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Autore: MoonLilith    27/04/2009    4 recensioni
Lui mi sorride, un sorriso assolutamente da togliere il fiato, e mi fa un cenno con la testa.
Faccio per chiudere la porta, lentamente, ma quando è quasi chiusa, qualcosa la interrompe.
La riapro. C’è lui appoggiato allo stipite della porta, con una mano poggiata su di essa, a tenerla aperta.
« Voglio rivederti. » mi dice, serio in volto, guardandomi fisso.
Io? Io boccheggio.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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IV.

Domenica pomeriggio.
Precisamente, le 2 del pomeriggio.
Il mio autobus si ferma lentamente alla sosta in Piazza Duomo. Scendo, mi guardo intorno. Oggi c’è il sole, si sta anche bene a maniche corte. Infatti indosso addirittura gli occhiali da sole, malgrado non mi piaccia troppo portarli. Sono grandi, a mosca, si dice? Vabbè, non importa, sono quelli che mi coprono di più la faccia quindi mi piacciono.
Indosso una maglia rosa shocking, pinocchietti di jeans, converse gialle, abbinate alla borsa che da sugli stessi colori luminosi. I capelli sono legati in una coda alta, tranne la frangetta che scende liscia fino a metà fronte.
Non mi sono messa in tiro, nooo.
Gli ho mandato un messaggio, ieri. Gli ho chiesto se gli andava bene la data e l’orario di oggi. Dopo qualche ora, a notte fonda, mi ha risposto. Ho letto il messaggio questa mattina, e mi è venuta un’ansia pazzesca. Ho un appuntamento con Ben Barnes.
Dopo questo piccolo flashback, cerco di aguzzare la vista, cercando con lo sguardo qualcuno che potesse somigliargli almeno lontanamente.
Niente di niente. Sospiro, arricciando le labbra. Estraggo dalla borsa un pacchetto di Lucky Strike. Ne porto una alla bocca, l’accendo.
Faccio un lungo tiro, e ora che la nicotina inizia a circolare nel mio organismo, il cuore sembra decellerare appena il suo battito.
Inizio a passeggiare lentamente per la piazza, guardando in continuazione il cellulare. Niente. L’ansia ritorna, con tutta la forte percentuale di nicotina.
Sono arrivata ormai a metà sigaretta, mentre al centro di Piazza Duomo, leggermente in imbarazzo, continuo a guardarmi intorno.
Il pensiero di mandare tutto a fanculo si insinua malefico nella mia mente.
« Buongiorno, Jolene. » sento d’un tratto mormorare ad un centimetro dal mio orecchio destro.
Quella voce la riconoscerei in mezzo ad un milione di altre diverse. Chiudo gli occhi, sento i brividi lungo il corpo.
« Signor Barnes, siamo in ritardo. » mormoro io, arricciando le labbra in un sorriso. « Proprio come le Star. » aggiungo, ironicamente.
Lui intanto ha poggiato il mento sulla mia spalla, e sento la visiera di un capellino toccarmi una tempia.
« Oggi non sono il signor Barnes. Mi chiamo Lucas e sono francese, e tu sei la mia ragazza Jolene. » dice lui, tranquillamente. Lo sento sorridere, sento la sua pelle tendersi in un sorriso.
« Ti piacerebbe. » rispondo io, ironica. No, forse quella a cui piacerebbe sono io.
« Mi fai fare un tiro? »
Gli avvicino la sigaretta alla bocca.
« Dobbiamo restare tutto il giorno così? » gli chiedo, guardando di fronte a me e sorridendo.
« Ti dispiace? » mormora lui, in un soffio quasi impercettibile, avvicinando il viso al collo, quasi sfiorandolo. Il suo profumo mi inebria. Mi sento mancare.
« Non volevi vedere Milano? » gli chiedo io, a bassa voce. Non sono sicura di reggere per troppo tempo ancora.
« Ho il Duomo davanti agli occhi, non basta questo? » chiede lui ironico, rubandomi un altro tiro dalla sigaretta, che avevo avvicinato per me.
« Ma cosa dici?! » esclamo io, scioccata. « Ma ti pare che Milano sia soltanto il Duomo?! » chiedo ancora, scostandomi da lui e andando a voltarmi, per guardarlo.
Ok, chissà quante volte si è divertito a passarmi davanti nella mezz’ora che l’aspettavo ferma in mezzo alla piazza, e non l’avevo riconosciuto.
