe a tutti e verrei preso n giro da qui all'eternità.
Meglio soprassedere, ecco.
Ma non potevo giocare a... che so, Spider o Freecell? Sono abbastanza bravo, in quelli.
Meglio non pensarci.

***

«Ehi, Ryan, ti va di uscire per una birra?» chiede Aaron, «Oppure ci vediamo da te.»
«Non posso.» dico e, stringendo il cellulare, esco dalla stanza di Lindsay, fermandomi poco dopo la porta finestra, «Linds non sta bene e rimango qui con lei.»
«Ah.» commenta lui, «Cos'ha?» chiede, «Niente di grave, spero.»
«No, solo un po' di influenza.» rispondo.
«A Giugno?»
«Eh, lo ha detto il dottore.» replico, «Dice che potrebbe centrare anche lo stress.»
«Stress? Bhe, può essere.» dice Aaron, «Non ci siamo fermati un attimo.» sospira, «E fra sei settimane....»
«Già,» dico  «si ricomincia.»
Fra sei settimane partiamo con il tour, qui negli Stati Uniti, per un totale di sessanta date. Poi, dopo Natale, incominceremo con il tour europeo.
«Quindi ti sei calato nella parte dell'infermiere.» ride Aaron.
«Bhe... Linds farebbe lo stesso per me.» replico e mi volto, sentendo un rumore.
«Ryan?» mi chiama la piccola malata.
«Sono qui.» le dico, «Sono al telefono con Aaron, arrivo subito.» esclamo. Lei mi fissa, arriccia le labbra e tossisce.
«Uh, Ryan l'infermiere.» sghignazza uno dei miei migliori amici, «Cos'è, hai su una divisa sexy?»
«Oh, piantala, idiota.» sbotto, «Ci sentiamo.» dico, chiudo la comunicazione e rientro in stanza.
«Hai bisogno di qualcosa?» chiedo chinandomi su Lindsay.
«Volevo sapere dov'eri.» risponde, «Voglio il tè con i biscotti.»
Sorrido e le sfioro il viso, «Te lo porto subito.»
«Metti un cucchiaino di miele nella tazza.» ordina, «E portami anche l'acqua, è quasi finita.» continua indicando la bottiglia di plastica.
«Va bene.» esclamo, «Altro?» chiedo, prima che mi faccia fare le scale una decina di volte.
«Un bacino.» mormora Linds, «Sono malata.»
Trattengo una risata e mi chino su di lei, le bacio velocemente le labbra e poi la fronte, più a lungo.
«Solo questo?» domanda lei.
Rido, «Sì, solo questo.» rispondo, «Sei malata, giusto?» chiedo e le sfioro i capelli, «Vado a prendere il tè.» dico.
Lei abbozza un sorriso, «Okay.» dice, «Torna subito.» soffia. Annuisco e vado in cucina.

***

La notte è stata tranquilla — sempre che si possa definire tranquilla Lindsay che si agita e cerca di spingermi giù dal letto con i suoi piedi bollenti —, abbiamo fatto colazione e ora Linds sonnecchia mentre io guardo trasmissioni fatte di puro trash alla tv.
Il suo cellulare squilla, così lo prendo. È Svetlana. Devo risponde? Ma sì, rispondiamo. «Pronto?»
«Ryan?» fa lei, «Ciao! Mi passi Lindsay, per favore?»
Fisso la figura rannicchiata sul letto, «Dorme.» dico.
«Dorme?» chiede Svetlana, «Ah, chiamerò dopo.»
«Linds ha l'influenza.» la informo, prima che chiami e lei sia ancora addormentata.
«A Giugno?»
«Eh, già.» dico. «Febbre, tosse, tutto quanto.»
Svetlana tace per un'istante. «Capisco.» dice, «E tu... sai, Linds in questi casi non ama stare da sola.»
«Oh, lo so.» la interrompo. «So tutto.» dico. È logico che Svetlana sappia tutto, sono migliori amiche!
«Te lo ha detto?» chiede lei, stupita.
«Non Lindsay, sua madre.» rispondo, «Non ti preoccupare, so cosa fare.» dico.
«Okay.» esclama lei, «Va bene. Bhe, dille che ho chiamato.»
«Certo.»
«Ci sentiamo presto. E avvertimi, va bene?»
«Ovviamente.» assicuro. «Ciao, Svetlana.» dico e riattacco. Poso il cellulare sulla scrivania e sospiro, mi alzo in piedi e mi avvicino a Lindsay, le rimbocco le coperte e mi sdraio accanto a lei, le circondo la vita con un braccio e rimango a osservala,  ad accarezzarle i capelli... è bellissima, anche in momenti come questo.
Lindsay è sempre bella.

