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Autore: Dafne    30/03/2005    10 recensioni
Per un attimo… Solo per un attimo, ho creduto di poter finalmente uscire da quella prigione che mi teneva rinchiusa, ho creduto di raggiungere la luce, la fine di quel lungo corridoio, ho creduto di rinascere, di poter tornare alla vita…. Solo per un attimo… ho pensato che anche io potevo essere felice…
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri…

Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri…

 

Un’ insignificante creatura, animata da qualche forza che forse non poteva neanche chiamarsi vita, gli occhi spenti, velati da un’ombra, da un’oscurità che non si sarebbe mai diradata, come nebbia fitta.

 

La mia carnagione era pallida, il mio animo non dava segni di vita.

 

Lo sapevi, vero Alex?

 

Il mio spirito era tenuto prigioniero da qualcosa, rinchiuso in una prigione nera la cui chiave era stata buttata via e continuava a cadere in un abisso senza fondo.

 

I miei gesti, i miei sentimenti, le mie emozioni, incatenati in quella cella, senza dar segno di volersi liberare.

 

I miei occhi… I miei occhi vedevano un corridoio buio senza fine, rischiarato da una luce lontana, che però sapevo di non poter mai raggiungere.

 

Ma poi…

 

Ma poi sei arrivata tu…

Fatico ancora adesso a crederci…

 

Tra tutte le ragazze della scuola, tu hai scelto proprio me, come amica, come confidente, quasi come una sorella.

 

Ricordo quando mio zio mi informò che i miei occhi vuoti ora risplendevano di una luce che non li avevano mai animati prima d’ora.

 

Sei stata la mia unica, vera amica, una ragazza sincera e leale, con i suoi difetti, con i suoi pregi, timida ed insicura ma allo stesso tempo forte e tenace.

 

Per un attimo… Solo per un attimo, ho creduto di poter finalmente uscire da quella prigione che mi teneva rinchiusa, ho creduto di raggiungere la luce, la fine di quel lungo corridoio, ho creduto di rinascere, di poter tornare alla vita…. Solo per un attimo… ho pensato che anche io potevo essere felice…

 

Eppure, quella mattina era diverso, lo si poteva avvertire nell’aria.

 

Era il 14 Febbraio del 1999.

 

Uno squillo.

 

Mi alzai di malavoglia, lanciando un’occhiata veloce all’ orologio;

 

Le sei del mattino.

 

Sospirai, soffocando uno sbadiglio e stringendo la mano attorno alla cornetta, bloccandomi.

 

Perché mi tremava la mano? Perché esitavo?

 

Attesi che il telefono squillasse per pochi secondi, poi mi decisi, accostando la cornetta all’ orecchio.

 

- P… Pronto? -

 

- Sei tu, Cris? – mi chiese una voce di donna. - Sono la signorina Finney. -

 

Tirai un sospiro di sollievo, riconoscendo l’ allenatrice di pallavolo della nostra scuola, dove giocavamo io e Alex.

Attorcigliai il filo dell’apparecchio attorno all’indice e tenni la cornetta tra la spalla e l’orecchio.

 

- Mi dica pure, signorina… È  solo che non mi aspettavo una sua chiamata a quest’ ora del matt.. -

 

- Avrei preferito non chiamarti affatto, Cris… Almeno non per darti questa notizia… -

 

La sentivo nervosa e il silenzio cominciava a farsi pesante.

 

- È molto importante che tu sia forte, adesso più che mai… -

 

- Non mi tenga sulle spine, signorina! Parli! -

 

Sentii un pianto sommesso dall’altra parte del telefono.

 

- Cris… - mormorò, tra i singhiozzi. – Alex è stata investita. -

 

Ricordo che il telefono mi scivolò dalle mani, ricadendo malamente sul comodino.

 

Arretrai, finendo con la schiena contro il muro; le gambe non mi ressero e scivolai sul pavimento, tremando, mentre le mie pallide guance si inumidivano pian piano.