Neanche un filo di barba, è completamente liscio. Gli occhi sono coperti dai Rayban, i capelli sono probabilmente raccolti a nascondere la loro lunghezza, aiutati dal cappellino verde militare, che lascia scoperte solo le basette ai lati, e due ciuffi che scendono ai lati del viso.
Indossa una semplice maglia a maniche corte, marrone, un paio di jeans scuri, Vans, quelle dell’altro giorno, ai piedi.
Mi mordo il labbro inferiore. Non l’avrei mai riconosciuto, eppure ora che so che è lui riesco a trovare dei dettagli che mi riconducano a lui.
Le labbra, ben visibili, distese in un sorriso. Dio, come sembrano morbide. Le mani, che lentamente va a mettere in tasca, grandi e affusolate. Il suo profumo. Il suo meraviglioso profumo. È una droga, è dolcemente devastante.
Mi sorride, trionfante.
« Non mi avevi riconosciuto, vero? Ti son passato davanti un paio di volte, e non mi hai visto. »
« Ammetto di non averti riconosciuto. Ma sono famosa per essere una tipa distratta. » gli faccio un dispetto, non gliela voglio dare vinta.
Restiamo qualche istante a sorriderci, come dei beoti. Tutt’un tratto, sento del chiacchiericcio alle mie spalle.
« Ma quello non ti sembra Ben Barnes? »
« Ma chi, l’attore del Principe Caspian? »
« Sì, lui! »
« Ma che dici, non vedi che ha i capelli corti quello? »
« Ma magari li ha tagliati! »
« Ok, andiamo a chiedere! »
Spalanco gli occhi verso di lui. Panico. Che succede se scoprono che è lui? E soprattutto che lui è con me?
Lui si fa un attimo serio in viso, poi senza una particolare espressione, anzi molto tranquillamente, mi prende la mano. Io resto intontita qualche secondo. Avvampo improvvisamente, a sentire il tocco della sua pelle contro la mia.
Mentre cerco di riprendermi, sento lui che me la stringe forte. Credo stia incitandomi a collaborare. Faccio un profondo respiro, ammorbidisco la presa.
Come se fosse naturale, come se fosse un gesto normale, lentamente, dolcemente, le nostre dita si allargando, e le mani vanno ad intrecciarsi. La sua presa è salda, la mia è timorosa, imbarazzata.
« Amore mio, allora è questo il Duomo? » mi chiede lui in francese perfetto, mentre le ragazzine si avvicinano.
Non riesco a pensare. Non riesco a dire nulla. Riesco solo a sentire la stretta della sua mano, senza riuscire a formulare un pensiero compiuto.
Lui me la stringe ancora un po’ più forte. Cerca di svegliarmi dal mio stato comatoso, credo.
« Sì, Lucas! Andiamo a vedere se è aperto, mi hanno detto che dentro è molto affascinante… » rispondo io, acquistando sempre maggior sicurezza, in un francese altrettanto perfetto. Non potrei non saperlo, d’altronde.
Lui sembra stupito della mia risposta con la cadenza perfetta, quindi inizia a camminare verso il Duomo, tenendomi sempre stretta per mano.
« Ma l’hai sentito? Parlano in francese… »
« E poi ha pure la ragazza… »
« Non è lui, ragazze. »
« Che peccato, ci avevo sperato! »
Le sento borbottare alle mie spalle. Missione compiuta.
« Che hanno detto? » mi chiede lui, avvicinandosi, a bassa voce. « Se ne vanno? » continua ancora, mentre ci dirigiamo davvero verso il Duomo.
« Sì sì, non ti preoccupare! » gli rispondo a mezza voce con fare confidenziale. Questo gioco del non essere scoperti è quasi quasi eccitante. O forse, lo è solo perché c’è lui accanto a me.
Entriamo nel Duomo davvero, alla fine. L’atmosfera è cupa e sacrale. Non ci sono entrata molto spesso, da quando sono a Milano.
Fa anche freddo, lì dentro. Rabbrividisco. Ma mi rendo conto di sentire ancora calore ad una zona del mio corpo. Guardo la mia mano sinistra, e la trovo ancora intrecciata con quella di Ben. Trattengo il fiato, sussulto, quindi istintivamente vado a sciogliere l’intreccio.