***

Lindsay sta meglio: niente più febbre e tosse. Niente più calorifero umano.
«Spero di non averti causato troppi problemi.» sbadiglia Lindsay, «Lo so, quando sono malata sono una rompi palle.» dice.
«Nah, niente di che.» le sorrido, «A parte che avevi i piedi bollenti...»
«Bhe, avevo la febbre.» Lindsay scrolla le spalle, «E poi di solito ti lamenti che li ho freddi.»
«Erano troppo caldi.» replico, «Praticamente eri come una stufetta umana.» rido.
Lindsay incrocia le braccia mentre le labbra si piegano in un broncio. «Idiota.» borbotta. «Io era malata e tu mi prendi in giro?» dice, «Grazie.»
Rido e mi siedo accanto a lei, sul letto. «Dai, tesorino.» esclamo e l'abbraccio, «Lo so che eri tanto malata.» la prendo un po' in giro ma lei sembra non accorgersene. «La mia
piccola Linds.» le bacio la testa.
«Scemo.» replica lei posando la testa sulla mia spalla. «Mi prendi in giro.» dice.
Rimaniamo per un po' così, abbracciati, poi lei alza la testa e mi guarda con quegli occhioni che mi hanno incantato fin dal primo momento. Mi fissa e sorride, prima di baciarmi le labbra. «Grazie, Ryan.» dice, «Grazie per esserti preso cura di me.» aggiunge e posa le mani sulle mie spalle. «Ti amo.»
«Ti amo.» soffio prima di baciarla.

