Ricordo ancora
quel giorno come se fosse ieri…
Un’
insignificante creatura, animata da qualche forza che forse non poteva neanche
chiamarsi vita, gli occhi spenti, velati da un’ombra, da un’oscurità che non si
sarebbe mai diradata, come nebbia fitta.
La mia
carnagione era pallida, il mio animo non dava segni di
vita.
Lo sapevi,
vero Alex?
Il mio spirito
era tenuto prigioniero da qualcosa, rinchiuso in una prigione nera la cui
chiave era stata buttata via e continuava a cadere in un abisso senza fondo.
I
miei gesti, i miei sentimenti, le mie emozioni, incatenati in quella cella,
senza dar segno di volersi liberare.
I miei occhi…
I miei occhi vedevano un corridoio buio senza fine, rischiarato da una luce
lontana, che però sapevo di non poter mai raggiungere.
Ma poi…
Ma poi sei arrivata tu…
Fatico ancora
adesso a crederci…
Tra tutte le
ragazze della scuola, tu hai scelto proprio me, come amica, come confidente,
quasi come una sorella.
Ricordo quando
mio zio mi informò che i miei occhi vuoti ora
risplendevano di una luce che non li avevano mai animati prima d’ora.
Sei stata la
mia unica, vera amica, una ragazza sincera e leale, con i suoi difetti, con i
suoi pregi, timida ed insicura ma allo stesso tempo forte e tenace.
Per un attimo…
Solo per un attimo, ho creduto di poter finalmente uscire da quella prigione
che mi teneva rinchiusa, ho creduto di raggiungere la luce, la fine di quel
lungo corridoio, ho creduto di rinascere, di poter tornare alla vita…. Solo per
un attimo… ho pensato che anche io potevo essere
felice…
Eppure, quella
mattina era diverso, lo si poteva avvertire nell’aria.
Era il 14
Febbraio del 1999.
Uno squillo.
Mi alzai di
malavoglia, lanciando un’occhiata veloce all’ orologio;
Le sei del
mattino.
Sospirai,
soffocando uno sbadiglio e stringendo la mano attorno alla cornetta,
bloccandomi.
Perché mi tremava la mano? Perché
esitavo?
Attesi che il
telefono squillasse per pochi secondi, poi mi decisi,
accostando la cornetta all’ orecchio.
- P… Pronto? -
- Sei tu,
Cris? – mi chiese una voce di donna. - Sono la signorina Finney. -
Tirai un
sospiro di sollievo, riconoscendo l’ allenatrice di
pallavolo della nostra scuola, dove giocavamo io e Alex.
Attorcigliai
il filo dell’apparecchio attorno all’indice e tenni la cornetta tra la spalla e
l’orecchio.
- Mi dica
pure, signorina… È solo che non mi aspettavo una sua chiamata a quest’ ora del matt.. -
- Avrei
preferito non chiamarti affatto, Cris… Almeno non per darti questa notizia… -
La sentivo
nervosa e il silenzio cominciava a farsi pesante.
- È molto
importante che tu sia forte, adesso più che mai… -
- Non mi tenga
sulle spine, signorina! Parli! -
Sentii un
pianto sommesso dall’altra parte del telefono.
- Cris… - mormorò,
tra i singhiozzi. – Alex è stata investita. -
Ricordo che il
telefono mi scivolò dalle mani, ricadendo malamente
sul comodino.
Arretrai,
finendo con la schiena contro il muro; le gambe non mi ressero e scivolai sul
pavimento, tremando, mentre le mie pallide guance si inumidivano
pian piano.
Correvo sotto
la pioggia battente, quasi alla cieca.
L’acqua mi
entrava nel cappotto, bagnando il mio maglione, mentre il vento gelido mi
soffiava sul volto, rallentando la mia corsa.
Appena mi
ritrovai davanti ad un bivio, svoltai a destra: lì il sentiero di campagna si
tramutava in una strada che conduceva in città. Mi stavo avvicinando
all’ospedale.
Attraversai
senza guardare, rischiando di essere messa sotto da un camion e due macchine,
ma non mi fermai nemmeno un momento.
No… non era possibile… Dopo mia madre, dopo mio padre, non poteva
andarsene anche lei!
Non poteva lasciarmi da sola, non poteva!
Avrei
accettato di tutto, ma non questo.
Le luci dei
lampioni erano fioche eppure, chissà perché, mi accecavano ugualmente.
Quando
intravidi l’edificio bianco, il mio cuore mancò di un battito; entrai,
scontrandomi con un’ infermiera e facendole cadere i
fogli che lei teneva in una cartellina, sparpagliandoli per terra.
Mi diressi verso
il banco delle informazioni, senza prestare attenzione a tutti coloro che scontravo e che mi guardavano storto.
- Scusi… -
ansimai, all’ infermiere davanti a me. – Stamattina
hanno portato qui una ragazza della mia stessa età… Il suo nome è Alex… Ha
avuto un incidente stradale… -
L’uomo sfogliò un elenco, poi il suo sguardo ricadde prima su di me
e dopo sulle pagine.
- È stata
portata nel reparto rianimazione. – mi disse. – L’ incidente
è avvenuto all’ una e mezza, la paziente è stata portata immediatamente qui.
Stava bene, così l’ abbiamo condotta in una delle stanze dell’
ospedale. Se non ricordo male, era la numero 26,
quarto piano. -
- Ma come sta? È ferita, ma si riprenderà, vero? -
L’ infermiere
si strinse le spalle.
- Questo lo dovrai scoprire da sola, ragazza. – mormorò.
Lasciai il
banco informazioni, salendo le scale come una furia.
Passai il
primo piano.
E se fosse stato troppo tardi?
Il secondo
piano.
Se Alex non ce l’avesse fatta?
Superai il
terzo, accelerando il passo.
Se si fosse arresa, lasciandosi avvolgere
dalle tenebre, come se la sarebbe cavata lei?
Arrivai al
quarto piano, riprendendo fiato.
No. Non
sarebbe finita così. Questa volta non glielo avrei permesso.
Correvo,
tenendo lo sguardo fisso sui numeri delle porte…. 20…21… 22… 23… 24… 25…26…
Mi arrestai
immediatamente, riprendendo fiato, mentre i miei capelli bagnati gocciolavano,
inumidendo il pavimento.
Appoggiai una
mano sulla maniglia, poi, non senza timore, girai.
Mi trovai di
fronte ad una bella donna, alta, castana e con gli occhi verde smeraldo; occhi
lucidi e gonfi.
- Mi scusi… -
chiesi, prendendo fiato. – Sto cercando … -
- Sei amica di Alex? -
- Sì, ma come…
-
La vidi
torturare un fazzoletto di lino tra le dita, nervosamente.
- Mi dispiace…
- mormorò. – Ma Alex è deceduta. -
Di ciò che
successe dopo non serbo memoria precisa.
Ricordo solo
di aver fissato a lungo il fiume che passava vicino al paese;
ricordo quell’acqua limpida diventare nera
come per incanto;
ricordo il gelo avvolgermi come se niente
fosse, nel tempo in cui il mio corpo veniva trasportato via dalla corrente;
le mie palpebre si fecero pesanti, mentre
la luce della salvezza diventava sempre più distante, e io mi abbandonavo al
buio eterno.