Lo guardo, anche lui mi guarda, abbassando gli occhiali da sole quel che basta per farmi intravedere i suoi occhi.
Eccoli, nerissimi, intensi, brillanti.
Mi sorride, non dice nulla. Forse nota il rossore sulle mie guance.
« Allora, vuoi che ti parli un po’ del Duomo di Milano? Non aspettarti un granchè di spiegazione, non me la cavo molto con l’inglese artistico. »
« Mi va benissimo. » limita a dire lui, mentre solleva lo sguardo verso il soffitto altissimo del Duomo, azione che tutti i visitatori del luogo sono portati naturalmente a fare.
Facciamo un giro all’interno della Cattedrale, e usciti da lì lo porto alla Pinacoteca di Brera. All’inizio parlo poco, poi man mano riesco a sbloccarmi un po’. Alla fine, è pur sempre un ragazzo. Un ragazzo come tutti gli altri. Assurdamente bello, assurdamente famoso, assurdamente attraente. Ma è come tutti gli altri.
Dopo circa due ore di visita turistica alla città di Milano, in cui ha anche approfittato per fare shopping di vestiti, accessori e quant’altro per la modica cifra di circa 15 mila euro, ci ritroviamo al bar dove l’ho visto passare qualche giorno fa, a prendere un gelato.
« Allora, che ne pensi di Milano? » gli chiedo alla fine, mentre siamo seduti al bar, a mangiare il nostro gelato.
Lui, vaniglia e cioccolato. Io, fragola e melone. La gente non è ancora troppa, malgrado il corso stia iniziando a riempirsi.
Quanto siamo incompatibili.
Lo osservo. Sfila gli occhiali, e così faccio anch’io, proprio non li sopporto. Rivela per la prima volta nella giornata completamente i suoi occhi. Assottiglia le palpebre, mi osserva, sorride appena. Mi trema impercettibilmente la mano con cui reggo il cucchiaino di plastica blu.
« Stupenda. » si limita a dire lui, guardandomi fisso, con una punta di malizia nella voce.
Ok, adesso non connetto più.
« Cos…? » mi limito a dire io, senza riuscire neanche a terminare la parola. Sento il cuore battere irregolarmente, e le mie guance diventare velocemente bollenti.
Reggo comunque lo sguardo. Sto facendo progressi, vero?
« Milano, dico. È splendida. » dice lui, accentuando appena il sorriso.
Poi, d’un tratto, capita una cosa che per me è assurda. Distendo anch’io le labbra in un sorriso, appena accennato. Non lo facevo da non ricordo quanto tempo.
« Oh! » esclama lui, avvicinandosi a me. « Che bello, è la seconda volta che mi sorridi così. »
« La seconda? Quando altro l’ho fatto? » chiedo io, imbarazzata.
« A casa tua, ma era più l’ombra di un sorriso. Dovresti farlo più spesso. » mi dice lui, gentilmente.
Io sento di iniziare a sciogliermi. Vorrei che fosse lui a sorridere sempre. Sempre a me, solo a me.
Ma cosa diavolo vai a pensare, Jo?!, chiedo a me stessa, scuotendo appena il capo.
Sento la suoneria di un cellulare, e non è il mio.
Ben rimette gli occhiali da sole, e la cosa mi dispiace non poco. Poi estrae il suo… oh, pardon, il suo palmare, controllandolo.
« Devo andare. » dice lui, senza una particolare inclinazione della voce.
Quelle parole per me sono come una pugnalata al cuore.
No, ti prego, non ancora.
« Di già? » mi scappa chiedergli. Mi imbarazzo subito.
Mi guarda, quasi sorpreso dalla mia domanda. Poi l’espressione si distende, mi sorride.
« Purtroppo sì. » mi dice lui, sembra rammaricato quanto me. O forse me lo sto solo immaginando, perché vorrei che fosse così.
Si alza lentamente in piedi. Faccio la stessa cosa. Usciamo dal gazebo del bar, ci incamminiamo silenziosamente. Passeggiamo vicini, a volte ci tocchiamo per sbaglio. E ogni volta il cuore accelera il suo battito.
Si ferma vicino ad una fermata del TAXI, aspettando che ne passi uno.
« Mi raccomando, Jolene. Non dire nulla a nessuno. Mi posso fidare di te? » mi chiede, mentre continua a guardare alla ricerca di un TAXI.