***

Lindsay ha detto sì. Ha detto sì quando le ho chiesto se le andava di uscire, prendere qualcosa al McDrive e andare in uno dei parcheggi lungo la costa per cenare.
Non è un appuntamento vero, non è una cena al ristorante ma mi  — ci — va bene così.
Così, alle sette e mezzo di sera, usciamo da casa e ci dirigiamo verso un McDrive qualsiasi, prendiamo due McBacon menu con due birre e andiamo in un parcheggio deserto, l'auto puntata verso l'oceano poco lontano.
Prendiamo in nostri panini, le patatine, sistemiamo i bicchieri nel porta bicchieri — la parte interna del porta oggetti del cruscotto ne ha due — e iniziamo a mangiare, ridendo, ricordano episodi buffi accaduti durante il tour per la promozione.
C'è un'atmosfera così rilassata e tranquilla, così bella che rimarrei qui per sempre.
Bacio le labbra sporche di salsa di Lindsay, «Sai di sale.» le dico.
Lei ride, «Bhe, stiamo mangiando patatine fritte, mi pare normale.» dice, prende una patatina, intinge la punta nella maionese e la mangia.
«Oh, sì.» dico. Ha ragione, dopotutto. Guardo l'oceano, le luci che si riflettono sulla sua superficie, le onde che lentamente si infrangono sulla sabbia...
«Ryan? Ryan? Oh, ma dormi?»
«Eh, cosa?» faccio e mi giro verso Linds, «Sì?»
«Niente, ti eri incantato.» dice, «Non ti sei accorto che ti ho rubato un paio di patate...» commenta e butta la scatola del panino e quella che conteneva le patatine nel sacchetto di carta.
«Cosa?» gracchio e guardo il cartoccio fra le mie mani, ci sono solo tre patatine, prima ce n'erano almeno sei. «Ladruncola.» borbotto, «E poi ti lamenti quando prendo uno dei tuoi muffin.» dico. Le sorrido, finisco le patatine e getto tutto nel sacchetto. «Cosa facciamo?» chiedo.
«C'è quel fast food che prepara fritto misto.»
«Hai ancora fame?» gracchio, lei annuisce sorridendo. «E va bene,» sospiro «andiamo lì.»
«Grazie.»
Mi sporgo verso di lei, le labbra in fuori, pronto per baciarla, quando un bussare al vetro mi fa quasi urlare.
«Sì?» domando. È un poliziotto che punta la sua torcia verso di me, accecandomi per un istante.
«Documenti, prego.»
Annuisco, recupero i miei documenti e quelli dell'auto e glieli porgo dal finestrino abbassato per metà.
«Anche i suoi, signorina.»
Vedo Lindsay irrigidirsi, poi si china e recupera la sua borsa, prende la patente a me la porge e io la do al poliziotto.
«Scenda, prego.» esclama lui porgendo i documenti a un collega.
«Cosa?» chiedo, «Perché?» domando mentre Lindsay mi stringe la mano.
«Per l'alcol test.» risponde quello come se fosse la cosa più ovvia del mondo — e in effetti lo è.
«Certo.» dico, «Subito.» aggiungo, il poliziotto si sposta da davanti la portiera, scendo e soffio in quell'affare che mi porge. Mentre attendo il risultato — Dio, ho bevuto solo una birra! — mi appoggio all'auto, sentendo gli occhi di Lindsay su di me.
«Tutto a posto.» dice il poliziotto, l'altro mi ridà i documenti. «State attenti, da queste parti ci sono state un paio di aggressioni.» esclama.
Annuisco, «Ah, okay.» dico, «Adesso andiamo. Grazie. Buona serata.» esclamo e salgo in auto, dando tutto quanto a Linds, che mette a posto i vari documenti.
Partiamo, allontanandoci dal parcheggio. «È andato tutto bene.» sospiro.
«Già.» commenta Lindsay, «Ci fermiamo lo stesso, vero?» chiede. «Ho ancora più fame.»
Rido, «Sì.» rispondo, «Ci fermiamo.» confermo, «E comunque... la paura non dovrebbe chiudere lo stomaco?» domando fissando Linds che mette su il broncio. È adorabile.
«Io non avevo paura.» dice. «Solo sorpresa.» aggiunge.
«E va bene.» sospiro e le stringo la mano, sentendo il bracciale che le ho regalato premere contro la mia pelle. «Di qua, giusto?» chiedo, «A sinistra?»
«Sì.» risponde lei e la sento accarezzarmi la coscia. Il mio piccolo pozzo senza fondo.

Amo quando Lindsay sospira e geme e si contorce mentre la bacio e l'accarezzo. Amo sentire il sapore della sua pelle sulle labbra. Adoro sentire sotto le dita la sua pelle liscia, le curve del suo corpo...
Amo fare l'amore con lei, non posso farne a meno. Se per qualsiasi motivo dovessi perderla credo che morirei. Non voglio perdere l'unica persona che abbia mai veramente amato. Non voglio.
Amo Linds e niente e nessuno ci dividerà.



Uh... un capitolo intero con il pov di Ryan Infermiere! E qui si scopre una cosina del passato di Lindsay... l'avevo detto io che questa seconda parte sarebbe stata più "pesante"!
Il titolo è una canzone dei Backstreet Boys.
Grazie a tutti quelli che leggono e mettono la storia in una delle lista. RIngrazio anche chi commenta.
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