 

 

 

 

Correvo sotto la pioggia battente, quasi alla cieca.

 

L’acqua mi entrava nel cappotto, bagnando il mio maglione, mentre il vento gelido mi soffiava sul volto, rallentando la mia corsa.

 

Appena mi ritrovai davanti ad un bivio, svoltai a destra: lì il sentiero di campagna si tramutava in una strada che conduceva in città. Mi stavo avvicinando all’ospedale.

 

Attraversai senza guardare, rischiando di essere messa sotto da un camion e due macchine, ma non mi fermai nemmeno un momento.

 

No… non era possibile… Dopo mia madre, dopo mio padre, non poteva andarsene anche lei!

Non poteva lasciarmi da sola, non poteva!

 

Avrei accettato di tutto, ma non questo.

 

Le luci dei lampioni erano fioche eppure, chissà perché, mi accecavano ugualmente.

 

Quando intravidi l’edificio bianco, il mio cuore mancò di un battito; entrai, scontrandomi con un’ infermiera e facendole cadere i fogli che lei teneva in una cartellina, sparpagliandoli per terra.

 

Mi diressi verso il banco delle informazioni, senza prestare attenzione a tutti coloro che scontravo e che mi guardavano storto.

 

- Scusi… - ansimai, all’ infermiere davanti a me. – Stamattina hanno portato qui una ragazza della mia stessa età… Il suo nome è Alex… Ha avuto un incidente stradale… -

 

L’uomo sfogliò un elenco, poi il suo sguardo ricadde prima su di me e dopo sulle pagine.

 

- È stata portata nel reparto rianimazione. – mi disse. – L’ incidente è avvenuto all’ una e mezza, la paziente è stata portata immediatamente qui. Stava bene, così l’ abbiamo condotta in una delle stanze dell’ ospedale. Se non ricordo male, era la numero 26, quarto piano. -

 

- Ma come sta? È ferita, ma si riprenderà, vero? -

 

L’ infermiere si strinse le spalle.

 

- Questo lo dovrai scoprire da sola, ragazza. – mormorò.

 

Lasciai il banco informazioni, salendo le scale come una furia. 

 

Passai il primo piano.

 

 

E se fosse stato troppo tardi?

 

 

Il secondo piano.

 

 

Se Alex non ce l’avesse fatta?

 

 

Superai il terzo, accelerando il passo.

 

 

Se si fosse arresa, lasciandosi avvolgere dalle tenebre, come se la sarebbe cavata lei?

 

 

Arrivai al quarto piano, riprendendo fiato.

 

 

No. Non sarebbe finita così. Questa volta non glielo avrei permesso.

 

Correvo, tenendo lo sguardo fisso sui numeri delle porte…. 20…21… 22… 23… 24… 25…26…

 

Mi arrestai immediatamente, riprendendo fiato, mentre i miei capelli bagnati gocciolavano, inumidendo il pavimento.

 

Appoggiai una mano sulla maniglia, poi, non senza timore, girai.

 

Mi trovai di fronte ad una bella donna, alta, castana e con gli occhi verde smeraldo; occhi lucidi e gonfi.

 

- Mi scusi… - chiesi, prendendo fiato. – Sto cercando … -

 

- Sei amica di Alex? -

 

- Sì, ma come… -

 

La vidi torturare un fazzoletto di lino tra le dita, nervosamente.

 

- Mi dispiace… - mormorò. – Ma Alex è deceduta. -

 

 

 

Di ciò che successe dopo non serbo memoria precisa.

 

Ricordo solo di aver fissato a lungo il fiume che passava vicino al paese;

 

ricordo quell’acqua limpida diventare nera come per incanto;

 

ricordo il gelo avvolgermi come se niente fosse, nel tempo in cui il mio corpo veniva trasportato via dalla corrente;

 

le mie palpebre si fecero pesanti, mentre la luce della salvezza diventava sempre più distante, e io mi abbandonavo al buio eterno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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