« Certo. » rispondo io, voltandomi a guardarlo. « Anche se volessi, non ci sarebbero problema. Non ho amici a cui poter parlare. » sbotto io, atona.
« Adesso uno ce l’hai. » mi dice lui. Mi si riscalda improvvisamente il cuore.
Si volta a guardarmi, e poi scoppia subito a ridere. Inarco un sopracciglio.
Solleva la mano, e la porta sulla mia guancia, e con il pollice mi sfiora le labbra. « Sei sporca di gelato! » esclama lui, sorridendomi, e strofinando. Poi, quel gesto si trasforma più in una carezza, e il sorriso divertito si smorza, cambiando.
D’un tratto, improvvisamente, mi tira a sé. Mi cinge con le sue braccia. Mi sento sprofondare nella sua maglia, riesce ad abbracciarmi completamente.
Credo di essere paonazza.
No, più che altro credo di essere in Paradiso.
Mi tiene così, qualche secondo. Le mie braccia dapprima ciondolano inermi lungo i miei fianchi, poi si sollevano, lentamente, andando a posarsi sulla sua schiena. Quando lui mi sente ricambiare l’abbraccio, stringe ancora di più. Io affondo il viso nel suo torace, inspirando a fondo, drogandomi di lui e del suo profumo.
Oh, sì, è proprio il Paradiso.
« Ti batte forte il cuore. » mormora lui. Lo sente addirittura da corpo a corpo. Sta veramente per esplodere, e al sentire quelle frasi accelera ancora di più.
« E’ normale, sono umana. Sarebbe preoccupante se tu non lo sentissi. » gli dico io, beffarda.
Mi prende la mano destra. La porta sul suo torace. Mi stupisco di sentire il suo cuore galoppare quasi quanto il mio.
Mi sorride.
« Sono umano anch’io. Batte anche a me il cuore quando abbraccio qualcuno che mi piace. »
Cosa? No, come, scusa? Faccio orecchie da mercante. O meglio, sono praticamente svenuta, ma riesco a rimanere in piedi. Mi convinco ad essere ottusa, a non interpretare come vorrei quelle parole.
« Grazie mille. » mormora lui, dopo qualche secondo che mi sembra davvero troppo breve.
Ci allontaniamo, e poi ci guardiamo. Nessuno di noi vede gli occhi dell’altro, ma il mio cuore batte lo stesso. Lui chiama al volo un TAXI.
« Allora… a… presto? » chiedo io, incerta.
« A presto. » conferma lui, sorridendomi.
Estrae un pacchetto dalla tasca. È avvolto da una carta bordeaux, e legato con un nastrino di raso argentato.
« Aprilo quando sarai a casa. » dice lui. Mi sorride, mi dona un ultimo sorriso. Quindi entra nel TAXI.
Io resto immobile, silenziosa, con il pacchetto tra le mani. Lo guardo allontanarsi.
Il mio pessimismo mi dice che non lo rivedrò più. Chino il viso, guardo il pacchetto. Noto l’adesivo di una gioielleria. Stringo forte le labbra, sento delle lacrime moleste pungermi gli occhi.
Mi sento strana, ora che lui non c’è.
Prendo l’autobus, mi dirigo verso casa. Arrivata lì, lancio la borsa sul divano, quindi mi fiondo in camera mia ad aprire il pacco.
Mi siedo sul letto, quindi inizio a scartarlo con cura. Tra le mie mani si presenta una scatolina nera. La apro. Trattengo il fiato. Dentro c’è un braccialetto di oro bianco, sottile, semplice. Per un quarto di esso, vi è incastonata una fila di diamantini.
« E’ pazzo… » mormoro tremante.
C’è un biglietto, lo leggo.
Grazie per avermi regalato questa splendida giornata. Ben.
Tremante, chiudo la scatolina, la poggio sul comodino accanto al mio letto, quindi mi stendo con il biglietto sul cuore, trattenuto da entrambe le mani.
Il mio sguardo corre sulla locandina de “Il Principe Caspian”.
Le mie labbra si arricciano in un sorriso. Sereno, rilassato, come non lo era da tanto tempo.
Mi addormento poco dopo, serenamente, con ancora il biglietto stretto tra le mani.

//

Ringrazio un sacco le ragazze del Forum (sapete che parlo di voi... Ihih ;D) per il sostegno! *_*
   
 
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